L’ipotesi resurrezione è la più attendibile a spiegare la Sindone

SindoneLa Sindone è l’artefatto umano, o l’immagine achiropita (“non dipinta da mano”), più studiata. Se autentica è frutto di un amore sovraumano, se falsa è frutto di una mente sovraumana (Emanuela Marinelli).

Un recente studio (The Shroud of Turin: A Historiographical Approach, aprile 2013) torna sull’argomento dell’autenticità, prodotto dal ricercatore francese Tristan Casabianca (Università di Aix-Marseille) e pubblicato sull’accademico “Heythrop Journal”.

 

L’analisi verte sull’esame delle tre principali ipotesi circa l’origine del “sacro lino”:

1) ipotesi Garlaschelli, chimico italiano che si è cimentato in un tentativo di riproduzione dell’immagine sindonica. Sarebbe un falso del 1300;

2) ipotesi della risurrezione. La Sindone sarebbe l’autentico lenzuolo (sindone in greco) che ha avvolto il corpo del Signore, recandone miracolosamente impressa l’immagine “in Polaroid”;

3) ipotesi naturale. Sarebbe il prodotto di cause naturali, riconducibile comunque alla Palestina del I secolo.

Per ognuna di queste tre ipotesi l’autore ne esamina la verosimiglianza sotto cinque aspetti:

– plausibilità: le nostre conoscenze scientifiche spiegano l’immagine?

– esplicabilità: l’ipotesi giustifica tutti i dati?

– chiarezza: l’ipotesi è specifica e accurata e non ambigua?

– semplicità: implica dati non reali o non verificabili?

– illuminazione: l’ipotesi rende ragione degli altri dati conosciuti?

Questo in sintesi il risultato dell’analisi:

Garlaschelli

Risurrezione

Ip. naturale

Plausibilità

No

No

Esplicabilità

No

Chiarezza

No

No

Semplicità

No

No

Illuminazione

No

No

 

L’ipotesi di Garlaschelli, che vede la Sindone come l’artefatto di un falsario medievale, non spiega nessuno dei cinque aspetti esaminati. Anche l’ipotesi naturale presenta complessivamente più luci che ombre. Rimane l’ipotesi della “Polaroid” della risurrezione, che permette di spiegare quasi tutti gli aspetti esaminati. Secondo l’autore l’unico aspetto non chiarificatore è il modo in cui l’evento della risurrezione possa aver prodotto l’immagine. Ma questo è tautologico: di fronte a un evento soprannaturale e misterioso, la ragione scientifica deve alzare bandiera bianca e ammettere la propria limitatezza.

Roberto Reggi

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Gmg 2013: cronaca di un successo (anche economico)

GMG 2013Alla vigilia della XXVIII edizione della Giornata Mondiale della Gioventù (GMG), il sito americano Ewtn riportava, stando alle stime degli organizzatori, un impatto economico di 220 milioni di dollari solo nella zona di Rio de Janeiro. All’indomani di quella che è stata definita dal sindaco Eduardo Paes la più grande manifestazione della capitale brasiliana, le previsioni si sono rivelate ben lontane dagli effettivi guadagni del Paese.

Il quasi mezzo milione di pellegrini iscritti proveniva da 175 paesi, il 60% dei partecipanti aveva un’età compresa fra i 19 e i 35 anniSecondo Vatican Insider, infine, l’evento ha richiesto la collaborazione di 60.000 volontari ed ha richiamato l’impressionante cifra di 6500 giornalisti accreditati provenienti da ben 57 paesi. Alla GMG erano presenti, inoltre, 644 vescovi, fra cui 28 cardinali. Secondo Romereports, alla veglia di sabato hanno partecipato 3,5 milioni di pellegrini, a cui se ne sono aggiunti 200.000 per la messa di domenica.

Veniamo ora ai costi della manifestazione: stando ad una nota ufficiale pubblicata dal comitato organizzativo dell’evento, si stimava una spesa compresa tra i 320 e i 350 milioni di reali (circa 140 milioni di dollari). Il 70% circa di queste spese, sempre secondo il comitato organizzativo, sarebbe stato coperto dai contributi degli iscritti alla GMG. A questo incasso si sarebbe dovuto aggiungere l’ammontare di donazioni spontanee, sponsorizzazioni e partnership. Gli organizzatori hanno precisato che il governo si sarebbe occupato delle spese necessarie alla riuscita logistico-organizzativa di tutto l’evento, nelle stesse modalità con cui si accoglie un capo di Stato o si ospita una manifestazione sportiva (pensiamo, ad esempio, alla Confederations Cup).

L’entità di questa spesa non è ancora stata confermata, ma dalle prime ipotesi, risalenti a maggio che parlavano di 118 milioni di reali, si è sceso, nel corso dei mesi, a cifre più basse, ripartite tra contributi statali, federali e municipali. Per maggiori chiarimenti attendiamo comunque una nota ufficiale del governo. Stando comunque ad un recente articolo pubblicato da Romereports, durante la settimana trascorsa a Rio, i visitatori hanno speso una cifra di circa 1,8 miliardi di reali (circa 784 milioni di dollari).

Non possiamo poi non accorgerci dello strano silenzio della stampa laica. A questo riguardo prendiamo in considerazione due trafiletti (qui e qui) di “Avvenire” che collezionano alcune delle piccole scaramucce pubblicate durante la settimana della GMG. Lampante è l’esempio di “Repubblica” che, non avendo evidentemente dati concreti su cui polemizzare, ha lanciato anatemi sui titoli di prima pagina. Titoli che riportavano però ad articoli scritti con toni totalmente diversi.

E’ questo il caso del discorso del Papa sulle droghe. In prima pagina si leggeva: “L’anatema del Papa contro le droghe”. Scrive il giornalista di “Avvenire”: «Spicca quell’”anatema” del titolone. Leggi e sei sorpreso, perché l’inviato di “Repubblica” scrive ben altro, con altri toni (suoi) e ben altre parole (del Papa): “Oggi, in questo luogo di lotta (…) vorrei abbracciare ciascuno e ciascuna di voi, voi che siete la carne di Cristo. Abbracciare! Abbiamo tutti bisogno di imparare ad abbracciare (…) Ma abbracciare non è sufficiente. Tendiamo la mano a chi è in difficoltà (…) a chi è caduto, e diciamogli: puoi rialzarti… Cari Amici, non siete mai soli (…) Guardate con fiducia (…) Vi affido alla Vergine fino al 2017, quando tornerò”. E allora? Allora in redazione qualcuno era in grave crisi di astinenza: da mesi e mesi non poteva dire «anatema!» denunciando questa Chiesa oscurantista, chiusa, vecchia, fallita! Non ce l’ha fatta più: accecato e assordato dalla sua crisi. Va capito, magari “abbracciato”»

Che alla fine tutte le polemiche scemassero come tipiche chiacchiere da “bar dello sport” era poi chiaro: quello di Rio, infatti, è solo l’ultimo dei successi (anche economici) registrato dalle Giornate Mondiali della Gioventù. Proprio dalle colonne di questo sito, abbiamo riportato due anni fa la clamorosa vittoria alla critiche dell’evento di Madrid, nel cuore di una Spagna trafitta dalla crisi. L’evento del 2011, secondo le note ufficiali pubblicate da PriceWaterhouseCoopers, registrò un’entrata di 476 milioni di dollari, di cui 37 milioni sono stati incassati dallo Stato in ragione dell’Imposta sul valore aggiunto (Iva).

Per concludere vorrei citare alcune illuminanti parole del card. Dom Orani Tempesta: «Copacabana non ha mai visto così tante persone in pace, felici e desiderose di costruire un mondo migliore. Si è trattato di un evento senza violenze, furti. Segni positivi che ci hanno mostrato come la gioventù debba perseverare. Vogliamo che questi giovani, ispirati dalla GMG, restino protagonisti di un mondo nuovo». Sarà forse un caso che questo “mondo nuovo” si trovi ad una manciata di chilometri da quella “fine del mondo” da cui proviene il nostro Papa Francesco?

