Eutanasia, se il lobbying per la legalizzazione è un flop

La pratica della ‘dolce morte’ sembra avere più di qualche problema ad imporsi nel panorama giudirico-culturale, almeno per quanto riguarda il Nord America. Nonostante infatti, tutti gli sforzi dei paladini del cosiddetto ‘diritto a morire’, negli Stati Uniti dopo settant’anni di campagne ed attività lobbistiche, due stati (su cinquanta) hanno introdotto il suicidio assistito nella propria legislazione. Non va molto meglio in Canada, dove, da un recente sondaggio della Canadian Medical Association (Cma), emerge come solo una esigua percentuale di medici sarebbe disposto a praticare l’eutanasia.

Nella fattispecie, in terra canadese, riporta LifeSiteNews.com, in seguito al controverso caso Carter che ha riaperto il dibattito sul fine-vita, un sondaggio del Cma su più di 2000 medici, ha fatto emergere come solo il 16% dei dottori canadesi sarebbe disposto a praticare la dolce morte, se fosse legalizzata. Dati che trovano conferma nei risultati di una ricerca analoga della Canadian Society of Palliative Care Physicians (Cspcp), in cui l’88 e l’80% si sono dichiarati contrari alla legalizzazione, rispettivamente, dell’eutanasia e del suicidio assistito, mentre il 90% ha dichiarato non praticherebbe il primo e l’80% il secondo.

Alla riluttanza dei dottori canadesi potrebbe aver contribuito anche i risultati della recente ricerca portata avanti alla Western University nell’Ontario, dove con l’ausilio di una particolare risonanza magnetica, come riporta il Corriere della Sera, alcuni pazienti in stato vegetativo sono riusciti a comunicare con i ricercatori. Evento che si è andato ad aggiungere alla vasta letteratura scientifica sullo stato di coscienza durante il coma e che più che una novità rappresenta una conferma. Infatti, appena qualche mese prima, nella stessa università, un altro paziente in stato vegetativo da 12 anni, «sarebbe stato in grado di rispondere ad alcune domande […], segnalando di non provare dolore fisico», riporta sempre il Corsera.

Certamente, a concorrere al flop del lobbying pro-eutanasia negli Stati Uniti e in Canada è anche la recente risoluzione dell’Associazione Medica Mondiale (Wma), che conferma quanto già riaffermato dalla stessa in numerose altre occasioni in passato, ovvero la «non-eticità» di tale pratica, che necessita dunque di una «condanna dalla professione medica». Senza grossi giri di parole, la Wma inoltre incoraggia fortemente i medici, essendo l’eutanasia in contrasto con i «principi etici di base» della medicina, ad «astenersi dal partecipare», anche se questa fosse permessa dalla legge o «decriminalizzata a certe condizioni».

La cosa in realtà non riguarda solo il l’America del Nord. Segnali positivi vengono anche da Londra, dove la magistratura britannica si è espressa, di nuovo, negativamente contro il suicidio assistito. Paul Lamb, paralizzato in seguito ad un incidente, aveva infatti riproposto all’Alta Corte, la stessa istanza presentata da Tony Nicklinson, affetto dalla sindrome Locked-in, ricevendo la stessa, unanime, sentenza negativa. La corte ha spiegato che l’eutanasia «solleva questioni profondamente sensibili circa la natura della nostra società», su cui, eventualmente, la competenza è del Parlamento.

Nicola Z.

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L’Enciclica è contestata da Vito Mancuso? Ok, allora è valida

Non avete ancora letto l’Enciclica di Papa Francesco ma, casomai vi venisse un dubbio, volete subito sapere se ha un contenuto illuminante e pienamente cristiano? C’è un trucco. Basta osservare come reagisce il teologo (gnostico) Vito Mancuso: se si agita e condanna il testo, allora la risposta è affermativa.

La Lumen Fidei è stata scritta a quattro mani da Papa Bergoglio e Benedetto XVI, per gli occhi più attenti si può anche capire cosa ha scritto l’uno e cosa ha scritto l’altro, in perfetta continuità. Ma a Vito Mancuso interessa il gossip, preferisce concentrarsi su chi indossa la croce d’oro e quella d’argento, sull’appartamento pontifico e il residence di Santa Marta, sulla Papamobile scoperchiata e quella più protetta.

Nel suo articolo l’editorialista di “Repubblica” si scandalizza perché l’Enciclica «riproduce con andamento lineare e senza particolari novità la tradizione della dottrina cristiana» e pone domande che dimostrano come si possa essere teologi e aver capito poco della fede cristiana: «chi non ha la fede non ha quindi ricevuto questo dono divino?», si chiede. Proprio lui dovrebbe dare la risposta, dovrebbe sapere che quando la Chiesa parla di “dono della fede” intende dire che segue la logica del “dono” e non dell’imposizione, la fede non è imposta da Dio e non è un oggetto, ma una relazione di vita con Qualcuno: non la si può “avere” a prescindere dalla libertà e dalla volontà di entrambe le persone coinvolte (io e Dio). Dio continua a donarsi a tutti gli uomini, ma solo coloro che aprono cuore e ragione possono incontrarLo. Ed infatti, come scrive Mancuso stesso senza capirlo, «la Lumen fidei sottolinea continuamente che c’è una “chiamata” da parte di Dio, cui deve corrispondere un “ascolto” da parte dell’uomo». Mancuso, conclude la sua “contro-Enciclica” ammonendo sul fatto che «l’enciclica, insistendo così tanto sulla luce della fede e sulla sua capacità di spiegazione, finisce per ignorare abbastanza clamorosamente che l’esperienza spirituale cristiana si conclude non con la luce ma con le tenebre».

