Ambrogino d’Oro a Paola Bonzi: 16mila vite salvate dall’aborto

Paola BonziQualcuno che ti aiuti a riflettere in un momento di grande sfiducia, un luogo dove tu possa sentirti accolto quando la lucidità della tua psiche vacilla, una dimensione calda e umana che ti conforta e ti ricorda la prospettiva della vita quando il tuo unico pensiero protende alla morte. Il Centro aiuto alla Vita della clinica Mangiagalli di Milano tenta, quotidianamente, di essere tutto questo.

Di aiutare giovani donne a superare maternità difficili, orientate a quella che sembra essere l’unica soluzione possibile, l’aborto. In tante, tantissime, coloro che entrate in questo Centro per uno sfogo in cui sembravano pronte a spegnere quel respiro che già pulsava in grembo, oggi benedicono quel figlio, divenuto motivo di una esistenza. E tutte oggi dicono grazie a Paola Bonzi, direttrice del Cav della clinica Mangiagalli. Sono circa 16 mila i bambini nati dalle quasi 18 mila donne conosciute nella piccola sala della clinica.

Oggi quel luogo di rinascita e speranza è in crisi per mancanza di fondi e rischia di chiudere; se così fosse, tante altre madri non avranno in futuro la possibilità di scegliere la vita. Di essere incoraggiate, illuminate, consapevolizzate rispetto alle conseguenze del gesto intenzionato a compiere, perchè dettato dallo smarrimento, dal disorientamento di una notizia. Grazie a un appello promosso dal consigliere provinciale Nicolò Mardegan (Pdl), il mondo della società civile e politico si è mosso trasversalmente per partecipare a una serata di gala e per l’assegnazione dell’Ambrogino d’oro a Paola Bonzi.

Un modo per attirare l’attenzione su questa finestra di solidarietà. Un alzare le antenne su una struttura sociale che opera in modo bipartisan. Da destra a sinistra, dal mondo della cultura a quello dello show, dai cattolici agli atei, stanno firmando l’appello per conferire l’Ambrogino d’Oro a Paola Bonzi. Anche insospettabili come Lorenzo Strik Lievers, storico radicale pannelliano. E il suo esempio è stato importante anche per un altro radicale come il consigliere comunale Marco Cappato che ha asserito : «Io non conosco Paola Bonzi e mi informerò per capire ma ho la massima stima per Lorenzo e per la sua opinione. Se questo lavoro di Paola Bonzi è svolto in modo serio e non ideologico io non ho nessun motivo per essere contrario».

E su questa scia sono già centinaia le personalità del mondo dell’imprenditoria e delle istituzioni che stanno partecipando alla raccolta di firme per assegnare, a Paola Bonzi , la benemerenza attribuita ai Milanesi che hanno contribuito a fare grande Milano. Tra le prime firme apposte vi è quella dell’assessore regionale alla Salute e vice presidente Mario Mantovani, intervenuto alla serata di beneficenza organizzata proprio per raccogliere fondi per il ‘Centro di aiuto alla vita’. E sui social network, in primis Facebook (clicca qui per aderire), impazzano i commenti e i like per appoggiare la destinazione del premio, un premio che andrebbe a sintetizzare materialmente quella che è stata “una vita dedicata alla vita”.

Livia Carandente

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Le fantasie di Krauss sull’universo emerso dal nulla

Lawrence Krauss 
 
di Flavio Grandin*
studente di fisica teorica

 
da Il pensiero assiomatico, 30/09/13
 

L’autore di questo articolo è Luke Barnes, cosmologo. Barnes analizza le idee espresse dal collega Lawrence Krauss nel suo ultimo libro A Universe from Nothing: Why There is Something Rather than Nothing. Krauss che, ricordiamo, è anche autore di pubblicazioni molto prestigiose come La fisica di Star Trek (il che dovrebbe far riflettere sullo stato di sogno e di fervida fantasia da cui nascono le sue elucubrazioni), sostiene che «abbiamo scoperto che tutte le evidenze suggeriscono un universo che può plausibilmente essere emerso dal nulla. In questo senso […] la scienza rende possibile non credere in Dio.» I suoi argomenti possono essere così riassunti:

1) Gli elementi fondamentali dell’universo sono, in base a quello che oggi conosciamo, materia ed energia, spazio e tempo, e sono governati dalle leggi della natura.
2) Le particelle di materia corrispondono a determinate configurazioni di campi quantistici. Esiste una configurazione senza particelle, il vuoto. Uno stato senza particelle può evolvere in uno stato con particelle. Quindi la materia può apparire dall’assenza di materia.
3) L’universo potrebbe avere energia totale pari a zero.
4) Esistono teorie che suggeriscono che spazio e tempo non sono fondamentali, ma emergono da stati senza spazio e tempo.
5) Le leggi della natura possono essere stocastiche e casuali, nel qual caso possono non esistere, in definitiva, leggi della natura.
6) Siccome possiamo immaginare che l’universo venga da uno stato senza materia, senza particelle, senza spazio, senza tempo e senza leggi, qualcosa può venire dal nulla.

Una persona di buon cuore dovrebbe lasciar perdere senza dar nessun peso a simili affermazioni ma oggi concedetemi di infierire un pò. D’altra parte uno può anche credere ai vulcaniani, nessun problema, ma se si vuol dare un aspetto di scientificità a queste idee c’è da preoccuparsi, anche per il successo che ottengono dentro e fuori della comunità scientifica. Non discuto della competenza tecnica e professionale del signor Krauss, ma la comprensione che ha della scienza in senso più generale è alquanto imbarazzante.

Non ho nulla da aggiungere alla descrizione che ne dà Barnes: «Cos’è la scienza? Ecco cosa cerco di fare nel lavoro di tutti i giorni. La fisica usa un metodo piuttosto peculiare per studiare l’universo. Traduciamo fatti fisici misurati circa l’universo in fatti matematici nell’ambito di un modello dell’universo. Una grande quantità di dati vengono racchiusi sinteticamente in poche equazioni. Avendo fatto il salto nello spazio della matematica, cerchiamo fatti matematici che corrispondono a misurazioni che non sono ancora state fatte, in altre parole predizioni». Quindi, vediamo come la scienza parli di come si relazionino e interagiscano determinati elementi fondamentali che rispecchiano le osservazioni del mondo reale. Andare oltre a degli elementi fondamentali non ha senso in quanto, come minimo, a quel livello non c’è più nulla di scientifico da dire.

Ma analizziamo punto per punto il ragionamento di Krauss.
1. Gli elementi fondamentali dell’universo sono, in base a quello che oggi conosciamo, materia ed energia, spazio e tempo, e sono governati dalle leggi della natura.
Questo è il primo e ultimo punto su cui non c’è nulla da obbiettare. Esistono degli enti fondamentali e questi obbediscono a delle leggi, il senso dell’intera scienza!