Filippo Chelli

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Non basta voler essere donna per diventarlo davvero

Manning 
 
di Brendan O’Neill*
*editorialista di “Spiked” (marxista, libertario e non credente)

 
*da Spiked, 22/08/13
 

Radley Manning ha detto che vuole cambiare il suo nome in Chelsea Manning. Bene. Questo è il suo business. Ma dice anche che da ora in poi vuole essere indicato come una donna, usando solo pronomi femminili. Ci dispiace, ma no.

Non si diventa una donna semplicemente dicendo: “Io sono una donna”. Tale tentativo di fuga dalla realtà oggettiva, in questo caso dalla realtà oggettiva di essere maschio, è bizzarro. Il nome Manning è il suo, ma il suo sesso non è così personale o così malleabile. Come per tutti noi, è governato da fatti scientifici e sociali di base. E’ arroganza narcisistica aspettarsi che la società si riferisca a te come una donna solo perché dici di esserlo. Se io dico: “Io sono un nero e da ora in poi fate riferimento a me come “afro-britannico”, la gente si mette a ridere. Perché? Perché non sono nero. E allo stesso modo, il signor Manning non è una donna.

“Io sono il Chelsea Manning. Io sono una femmina”, ha detto il signor Manning in un comunicato diffuso oggi. Ha chiesto che “a partire da oggi, si faccia riferimento a me con il mio nuovo nome e si utilizzi il pronome femminile”. Il Guardian ha già ottemperato a tale richiesta negatrice della la realtà, parlando costantemente di “lei” nel suo pezzo sul cambio di sesso fantasma del signor Manning. A suo merito, la BBC non lo ha rispettato, dimostrando di avere ancora almeno un piede nella realtà tangibile e senziente, facendo giustamente riferimento al signor Manning come “lui”. Sarebbe stranamente relativistico per i media fare riferimento al signor Manning come “lei”, i giornalisti sono tenuti a trovare fatti e riferire in merito al mondo così com’è, non comunicare la versione di un uomo della realtà, come indicato nella dichiarazione rilasciata dal carcere del signor Manning.

La richiesta del signor Manning è un tutt’uno con i nostri tempi terapeutici, in cui ci viene costantemente detto che come sentiamo noi stessi è più importante di quello che realmente siamo o di ciò che realmente facciamo. Ai giovani viene insegnato ad adorare la loro autostima, a concentrarsi sul loro sentirsi bene piuttosto che sul raggiungimento di qualcosa di significativo nel mondo esterno. Ci viene detto che siamo dei fluidi, identità giocose, che siamo in grado di modellarci e rimodellarci rispetto a quello che scegliamo di essere. Tutto questo vorrebbe essere radicale, ma in verità è profondamente conservatore perché incoraggia la gente ad ignorare la realtà, a forgiare in un’ossessione miope il sé con il proprio ombelico e immaginare piuttosto che impegnarsi con il mondo e i suoi abitanti. Non c’è niente di ribelle in questo.

Mr Manning, nessun uomo (o donna) è un’isola, esso esiste in un mondo in cui diamo nomi alle cose, in cui è presente un linguaggio per esprimere idee sulla realtà materiale, il che significa che alto è alto, basso è basso, così come uomo è uomo.

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La dura vita degli anti-CL sotto Papa Francesco

Meeting rimini«Ho accettato di presentare questo libro di don Giussani per due ragioni. La prima, più personale, è il bene che negli ultimi dieci anni quest’uomo ha fatto a me, alla mia vita di sacerdote, attraverso la lettura dei suoi libri e dei suoi articoli. La seconda ragione è che sono convinto che il suo pensiero è profondamente umano e giunge fino al più intimo dell’anelito dell’uomo».

A pronunciare queste parole non è stato il ciellino Formigoni, ma niente meno che il card. Jorge Mario Bergoglio, futuro Papa Francesco, nel 2001 quando volle presentare a Buenos Aires il libro in spagnolo “Attrattiva Gesù” del fondatore di Comunione e Liberazione. Aveva già presentato “Il Senso religioso”, un altro di libro di don Giussani, nel 1999. Il fondatore di CL volle ringraziarlo direttamente con un messaggio, in cui scrisse«Ci sia maestro e padre, Eminenza, come sento raccontare dai miei amici di Buenos Aires, grati alla Sua persona e obbedienti come a Gesù». L’amicizia tra il Papa e Comunione e Liberazione è di vecchia data, spiegata anche dal grande sviluppo che il movimento ecclesiale, nato nella diocesi guidata anche dal card. Martini, sta conoscendo in Sud America, particolarmente in Brasile, dove cresce a ritmi impressionanti facendo argine al dilagare delle sette protestanti. Un movimento che stimiamo e lo stesso dovrebbero fare tutti i cattolici, come per tante altre realtà cattoliche, per la vivacità e la capacità di presenza intelligente nel dibattito pubblico.

Eppure gli anti-CL, quasi sempre estremisti di sinistra, stanno usando la figura di Papa Francesco come loro nuovo argomento contro il movimento ecclesiale, guidato oggi da Julian Carron. Lo ha fatto recentemente lo pseudo-vaticanista Marco Politi su “Il Fatto Quotidiano”, approfittando della settimana in cui a Rimini si svolge il “Meeting per l’amicizia tra i popoli”, organizzato appunto da CL.

Riciclando vecchi luoghi comuni, Politi ha scritto: «Cl celebra lo stanco rituale della sua parata di Vip. Sempre dalla parte dei potenti, sempre applaudendo i signori del vapore». Eppure i non ciellini che frequentano il Meeting la pensano diversamente degli epigoni di Vito Mancuso che vivacchiano nelle redazioni dei giornali: ad esempio Marco Cobianchi, proprio qualche giorno fa, ha scritto: «non credere a chi ti dice “Cl sta con questo, Cl sta con l’altro”. Cl sta solo con Cl, come è ben noto a tutti. Nel senso che Cl ha un ideale che si declina anche politicamente e lo persegue con costanza e, a volte, qualche errore, indipendentemente da chi c’è a Palazzo Chigi». Interessante anche la testimonianza di Nazzareno Carusi, accolto dal “Meeting”: «io anarchico e praticamente eretico con Comunione e Liberazione. Quante volte mi ha accolto senza venir mai aggredito, mai assalti all’arma lessicale per saltare addosso a chi la pensa alla diversa, né il rifiuto di un confronto e ancora meno la cancellazione di un incontro». Politi dovrebbe imparare da CL l’amore dell’accoglienza e del rispetto.

Secondo lo pseudo-vaticanista, «gli epigoni di don Giussani non si accorgono che il clima, nella Chiesa cattolica, è radicalmente cambiato e che il loro festival, tradizionalmente omogeneizzatore di interessi politici, economici e religiosi, si sta inesorabilmente allontanando dal binario, su cui papa Francesco sta collocando il cattolicesimo contemporaneo». Un binario talmente lontano che Papa Francesco, nel messaggio indirizzato all’avvio dello stesso “Meeting” ha spiegato che «la povertà non è solo quella materiale. Esiste una povertà spirituale che attanaglia l’uomo contemporaneo. Siamo poveri di amore, assetati di verità e giustizia, mendicanti di Dio, come sapientemente il servo di Dio Mons. Luigi Giussani ha sempre sottolineato», assicurando a tutti la sua vicinanza nella preghiera e il suo affetto, nonché impartendo la benedizione a tutti gli organizzatori e i partecipanti. Sempre secondo Politi, «Comunione e liberazione sta tramontando per incompatibilità ambientale con la svolta del dopo-Ratzinger». Eppure le presenze al “Meeting” di Rimini sono state 800mila, con oltre 100 incontri con decine di Vescovi da tutto il mondo, tra cui uno sulla nuova Enciclica di Francesco, con la presenza di Guzmán Carriquiry, amico personale di Papa Francesco e segretario generale della Pontificia commissione per l’America Latina. Ma come, non erano su binari diversi rispetto al Pontefice?