Lasciando da parte le tenebre della ragione in cui è avvolto Mancuso, è interessante leggere invece quanto scrive il teologo Enzo Bianchi (che ritiene che «le risoluzioni che propone Mancuso si collocano nello spazio della gnosi») a proposito della “Lumen fidei”: «la fede non è lo spazio vietato alla ragione, non è un salto nel vuoto, non è un sentimento cieco e neppure un fatto soggettivo, una concezione individualistica. È vero che essa è sempre un dono, e di conseguenza un atto personale, ma è capace di rischiarare il cammino di ogni essere umano, di far comprendere la storia dell’uomo e dell’universo, di dare un senso al duro mestiere di vivere toccato in sorte all’uomo».

Anche Mario Tronti, filosofo laico marxista, ha commentato l’Enciclica: «un politico pensante sarebbe bene che dedicasse qualche ora del suo tempo ad attraversare questa sapienza mondana che viene da un altro mondo. C’è molto da imparare». Da laico scrive: «Lumen fidei ci interroga. Credere non è il contrario di cercare, è la sua vera condizione. Bisogna sapere che cosa si cerca. La critica al relativismo viene presa da un’altra parte, da una orizzonte di fede, il solo in grado di dare luce. Chi crede, vede. E il vedere credendo è un cammino, una via, anzi un viaggio. Ecco però il punto essenziale: non in solitudine, ma in comunità. È impossibile credere da soli. E chi crede non è mai solo. Chi crede da solo si illude, e rimane vittima delle illusioni del mondo. Di qui, il bellissimo concetto di “esistenza credente”. Io credo questo, oggi, l’unica figura di esistenza veramente libera. Perché il credere a niente porta al credere a tutto».

Il filosofo Giacomo Samek Lodovici ha trattenuto questo: «fede e ragione non sono due facoltà umane distinte: esiste un’unica ragione, che talvolta conosce da sola, talvolta invece conosce af-fidandosi ad altri, configurandosi come “ragione credente”». Interessanti anche i commenti di Maria Bettetini, docente di Filosofia allo Iulm di Milano e del teologo mons. Piero Coda. E’ intervenuto perfino lo scienziato Piero Benvenuti, docente di astrofisica all’Università di Padova, accennando alla grande apertura alla scienza che si legge in alcuni passaggi del testo.

Un’Enciclica che ha colpito tutti (200mila copie in un mese!), semplici fedeli e non credenti, intellettuali, teologi, filosofi e scienziati. Tutti tranne Vito Mancuso, rimasto con le sue domande retoriche e il suo affanno a prescindere “antipapista”. La fede è un dono ma l’uomo dev’essere disposto ad aprire cuore, mente e ragione e solo allora potrà intercettare lo sguardo di Dio. Coraggio Vito!

La redazione

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«Ero buddhista, oggi sono cattolica e ho imparato il perdono»

Claire LyCome altri due milioni di cambogiani, sterminati tra il 1975 e il 1979, la famiglia di Claire Ly è stata uccisa dalla follia ideologica dei Khmer rossi di Pol Pot. Claire insegna Buddismo all’Istituto di scienze religiose e teologia di Marsiglia e ha raccontato la sua storia al recente “Meeting” di Rimini, organizzato da Comunione e Liberazione.

Il senso del dolore e della sofferenza ha contraddistinto la sua vita. «Io ero buddista», ha raccontato, «però rifiutavo la legge del Karma secondo cui tutto quello che di male ci succede è frutto di azioni negative compiute in passato. I miei familiari non potevano essere responsabili di quell’orrore. Ecco perché durante gli anni in gulag, dove ho subito ogni tipo di privazione e ho dovuto partorire senza medico, mi sono creata un capro espiatorio da incolpare: il Dio degli occidentali». Gli anni dal 1975 al 1977 li ha passati ad insultare Dio, incolpandolo di tutto il male avvenuto in Cambogia.

Nel 1980 la filosofa è riuscita a fuggire in Francia come rifugiata politica, sopravvivendo «grazie alla carità degli altri, mi sentivo inferiore e quindi avevo paura dei francesi». Accolta nel sud del paese da un curato cattolico e un pastore protestante, non avendo i soldi per comprarsi nulla, iniziò a leggere i giornali e le riviste che il sacerdote cattolico non riusciva a vendere nella sua parrocchia: «Lui eliminava sempre le pagine “troppo cattoliche”, per non disturbarmi», ha spiegato. «Non ha mai cercato di convertirmi. Ma un giorno non ne ha trovato il tempo e io mi sono ritrovata a leggere l’enciclica di Giovanni Paolo II sulla misericordia». Incuriosita “intellettualmente” da quel testo, Claire ha deciso di andare alla fonte dell’enciclica aprendo il Vangelo: «Fu allora che Gesù cominciò a sedurmi con la sua umanità», racconta sorridendo. «Sono rimasta stupita dal vedere quanto Gesù fosse un esiliato come me, nato in viaggio, in una grotta perché per lui non c’era posto in albergo».