2. Le particelle di materia corrispondono a determinate configurazioni di campi quantistici. Esiste una configurazione senza particelle, il vuoto. Uno stato senza particelle può evolvere in uno stato con particelle. Quindi la materia può apparire dall’assenza di materia.
Nulla di formalmente sbagliato se non che si comincia ad intravedere il modo con cui si vuole distorcere a proprio piacimento la realtà: una particella può emergere dal vuoto quantistico, non dal nulla. I campi sono sempre lì e, se producono una particella, è perché hanno interagito in un certo modo. Ed è proprio il loro agire all’interno di un ordine, di un Logos, che esiste al di là dello stato materiale che manifestano. Questo Logos deve esistere, non può essere nulla.

3. L’universo potrebbe avere energia totale pari a zero.
Sì, però considerando che i numeri reali sono un insieme denso la probabilità che l’energia sia pari a zero è nulla. In ogni caso, seriamente, dare un valore all’energia – non a differenze di energia – è qualcosa di molto delicato in fisica anche perché dipende secondo quale paradigma si compie l’assegnazione. Si riferisce al modo in cui si assegna l’energia nella teoria del mare di Dirac (con energie negative per le antiparticelle) o secondo la teoria quantistica dei campi?

4. Esistono teorie che suggeriscono che spazio e tempo non sono fondamentali, ma emergono da stati senza spazio e tempo.
Qui non si capisce perché spostare il problema dallo spaziotempo agli stati cambi qualcosa. Uno stato non è nulla.

5. Le leggi della natura possono essere stocastiche e casuali, nel qual caso possono non esistere, in definitiva, leggi della natura.
Questa è veramente la mia preferita. Si cominciava a temere che non ci fosse posto per Dio in questo sistema, e invece no! Dio esiste, ed è la statistica. Ma specialmente esistono le fluttuazioni statistiche di cose che non esistono, le leggi della natura: spettacolare! Sempre che queste fluttuazioni non siano governate da leggi più generali come giustamente suggerisce Barnes.

6. Siccome possiamo immaginare che l’universo venga da uno stato senza materia, senza particelle, senza spazio, senza tempo e senza leggi, qualcosa può venire dal nulla.
Ecco che il pensiero si chiude e mi pare anche di scorgere un ghigno di soddisfazione, d’altra parte Krauss ha appena intravisto i segreti dell’universo, come non capirlo… L’errore è sempre il solito: le particelle vengono da stati senza particelle, non dal nulla. Lo spazio ed il tempo vengono forse da uno stato senza di essi, non dal nulla. Il nulla non può tramutarsi in qualcosa anche solo per il fatto che se la transizione avvenisse, dovrebbe avvenire nel tempo. Ma il tempo non è nulla. L’unico nulla immaginabile è un nulla eterno che evidentemente, dato che siamo quì, non esiste adesso, non esisteva prima e non esisterà mai. Giusto per ribaltare una citazione di R. Dawkins possiamo dire che molti scienziati oggi si stupirebbero di quante cose potrebbe insegnare loro Aristotele.

Quello che sconcerta è che in tutto questo ad essere negata è la scienza in quanto indagine di enti esistenti regolati da leggi esistenti. La struttura stessa della scienza impedisce di andare oltre ai postulati fondamentali poiché al di fuori di essi non c’è nulla da dire. La costruzione assiomatica degli enti e delle leggi può essere modificata, migliorata e ampliata, non rimossa. Per questo Barnes scrive: «La visione scientifica del mondo può accordarsi bene con una visione teistica del mondo. E questa è esattamente la visione nella quale la scienza è nata, esattamente la credenza degli autori della rivoluzione scientifica».

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L’amore puro tra fidanzati, una rivoluzione possibile

Giovani fidanzati 
 
di Carlo Principe
 
da Notizie Pro Vita, settembre 2013
 
 

I freddi numeri delle statistiche in Italia rivelano un mondo giovanile allo sbando: i giovanissimi acquistano metà delle 400 mila confezioni di pillole  Norlevo vendute ogni anno, aumentano gli aborti delle adolescenti (+ 112% dal ‘95 al 2010) e le baby-mamme (+0,5% e quasi 10 mila l’anno). Una realtà confermata anche da un’indagine condotta dal Centro di Aiuto alla Vita (CAV) di Benevento nei licei sanniti, in cui si è rilevato che oltre la metà dei ragazzi e circa un terzo delle ragazze “fa sesso” prima dei 17 anni.

Una tale emergenza sociale richiederebbe azioni educative decise, ma spesso la famiglia è assente o incapace, mentre la cultura libertaria dominante propone solo l’introduzione di corsi di “educazione sessuale” nelle scuole che, di fatto sono corsi di contraccezione, con l’implicito messaggio “divertiti, ma stai attento alle conseguenze…”, e perciò falliscono miseramente (come accade anche in Francia o Inghilterra).

In realtà occorre “offrire soprattutto agli adolescenti e ai giovani l’autentica educazione alla sessualità e all’amore, un’educazione implicante la formazione alla castità, quale virtù che favorisce la maturità della persona e la rende capace di rispettare il significato «sponsale» del corpo”, come ha scritto Giovanni Paolo II nell’Evangelium Vitae. Da qui trae spunto il lavoro del CAV che promuove nelle scuole incontri con gli studenti sul tema della sessualità e dell’affettività. Le conferenze sono state precedute da un’indagine statistica dalla quale, oltre alle non poche ombre, emergono anche luci e  segni di speranza.

Se è vero, infatti, che i giovani tendono a porre al centro della relazione affettiva la dimensione genitale, è altrettanto vero che essi fanno trapelare una profonda aspirazione a un amore autentico e fedele. Solo il 30% di essi, infatti, ritiene che il problema delle gravidanze e degli aborti tra le giovanissime si risolva con la contraccezione, mentre molto più alta, il 78%, è la percentuale dei maschi convinta che sia un problema di autocontrollo (per il 60% di loro le ragazze si concedono troppo facilmente) e di rispetto del proprio corpo (il 18% vede nella purezza la condizione del vero amore). Le ragazze hanno rapporti sessuali nel 37% (circa il 10% tra le cattoliche praticanti) dei casi rispetto al 51% dei ragazzi, ma esse dichiarano che lo fanno per amore (il 41% rispetto al 15% dei ragazzi) e solo col fidanzato (il 98% rispetto al 59% dei ragazzi ), ossia con la persona con cui intessono un rapporto stabile.

