Ora anche Alda D’Eusanio deve scusarsi con Max Tresoldi

Max Tresoldi e Benedetto XVIPiù volte abbiamo raccontato di Max Tresoldi, il giovane di Carugate (Milano) che nel 2001 si è risvegliato dopo dieci anni di stato vegetativo (permanente), che ha raccontato: «C’ero sempre stato. Sentivo e vedevo tutto, ma non sapevo come dirvelo». I media non gli hanno mai lasciato molto spazio, preferendo intervistare il luminare Umberto Veronesi che si riferisce così alle persone in questa condizione: «penosa presenza di questi morti viventi».

Nonostante il cervelletto tranciato e i consigli di staccare il respiratore artificiale, la mamma di Max, Ezia, non si è lasciata abbindolare dai cultori della cultura dello scarto e ha iniziato ad assistere suo figlio, tutti i giorni. Una sera in un momento di sconforto, dopo avergli fatto fare il segno di croce è crollata: «Gli ho proprio detto: adesso basta, questa sera non ce la faccio. Se vuoi farti il segno della croce, te lo fai da solo. Era una frase buttata lì, rivolta più a me stessa che a lui», ha raccontato. Improvvisamente Massimiliano ha alzato la mano e si è fatto il segno della croce da solo. Da quel momento, giorno per giorno, ha iniziato il risveglio, lento e faticoso, fino ad arrivare a scrivere e pronunciare le prime parole. Da allora, pur disabile, gira l’Italia a raccontare la sua storia e di come a salvarlo sia stata la cura dell’amore.

Lunedì pomeriggio, 4 novembre 2013, le telecamere di Rai1 del programma “La vita in Diretta”, condotto da Paola Perego e Franco di Rame sono entrate in casa Tresoldi, intervistando mamma Ezia e gli amici di Max. Ospite in studio anche Alda D’Eusanio, già simbolo della tv trash (a lei Pannella regalò un pacchetto di hashish in diretta e lei indossò la maglietta con scritto “Dalla: non è un cantante, è un consiglio”). Sui titoli di coda, mentre la famiglia Tresoldi e Max stavano ancora salutando, la D’Eusanio ha preso la parola: «Rivolgo un appello pubblico a mia madre, se dovesse accadermi quel che è accaduto a Max, non fare come sua mamma! Quella non è vita. Quando Dio chiama, l’uomo deve andare!». I conduttori scioccati, come racconterà Di Rame, hanno dato la parola a mamma Ezia negli ultimi secondi di trasmissione, mentre Max si agitava: «Voglio dire a quella signora che io non ho riportato in vita mio figlio, mio figlio è sempre stato in vita. E la sua vita è bella così com’è».

 

Qui sotto il video di quel che è accaduto in trasmissione

 

Il quotidiano“Avvenire”ha chiesto le scuse da parte della Rai che fortunatamente sono arrivate. «La Rai si dissocia dalle dichiarazioni e dai commenti che la giornalista Alda D’Eusanio ha indirizzato, nel corso della trasmissione “La Vita in Diretta”, a Max Tresoldi, la cui storia ha commosso milioni di telespettatori – ha scritto al direttore di “Avvenire” il responsabile relazioni con i media, Fabrizio Casinelli –. La Rai esprime solidarietà e comprensione alla famiglia, apprezzandone i valori e i sacrifici fatti per consentire al giovane Max di continuare a vivere nella convinzione che la vita è “bella così come è” e che merita di essere vissuta pienamente».

Questo pomeriggio alle 15:20 Max Tresoldi tornerà in diretta alla trasmissione di Rai1 (qui si può vederla dal PC). Ci auguriamo che anche Alda D’Eusanio chieda scusa a lui e alla famiglia, perché anche lei contribuisca a combattere quella “cultura dello scarto”, che –come si è lamentato Papa Francesco, «tende a diventare mentalità comune, che contagia tutti. La vita umana, la persona non sono più sentite come valore primario da rispettare e tutelare, specie se è povera o disabile, se non serve ancora – come il nascituro –, o non serve più – come l’anziano».

La redazione

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Perché laicità fa rima con cristianesimo

Salvatore VecaAbbiamo già parlato dell’ultimo libro del filosofo intollerante Paolo Flores D’arcais, direttore di “Micromega”, intitolato “La democrazia ha bisogno di Dio? Falso!” (Laterza 2013). In esso l’autore sostiene che «va negato radicalmente e in modo sistematico ogni ruolo pubblico delle religioni nella democrazia, perché qualsiasi ruolo pubblico minaccia e mette a repentaglio elementi essenziali del sistema democratico».

Solo gli atei possono partecipare alla vita pubblica perché «la democrazia è atea, imprescindibilmente», spiega Flores D’arcais. Il credente, se vuole parteciparvi, deve accettare l’«esilio dorato nella sfera privata» di Dio. L’autore ha l’obiettivo dichiarato di confutare la posizione del celebre filosofo tedesco Jürgen Habermas, secondo il quale invece la democrazia ha bisogno di un presupposto religioso. Tuttavia a leggere le parole di Salvatore Veca, filosofo, docente universitario e vicedirettore dell’Istituto Universitario di Studi Superiori di Pavia, sembra che l’intento non sia affatto riuscito.