Il desiderio della conversione nasce durante la prima Messa a cui partecipa: «Volevo vedere com’era e non ho capito quasi niente, se non che bisognava alzarsi in piedi e risedersi in continuazione. Poi è arrivato il momento dell’Eucarestia: tutti i miei vicini guardavano l’ostia e anch’io allora ho alzato lo sguardo. Lì per la prima volta ho sentito che Gesù, che aveva sempre camminato con me fin dal tempo della Cambogia, mi chiamava non più ad ascoltare la sua parola ma a seguirlo. La cosa che mi ha colpito di più è che non me lo imponeva, me lo chiedeva. E io ho risposto sì, battezzandomi nel 1983». Grazie alla conversione è tornata alle sue origini «per cercare le tracce dei passi di Gesù nel Buddismo», scrivendo il libro “La Mangrovia. Una donna, due anime (Pimedit).

Il frutto più bello dell’approdo al cattolicesimo è stato donare il suo perdono agli assassini della sua famiglia: «Mia figlia non ha potuto conoscere suo padre, per questo un giorno l’ho portata nel luogo in cui venne assassinato. Lì, insieme, abbiamo recitato il Padre Nostro. Dopo quest’esperienza ho capito che Dio ci perdona come perdona chi ci ha fatto del male. Per questo, adesso, posso dire di averli perdonati. Ho poi spiegato a mia figlia che quando Gesù venne crocifisso non disse “vi perdono”, ma “Dio, perdonali perché non sanno quello che fanno”. Io e mia figlia abbiamo affidato a Dio le anime di chi ci ha fatto del male».

 

Qui sotto Claire Ly racconta la sua conversione cattolica

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Il vero eroismo? Resistere all’egemonia omosex

Veilleurs«Io ho una coscienza e un cuore, non posso sposare due persone omosessuali. La Legge Taubira è illegittima, usurpa il termine matrimonio e io non posso applicarla, io e i miei sette consiglieri abbiamo preso questa decisione». Queste le parole del sindaco di Arcangues, Jean-Michel Colo.

Come lui migliaia (20 mila si dice) di altri sindaci francesi stanno invocando l’obiezione di coscienza per evitare il più possibile lo snaturamento di un’istituzione antropologica come il matrimonio come “società naturale”, fondamento dei nostri Stati. Questi sindaci, preoccupati del futuro del Paese, vengono perseguitati dal governo giacobino Hollande, il quale ha promesso tre anni di carcere e 45mila euro di multa a tutti i dissidenti.

Per questo si fanno chiamare “sindaci-refusnik“, usando il termine in voga negli anni Ottanta per descrivere i dissidenti dell’impero sovietico e dicono di «preferire la forca» piuttosto che essere complici di questa nuova ideologica violenza omologatrice. Una egemonia che però non è mossa da alcun ideale di cambiamento dato che il tanto agognato matrimonio omosessuale è risultato essere un flop in Francia, come aveva anticipato “Il Foglio” e come si è puntualmente verificato: pochissimi ne hanno approfittato, dimostrando che non esisteva e non esiste alcuna esigenza, men che mai discriminazione.

I militanti gay (militanti, non gli omosessuali tout court) si sono trasformati da perseguitati a persecutori, architettando campagne d’odio contro i dissidenti attraverso l’alleanza a quasi la totalità della stampa. Basta vedere la caccia alle streghe che l’Arcigay ha intentato contro il giovane italiano che è uscito dall’omosessualità grazie alla conversione cristiana, minacciando iniziative legali per impedire altri coming out politicamente scorretti come questo. Ritornano dunque i tempi in cui l’Arcigay voleva bloccare Sanremo per impedire a Povia di cantare la sua canzone “Luca era gay”. Intanto a Venezia per poco non sono state vietate le parole “padre” e “madre” per rispetto agli omosessuali, ma certamente ci riproveranno presto.

Il “Pew Research Center” ha infatti certificato tramite uno studio la militanza dei quotidiani per influenzare e orientare l’opinione pubblica, concludendo che tutti i mezzi di comunicazione principali sono a favore del matrimonio fra persone dello stesso sesso.

Oggi i veri eroi sono coloro che, nonostante tutto, non desistono dal ribadire con coraggio la loro opinione, anche se questo vorrà dire venire multati o condannati al carcere grazie alle efficientissime leggi anti-omofobia. I veri eroi sono i Veilleurs, semplici ragazzi che stanno in piedi e in silenzio giorno e notte -ogni tanto cantano, leggono, pregano, studiano- nelle principali piazze della Francia, per protestare contro la legge sulle nozze gay e la discriminazione di chi la pensa in modo diverso. I quotidiani hanno ovviamente ignorato queste centinaia di ragazzi, ma nei social network le loro immagini stanno spopolando. Sono le “sentinelle della libertà” e il loro motto è la frase di Camus: «Piuttosto morire in piedi che vivere in ginocchio».

 

Qui sotto un video delle manifestazioni dei Veilleurs francesi

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Papa Francesco: «la questione del sacerdozio femminile è chiusa»

SacerdotiRispondendo ai giornalisti sull’aereo che lo ha riportato a Roma dopo la GMG 2013 in Brasile, Papa Francesco ha spiegato: «Una Chiesa senza le donne è come il collegio apostolico senza Maria. Il ruolo delle donne è l’icona della Vergine, della Madonna. E la Madonna è più importante degli apostoli. La Chiesa è femminile perché è sposa e madre. Si deve andare più avanti, non si può capire una Chiesa senza le donne attive in essa. Non abbiamo ancora fatto una teologia della donna. Bisogna farlo».