Senza esserci mai stato, perché al Meeting non si invita chi giudica e condanna rifiutando il dialogo, Politi ha criticato l’evento perché ha messo «a disposizione lo stand della rivista ciellina “Tempi” per aizzare alla raccolta di firme contro la legge anti-omofobia» e questo «non ha nulla da spartire con un pontefice, che di fronte a un gay in cerca di Dio esclama: “Chi sono io per giudicare?”». Eppure in quel caso, strumentalizzato abilmente da Politi, il Pontefice parlava della condanna verso il peccatore, citando ampiamente il Catechismo cattolico. Il peccato, va invece giudicato e condannato per il bene dell’uomo e anche osteggiato dal punto di vista politico se possibile, come lo stesso card. Bergoglio ha cercato di fare spronando i politici cattolici nel 2010 ad opporsi alle nozze gay:  «Il disegno di legge che permetterà il matrimonio a persone dello stesso sesso», mette «in gioco l’identità e la sopravvivenza della famiglia: padre, madre e figli. Non è semplicemente una lotta politica, ma è un tentativo distruttivo del disegno di Dio. Non è solo un disegno di legge (questo è solo lo strumento) ma è una “mossa” del padre della menzogna che cerca di confondere e d’ingannare i figli di Dio[…]. Invocate il Signore affinché mandi il suo Spirito sui senatori che saranno impegnati a votare. Che non lo facciano mossi dall’errore o da situazioni contingenti, ma secondo ciò che la legge naturale e la legge di Dio indicano loro».

In conclusione Politi ha citato i cinque o sei appartenenti a cielle, su decine di migliaia di aderenti in 70 paesi nel mondo, noti alle cronache per aver avuto problemi giudiziari, accusando il movimento di complicità per aver digerito tutto senza proteste. Stranamente il vaticanista de “Il Fatto” non ricorda mai che le sue calunnie alla Chiesa, quando lavorava per “Repubblica”, sono state per anni pagate dal miliardario Carlo De Benedetti, un uomo che non solo ha ammesso di aver pagato tangenti da quindici miliardi ai politici, ma anche di essere disposto a rifare tutto: «Se dovessi rifare tutto di nuovo lo rifarei: pagherei le tangenti ai politici per ottenere le commesse pubbliche». Questa persona è stato, in seguito, per anni il datore di lavoro di Marco Politi, senza che quest’ultimo abbia mai sentito un’incompatibilità con la sua coscienza. L’onestà intellettuale dovrebbe almeno consigliare a Politi di non entrare in certi argomenti.

Ricordiamoci comunque di questi attacchi a CL quando Papa Francesco sarà invitato al “Meeting” di Rimini e vi parteciperà, così come hanno fatto in passato Giovanni Paolo II, Madre Teresa di Calcutta, Jean Guitton, Hans Urs von Balthasar, Augusto Del Noce, il Dalai Lama, Ignace de la Potterie, Oscar Luigi Scalfaro, Carlo Maria Martini, Giorgio Napolitano ecc.

 

Qui sotto il video in cui il sociologo Salvatore Abruzzese critica chi non capisce CL

La redazione

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È realmente possibile falsificare o corroborare il darwinismo?

 Darwin

di Michele Forastiere*,
*insegnante di matematica e fisica

Alessandro Giuliani*,
*biologo e primo ricercatore presso l’Istituto Superiore di Sanità

Giorgio Masiero*,
*fisico

(tratto dall’articolo “Sulla falsificabilità o corroborabilità del darwinismo – On the falsifiability or corroborability of Darwinism”, Atti della Fondazione Giorgio Ronchi, Anno LXVIII, n. 2 – Marzo-Aprile 2013, pp. 249-262)

 
Com’è noto, il darwinismo ha una doppia connotazione: una scientifica ed una filosofica. Nella prima, esso si candida (oggi sotto le dizioni neo-darwinismo o Sintesi Moderna) ad essere la teoria scientifica che spiega l’evoluzione delle specie per mezzo esclusivo di due agenti: il caso e la selezione naturale (nell’accezione più ampia del termine, che include per esempio anche la selezione sessuale). Nella seconda connotazione, invece, esso è una corrente del naturalismo, con un particolare accento posto sull’evoluzione come motore non solo delle trasformazioni naturali, ma anche di quelle sociali, psicologiche e culturali.

In questo lavoro sottoporremo il darwinismo “scientifico” ad un’analisi di probabilità epistemologica (a scanso di equivoci, qui non si fa una critica all’evoluzione in sé, ma solo alla specifica teoria darwiniana dell’evoluzione).

 

Il darwinismo “scientifico” è indifferente ad ogni insieme di credenze.
Prima di procedere all’analisi epistemologica, vogliamo ribadire un fatto che dovrebbe essere ovvio, ma che nel caso del darwinismo – proprio per l’ambivalenza scientifico‑filosofica con cui il termine è adoperato – si tende qualche volta a dimenticare: nessuna teoria scientifica può validare o confutare una concezione filosofica. Ciò significa che là dove il darwinismo si presenta come una teoria scientifica dell’evoluzione, esso non ha nulla da dire, in particolare, riguardo al teismo/a‑teismo. Nei confronti del darwinismo “scientifico” il dibattito filosofico può riguardare solo una questione: la sua pretesa di scientificità. In altre parole, spetta alla filosofia stabilire se il darwinismo scientifico abbia o no un criterio di falsificabilità sperimentale.

L’indifferenza filosofica del darwinismo “scientifico”, oltre che derivare dalla disgiunzione tra il dominio della scienza naturale e quello della filosofia, risulta evidente anche dall’analisi diretta delle assunzioni della Sintesi Moderna. Analizziamo dal punto di vista epistemologico l’Affermazione Centrale dell’Evoluzione (ACE) della Sintesi Moderna, che è esprimibile come segue: ACE: “Ogni genuina innovazione fenotipica (vale a dire, ogni evento macroevolutivo, corrispondente alla comparsa di nuovi organi, funzioni o gruppi tassonomici) è dovuta alle sole mutazioni genetiche casuali, affiancate dagli usuali meccanismi microevolutivi (amplificazione e fissazione tramite la selezione naturale).

Qualche considerazione preliminare è necessaria. Una genuina innovazione fenotipica coincide, per definizione, con l’introduzione di nuova informazione nel genoma di una specie all’interno del suo habitat. Il concetto di “nuova informazione” non va qui inteso in termini puramente sintattici, per evitare il paradosso della fragola avente un numero di geni superiore all’Homo sapiens! Considereremo allora la variazione d’informazione in termini semantici, non per il numero di geni, ma per la presenza di nuove funzioni. D’altro canto, per la Sintesi Moderna la responsabilità delle mutazioni genetiche come fonti di innovazione è principalmente da ascrivere agli errori casuali di trascrizione del DNA, per effetto di composti chimici mutagenici, o della radioattività naturale, o di altri fattori non deterministici. Secondo l’ACE, la fonte di innovazione evolutiva è riconducibile in ultima analisi all’azione del caso, dipendendo in maniera cruciale da eventi accidentali e imprevedibili (casuali e/o contingenti).

Epistemologicamente, l’ACE va vista come una proposizione relativa all’evoluzione biologica, il cui valore di verità non è al momento conosciuto. È ovvio, infatti, che le cause di ogni genuina innovazione fenotipica avvenuta nel lontano passato della Terra sono al momento sconosciute e tali rimarranno verosimilmente per sempre. Per la Sintesi Moderna l’ACE è VERA, mentre per i critici del darwinismo di tutte le denominazioni essa è FALSA.