Motivo di speranza è inoltre il fatto che la maggioranza dei giovani, anche qui con netta prevalenza femminile – il 76,3% rispetto al 53,8% degli uomini – è convinta che un amore autentico tra fidanzati possa fare a meno del sesso. Insomma, se da un lato i maschi sono convinti che le ragazze si “concedono” troppo facilmente, dall’altro l’indagine rivela una donna più propensa alla castità. Se “cede” lo fa per amore e solo con la persona che  ama. Le ragazze, dunque, possono essere protagoniste di un cambiamento culturale, di una vera rivoluzione. Saranno esse a chiedere al proprio fidanzato la “prova di amore” – quella vera – dell’attesa che, se da un lato esige un sacrificio, dall’altro è premessa  per un rapporto d’amore felice e stabile. E preferiscono perdere chi cerca solo il loro corpo e non il loro cuore.

Possiamo, dunque, riporre nei giovani una grande fiducia. A patto però che le famiglie, parrocchie e scuole, raccolgano la sfida e promuovano questo percorso educativo.

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Don Bisceglia, una storia di peccato e redenzione

donbiscegliaSe tutti conoscono l’Arcigay, la principale associazione omosessuale italiana, ben pochi sanno invece chi ne fu il fondatore e ancora meno ne conoscono la travagliata storia. Anche per questo, a 12 anni dalla morte, è stata pubblicato ‘Troppo amore ti ucciderà. Le tre vite di don Marco Bisceglia’ scritto da Rocco Pezzano ed edito da Edigrafemala prima biografia che traccia il tortuoso percorso umano e spirituale del prete che costituì il primo nucleo di quello che diventerà il principale gruppo di attivisti LGBT in Italia. Una storia di alti e bassi, di cadute ma anche di redenzione, come ce ne sono all’interno della Chiesa.

Don Marco, come veniva chiamato, sin dal principio, da parroco nel potentino, incarnò un ministero sopra le righe. Ordinato nel 1963, aderì ben presto alla Teologia della Liberazione, sostenendo pubblicamente la legge sul divorzio che lo porterà ad un primo scontro con la Dottrina Cattolica, con la quale mantenne sempre un rapporto ambiguo, dato, tra le altre cose, il suo simpatizzare per il Pci. Rapporto che si ruppe il 9 maggio 1975, quando davanti all’ennesimo caso che coinvolgeva il prete lucano, il vescovo si trovò costretto a prendere provvedimenti. Favorevole alla “liberazione” degli omosessuali, Don Marco, raggirato da due giornalisti che si erano finti omosessuali in cerca di un unione, “celebrò” in privato il primo matrimonio di coscienza tra gay – che naturalmente, diventato reportage e salito agli onori della cronaca, gli costò una sospensione a divinis.

Raggiunto il fondo, non rimane che scavare. Bisceglia è solo, senza un’occupazione e senza stipendio. Tenta di riciclarsi in parlamento con i Radicali ma senza successo. Inizierà quindi a collaborare con l’Arci, seguirà poi il coming-out, la convivenza con l’attuale governatore della Puglia, Nichi Vendola ed infine la costituzione del primo circolo Arci-gay a Palermo nel 1980. L’ormai ex sacerdote s’allontanerà poi anche dall’Arci, ritirandosi a vita privata nella sua casa a Monte Porzio Catone, dove continuerà ad intrattenere numerose relazioni omosessuali. Fino alla metà degli anni novanta, quando ormai sieropositivo, viene accolto nella parrocchia di San Cleto a Roma, da dove incomincerà il suo percorso di riconciliazione.

Tra le mura parrocchiali, divide le giornate tra la preghiera e la meditazione e nella calorosa accoglienza dei confratelli, sviluppa pian piano l’intimo desiderio di poter celebrare di nuovo il più grande dei Sacramenti, la santa Eucaristia. Si appella perché la sua condizione venga ristabilita, ottendo il parere positivo della Congregazione per la dottrina della Fede che cancella la sospensione a divinis. A quel punto, la riconciliazione che lo accompagnerà nelle ultime -più dure- fasi della malattia, è completa. Il 22 luglio del 2001, si concluderà la storia di don Marco Bisceglia. Una storia di peccato ma anche di redenzione. La storia di uno, per dirla con le sue parole, che era morto e che è risorto. Una storia cristiana.

Nicola Z.

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I miracoli eucaristici: tra fede e ragione, spirito e materia

 Miracolo eucaristicoIn una delle mie ultime catechesi su Radio Maria, mentre si parlava dei miracoli, un radioascoltatore ha telefonato facendo una domanda pertinente e intelligente: a senso, “Come mai i miracoli eucaristici non sono valorizzati come meriterebbero dalla teologia e devozione cattolica? Eppure si tratta di prove evidenti della presenza nell’Eucaristia di un qualcosa di più oltre al pane”.

Questa più o meno la mia risposta. Innanzitutto, non è del tutto vero che questi miracoli non sono sentiti dalla devozione popolare. Lo sono, e parecchio, a livello locale, come nel caso di tanti altri crocifissi, madonne e santi (v. nella mia terra a Bagno di Romagna). Se non raggiungono un adeguato livello “universale” la cosa può forse essere ricondotta a due motivi:

– si tratta di miracoli – in una certa misura – esistenzialmente neutri. Il vedere delle ostie integre dopo secoli, o delle macchie di sangue, o dei grumi di carne e sangue incorrotti, rischia di essere un qualcosa considerato estraneo dalla vita e dai problemi quotidiani;

– si tratta di miracoli nella percezione dei quali non appare, in maniera evidente, il meraviglioso dietro ad essi, come può essere vedere il sole che si muove, uno zoppo che cammina o un malato di idropisia al quale si “sgonfia” il ventre a vista d’occhio (cf. il miracolo che ha portato alla conversione del premio nobel Carrel a Lourdes).

Eppure, appunto, i miracoli eucaristici (anche se non forti dal punto di vista esistenziale e “a pancia”) sono razionalmente di un valore incommensurabile nella percezione del divino. Il racconto di uno zoppo che cammina, magari in un contesto di secoli o millenni fa, può smuovere partecipazione e interesse ma dal punto di vista scientifico rimanere debole come prova, in quanto difficilmente falsificabile (cioè dimostrabile vero o falso). E questo non accade con i miracoli eucaristici, che si sono dimostrati essere duraturi nei secoli e indagabili con prove di laboratorio.

I miracoli eucaristici presentano inoltre un valore teologico potenzialmente molto più utile e fruttuoso che non i miracoli di guarigione. Non è un caso che siano stati particolarmente numerosi nel medioevo, in particolare nel 1200. Si è trattato di un secolo segnato da molte eresie dualiste e manichee (valdesi, bogomili, catari, patari, albigesi), che in sintesi dicevano: spirito buono, materia cattiva. Dunque malvagi anche stato, chiesa, ricchezza, matrimonio, procreazione, oltre ovviamente l’Eucaristia. Con conseguenti orde di puristi talvolta preoccupate più a distruggere monasteri e uccidere vescovi grassi (come sintetizza Eco ne Il nome della rosa) che non a cercare la perfezione spirituale. Più in sintonia teorica con religioni orientali (prima nobile verità del Buddhismo: tutto è male) che non col vangelo cristiano.