Tuttavia, «per quanto riguarda l’ordinazione delle donne, la Chiesa ha parlato e ha detto no. Giovanni Paolo II si è pronunciato con una formulazione definitiva, quella porta è chiusa. Ma ricordiamo che Maria è più importante degli apostoli vescovi, e così la donna nella Chiesa è più importante dei vescovi e dei preti».

Il teologo gnostico Vito Mancuso e le varie congregazioni protestanti di cui è riferimento, come “We are Church” (“Noi siamo Chiesa”), dovrebbero cominciare a pensare ad altro. Lui, che ama definirsi “figlio spirituale” del compianto card. Carlo Maria Martini, non ha mai avuto il coraggio di riportare la posizione dell’ex arcivescovo di Milano su tale tematica. Ecco cosa scrive Martini: «innegabile che Gesù Cristo ha scelto i dodici apostoli. Di qui occorre partire per determinare ogni altra forma dell’apostolato nella Chiesa. Non si tratta di cercare ragioni a priori, ma di accettare che Dio si è comunicato in un certo modo e in una certa storia e che questa storia nella sua singolarità ancora oggi ci determina […]. Una prassi della Chiesa che è profondamente radicata nella sua tradizione e che non ha mai avuto reali eccezioni in due millenni di storia non è legata solo a ragioni astratte o a priori, ma a qualcosa che riguarda il suo stesso mistero».

Quindi, ha proseguito Martini, «il fatto stesso cioè che tante delle ragioni portate lungo i secoli per dare il sacerdozio solo a uomini non siano oggi più riproponibili mentre la prassi stessa persevera con grande forza (basta pensare alle crisi che persino fuori della Chiesa cattolica, cioè nella comunione anglicana, sta provocando la prassi contraria) ci avverte che siamo qui di fronte non a ragionamenti semplicemente umani, ma al desiderio della Chiesa di non essere infedele a quei fatti salvifici che l’hanno generata e che non derivano da pensieri umani ma dall’agire stesso di Dio. La Chiesa riconosce di non essere giunta ancora alla piena comprensione dei misteri che vive e celebra, ma guarda con fiducia a un futuro che le permetterà di vivere il compimento non di semplici attese o desideri umani ma delle promesse stesse di Dio. In questo cammino si preoccupa di non discostarsi dalla prassi e dall’esempio di Gesù Cristo, perché solo restandovi esemplarmente fedele potrà comprendere» (C.M. Martini, “In cosa crede chi non crede?”, Liberal Libri 1996 p. 18,19).

Come ha spiegato il teologo padre Angelo Bellon, «Giovanni Paolo II ha voluto esprimere sul tema dell’ordinazione sacerdotale delle donne l’insegnamento definitivo, circa il quale dunque non vi possono essere discussioni». Lo stesso Martini in un’altra occasione ha spiegato: «Riconosco che le suore sono utilissime nell’ambito parrocchiale e meritano un maggior riconoscimento, ma ciò non vuol dire che esse possano sostituire in tutto i presbiteri. Nell’agire della Chiesa latina non v’è discriminazione, perché tutti i cristiani sono uguali e hanno gli stessi diritti, ma non esiste per nessuno il diritto a essere ordinato prete».

Chi volesse approfondire le ragioni e le motivazioni per cui la Chiesa non ha mai accolto il sacerdozio femminile può recarsi ad un nostro precedente articolo. Il sacerdozio non è un diritto e non è un merito, è una vocazione. Un sacerdote non ha un ruolo privilegiato agli occhi di Dio rispetto ad una suora impegnata nel mondo o in clausura a sostenere la Chiesa con la sua preghiera. Non si può guardare la Chiesa usando la mentalità femminista, altrimenti essa divieni incomprensibile, occorre guardarla con gli occhi della fede.

La redazione

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Pio XII nascose gli ebrei nella sua residenza

pio xii.jpgÈ stato spesso fatto notare che mentre i difensori di Pio XII hanno a loro disposizione un’enorme quantità di documenti e testimonianze a loro favore, gli accusatori invece si basano spesso su un solo argomento ed è ovviamente quello del suo silenzio. Tramite ciò si sono diffuse parecchie falsità come quella che la Chiesa non avesse fatto nulla per salvare gli ebrei perché antisemita.

In realtà, ancora prima dello scoppio del conflitto il Vaticano si era mosso in favore degli israeliti come nel 1936 quando il cardinale Pacelli incontrò assieme a monsignor Tardini, il rabbino capo di Alessandria, David Prato, che chiese aiutò alla Santa Sede a favore degli ebrei polacchi perché le autorità di quel paese volevano abolire la macellazione rituale ebraica. La missione ebbe successo e, secondo le parole del rabbino “se la legge non fu emanata allora e si cercarono più tardi pretesti per rinviarla, modificarla e per mutilarla lo si deve al tempestivo intervento del Vaticano”.