L’ACE ha la pretesa di essere un’assunzione scientifica e come tale deve poter essere corroborata o falsificata dalle evidenze sperimentali: la stima di probabilità epistemologica di ACE sarà dunque un numero compreso tra zero e uno. È evidente che per la Sintesi Moderna esso è (circa) uguale a uno, in funzione delle evidenze finora disponibili; mentre per gli antidarwinisti è (circa) uguale a zero. Ogni dato risultato scientifico nel campo della biologia evolutiva (ma non solo: anche della biochimica, della paleontologia, della paleoantropologia, ecc.) potrà dunque essere interpretato per indicare una variazione di tale valore di probabilità, nell’intento di corroborare o di falsificare la Sintesi Moderna.

Ora, situiamo le proposizioni sull’evoluzione all’interno di qualche più vasto insieme di credenze – che potremmo definire “metafisiche” – sulla Realtà. Per semplicità, ci limiteremo a considerare gli insiemi duali teismo/a‑teismo, anche se sono possibili altre classificazioni. Qui si parla, chiaramente, di insiemi di credenze sufficientemente “rispettabili” dal punto di vista scientifico, in quanto non aventi problemi a convivere con il metodo galileiano. Osserviamo subito che l’ipotetica conoscenza di un valore attendibile di tale probabilità epistemologica non può confutare, in sé, nessuno dei due insiemi di credenze. Per esempio, il teismo – in particolare cattolico – non ha problemi ad accomodare alcun tipo di teoria evolutiva: esistono sia darwinisti sia antidarwinisti, credenti; ed è altrettanto vero che esistono sia darwinisti sia antidarwinisti, atei.

È un errore quindi, da qualunque parte, ritenere che l’indicazione di un valore di probabilità epistemologica faccia ipso facto propendere per uno di due insiemi di credenze, confutando l’altro. In altri termini, è epistemologicamente scorretto sostenere una presunta scientificità (o imparzialità) della propria interpretazione, in modo da poterla usare per confutare un insieme di credenze opposto al proprio.

 
L’Affermazione Centrale dell’Evoluzione non è né corroborabile, né falsificabile
Passiamo ora ad esaminare la questione se il darwinismo sia falsificabile sperimentalmente. Se la risposta fosse negativa, dovremmo escludere la scientificità della teoria ed ammettere solo l’esistenza della sua connotazione filosofica tra gli altri sistemi. Se la Sintesi Moderna è una teoria scientifica, si dovrebbe dire che tutto ciò che ogni data ricerca fa è di aumentare o diminuire la stima della probabilità epistemologica di ACE.

Però, le cose non vanno così, sia sul lato della corroborabilità sia su quello della falsificabilità. Per esempio, gli esperimenti di Lenski sui batteri[1] vengono tipicamente usati per corroborare la Sintesi Moderna, mentre il loro effetto epistemologico è più plausibilmente nullo; all’opposto, qualcuno si è servito degli studi che dimostrano una qualche “prevedibilità” o “ripetibilità” dei meccanismi evolutivi[2] per indicare la tendenza opposta, mentre tali ricerche mirano soltanto a evidenziare la non‑casualità di specifici eventi microevolutivi.

Vediamo un po’ più in dettaglio. Riguardo alla ricerca sui batteri di Lenski (di norma portati a sostegno della Sintesi Moderna), un antidarwinista potrà rigettare la conclusione che gli eventi genetici “random” osservati costituiscano la prova di innovazione genuina, argomentando che essi in realtà comportano perdita di informazione genetica[3]; dunque, potrà legittimamente dedurne che tale ricerca, di fatto, non corrobora efficacemente la Sintesi Moderna.

Analogamente, un darwinista potrà rigettare la conclusione che eventi microevolutivi non‑casuali confutino l’ACE, ipotizzando che i meccanismi genetici osservati siano stati selezionati in modo darwiniano nel lontano passato. Di fatto, queste operazioni di neutralizzazione epistemologica potranno essere sempre compiute: tuttavia, non sempre potranno essere ritenute epistemologicamente corrette. L’operazione di neutralizzazione fatta nel secondo caso esaminato, per esempio, risulta giustificata solo supponendo che la Sintesi Moderna sia già corroborata al di là di ogni possibile falsificazione, ovvero che essa sia la teoria dell’evoluzione definitiva. Da quanto detto, dunque, si deve ammettere che la Sintesi Moderna non si possa ritenere una teoria scientifica dell’evoluzione, almeno se con tale termine s’intende verificabile e smentibile dall’esperimento. La sua inefficacia predittiva e la sua sterilità applicativa ne sono conseguenze.

 

In conclusione, potremmo ricavare da queste considerazioni il suggerimento che, anche nell’ottica di chi continua a credere nella scientificità del darwinismo, sia necessario superare il confronto tra diatribe, e passare ad esaminare temi che in qualche modo sono stati arbitrariamente esclusi dall’unica teoria disponibile dell’evoluzione, ma che appartengono con tutta evidenza ai fatti dell’evoluzione. Temi, come il problema dell’abiogenesi e della comparsa del linguaggio simbolico nella specie Homo sapiens sapiens.[4]

 

(una versione estesa di questo articolo si può trovare nel sito di Critica Scientifica)

 

Note bibliografiche

[1] Blount Z.D., Barrick J.E., Davidson C.J., Lenski R.E., “Genomicanalysis of a key innovation in an experimental Escherichia coli population”, Nature, vol. 489, pp. 513–518 (27 September 2012);

[2] Patrick T. McGrath P.T., Xu Y., Ailion M., Garrison J.L., Butcher R.A., Bargmann C.I., “Parallel evolution of domesticated Caenorhabditis species targets pheromone receptor genes”, Nature, vol. 477, pp. 321–325 (15 September 2011);

[3] http://www.enzopennetta.it/2012/11/escherichia-coli-e-vera-evoluzione-seconda-parte/

[4] Forastiere M.A., Masiero G., “’Effetto Ramanujan’, l’esigenza di un nuovo approccio al problema dell’evoluzione umana”, Atti della Fondazione Giorgio Ronchi, Anno LXVII, n° 6, novembre-dicembre 2012, pp. 861-872

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Le lacrime della Madonna di Civitavecchia: nuovo dossier UCCR

Madonna CivitavecchiaDopo aver affrontato, anche dal punto di vista scientifico, il miracolo di San Gennaro e il miracolo eucaristico di Buenos Aires, UCCR ha voluto affrontare le lacrimazioni di sangue della Madonna di Civitavecchia.

Un presunto miracolo, in quanto la Chiesa cattolica non si è pronunciata ufficialmente né a favore né contro l’origine soprannaturale degli eventi, cominciati a Civitavecchia (località Pantano) il 2 febbraio 1995. La statuetta raffigurante la Vergine Maria, acquistata a Medjugorje un anno prima e posta in una nicchia del giardino della famiglia Gregori, ha cominciato a lacrimare sangue per 14 volte. L’ultima volta tra le mani del vescovo di Civitavecchia, mons. Girolamo Grillo, scettico e fortemente contrario a tali eventi.

Queste lacrimazioni sono avvenute davanti a numerosi testimoni oculari, compresi giornalisti de “Il Messaggero”, fotografi e agenti dei vigili urbani e della polizia di Stato intervenuti per piantonare la statuetta dal giorno dopo la prima manifestazione ematica (dal secondo giorno chiusa in una teca di vetro).