La reazione dei prìncipi medievali, che non gradivano i “pezzenti” che incitavano tra l’altro a non pagare tasse e disconoscere il potere politico, è stata l’istituzione dell’Inquisizione, alla quale la Chiesa ha portato il proprio contributo di discernimento circa le eresie. E la reazione di Dio è stata quella di manifestare la sua presenza evidente nella materia, appunto nei miracoli eucaristici, nei quali non cambia solo la sostanza (da pane a carne di Cristo) ma cambiano anche gli accidenti (colore, odore, sapore).

Tra i miracoli eucaristici più rinomati va certamente annoverato quello di Bolsena: “750 anni fa (1263) di questi giorni si verificava a Bolsena, in provincia di Viterbo, un grande prodigio che viene ricordato con il nome di “miracolo eucaristico di Bolsena”. Un sacerdote (Pietro da Praga), mentre celebrava la Messa, ebbe dei dubbi sulla reale presenza di Cristo nell’Ostia Consacrata e in quel momento l’Ostia cominciò a versare sangue, confermando prodigiosamente la presenza reale di Cristo nel pane eucaristico” (vedi articoli su Zenit, 1 e 2).

La sua eccezionalità va ricondotta anche all’immediato riconoscimento da parte ecclesiale del fenomeno, sancito dalla bolla di Papa Urbano IV Transiturus de hoc mundo (1264) che istituiva la solennità del Corpus Domini. A sottolineare che i miracoli eucaristici non sono solo cose medievali, epoca in cui appunto ce n’era particolare bisogno, può essere utile ricordare anche il recente (1992) miracolo di Buenos Aires, legato a Papa Francesco.

In sintesi, i miracoli eucaristici ci dicono: non solo che c’è un Dio capace di violare le leggi fisiche; non solo che nell’Eucaristia c’è davvero Gesù, potente aiuto per la nostra vita spirituale; ma anche che questo uomo-Dio, che non ha disprezzato di farsi carne una volta, e pane molte altre volte, ci invita a rispettare la materia quale essa è, una creazione divina.

Roberto Reggi

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Sei risposte a chi sostiene l’aborto

NeonatiNon si può essere contrari all’aborto e comunque favorevoli alla sua legalizzazione. Se si definisce l’aborto un dramma e si è contrari ad esso, l’unico motivo per assumere questa posizione è perché si ha la sufficiente onestà intellettuale di riconoscere che l’embrione e il feto sono esseri umani. Nessuno infatti si dispiacerebbe o riterrebbe un dramma estirpare un grumo di cellule o qualcosa che non sia un essere vivente.

Una volta che si riconosce e si accetta l’evidenza scientifica, cioè che zigote, embrione, feto, neonato, bambino ecc sono semplici passaggi di un unico sviluppo umano, non è più eticamente e moralmente accettabile essere favorevoli all’omicidio di tale essere vivente, nella prima fase della sua esistenza (zigote-bambino) così come in quella finale (adulto-anziano). Il diritto alla vita di ogni essere umano deve prevalere sul diritto di autodeterminazione e sul desiderio di disfarsi di altre persone chiamate alla vita.

Per questo motivo, come dicevamo in un precedente articolo, chi vuole sostenere l’aborto è costretto a rifugiarsi nel “funzionalismo”, che spiegheremo nella risposta al punto 1), inventandosi la categoria degli “esseri umani non persone”. Il filosofo Peter Kreeft, docente presso la Villanova University e il Boston College, ha replicato alle più note argomentazioni abortiste dividendole in sei punti.

 

1) L’abortista sostiene che: esiste una triplice distinzione tra vita umana, essere umano e persona umana. Una singola cellula tenuta in vita in un laboratorio si potrebbe definire “una vita umana”, ma non certo “un essere umano” o “una persona umana.” “Un essere umano” è un individuo biologicamente appartenente alla specie umana, ma se non può fare niente di tipicamente umano allora non è una persona. Ovvero, se non può: pensare, sapere scegliere, amare, sentire, desiderare, mettere in relazione, aspirare, conoscere se stesso, conoscere Dio, conoscere il passato, conoscere il suo futuro, conoscere il suo ambiente, comunicare ecc., allora non è una persona umana e dunque non possiede alcun diritto (come quello alla vita).

Risposta: tale argomento si basa sul funzionalismo. La definizione di una persona deriva dal suo funzionamento o dal suo comportamento, se non può dimostrare di essere persona allora non lo è. Vale a dire, soltanto gli uomini sufficientemente capaci di esprimere la loro personalità possono entrare nella categoria di persone e hanno il diritto alla vita. Ma chi può dire che cosa è “sufficiente”? La linea può essere tracciata a volontà, la volontà del più forte. Secondo Hitler gli ebrei non avevano sufficienti capacità per essere persone degne di rispetto, mentre prima era toccato agli zingari o ai neri. La storia mostra, spiega Kreeft, che «quando è nel proprio interesse uccidere alcune altre persone -feti, nemici dello stato, ebrei, armeni, cambogiani ecc.- basta semplicemente definire le vittime come non-persone, sottolineando che non soddisfano determinati criteri. Ma chi stabilisce i criteri? Chi è al potere, naturalmente». Ogni volta che la personalità è definita funzionale, la linea di demarcazione tra persone e non-persone si baserà su una decisione della maggioranza che è al potere, una decisione di volontà. Tale decisione, data la caducità della natura umana, sarà inevitabilmente basata sull’interesse personale.

Inoltre, chi prova a sostenere con il funzionalismo la categoria degli “esseri umani non persone” si trova a dover necessariamente ampliare gli inclusi, non solo zigoti-embrioni-feti umani ma anche neonati, disabili e malati gravi. Lo hanno dimostrato i ricercatori Minerva e Giubilini della Consulta di Bioetica (laica), guidata da Maurizio Mori e presieduta da Beppino Englaro, i quali hanno affermato: la «non-persone non hanno diritto alla vita, non vi sono ragioni per vietare l’aborto dopo il parto», da praticare finché il soggetto non è «in grado di effettuare degli scopi e apprezzare propria vita». Così, «i feti ed i neonati non sono persone, sono ‘possibili persone’ perché possono sviluppare, grazie ai loro meccanismi biologici, le proprietà che li rendono ‘Persone’», ed è lecito ucciderli perché, «affinché si verifichi un danno, è necessario che qualcuno sia nella condizione di sperimentare tale danno». Chi rifiuta tale argomentazione per i neonati -perfettamente coerente in un approccio funzionalistico- deve necessariamente rifiutarla anche rispetto a zigote-embrione-feto.