Innumerevoli interventi a favore degli ebrei saranno effettuati dalla Santa Sede durante tutta la durata del conflitto e lo si poté vedere per esempio durante la razzia del ghetto di Roma. Questo episodio è citato spesso dai denigratori della Chiesa che affermano che il papa sarebbe stato in silenzio anche quando le deportazioni avvennero “sotto la sua finestra”. In realtà la documentazione presente dimostra proprio l’opposto: non appena le deportazioni ebbero inizio la Santa Sede intercedette immediatamente presso l’ambasciatore tedesco, Von Weizsäker, e presso il generale tedesco Rainer Stahel per cercare di ottenere l’immediata interruzione degli arresti.

Pare che fu difatti proprio grazie all’intermediazione del generale Stahel che i rastrellamenti ebbero termine perché questi diede a Himmler la falsa notizia del pericolo di un’insurrezione da parte degli abitanti della città se gli arresti fossero continuati e il gerarca nazista, temendo la perdita dell’approvvigionamento delle truppe tedesche impegnate al fronte, diede perciò alle due del pomeriggio l’ordine di interrompere i rastrellamenti (quando Himmler si accorgerà dell’inganno, farà spedire Stahel sul fronte russo dove verrà catturato dai sovietici e troverà la morte in gulag nel 1955). Grazie all’intercessione vaticana i rastrellamenti furono perciò fermati: 1009 ebrei romani verranno purtroppo deportati dai nazisti nei campi di sterminio senza che si potesse fare qualcosa per liberarli, ma altri 7000 riuscirono a nascondersi e di questi più di 4000 riuscirono a trovare rifugio in conventi o in altre proprietà ecclesiastiche (si calcola che 447 ebrei si nascosero all’interno della Città del Vaticano).

Alcuni studiosi ostili a Pacelli hanno affermato che i salvataggi avvennero per iniziative individuali e non da parte di esplicite direttive papali. Tuttavia, le dichiarazioni di molti prelati e sacerdoti coinvolti nell’opera di salvataggio che affermarono d’aver prestato soccorso agli israeliti sotto indicazioni del pontefice e le polemiche naziste per l’aiuto che la Santa Sede stava dando a quelli che erano considerati nemici del Reich provano come il Vaticano fosse a conoscenza e sostenesse queste attività. Infatti, come ha sottolineato lo storico Pierluigi Guiducci nel suo libro “Il Terzo Reich contro Pio XII”, in centinaia di rapporti militari, diplomatici e spionistici nazisti il papa veniva qualificato come un pericoloso avversario e ciò anche per la sua attività di salvataggio a favore di migliaia di ebrei, antifascisti e sfollati che trovarono rifugio negli edifici della Chiesa sino alla liberazione della città.

Non mancarono momenti di pericolo per costoro perché le truppe naziste sporadicamente violarono la neutralità di questi rifugi, arrestando le persone che vi trovarono dentro, ma problemi vi furono paradossalmente anche da parte alleata perché alcune bombe sganciate sulla città di Roma colpirono casualmente alcune ville della residenza papale dove in quel momento avevano trovato rifugio migliaia di persone e ciò causò la morte di alcune centinaia di loro. Finita la guerra, il Vaticano chiederà all’America i danni causati dalle incursioni (come similmente fecero anche altri stati neutrali rimasti a loro malgrado vittima dei bombardamenti come il Portogallo o la Svizzera) riuscendo ad ottenere l’indennizzo applicando il cambio di valuta in quel momento vigente.

Dopo la partenza dei tedeschi e l’occupazione della città da parte degli angloamericani, gli ebrei ritrovarono la libertà e molti di essi esprimeranno la loro riconoscenza al papa per il soccorso a loro prestato nel momento del pericolo Riconoscenza però che molto ebrei che vivono oggi paiono aver dimenticato.

Mattia Ferrari

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Il neo senatore Carlo Rubbia tra scienza e fede

Carlo RubbiaIl bizzarro Piergiorgio Odifreddi, nel suo libro “Perché Dio non esiste” (Aliberti 2010) -che abbiamo recensito nel 2011 mettendo in crisi i rapporti tra lui e il suo editore a causa delle bugie del pensionato torinese- si è disgustato perché «Carlo Rubbia mi pare che sia cattolico, Enrico Bombieri, medaglia Fields, è cattolico e va a messa» (p. 122).

Il presidente Giorgio Napolitano ha nominato tra i senatori a vita proprio il fisico Carlo Rubbia, l’unico premio Nobel scientifico italiano vivente (dopo la morte di Rita Levi Montalcini) e l’unico tra i quattro nominati (Renzo Piano, Claudio Abbado ed Elena Cattaneo) a meritare davvero la nomina.

Rubbia, vincitore del Nobel per aver scoperto nel 1983 i bosoni vettoriali W+, W− e Z, confermando così la teoria dell’unificazione della forza elettromagnetica e della interazione debole nella forza elettrodebole, è anche un uomo di fede e non ne ha mai fatto mistero, come spiegato dal collega Franco Gabici, direttore del Planetario di Ravenna. Ebbe a dichiarare una volta: «Parlare di origine del mondo porta inevitabilmente a pensare alla creazione e, guardando la natura, si scopre che esiste un ordine troppo preciso che non può essere il risultato di un ‘caso’, di scontri tra ‘forze’ come noi fisici continuiamo a sostenere. Ma credo che sia più evidente in noi che in altri l’esistenza di un ordine prestabilito nelle cose. Noi arriviamo a Dio percorrendo la strada della ragione, altri seguono la strada dell’irrazionale» (“Il DNA lo prova: la vita sulla terra ha un solo padre”, Liberal 23 dicembre 2011)».