Le analisi scientifiche hanno escluso ogni ipotesi di dolo, cioè ogni tipo di trucco o marchingegno applicato dentro o fuori la statuetta. I numerosi testimoni di grande attendibilità hanno smentito e allontanato ogni sospetto di azione esterna tramite siringhe o contagocce e la Procura della Repubblica ha archiviato l’ipotesi di reato di frode e abuso della credulità popolare, nel 2000, concludendo che il fenomeno è dovuto ad un fatto di suggestione collettiva o ad un fatto soprannaturale, ed in questo caso spetta all’autorità ecclesiastica pronunciarsi se il fenomeno in questione debba essere meno qualificato miracolo. Eppure, abbiamo notato nel nostro dossier, una volta che la magistratura ha studiato il sangue lacrimato ed escluso l’ipotesi del dolo, come è possibile parlare di suggestione collettiva? Il sangue prelevato dalla statuetta è stato studiato dai tecnici della stessa Procura!

Il fenomeno non è riducibile solo alle lacrimazioni di sangue, ma è continuato anche sulla nuova statuetta usata per sostituire quella originale prelevata dalla Procura. Anch’essa acquistata a Medjugorje, ha iniziato ad essudare del liquido oleoso che le indagini scientifiche hanno rivelato essere un’essenza di natura vegetale contenente molti profumi, ma anche parti organiche sconosciute alla scienza che non si è potuto classificare. Il fenomeno è stato ripreso dalle telecamere di numerose trasmissioni televisive. Sempre su questa “nuova” statuetta si sono manifestate delle lacrime acquose nella settimana di morte di Giovanni Paolo II e nel primo anniversario di morte e anche tale fenomeno è stato ripreso da una telecamera.

Jessica Gregori, la figlia, sostiene anche di aver ricevuto e di ricevere delle apparizioni della Vergine Maria e alcuni messaggi a lei consegnati sarebbero legati al terzo segreto di Fatima. A tale proposito, nel 1996 ha incontrato Suor Lucia, la veggente di Fatima, con la quale ha confrontato il contenuto del messaggio stesso e nel 2005 ha scritto a Giovanni Paolo II, ricevendo risposta. Lo stesso Wojtyla ha chiesto a mons. Grillo di portargli in Vaticano la statuetta nel 1995, la quale è stata da lui venerata riconoscendo dunque in modo privato l’autenticità dei fatti.

Nel dossier, che sarà continuamente aggiornato, abbiamo descritto minuziosamente i fatti, le analisi scientifiche, i risultati della Commissione teologica e della Magistratura italiana, abbiamo risposto alle più citate obiezioni. Il tutto accompagnato da video con interviste originali.

 

Il dossier sulla Madonna di Civitavecchia

 

La redazione

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Una storia triste….anzi no

Ospedale 
 
di Stefano Bruni*
*pediatra
 
 

A due anni e due mesi di vita un bimbo dovrebbe ricordare l’immagine di Gesù bambino che l’iconografia tradizionale ci offre: allegro e spensierato, con la sua mamma e il suo papà. E invece guardando il corpo martoriato di Lucia viene da pensare a Gesù crocifisso.

Una flebo infonde farmaci al suo corpicino collegata ad una vena di un piedino. Il resto del corpo è cosparso di petecchie e di ematomi. La cute è pallidissima per effetto della grave anemia che la affligge. Gli occhietti, appena visibili tra i cerotti che le attaccano al viso una mascherina per l’ossigeno, non sono i suoi soliti occhietti vispi e pieni della gioia di vivere: sono spenti, malinconici, impauriti. Già, impauriti. Chiunque entri nella sua cameretta, nel reparto di onco-ematologia dell’Ospedale in cui è ricoverata, Lucia lo guarda con terrore; lo sguardo corre dall’intruso alla mamma che le è accanto, in cerca di protezione; e poi torna all’intruso e si vela di qualche lacrima; e poi ancora alla mamma. Ma le forze sono scarse e Lucia non riesce ad attaccarsi alla mamma.

Quegli intrusi sono lì per curarla; sono medici ed infermieri, vestiti di bianco, di verde, qualcuno persino con dei fiori disegnati sul camice. Sono gentili; dietro le mascherine, che indossano per non trasmetterle malattie che ne aggraverebbero le condizioni, sorridono a Lucia che però è troppo piccola e spaventata per riuscire ad intuirlo solo dai loro occhi. Vallo tu a spiegare ad una bimba di due anni e due mesi che quelle siringhe piantate nelle pieghe dei gomiti e sulle mani e i piedi (come i chiodi che hanno attaccato Gesù alla croce), quei lacci che prima della puntura della carne la stringono, provocando vistosi ematomi (come il flagello con cui è stato frustato Gesù) a causa del bassissimo numero di piastrine che le sono rimaste, quella mascherina (che mi ricorda tanto la corona di spine imposta a Gesù) che le rende difficile persino piangere sono strumenti non di tortura ma di cura? A Lucia hanno appena diagnosticato una leucemia acuta. A due anni e due mesi. Come può una bimba di due anni e due mesi affrontare una prova di questa gravità? Eppure non è la prima volta che Lucia deve affrontare una ospedalizzazione per una malattia importante.

Ricordo quando il papà e la mamma me la portarono la prima volta in ambulatorio. Avevano l’impressione che la bimba respirasse male. Ed avevano ragione. Lucia, quando l’ho visitata, era fortemente dispnoica, cioè aveva difficoltà a respirare; conseguentemente il suo sangue si ossigenava con difficoltà e il saturimetro, uno strumento che serve a misurare lo stato di ossigenazione del sangue, mostrava valori preoccupanti. Quando posso cerco di gestire senza ricoverare i bimbi ammalati. Ma in questo caso ho dovuto inviare immediatamente in Ospedale Lucia. Aveva poco meno di due mesi, allora, e una bronchiolite, una grave infezione causata da un virus particolarmente pericoloso nel lattante, il Virus Respiratorio Sinciziale. Per fortuna Lucia, quella volta, dopo qualche giorno di Ospedale e le cure del caso ha iniziato a migliorare ed è guarita ed ha potuto tornare a casa. L’ho visitata successivamente diverse volte, per episodi infettivi banali e anche semplicemente per valutarne la crescita. Sempre sorridente, mai impaurita dalla visita; quando è stata in grado di farlo, ricordo che, seduta sul lettino, prendeva il martelletto e imitava i miei gesti nel tentativo di evocare i riflessi rotulei, poi si metteva il fonendoscopio intorno al collo come fosse una collana e imitava un’ascoltazione del torace sorridendo. Una bimba normale, dolcissima, con i suoi ricci castani ed i suoi occhi scuri, profondi. Le guanciotte rosse, così lontane dal colorito pallido di questi giorni.

Per qualche mese non ho visto la bimba. La mamma mi ha poi detto che andava tutto bene. Si era anche adattata molto bene all’asilo nido e, a parte qualche raffreddore e un paio di faringiti, tutto sembrava andare nel migliore dei modi. Poi, una settimana fa (ndr: sette giorni prima che io abbia sentito il bisogno di raccontare la sua storia), una febbre che persiste da qualche giorno, una tosse che alla mamma “non piace”, la visita dalla pediatra di famiglia che nota qualche petecchia sulle gambe e sotto le palpebre e consiglia un ricovero per accertamenti. Poche ore e molti prelievi ed esami strumentali dopo il ricovero, mentre Lucia appare sempre più prostrata, la terribile diagnosi: leucemia acuta. Non un segno premonitore, nulla che facesse pensare a questo “tsunami”, devastante per la famiglia di Lucia. La mamma mi chiama al telefono e piangendo mi racconta cos’è successo. La sua piccola Lucia ha la leucemia. Non ho parole: la mia piccola Lucia (i bimbi che seguo in ambulatorio li sento un po’ anche miei, non me ne vogliano i loro genitori) ha la leucemia. Ha solo due anni e due mesi, com’è possibile? Eppure lo so che è possibile: ne ho visti tanti di bimbi piccolini con malattie altrettanto gravi. Ma non riesco a farci l’abitudine. Proprio non ci riesco.