 

2) L’abortista sostiene che: il pro-life commette il peccato intellettuale di biologismo, l’idolatria della biologia, quando definisce una persone usando una via meramente biologica, materiale. L’appartenenza a una specie biologica non è moralmente rilevante, non è ciò che rende le persone inviolabili e sbagliato l’omicidio. L’appartenenza alla specie umana non è più moralmente rilevante di appartenenza la sottospecie o razza. Se il razzismo è sbagliato, così è specismo.

Risposta: il termine “essere umano” non è meramente biologico, perché la realtà che designa non è puramente biologica. Identificare gli esseri umani come persone non è biologismo, è proprio il contrario: è l’affermazione implicita che le persone, cioè, gli esseri umani, hanno un corpo biologico umano e un’anima spirituale umana. La ragione per cui dovremmo amare, rispettare e non uccidere gli esseri umani è perché sono persone: se i robot potessero fare tutto ciò che fanno le persone, essi non sarebbero ancora persone. Le persone sono naturali, necessitano di un corpo umano non artificiale.

 

3) L’abortista sostiene che: i pro-life commettono un errore sostenendo che la personalità inizia bruscamente, al momento del concepimento. Invece la personalità si sviluppa e cresce gradualmente.

Risposta: il ragionamento è corretto, lo sviluppo è graduale da dopo il concepimento. Non esiste una demarcazione netta tra il “prima” e il “dopo”, io sono lo stesso essere umano dal concepimento in poi, altrimenti non si potrebbe parlare di crescita e sviluppo. Il mio funzionamento si sviluppa gradualmente, ma il mio apparire ha un inizio improvviso, è una singolarità, esattamente come la crescita graduale dell’Universo dopo l’esplosione iniziale ed improvvisa del Big Bang.

Inoltre, se la personalità è solo una via di sviluppo graduale allora non saremo mai pienamente persone, perché continuiamo a crescere, almeno intellettualmente, emotivamente e spiritualmente e dunque l’omicidio è solo in parte sbagliato. Ed ancora: se si ritiene più lecito uccidere un feto che uccidere un bambino perché il feto è “meno” una persona, allora esattamente per la stessa ragione sarà più lecito uccidere un bambino di sette anni, che non ha ancora sviluppato molte delle sue competenze educative, comunicative e razionali, che uccidere un uomo di 30 anni. E’ la conclusione assurda di chi ragiona a favore dell’aborto tramite il funzionalismo e le “capacità” di zigote-embrione-feto.

 

4) L’abortista sostiene che: i pro-life confondono le potenziali persone con le persone reali. Il feto è potenzialmente una persona, ma deve crescere per essere una persona reale. E’ un’affermazione simile alle precedenti.

Risposta: se il feto è soltanto una persona potenziale, deve pur essere un qualcosa di reale al fine di essere una persona potenziale. Allora che cosa è? Una cellula? Una scimmia? Un oggetto? No, non esistono “persone potenziali” più di quanto non ci sono “scimmie potenziali”. Un embrione umano diventerà certamente un bambino, così come l’adolescente diventerà certamente un adulto, a meno che la loro vita non venga interrotta prima. Non esistono “persone potenziali” come non esistono “adulti potenziali”.  Tutte le persone sono reali, come tutte le scimmie sono reali. Al massimo possiamo dire che scimmie reali sono potenziali nuotatrici e che persone reali sono potenziali filosofi. L’essere è reale, il funzionamento è potenziale, l’obiezione confonde “una persona potenziale” con “una persona potenzialmente funzionante”. E’ nuovamente la fallacia del funzionalismo. Nessuno ha mai pensato a questa categoria di esseri viventi (le potenziali persone) prima che sia nata la controversia sull’aborto, è molto sospetto che una categoria sia stata inventata per giustificare l’uccisione di altri esseri umani.

 

5) L’abortista sostiene che: la personalità non è un concetto chiaro. Non c’è un accordo universale su di essa, filosofi, scienziati, persone religiose, moralisti, madri e gli osservatori in generale la definiscono in modo diverso. Si tratta di una questione di opinioni e tali devono determinare la linea di demarcazione tra le persone e le non-persone e le opinioni di alcuni non dovrebbero essere imposte a tutti.

Risposta: la personalità è un concetto poco chiaro? In realtà la personalità dell’embrione-feto-neonato-bambino non dovrebbe nemmeno entrare nel dibattito sull’aborto così come non rientrerebbe nel dibattito sull’eventuale legittimità dell’infanticidio: nessuno sostiene che uccidere un bambino è meno grave che uccidere un adulto perché quest’ultimo ha evidentemente acquisito “più personalità” del primo.

Tuttavia l’obiezione della non chiarezza del concetto di personalità si può rivoltare contro all’abortista: se fosse una questione di grado, determinata dal grado di funzionamento, allora sì che sarebbe davvero poco chiaro e una questione di opinione. Quali caratteristiche contano come prova di “personalità”? Quanto di ogni funzione è necessaria per essere persona? Perché proprio queste caratteristiche? Tali caratteristiche sono presenti nei neonati o nei disabili gravi? Chi è l’autorità che decide per tutti e dunque impone la sua opinione a tutti? Chi dà ad essa questo diritto? Quando qualcuno sarà in grado di rispondere a queste domande allora l’approccio funzionalistico non sarà più un concetto poco chiaro altrimenti si commette l’ennesimo errore di voler andare verso l’oscuro e ignoto (presunti tali) attraverso ciò che è ancora più oscuro e più ignoto (Ignotum per ignotius).

 

6) L’abortista sostiene che: un feto non può essere una persona perché è parte di un’altra persona, la madre. Le persone sono interi, non parti. Le persone non fanno parte di altre persone e il feto è parte di un’altra persona, quindi, il feto non è una persona.

Risposta: l’obiezione è ovviamente la più fantasiosa e se ne conclude che è il parto a generare le persone, mentre fino ad un secondo prima erano “non persone”. Affermazione non sostenibile in alcun modo, tant’è che tutte le leggi che regolamentano l’aborto (anche le più liberali) prevedono un termine oltre il quale non è più possibile interrompere la gravidanza in quanto ci sarebbe “l’evidenza” della presenza di un altro essere umano oltre la madre (in Italia dopo la scadenza dei 90 giorni). E’ chiaro che tale linea di demarcazione temporale è scientificamente e filosoficamente errata e ingiustificata e dovrebbe essere posta al momento tra prima e dopo il concepimento, tuttavia ricorda che il diritto di autodeterminazione è sempre sconfitto dal diritto alla vita.