La sua conoscenza delle intime strutture della materia lo ha convinto che «più la scienza cerca e più trova gli indizi di una unica creazione opera di una entità superiore». Infatti, «come ricercatore, sono profondamente colpito dall’ordine e dalla bellezza che trovo nel cosmo, così come all’interno delle cose materiali. E come un osservatore della natura, non posso fare a meno di pensare che esiste un ordine superiore. L’idea che tutto questo è il risultato del caso o della pura diversità statistica, per me è completamente inaccettabile. C’è un’Intelligenza ad un livello superiore, oltre all’esistenza dell’universo stesso».

Nella sua relazione presso la Pontificia Accademia delle Scienze, di cui è membro, ha spiegato: «L’uomo di scienza non può non sentirsi umile commosso ed affascinato di fronte a questo immenso atto creativo, così perfetto e così immenso e generato nella sua integralità a tempi così brevi dall’inizio dello spazio e del tempo. L’universo si è evoluto in maniera unitaria e coerente, come se fosse un unico tutto. Ricordiamo a questo proposito le parole della Genesi, dove si dice: “Dio pose le costellazioni nel firmamento del cielo per illuminare la terra e per regolare giorno e notte e per separare la luce dalle tenebre. E Dio vide che era cosa buona” […]. Oggi sappiamo che l’uomo rappresenta uno degli ultimi anelli della vita. Ciononostante la struttura dettagliata del DNA umano è solo leggermente diversa da quella degli altri esseri viventi. È questa una differenza morfologicamente piccola in sé, ma enormemente diversa per quanto riguarda le sue conseguenze. L’uomo è quindi strutturalmente fondamentalmente diverso dalle altre specie animali conosciute. Ha caratteristiche che lo contraddistinguono profondamente e in maniera unica […]. Ma la scoperta di una eventuale vita extra-terrestre, con tutte le somiglianze e diversità rispetto alla nostra arricchiranno ancora di più l’unicità dell’uomo in tutti i suoi aspetti e ci aiuteranno a meglio percepire e apprezzare gli immensi patrimoni di umanità e di saggezza che abbiamo ricevuto e di cui dobbiamo fare il più prezioso utilizzo, così ben ricordato in quella meravigliosa immagine dell’uomo con il dito puntato verso il Creatore nel fantastico affresco di Michelangelo nella Cappella Sistina».

La redazione

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Caro Veronesi, senza Dio non puoi credere nemmeno nell’uomo

Umberto Veronesi  Abbiamo notato un miglioramento in Umberto Veronesi: mentre fino a ieri sosteneva che «l’etica laica è mille volte superiore all’etica religiosa» e in contemporanea tradiva (eticamente?) la moglie, come ha raccontato lei stessa in un recente libro, recentemente ha ridimensionato le sue affermazioni: «Sono profondamente convinto che esista una morale laica altrettanto valida della fede in Dio».

Nell’intervista al “Corriere della Sera” è emerso un insolito vero rispetto per le persone di fede, non così evidente altre volte. Ha spiegato di essersi allontanato dalla fede cattolica dopo aver avuto «l’esperienza di incontrare il male peggiore di cui soffra l’umanità, il cancro». Certo, il motivo è comprensibile, il dolore e la sofferenza gratuita possono generare scandalo per chi vi sta di fronte in modo forse superficiale, limitandosi a registrare la propria reazione. Ma possono  anche diventare il motivo per abbandonare l’ateismo e convertirsi al cristianesimo, come accaduto all’oncologo americano, collega di Veronesi, Stephen Iacoboni. Se, infatti, l’agnosticismo amplifica ed esaspera l’ingiustizia del dolore innocente, perché lo priva automaticamente di un significato ultimo, il cristianesimo è l’unica posizione umana che offre la forza di starvi di fronte senza scandalo. Gesù Cristo non ha dato la soluzione definitiva al male e alla sofferenza, ma innanzitutto l’ha condivisa con l’uomo facendosi mettere in croce e poi ha offerto se stesso come risposta. Risorgendo ha detto all’uomo: anche la sofferenza più grande, come quella che ho patito io, è una condizione per una pienezza maggiore: «chi vuol venire con me, prenda la sua croce e mi segua». Si può vivere nel dolore ed arrivare ad amarlo, ad essere lieti e grati nel cuore, se è possibile a tanti cristiani allora lo scandalo per  il male non è l’ultima parola.

Veronesi ha poi citato come altro motivo di scivolamento verso l’agnosticismo l’aver vissuto «il secolo scorso, il secolo del dolore, delle guerre mondiali, della Shoah, di torture e violenze inaudite. Mi sono chiesto: come mai un Dio buono può permettere tutto questo male?». E’ la domanda di tanti, ma perché imputare a Dio il male generato dall’uso sbagliato della libertà da parte degli uomini? Il Novecento è stato proprio l’esempio di cosa voglia dire vivere senza Cristo, il primo secolo ateo, come è stato definito. Non a caso se l’Unione Sovietica era ufficialmente guidata dall’ateismo di stato, il nazismo si ispirava spiritualmente al paganesimo anticristiano. La domanda andrebbe quindi rivoltata: “come si può, dopo il ‘900, ancora credere nell’uomo senza fare affidamento a Dio?”. Il premio Nobel Aleksandr Solzenicyn, martire del comunismo sovietico, ha affermato alla fine della guerra: «la principale causa della rovinosa rivoluzione che ha inghiottito quasi 60 milioni di russi non potrei definirla in maniera più accurata che ripetendo: “Gli uomini hanno dimenticato Dio, perciò tutto questo è accaduto”».