Il primo impulso è di andarla a trovare in Ospedale, abbracciare il papà e la mamma per far loro sentire, per quello che può contare in momenti come questo (ma credo che possa contare qualcosa), che se lo vogliono possiamo fare insieme questo pezzo di strada, dolorosa, in salita ma con una meta che oggi, a differenza di qualche anno fa, è certamente alla portata di Lucia: la guarigione. E così, lasciandomi guidare dal cuore, vado. Lucia è sul suo lettino, con il suo orsetto accanto ed il lenzuolino, la sua copertina di Linus, saldamente stretta in mano. È pallidissima; sulle braccia e sulle gambe vistosi ematomi indicano i tentativi di cannulare le sue piccole vene per prelevare il sangue per gli esami ed infonderle le prime terapie. Sul lettino, dei pennarelli ed un libricino da colorare, tentativo di distrarla e farle passare qualche momento da bambina, a fare qualcosa da bambino, a pensare che la vita è colorata anche nel grigio e nella penombra di quella stanza. Unica altra nota di colore, il rosso luminoso del sensore del saturimetro avvolto intorno ad un ditino del piede. Ci scherziamo sopra con Lucia; che si tocca il piedino, ma non riesce a sorridere.

Le hanno prelevato anche un campione di midollo osseo: la diagnosi è certa, le prospettive quelle di un trattamento lungo e faticoso, di una guarigione possibile, e di anni, lunghi anni di controlli e di ansia per la mamma, il papà, i nonni. Nella mia carriera di medico ho visto tanti bambini, di tutte le età, soffrire. È una cosa cui non ho voluto abituarmi, cui non ci si può abituare. Nei reparti di terapia intensiva neonatale, nelle stanze del Pronto Soccorso, nella medicheria dell’onco-ematologia pediatrica dell’Ospedale in cui ho lavorato (dove ho fatto la mia prima guardia di 12 ore, in un giorno di Pasqua che ricorderò per tutta la vita) o negli ambulatori dove ho visitato bambini con gravi e rare malattie genetiche, ho conosciuto la disperazione di tante mamme e di tanti papà, ho toccato con mano la loro sofferenza insieme a quella dei loro figli. E mi sono domandato tante volte perché Dio permetta questa sofferenza, tanto più in coloro, i bambini, che rappresentano l’innocenza, che sono i più indifesi. Ma ho visto anche tanta luce, tanta speranza, tanta forza e tanta fede.

Ho visto l’angoscia dell’oggi ma anche la speranza nel domani. Ho visto una mamma (una come tante) gioire insieme ad un medico per un emocromo con qualche migliaio di piastrine in più e un papà (uno come tanti) fermarsi e dedicare finalmente qualche ora in più al suo bambino rimproverandosi per non averlo fatto prima. Mi è capitato di piangere insieme a chi piangeva e di sorridere con chi aveva motivo di speranza. Ho sentito tante persone gridare, come Gesù sulla croce (non vi sembri blasfemo questo paragone: Gesù non era forse un uomo come noi, anche se Dio? e noi non siamo forse fatti ad immagine e somiglianza di Dio stesso?) “Dio mio, Dio mio: perché mi hai abbandonato?”. Ma ho visto nei gesti concreti di tante persone la realizzazione di quell’affidamento a Dio sintetizzato nelle parole “sia fatta la tua volontà”. Ho sentito genitori urlare silenziosamente “basta!”, di fronte alle sofferenze dei loro bambini. Ma un attimo dopo li ho visti ricominciare a lottare insieme ai medici accanto ai figli, circondati dall’amore della famiglia. Amore che può fare tantissimo, perché quando si è soli a lottare si può pensare di non farcela, ma insieme è tutta un’altra cosa. Con l’aiuto e l’amore degli altri questa paura svanisce e le persone trovano un vigore ed un coraggio che non sapevano di avere, una speranza nuova. Alla faccia di chi vorrebbe chiudere la pratica con una molto più economica e asettica “eutanasia”.

Lucia è ancora seduta sul suo lettino. È appoggiata ai due cuscini che la sostengono, debole com’è. Penso che non dovrebbe esserle capitato ciò che le è capitato: è così piccola… Ma chi sono io per dire se sia giusto o no ciò che le è capitato? Di una cosa sono certo, però: non è Dio che ha voluto questa sofferenza per lei. Dio è il contrario del male. E anche di un’altra cosa ho la certezza assoluta, perché l’ho visto centinaia di volte: Dio si mette accanto a chi soffre, si offre di fare questo pezzo doloroso e difficile di strada insieme. Lo fa “in incognito”, servendosi dei medici, dei propri cari, degli amici, anche di estranei che ci accorgiamo ad un certo punto di avere accanto. Ma lo fa anche in prima persona, direttamente e intimamente nel cuore di chi lo accoglie, cui grida (mi sembra di sentire la sua voce): “Vedi, io ero sulla croce prima di te, conosco le tue sofferenze; ma ora sono qui, davanti a questo sepolcro vuoto, perché ho vinto la morte. Dammi la tua mano: portiamo insieme la tua croce.”

La mamma di Lucia, quando la saluto, ha gli occhi lucidi ma non ha più lacrime. Le ha già piante tutte. Trova la forza per abbozzare un sorriso. Ma non sembra un sorriso di circostanza: entrambi sappiamo che non c’è motivo, in questa situazione, di aspettarci un sorriso di circostanza, né da lei né da me. È dunque un sorriso sincero, una richiesta di vicinanza, un dialogo aperto. Lucia mi segue con lo sguardo mentre esco dalla stanza. Non dice nulla. Non sorride, come invece faceva quando la visitavo nel mio ambulatorio. Ma nel suo sguardo, almeno in questo momento non c’è più la paura che vi ho letto all’inizio della mia visita. Nell’atrio incontro il papà e la nonna di Lucia che sono rimasti fuori per permettermi di stare qualche minuto nella stanzetta insieme a Lucia: mi rendo conto che ho portato loro via dei minuti preziosi che avrebbero voluto passare insieme alla loro bimba. Chiedo scusa. E loro invece mi ringraziano e mi fanno sentire davvero parte della loro famiglia. Il papà vuole accompagnarmi fin fuori dall’Ospedale. Non ha molte parole da dire. Rispetto al dolore, grandissimo, certamente, in questo momento prevalgono l’incredulità e la paura. Siamo d’accordo che mi aggiorneranno per telefono sulle condizioni di Lucia e che io ogni tanto tornerò a trovarla.

Le mie conoscenze scientifiche mi dicono che la percentuale di sopravvivenza libera da malattia per le patologie del tipo che ha colpito Lucia è piuttosto alta. La mia esperienza umana di medico mi dice che per quanto alta possa essere questa percentuale si tratta comunque di un semplice numero che ha un valore molto relativo per una famiglia al cui bimbo è stata appena posta una diagnosi tanto brutta. Il mio cuore mi urla che mentre i colleghi che hanno in cura Lucia si prodigheranno per trasformare quella probabilità in una certezza io, insieme a tutti coloro che vogliono bene a Lucia possiamo fare qualcosa di tanto piccolo e semplice quanto grande ed importante: possiamo stare vicino a lei, alla sua mamma e al suo papà, camminare al loro fianco, riflettere l’amore e la vicinanza di Gesù a questa famiglia.

È una storia triste questa? Certo, umanamente non la si può definire in altro modo. Ma forse anche no. Perché dove c’è la sofferenza c’è spazio per la solidarietà umana, per la compassione, quella vera, quel patire insieme che significa distribuirsi un po’ il peso della sofferenza, fisica, psicologica, morale. Ma soprattutto nella sofferenza c’è Dio, che non la vorrebbe certamente per noi , suoi figli, come nessun papà e nessuna mamma vuole la sofferenza per i propri figli, ma che si serve anche della solidarietà umana per accendere la luce della speranza. Il papà di Lucia mi saluta. Ci stringiamo la mano. È una stretta forte, sincera. Come il sorriso che mi fa.