In ogni caso è possibile replicare all’obiezione originale in un modo dal contenuto esilarante: l’argomento si basa su quel che i logici chiamano relazione transitiva. Se A è parte di B e B è parte di C, allora A deve essere parte di C, cioè se un muro è parte di una stanza e la stanza fa parte di un edificio, allora il muro -in ogni sua parte- deve essere parte di tale edificio. Ora, se il feto è una parte della madre, allora il feto e ogni sua parte deve essere parte della madre. In questo caso ogni donna incinta avrebbe quattro occhi e quattro piedi e la metà di tutte le donne incinte avrebbe un pene. Chiaramente tale conclusione assurda è derivante dalla falsa premessa che il feto è solo una parte della madre.

 

Concludendo dobbiamo sottolineare che la posizione in difesa della vita, assunta dalla Chiesa e da ogni persona di buona volontà (credente o no), è l’unica razionalmente ed epistemologicamente valida e accettabile. Chi la rifiuta solitamente non è in grado di dare ragione adeguata della propria posizione e chi prova ad avventurarsi cade necessariamente in contraddizioni o fallacie di vario tipo, le stesse che abbiamo in parte elencato in questo articolo.

La redazione

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Il problema del liberalismo…

Liberalismo 

di padre Angelo Bellon*
*docente di Teologia morale

 

da “Amici Domenicani”, 18/09/13

 

Il liberalismo è una corrente di pensiero che si esprime in tanti rivi. Diversamente dal marxismo, che ha la sua radice nel pensiero di un uomo, il liberalismo va a toccare tutti gli ambiti della vita umana. Sul versante antropologico e filosofico indubbiamente figura Cartesio. Su quello sociale possiamo citare per tutti Hobbes e Rousseau. Su quello più strettamente economico Quesnay, Adam Smith, Ricardo.

Il liberalismo, più che un sistema ben definito, è un orientamento del pensiero, in cui convergono diverse idee e si manifesta in molteplici campi: religione, politica, economia… La sua idea fondamentale è quella della libertà. L’uomo per natura è libero e sufficiente a se stesso. Deve affidare le proprie risorse alla ragione (razionalismo) e alla sua buona volontà (naturalismo).

Ora non vi è alcun dubbio che l’uomo sia libero. La Chiesa ha difeso questa verità fondamentale anche con dogma di fede. Il Magistero, con la Bolla Exurge Domine (15.6.1520), ha condannato l’affermazione di Lutero secondo il quale “dopo il peccato il libero arbitrio è cosa di solo titolo” (DS 1486). Il Concilio tridentino ha rafforzato tale condanna con una definizione dogmatica, affermando in pari tempo che l’uomo è libero ed è rimasto libero anche dopo il peccato originale: “Se qualcuno dice che il libero arbitrio dell’uomo si è perso ed estinto dopo il peccato di Adamo, o che è cosa di solo titolo o nome o invenzione introdotta da Satana nella Chiesa, sia scomunicato” (can. 5) (DS 1555).

Il Concilio Vaticano II dice che “la libertà nell’uomo è segno altissimo dell’immagine divina. Dio volle lasciare l’uomo in mano al suo consiglio” (Sir 15,14) così che egli “cerchi spontaneamente il suo Creatore, e giunga liberamente, con l’adesione a Lui, alla piena e beata perfezione” (Gaudium et spes 17). S. Tommaso aveva affermato che “l’uomo è simile a Dio non per il corpo, ma per l’anima, che ha la volontà libera e incorruttibile” (Expositio in Symbolum Apostolorum, in Opuscula theologica, Marietti, II, n. 886) e che per la libertà egli è “principio delle sue opere… e potestativo sulle proprie azioni” (Somma teologica, I-II, prol.).

Ma il liberalismo ha esaltato la libertà umana come se questa non fosse la libertà di un determinato essere, e cioè la libertà di una determinata creatura che non si è elaborata da se stessa, ma si trova costituita in quel determinato modo e con obiettivi intrinseci ben precisi. Penso che avesse ragione Giorgio La Pira a dire che i massimi mali di cui soffre la società odierna derivano dal liberalismo. Nota bene: Giorgio La Pira stava parlando della società del XIX secolo travagliata da impostazioni liberiste e totalitariste (nazismo e comunismo). Il totalitarismo, secondo Giorgio La Pira, è una reazione alle derive liberiste.

Se guardiamo le cose dal punto di vista antropologico, e cioè a che cosa l’uomo pensa di se stesso e delle relazioni con gli altri uomini è facile vedere come il pensiero di Cartesio abbia enormemente influito. Cartesio aveva detto “Cogito, ergo sum” (penso, dunque sono). Da qui l’affermazione che l’uomo è una sostanza pensante (un essere spirituale) e che il corpo è un’altra sostanza (sostanza estesa) congiunto con la sostanza pensante per mezzo della famosa ghiandola pineale. Da qui la conclusione che il corpo non è elemento essenziale della persona e che si trova in zona pre-morale, quasi alla pari di tutte le cose che ci circondano, delle quali possiamo farne quello che vogliamo. Di qui anche l’affermazione che la buona intenzione renderebbe buone tutte le azioni che si compiono e che in definitiva ognuno può fare quello che vuole, salvo non ledere la libertà altrui.

Secondo l’antropologia cristiana invece il corpo è elemento essenziale della persona. E proprio nel corpo troviamo indicazioni preziose che ci dicono quali siano gli obiettivi della persona e le vie per perseguirli. Si pensi solo alla sessualità, ai suoi significati scritti nella sua stessa struttura. Sicché le leggi della persona costituita in anima e corpo non sono solo leggi manipolabili come si vuole, ma sono leggi che indicano l’orientamento che la persona è chiamata ad assumere. Inoltre non basta la buona intenzione per giustificare qualsiasi azione, ma è necessario che ogni azione sia buona in se stessa, rispettosa soprattutto della dignità di tutte le persone, di ogni persona (soprattutto delle più fragili e indifese) e di tutta la persona. Giovanni Paolo II, in Centesimus annus, denuncia che tanti mali del mondo contemporaneo derivano da errori di carattere antropologico.

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Statistiche recenti sulla Chiesa cattolica nel mondo

Cattolici indiani«La Chiesa non cresce per proselitismo. La Chiesa cresce per attrazione, l’attrazione della testimonianza che ognuno di noi dà al Popolo di Dio», ha detto Papa Francesco durante la recente visita pastorale ad Assisi. Evidentemente ancora esistono tanti testimoni credibili di Gesù, per questo la Chiesa continua a crescere.