Veronesi spiega: «mi sono convinto che ognuno debba costruirsi i propri principi, e non farseli costruire da un ente superiore». E’ proprio quello che hanno fatto gli intellettuali nazisti, è proprio quello che fanno oggi gli estremisti islamici. Come può una morale laica, abbandonata evidentemente al relativismo, pretendere di giudicare quali principi siano “più veri” (verità oggettiva?? Da quando esiste?) di altri. Con quale autorità Veronesi concederebbe a tutti di crearsi i propri principi e comportarsi di conseguenza, tranne che ai capitalisti cinesi, agli islamici estremisti e agli uomini indù che dividono la società in caste, i quali invece dovrebbero sottostare ai principi creati, non da un ente superiore, ma da Umberto Veronesi e dall’Occidente (cristiano)?

«Ai miei figli», ha spiegato Veronesi, «ho insegnato a passare dalla triade tradizionale dell’etica, quella di “Dio, patria e famiglia”, a una di valori nuovi, “libertà, solidarietà e tolleranza”. In questi valori mi pare vi sia tutto il comportamento dell’uomo morale». Non si sa quali figli però, infatti come ha spiegato la moglie, «un pomeriggio prima di Natale chiesi ad Umberto di accompagnarmi a cercare i regali per i nostri figli. Mi rispose che era impossibilitato, aveva molto da lavorare in ospedale. Mi avvia da sola in giro per i negozi. A un tratto in piazza San Babila lo vidi ridente sotto braccio alla sua compagna, che andavano assieme a far compere per il loro bambino…mi sentii raggelare e mi vennero le lacrime agli occhi». Evidentemente la triade “libertà, solidarietà e tolleranza”, parole tanto care ai giacobini francesi che in loro nome ghigliottinavano tutti quelli che erano in disaccordo, non è servita molto ad Umberto per comportarsi moralmente, così come non serve a nessuno. Nessuna triade è sufficiente, nemmeno “Dio, patria e famiglia”! I principi morali non bastano, non spiegano perché, se esiste solo questa vita bisognerebbe essere coerenti con essi se si è più felici e ci si avvantaggia comportandosi in altro modo. Occorre andare oltre all’uomo, serve il rapporto affettivo con il Padre, al quale si obbedisce per propria convenienza o per semplice fiducia in Lui, così come il figlio fa con il proprio genitore. Solo in un rapporto ha senso l’obbedienza.

Veronesi conclude infine con una frase che va molto di moda «non credo in Dio ma credo nell’uomo», perché egli avrebbe fatto «balzi da gigante, centocinquant’anni fa negli Stati Uniti del Sud linciare un nero era quasi accettato, gli ultimi roghi degli eretici risalgono a 2-300 anni fa. L’uomo sta prendendo coscienza, secondo me». Eppure lui stesso ha ricordato quel che combinava l’uomo emancipato, l’uomo nuovo, fino a pochi anni fa: il razzismo verso i neri è stato sostituito da quello verso gli ebrei. L’uomo non si emancipa da solo, crea solo nuove imposizioni che lo liberino da quelle precedenti. Lo scrittore Francesco Agnoli ha infatti risposto: «Veronesi crede nell’uomo, nonostante i gulag e i lager, e forse, anche a ragione di essi, non crede in Dio; io non credo nell’uomo, che per dare a tutti la felicità, senza Dio, ha creato i gulag, e credo in Dio, grazie a uomini (che mi fanno credere anche nell’uomo). Veronesi è a favore dell’aborto (uccisione di un uomo piccolo da parte di un uomo grande); crede nella bontà della clonazione (uomo grande che fotocopia uomo piccolo); crede nella bontà dell’utero in affitto (persone ricche affittano l’utero di povere)… Cosa intenda, in concreto, per “credere nell’uomo”, mi sfugge…»

La redazione

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America e Inghilterra finalmente scaricano le femministe

Famiglia 3Mentre in Italia la tuttologa Chiara Lalli cerca ancora di convincere che a) abortire è bello, b) non esiste l’istinto materno, c) le mamme-nonne sono madri “più attente”, in America e Inghilterra sta avvenendo una nuova rivoluzione: le giovani donne (1994-1985) antepongono i figli e il matrimonio al lavoro e alla carriera.

Il fenomeno è ben descritto da “Repubblica”: «Le donne inglesi hanno passato gli ultimi cinquant’anni a rimboccarsi le maniche per riuscire a conciliare famiglia e professione, recuperando un punto percentuale alla volta il gap — in busta paga e in tasso di impiego — che le separava dagli uomini. E oggi che ce l’avevano quasi fatta, si trovano a fare i conti con un ostacolo del tutto inatteso: le loro figlie. Le ventenni britanniche hanno infatti rivisto le priorità: l’ufficio può attendere. I bambini crescono meglio con la mamma a casa». Lo ha dimostrato uno studio della London School of Economics.