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El Salvador: Beatriz sta bene, l’aborto non è mai necessario

EL SALVADOR-ILL WOMAN-ABORTIONAnche in El Salvador gli abortisti non ce l’hanno fatta. Saranno dispiaciuti, ma Beatriz, la donna malata di lupus e incinta di una bambina malformata al centro di una polemica internazionale, ha partorito grazie ad un parto cesareo e sta benissimo. La bambina, purtroppo, non ce l’ha fatta ed è morta dopo poche ore.

Le associazioni promotrici dell’aborto, come “Amnesty International”, hanno voluto sfruttare questo caso drammatico per introdurre una legislazione favorevole all’interruzione di gravidanza in El Salvador, dove l’aborto è completamente vietato. Aiutate dai quotidiani internazionali hanno pressato per giorni l’opinione pubblica sostenendo che il divieto di aborto avrebbe condotto alla morte la donna. Per farlo hanno dovuto raccontare un’infinità di bugie, come è stato opportunamente documentato.

A rovinare il piano degli abortisti è stata la Corte Suprema, che ha respinto la richiesta della donna di procedere con l’interruzione di gravidanza con la motivazione chiara, rispettosa e logica che «il diritto di scelta non può prevalere sul diritto alla vita». E sopratutto, «non esiste una ragione medica per interrompere la gravidanza» ha stabilito l’Istituto di Medicina Legale di San Salvador. “Amnesty” si è battuta dicendo di voler «salvare la vita della donna», ma il lupus di Beatriz è stato tenuto «sotto controllo» e la gravidanza, pertanto, non avrebbe implicato «un imminente rischio di vita per la donna». E così è stato, Beatriz ha partorito e sta bene, anche se purtroppo la sua bimba è morta poco dopo essenda anencefalo.

A rispondere alle menzogne femministe e di “Amnesty International”, fabbricate appositamente per usare il “caso Beatriz” come grimaldello per l’aborto legale, si sono levate numerose persone. Una di queste è Natalia López Moratalla, presidente de la “Asociación Española de Bioética”, la quale ha studiato il caso spiegando: «il caso non è il dramma che dicono». Gador Joya, portavoce di “Derecho a Vivir” (DAV), ha spiegato che «il fatto che Beatriz ha dato la vita ed è ancora in vita dimostra che non era vero che l’unico modo per salvare la sua vita era l’aborto. Beatriz non ha sottoposto sua figlia alla cruenta e violenta iniezione salina che le avrebbe bruciato il corpo, ed ha anche evitato i rischi che l’interruzione di gravidanza comporta sempre alla salute della madre. Beatriz non ha aggiunto al dolore per la morte di un figlio la lacerazione personale che rappresenta il trauma dell’aborto».

Una vera figuraccia internazionale per la lobby abortista ed infatti, ora che la donna sta bene, nessuno osa più parlarne dopo l’asfissiante campagna mediatica, come è stato osservato. «Questa bimba», ha detto Julia Regina de Cardenal, presidente della “Fondazione Sì alla vita El Salvador”, «in così poco tempo, è venuta al mondo con una missione più grande di quella di molti di noi, perché con la sua breve vita ha salvato chissà quante vite di bambini e delle loro madri, dimostrato che non è medicalmente necessarie l’aborto per salvare la vita della madre». L’aborto oggi non è più necessario per salvare la vita della madre, anzi mette a rischio la sua salute fisica e psicologica. Nei Paesi in cui esso è vietato (o fortemente limitato), come Cile, Irlanda e Polonia, la salute materna segnala ottimi tassi al contrario dei Paesi in cui l’aborto è legalizzato come la Gran Bretagna o l’America.

L’aborto è sempre stato regolamentato attraverso la menzogna, anche in Italia. Lo ha spiegato Paola Bonzi, responsabile del Centro Aiuto alla Vita della Clinica Mangiagalli di Milano: «la Legge 194 è del 22 maggio 1978, e all’epoca fu condotta una pratica quasi terroristica sulle donne che morivano a causa di gravidanze o di malformazioni. Le statistiche presentate allora su questi casi indicavano numeri spropositati, ben lontani dalla realtà. In questo modo si è aperta la strada per l’emanazione della legge sull’aborto».

La redazione

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La nuova dittatura dei diritti civili, la nuova religione laica

Stefano Rodotà 
 
di Marcello Veneziani*
*scrittore, filosofo e giornalista

 
da Il Giornale, 27/05/13

Il suicidio di Dominique Venner a Parigi ha compiuto una duplice dissacrazione: ha dissacrato la Chiesa perché spararsi un colpo di pistola in Notre-Dame significa profanare un luogo sacro e una fede che condanna senz’appello il suicidio.

Ma il gesto ha dissacrato anche la nuova religione civile del nostro tempo che si sostituisce alla religione cristiana. I suoi punti fermi oltre le nozze gay e la relativa adozione, si concentrano su una serie di anatemi contro il razzismo, il sessismo, l’omofobia, l’accanimento alla vita. I campi di applicazione si estendono ai temi bioetici, all’aborto e all’eutanasia, alle coppie di fatto e alla procreazione assistita, ai transgender e all’uso di stupefacenti, alle scuole private e all’immigrazione, con i suoi effetti collaterali.

È sorto in Occidente un vero e proprio catechismo laico su questi «valori» che passa dall’America di Obama alla Francia di Hollande, ha precedenti nella Spagna di Zapatero, in Olanda e nei Paesi scandinavi dove il socialismo statalista conviveva con un libertarismo radicale. In Italia questa nuova religione civile ha sostituito il comunismo, a volte integrandosi col pacifismo e l’ecologia. La sconfitta delle culture socialiste rispetto al capitalismo e al mercato le ha portate a ripiegare sui diritti civili e sulla religione bioetica, come alibi consolatorio del fallimento sul piano della giustizia sociale. Il socialismo ha ceduto il posto al radicalismo.

Questa religione etica ha oggi una testimonial istituzionale, la presidente della Camera Laura Boldrini, autentica vestale a guardia del fuoco sacro. Chiunque metta in discussione questi principi inviolabili viene accusato dal nuovo clero laico di cadere in uno dei nuovi peccati mortali – omofobia, sessismo, razzismo, fascismo, accanimento alla vita – e viene perciò scomunicato, considerato blasfemo, peccatore e condannato alla pubblica gogna del disprezzo mediatico, fino a perseguire i trasgressori a norma di legge. La Nuova Inquisizione punisce i reati d’opinione, sancisce il moralismo giudiziario da intercettazioni e invoca norme che prevedano l’ineleggibilità per violazione dei sullodati precetti.

Questa religione etica si traduce anche in chiave politica dando luogo al famoso canone del politically correct che provvede come il Sant’Uffizio a squalificare l’avversario. La religione bioetica esercita un disprezzo antropologico verso chi si pone in difesa dei valori della famiglia, della tradizione, della natura e della vita. Anni fa parlai di razzismo etico, una forma inedita di razzismo rispetto a quello «etnico», tristemente noto nel passato. Il razzismo etico è fondato sulla pretesa superiorità di una razza di illuminati rispetto ai retrogradi, oscurantisti nemici della religione bioetica. Una razza che decide quali sono i valori ammissibili e quelli inammissibili. Al razzismo etico (e al mio libro “Comunitari e liberal”) si è riferito di recente Luca Ricolfi nel suo pamphlet bipartisan “La Sfida. Come destra e sinistra possono governare in Italia” (Feltrinelli, pp.78, euro 6).