Sorprendente notizia quella su “La Stampa” di qualche giorno fa: il presidente cinese Xi Jinping ha chiamato in causa il potere della religione allo scopo di portare maggiore moralità in un Paese che sembra aver perso alcuni parametri fondamentali e sarebbe ormai disposto a lasciare maggior spazio al cattolicesimo e al buddhismo.

D’altra parte la comunità cattolica in Cina è sempre più numerosa superando i 16 milioni di fedeli, la fine delle discriminazione da parte del governo cinese, ufficialmente ateo, comporterebbe certamente un aumento notevole dei numeri.

La crescita della Chiesa cattolica ha subito un significativo aumento dopo l’elezione del nuovo Pontefice, come avevamo già avuto modo di osservare. L’effetto Francesco verso le persone lontane o allontanatesi dalla Chiesa non accenna a diminuire: il quotidiano filo-socialista “El País” ha analizzato alcuni studi sociologici recenti spiegando che in Spagna Francesco appare in cima alla classifica dei leader mondiali. In Francia, l’82% della popolazione considera l’elezione di Papa Francesco “giusta” e il 79% dei cattolici attende grandi riforme da lui e in Italia ispira fiducia all’83% di la popolazione (e il 95% di coloro che si definiscono cattolici). Anche in Russia ha l’appoggio del 71% della popolazione. A proposito di Italia, secondo una ricerca promossa dall’Uelci (Unione Editori e Librai italiani) mentre il mercato del libro è in forte crisi (-14% nel 2012 rispetto al 2011), solo l’editoria cattolica limita le perdite con un: -4%.

Secondo un’indagine del “Pew Research Center”, negli Stati Uniti Papa Francesco è visto favorevolmente da otto cattolici su dieci (79%) e dal 58% della popolazione generale. Solo il 4% dei cattolici e il 12% della popolazione americana ha un’opinione negativa su di lui. Negli USA stanno crescendo anche le vocazioni sacerdotali, come riporta il “Washington Post”: nel 2013 i diplomati nei seminari sono stati 3.694, con un incremento del sedici per cento rispetto al 1995 e del dieci per cento rispetto al 2005 e l’età degli studenti va dai 22 ai 45 anni, generalmente abbassata rispetto al passato.

Anche in Inghilterra e Galles proseguono i cambiamenti, questa volta grazie a Benedetto XVI e alla sua visita apostolica nel 2010: secondo i risultati emersi da un’inchiesta condotta in 22 cattedrali e presentati dal vescovo responsabile per l’evangelizzazione, Kieran Conry, c’è stato un aumento del 65% nelle confessioni ed un aumento delle persone che frequentano la Messa, non solo quella domenicale.

Segnalando il curioso fenomeno delle conversioni di massa in Georgia dall’islam al cristianesimo ortodosso (dal 75% di musulmano nel 1991 al 75% di ortodossi nel 2013), informiamo anche che l’interesse verso la fede cristiana è sensibilmente aumentata anche sul web. Secondo recenti statistiche, infatti, 55 milioni di persone ogni mese cercando la parola “Dio” attraverso il motore di ricerca “Google”, 37 milioni di persone cercano la parola “Chiesa”, 25 milioni la parola “Gesù” e 17 milioni di la parola “amore”.

Come sanno bene i sociologi, il fenomeno sarà sempre più decisivo grazie ad un dato particolare riscontrato nell’ennesimo studio di questo genere, realizzato in questo caso dal Center for Disease Control’s National Survey of Family Growth: le donne che frequentano la chiesa partoriscono più bambini e hanno 1.42 figli in media rispetto ai 1,11 figli delle donne in età simile che raramente o mai frequentano i servizi religiosi. L’indagine ha anche rilevato che le donne più religiose hanno anche detto che intendono avere più figli (2,62 per donna) rispetto alle donne non religiose (2,10 per donna).

La redazione

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Scuole paritarie: Rodotà ha problemi con i numeri…

Scuola elementareL’ottantenne giurista Stefano Rodotà è un uomo di grande spessore intellettuale ma forse la matematica non è il suo forte. Ancora combatte contro le scuole non statali come quando militava nel Partito Comunista Italiano. Ancora usa gli stessi slogan: «Non tagliare alla scuola privata per altri fini, ma per rendere la scuola pubblica adeguata ai propri fini», ha detto recentemente a Radio Popolare.

Ancora parla di “scuole private” in contrapposizione a quelle pubbliche, nonostante nel 2000 sia entrata in vigore la Legge 62 che afferma: «Il sistema nazionale di istruzione […] è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private». Le scuole paritarie sono scuole pubbliche perché forniscono un servizio pubblico. Bisogna ammettere che Rodotà ha fatto comunque uno sforzo, una piccola concessione: «Ammesso pure si possa pensare di dare denaro alla scuola privata, può avvenire solo dopo che tutte le esigenze della scuola pubblica siano state effettivamente soddisfatte». Leggiamo ancora la Legge 62: la differenza è tra scuole paritarie e statali, non tra paritarie e pubbliche, le scuole paritarie sono scuole pubbliche.

Entriamo ora nel merito di quanto dice Rodotà: le scuole statali sono in crisi dunque bisognerebbe prendere anche i fondi che vengono destinati a quelle paritarie. Eppure dei fondi totali dati all’istruzione, la scuola paritaria riceve meno dell’1%! Rodotà vorrebbe prendere anche quell’1%, come se davvero potesse cambiare la situazione quando non si è in grado di ottenere risultati con il 99% dei fondi destinati.

Senza contare, poi, che bloccando i fondi alle paritarie lo Stato smetterebbe di risparmiare e dovrebbe spendere 7 miliardi dii più all’anno. Secondo i dati Miur dell’agosto 2013, infatti, in Italia le scuole paritarie sono 13.807, raccogliendo un bacino di 1.000.034 alunni, circa il 10% del totale degli studenti italiani. La scuola statale accoglie invece 8.938.000. Le paritarie in media ricevono dallo stato 490 euro a studente, mentre per ognuno degli studenti che frequentano scuole statali le casse pubbliche sborsano 6.800 euro. Togliendo quell’1% di fondi destinati alle 13mila paritarie esse chiuderebbero e bisognerebbe ricollocare oltre 1.000.000 di studenti, con conseguenti esborsi da parte dello Stato. La Finanziaria 2015 avrebbe bisogno di quasi 7 miliardi aggiuntivi: molto di più dell’Imu o dell’aumento Iva di cui si è tanto discusso.

I numeri sono evidentemente aumentati dal 2010, quando la rivista specializzata “Tuttoscuola” ha calcolato che «si può stimare in un altro miliardo e 202 milioni il risparmio dello Stato per gli alunni iscritti in scuole primarie paritarie. Se le scuole paritarie non esistessero, lo Stato dovrebbe spendere 6 miliardi e 245 milioni all’anno per accogliere il milione e 60 mila studenti attualmente iscritti a scuole non statali». Togliere i fondi alle paritarie «è illogico», scrive Linkiesta, «perché le scuole private paritarie garantiscono a decine di migliaia di bambini un ampliamento di servizio per la collettività che, gestito direttamente dal pubblico, non sarebbe possibile».