Non è l’effetto della crisi, ma un vero e proprio mutamento culturale. «Queste cifre riflettono mutamenti culturali e sociali più profondi. In Gran Bretagna ma anche negli Stati Uniti», spiegano i ricercatori. Il fattore chiave è che per le ventenni di oggi i figli sono più importanti del lavoro. «Le donne di questa età, a ragione o torto, pensano che il ruolo di una madre non possa essere sostituito da palliativi come una baby sitter, un asilo nido o un padre più presente in casa», ha affermato Alan Manning, autore dello studio.

Secondo Raquel Fernandez, professoressa di Economia alla New York University, «Le ventenni di oggi sono meno impregnate dei valori ideali del femminismo». Finalmente! Basta imitare gli uomini per sentirsi più donne, il fallimento del femminismo è sotto gli occhi di tutti. Il femminismo è la repressione della femminilità: «Negarsi un figlio per la carriera, il piacere, un malinteso senso di libertà, è una specie di autoviolenza al cuore più segreto e potente della femminilità. Se è vero che donna non si nasce, ma la si diventa, l’essere madre fa diventare più donna di qualsiasi altra donna», ha scritto Annamaria Bernardini de Pace.

«Le radici del femminismo hanno sminuito il valore sociale della maternità», è il commento di Vittoria Maioli Sanese, psicologa della coppia e della famiglia. Dopo aver ingannato milioni di donne è tempo per le femministe di andare in estinzione, ora è tornato il tempo della donna . Quindi della madre.

Michela Marzio

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Lumen Fidei, enciclica di ponti

Lumen fideiPer quasi due millenni, i pronunciamenti ecclesiali (concili, bolle papali e ovviamente scomuniche) che si sono proposti di indicare la retta via della fede sono stati prevalentemente negativi, condannando cioè (anàthema sit) le storture dal retto cammino. Sia chiaro, questo è necessario, anche le leggi civili degli stati moderni sono tutte negative: per esempio viene condannato chi danneggia il prossimo, non premiato chi lo aiuta.

Il Concilio Vaticano II è stato il primo sinodo che si è concluso senza anatèmi, da allora (prevalentemente) assenti dai pronunciamenti magisteriali di vario tipo. Non si tratta propriamente di una rottura con la tradizione cristiana ma di un mutato sentire, con più attenzione ai “segni dei tempi” contemporanei, all’aspetto positivo e propositivo delle varie questioni più che a quello negativo e in qualche modo repressivo.

Da allora il “gettare ponti”, o tendere la mano, è un po’ una “mania” della Chiesa: vedi appunto il Vaticano II, col mondo e con le altre religioni (che ha portato ai fruttiferi documenti Gaudium et Spes e Nostra Aetate); vedi papa Giovanni Paolo II, col mondo ortodosso e più in là con l’ “impero del male” comunista (che ha prodotto numerosi incontri e documenti ecumenici con le chiese orientali, oltre che il crollo del comunismo); vedi papa Benedetto XVI, col mondo laicista e quello protestante nord-europeo (che ha portato alla possibilità di riconciliazione coi fedeli anglicani tramite gli ordinariati).

In quest’ottica va intesa anche la recente (luglio 2013) enciclica Lumen Fidei, “scritta a quattro mani” dai papi Benedetto XVI e Francesco. Propriamente, l’enciclica non propone particolari e nuovi sviluppi della teologia dogmatica, che ha per principale oggetto proprio la fede. Ma pone le fondamenta per diversi ponti, che possono facilitare il cammino ecumenico e il dialogo Chiesa-mondo. Queste le sezioni e i rispettivi ponti.

1. Abbiamo creduto nell’amore. La prima sezione ripercorre la storia sacra dall’inizio nella vocazione di Abramo al suo culmine nella figura di Gesù. Un ponte verso le religioni abramitiche, ebrei in primo luogo ma anche musulmani.

2. Se non crederete non comprenderete. Riprendendo la Fides et Ratio sottolinea la razionalità della fede, che come la ragione ha lo scopo di giungere all’unica verità. La fede poi non deve essere intesa come fredda concezione noetica, ma sempre unita all’amore, nella concreta esistenza delle persone. Un ponte verso un certo intellettualismo laicista, un po’ sterile se non aggressivo, che alberga in tanti occidentali.

3. Vi trasmetto quello che ho ricevuto. Esalta il ruolo della Chiesa come comunità capace di trasmettere la fede, anche tramite i sacramenti e in particolare battesimo ed eucaristia. E “l’unità della Chiesa è collegata all’unità della fede” (n. 47). Un ponte, l’ennesimo, teso verso ortodossi e protestanti.

4. Dio prepara per loro una città. Esalta il ruolo della fede come un qualcosa di non solo interiore, ma “capace di arricchire la vita comune” (n. 51) nella famiglia, nella società, nel rapporto con la natura. Un ponte verso la società civile e i governanti.

In definitiva con l’enciclica questi ponti sono stati gettati, ripetendo i tentativi già compiuti in passato. La mano è tesa. La chiamata c’è. Ora tocca a chi di dovere rispondere, nella ricerca del bene e dell’unità comune, nell’ascolto della propria coscienza e con l’aiuto dello Spirito.

Roberto Reggi

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