Al razzismo etico oggi non manca una precettistica moralista e una teoria dei diritti umani e individuali. Riassume queste due posizioni una coppia di recenti pamphlet di Stefano Rodotà, “Elogio del Moralismo” e “Il diritto di avere diritti”, entrambi editi da Laterza. Sin dai titoli, Rodotà esprime con chiarezza il perimetro etico di questa nuova religione. Non a caso Rodotà è diventato, dopo la sua candidatura grillina al Quirinale, l’ayatollah laico di questi nuovi pasdaran della rivoluzione mancata. Vi confluiscono in questo universo tutte le sinistre insoddisfatte, i girotondini e il popolo viola, Giustizia e libertà, i nuovi movimenti, Sel, frange del Pd e di 5 Stelle, molti quotidiani e riviste storiche di sinistra, i residui giustizialisti di Ingroia e Di Pietro e qualche esponente cattomoralista. È curioso pensare che la biografia collettiva di questo movimento trae origine dal ’68 e contempla ai suoi esordi la lotta contro il bigottismo morale e religioso. Ma dopo avere demolito ogni senso morale comune, ha poi edificato un nuovo moralismo con risvolti giudiziari. A fronte di questo rigorismo puritano esercitato contro gli avversari, vi è invece la rivendicazione di un libertarismo giuridico individuale assoluto, che ben si compendia nella formula «il diritto di avere diritti». I doveri non sono presi in considerazione se non nella sfera del moralismo e della precettistica verso terzi. Ovvero: la vita è mia e me la gestisco io, ma la vita tua fa schifo assai. Permissivi in generale, però moralisti su certi temi e in alcuni casi.

Questa è oggi l’unica religione civile che serpeggia in Occidente e in Italia. Dall’altra parte, troppo pallida o naïve appare la risposta opposta. Nel versante moderato e conservatore si assiste a una frattura tra i Pragmatici, che tendono a cedere sul terreno culturale e legislativo alle richieste della nuova religione etica – si pensi ai conservatori britannici, ma è solo l’ultimo esempio – e i Cocciuti, una compatta ma perdente minoranza che protesta, si agita ma è inadeguata a sostenere le sfide culturali. Alla nuova religione civile fondata sul razzismo etico, non si può rispondere col piagnisteo reazionario e con la pura invettiva, chiudendosi nella ripetizione del passato e nei superstiti fortini. Messi fuori gioco i reazionari, il paesaggio civile appare così dominato da un’avvilente alternativa: da una parte il nuovo clero dei moralisti con la loro religione etica dei diritti civili, e dall’altra parte i cinici del nichilismo che agitano solo questioni pratiche o economiche e rifiutano di affrontare principi e temi di fondo, lasciando questo terreno al nuovo clero bioetico. Tutto questo viene dissimulato sotto la coperta liberale.

Si tratta invece di vera e propria diserzione sul piano dei principi, di ignavia sul piano dei pensieri e di opportunismo sul piano dei comportamenti. Manca una risposta efficace e credibile che ripensi in modo intelligente i principi della tradizione, il rapporto tra natura e cultura, tra sfera personale e comunitaria, tra diritti e doveri, tra libertà e autorità. Non rifugiatevi dietro il comodo alibi, noi siamo liberali, scaricando tutto a livello di scelte private e individuali. Non rispondete al moralismo col cinismo, al bigottismo col nichilismo pratico. Sfidate a viso aperto il razzismo etico e il suo clero presuntuoso. Abbiate il coraggio di esprimere una visione della vita.

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Perché Vito Mancuso si inventa un Gesù relativista?

Vito MancusoIl teologo sedicente cattolico Vito Mancuso, rifiutato come collega dai principali teologi italiani (tra cui suoi maestri), ha necessariamente bisogno di sostenere il relativismo per promuovere il dubbio nei credenti -suo sport preferito- e una chiesa-fai-da-te.

Non c’è nulla di giusto e sbagliato, non c’è nessun peccato da commettere o da cui essere assolti e la Chiesa non deve più indicare quali comportamenti sono contrari all’etica cristiana e al diritto naturale. Questa è in sintesi la banale filosofia di Mancuso e del suo compare Hans Küng. Come spiegavamo, è un atteggiamento nato in alcuni teologi poco convinti come conseguenza della paura verso la modernità: si scende a compromessi con la società secolarizzata per non apparire “indietro” agli occhi dell’uomo moderno. Poco importa degli occhi di Dio.

Mancuso ha approfittato della nota frase di Papa Francesco, “chi sono io per giudicare?” -pronunciata nell’incontro con i giornalisti sull’aereo che lo riportava in Vaticano dopo la GMG 2013-, per spiegare che la Chiesa, se vuole tornare vicina a Gesù, non deve «né giudicare e né condannare». Privata del giudizio su ciò che è bene e ciò che è male, la Chiesa -sostiene ancora Mancuso- dovrebbe ignorare il peccato e  accogliere l’approvazione per l’omosessualità, la comunione ai divorziati e ordinare le donne come sacerdoti. Ogni occasione è buona, insomma, per ribadire le sue piccole ossessioni clericali!

Il teologo dissidente giudica e condanna la Chiesa invitandola a non giudicare e non condannare. Nel fare ciò non si fa scrupolo di descrivere Gesù come un relativista, strumentalizzando questa sua frase: “Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati, perdonate e sarete perdonati” (Luca 6,37). La Chiesa dovrebbe essere relativista come Gesù, sembra dirci Mancuso, cancellare i 10 comandamenti e tutti i suoi insegnamenti lasciando il cristiano in balia della sua interpretazione del Vangelo. E’ una posizione da teologo protestante o gnostico, totalmente coerente con quello che è e viene considerato nei fatti Mancuso.

Peccato che Gesù abbia semplicemente invitato l’uomo a non essere ipocrita, cioè a non giudicare il peccato senza prima aver tolto la trave dal suo occhio. «Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutt’e due in una buca?» (Luca 6,39). Gesù desidera che i ciechi siano aiutati a trovare la strada e denuncia le guide incapaci. Lui stesso, invece, venuto non a «chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mt 19:12-13), ha giudicato e condannato il peccato (un esempio il lungo brano di condanna degli scribi e dei farisei in Mt 23), offrendo se stesso come via per riemergere da esso. Lo stesso è il compito del successore di Pietro, non rinunciare al giudizio portando l’uomo all’indifferenza e alla passività ma indicare la strada giusta e quella sbagliata, per il bene dell’uomo.

Papa Francesco nel suo messaggio del 6 agosto per la Giornata Missionaria Mondiale, è stato chiaro: «si pensa […] che portare la verità del Vangelo sia fare violenza alla libertà». Ed invece, «dobbiamo avere sempre il coraggio e la gioia di proporre, con rispetto, l’incontro con Cristo, di farci portatori del suo Vangelo. Gesù è venuto in mezzo a noi per indicare la via della salvezza, ed ha affidato anche a noi la missione di farla conoscere a tutti, fino ai confini della terra. Spesso vediamo che sono la violenza, la menzogna, l’errore ad essere messi in risalto e proposti. E’ urgente far risplendere nel nostro tempo la vita buona del Vangelo con l’annuncio e la testimonianza, e questo dall’interno stesso della Chiesa. Perché, in questa prospettiva, è importante non dimenticare mai un principio fondamentale per ogni evangelizzatore: non si può annunciare Cristo senza la Chiesa. Evangelizzare non è mai un atto isolato, individuale, privato, ma sempre ecclesiale».

Per “indicare la via della salvezza” occorre escludere altre vie che alla salvezza non portano, dunque bisogna giudicare e discernere, cioè distinguere tra il vero e il falso, tra il bene e il male. Mancuso la smetta di giudicare e condannare la Chiesa dall’alto della “sua” via, il Pontefice non ha certo bisogno dei suoi anatemi.

La redazione

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