Dopo aver perso il recente referendum Bolognese contro le paritarie, Stefano Rodotà ha chiaramente spiegato che a lui non interessa nulla se lo Stato risparmia grazie alla scuola paritaria, perché si tratta di «principi che non possono rimanere sulla carta e che, quindi, non possono essere messi tra parentesi con l’argomento dei vincoli imposti dalla crisi economica». Le scuole paritarie vanno chiuse per principio, punto e basta, poco importa se fanno risparmiare lo Stato! Sarà contento di sapere che nell’ennesimo sondaggio online ospitato da “Quotidiano Nazionale”, dopo quello su “La Stampa”, l’87% per cento dei votanti gli ha indirettamente detto: “caro Rodotà, abbandoni l’ascia di guerra e si goda la pensione: i suoi principi non sono i nostri”.

La redazione

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“Da ex-gay vi racconterò qualcosa sull’omosessualità”

catena spezzata 
 
di Raffaele U.*
*ex-omosessuale

 
 

Sono Raffaele, un ragazzo bresciano di 23 anni e probabilmente qualcuno di voi già mi conosce come “A. 27 marzo”, il nickname con cui scrivo sul forum “Si può cambiare”. Grazie a UCCR, cercherò nei vari post di far emergere la verità nascosta di quello che sembra essere diventato il primo punto di ogni governo, dagli Usa all’Italia, passando per la Francia e la Spagna: l’omosessualità e i suoi diritti. Lo farò raccontando la mia esperienza personale di ex-gay ed analizzando le reali motivazioni che si celano dietro la facciata della corsa al matrimonio e alle adozioni omosessuali come evoluzione civile.

Trovai le prime pillole scritte di verità sull’omosessualità in una recensione del libro “This way out” in cui Frank Worthen spiegava chiaramente le basi che portano allo sviluppo di tale condizione. Veniva sondato il mondo emozionale del bambino pre-omosessuale, in cui era presente la constatazione del padre distante mentre affrontava le sfide nel mondo (scuola, sport, amici) come prova della sua indifferenza. I padri venivano descritti come le “finestre sul mondo” della cui conoscenza, condivisione ed esempio i figli maschi avevano bisogno durante la crescita. Secondo l’autore senza tutto ciò il bambino si poteva estraniare e sprofondare nel mondo fantastico, troppo timoroso per quello reale. I coetanei l’avrebbero ridicolizzato escludendolo dal circolo: il rifiuto ne confermava la diversità con la relativa ammissione di non essere in grado di far parte del gruppo.

Inoltre venni a contatto con gli studi di Joseph Nicolosi, che nel libro “Identità di genere” affermava come spesso l’omosessualità maschile fosse legata all’incapacità di separare l’identità sessuale dalla madre. Quest’ultima aveva manifestato dei grandi bisogni affettivi ed esercitato un controllo eccessivo, conseguendo come risultato un attaccamento simbiotico col bambino. Secondo questo psicologo clinico e fondatore del Narth, il primo passo per cambiare stava proprio nel riconoscere e spezzare il legame, così da poter maturare sul piano affettivo per scoprire il proprio senso di sé, fisico e psichico. Consigliava di riconsiderare gli eventi della propria infanzia, soprattutto nei termini delle relazioni primarie, e andare oltre creando nuove relazioni che compensassero in modo maturo il vuoto vissuto durante lo sviluppo.

Ogni aspetto del mio passato si caricava di senso: era come essere sul tetto di un grattacielo ed osservare la panoramica della propria vita. Alla luce di queste sconvolgenti ed affascinanti scoperte, la psiche volava, mossa dall’ardente desiderio di dare nuova forma al contenuto della memoria emozionale. Era chiaro come l’incapacità di relazionarmi con gli altri maschi fosse connessa al legame conflittuale con mio padre così come l’attaccamento “appiccicoso” alle femmine fosse il tentativo di replicare la simbiosi materna. Riproducevo nel mondo le stesse dinamiche all’interno della famiglia, ma tutto era enormemente complicato. Più passavano gli anni e più il principio di realtà mi obbligava a fare i conti con la verità delle cose, mentre cercavo di rimanere il più a lungo possibile nella fantasia.

Compresi il motivo per cui nell’adolescenza era emerso in me il “personaggio del secchione”, che attutiva il sempre maggiore senso di smarrimento: mi ero rifugiato completamente nello studio tanto che i voti erano diventati l’unico motivo per cui gioire o soffrire, il mio dio. Compensavo l’incapacità di scorrere insieme ai miei compagni nelle varie fasi della crescita con il successo nei test scolastici, nell’illusione di non essere in difetto, ma addirittura superiore. I maestri mi prendevano come l’esempio perfetto, responsabile, educato e diligente, ma in realtà la scuola stava solo assecondando il mio delirio, reprimendo il profondo dolore. Come in famiglia, anche nella società mi ero dissociato dalla mascolinità e dall’istinto, sprofondando nell’essere tanto carino all’esterno quanto imploso all’interno, perdendo la libera espressione, la naturale autenticità, pur di avere l’illusione d’essere riconosciuto.

Ho riportato questa parte del mio diario per evidenziare come sia delicato il processo di presa di coscienza del proprio passato e di relativa rinascita. I collegamenti psicologici, seppur apparentemente evidenti, sono frutto di un’accurata analisi nel momento in cui costituiscono la propria identità. E’ necessario uno spazio sicuro per poter prendere contatto col proprio vissuto emozionale. In un clima di bombardamento dell’ideologia gay è praticamente impossibile per un ragazzino confuso iniziare a trovare dentro di sé le risposte alle domande che inevitabilmente si pone. Sembra una bestemmia prendere in mano personalmente la propria vita, permettersi d’indagare oltre il sistema corrente, che tra l’altro sta andando a pezzi. In nome della guerra per la fine dell’omofobia e ai diritti civili per tutti, viene magistralmente impedito di prendere in considerazione un’altra strada, una via matura e che mette al centro l’anima dell’uomo. Oggi si sta confondendo la percezione soggettiva di sé e della Vita e la libertà di autodeterminazione con meccanismi di compensazione, con l’emergere d’identità ferite che la società non è in grado di accogliere come una madre, ma solo di confermare passivamente come un estraneo.

Grazie per lo spazio concessomi e a tutti i lettori di UCCR che vorranno aiutarci a diffondere la verità sull’omosessualità e la transessualità.

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