Alla domanda su chi sceglie tra chi apprezza il ruolo delle religioni nello spazio pubblico, come Jürgen Habermas, e chi invece identifica la democrazia con l’ateismo, come Paolo Flores d’Arcais, il prof. Veca è chiaro: «Se per spazio pubblico s’intende l’agorà, un contesto sociale dove si parteggia, si cerca di convertire gli altri, si misurano proposte alternative, Habermas ha ragione. Qui le fedi hanno piena cittadinanza: ciascuno deve essere preso sul serio e non si deve chiedere a nessuno di revocare le proprie lealtà. La libertà democratica del resto nasce quando, dopo la tragedia delle guerre di religione, a ciascuno viene riconosciuto il diritto di adorare Dio come preferisce. Ma ciò comporta appunto la laicità dello Stato, il divieto di usare il potere coercitivo per favorire un singolo credo».

Salvatore Veca ha appena pubblicato il libro “Un’idea di laicità” (il Mulino 2013) ed intervistato da “Avvenire” ha spiegato: «Al contrario di quanto si pensa solitamente la libertà religiosa non deriva dall’insieme dei diritti politici, ma li genera e li fonda, per tutta una serie di ragioni storiche e concettuali». Le varie religioni possono fermarsi all’indifferenza reciproca, oppure arrivare all’«atteggiamento che, invece, Francesco sta testimoniando con le sue parole e con i suoi gesti: non l’indifferenza, ma l’attenzione, una curiosità verso l’altro che diventa apertura, passione, disponibilità a imparare. Sempre nel contesto della laicità, si badi bene, e senza mai venir meno alle proprie credenze».

«La laicità», ha proseguito il filosofo, «intesa nel suo significato più autentico, appartiene al cristianesimo in modo irrinunciabile e costitutivo. Per rendersene conto basta ascoltare l’esperienza di tanti parroci, di tanti sacerdoti che stanno vicini alle persone nei loro drammi e nei loro bisogni più profondi. È l’esempio dato da Francesco, appunto: non esporre agli altri la dimostrazione delle ragioni per cui sarebbe legittimo o sensato credere, ma rendere evidente che c’è una vita spesa e vissuta, in concreto, sulle ragioni della fede».  «L’insistenza di papa Francesco sulla verità», ha concluso, «vissuta come relazione, e non imposta come astrazione, conduce verso questo orizzonte di serietà, oltre che di precisione concettuale. Ecco, esattamente questo è lo stile di Francesco, lo stile della laicità»

La redazione

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Odifreddi razionalista e zimbello del web

odifreddi-camereOdifreddi negazionista antisemita? E’ questa l’idea che ci si è fatti leggendo i resoconti mediatici sul recente caso delle affermazioni sull’Olocausto come “opinione”, pronunciate dal matematico in pensione. Eppure, chi ha letto quello che davvero ha scritto sul suo blog e chi conosce i suoi scritti sa benissimo che Odifreddi non è negazionista, ma semplicemente incompetente sulla maggioranza di argomenti di cui si vuole occupare. Questo lo porta a continue di queste gaffe, ribattezzate odifreddure.

Della competenza storico-filosofica di Odifreddi il laico Gian Enrico Rusconi ha un’opinione chiara: «Non è difficile controbattere le ingenuità intellettuali del matematico Odifreddi, magari simpatico nel suo sfottente ateismo, ma poco consistente sul piano filosofico e storico». Se anche nel mondo matematico è un illustre sconosciuto, anche in ambito di divulgazione scientifica -suo campo specifico- ha ricevuto pochi consensi ma sopratutto ben due Asini d’Oro, assegnati da ricercatori scientifici, come peggior divulgatore scientifico dell’anno. La sua (in)competenza storica l’ha confermata recentemente scrivendo che «il processo di Norimberga è stato un’opera di propaganda. Non entro nello specifico delle camere a gas, perché di esse “so” appunto soltanto ciò che mi è stato fornito dal “ministero della propaganda” alleato nel dopoguerra. E non avendo mai fatto ricerche al proposito, e non essendo comunque uno storico, non posso far altro che “uniformarmi” all’opinione comune. Ma almeno sono cosciente del fatto che di opinione si tratti».

E’ vero che Odifreddi non è nuovo a posizione controverse verso persone ebree, come abbiamo già fatto notare, ed è vero anche quello che scrive sul “Corriere” l’ebreo Stefano Jesurum: «Odifreddi si esercita anche nell’arte antica dell’intellettuale a tutto tondo, del grillo parlante, nella fattispecie blogger di Repubblica. E spesso inciampa, ruzzola, travolgendo il buon senso e il buon gusto oltre che il rispetto per i lettori, l’opinione pubblica, la Storia. Succede da anni: le sabbie mobili in cui si perde sono sovente quelle dell’antisemitismo più o meno conscio e del negazionismo». Tuttavia, come dicevamo, in questo caso le accuse di negazionismo e antisemitismo piovutegli addosso dal mondo intero («volgare ipocrita negazionista» è stato definito su “La voce repubblicana”) e dallo stesso quotidiano per cui scrive, “Repubblica”, sono errate. 

Quel che invece tali frasi rivelano è semplicemente l’irrazionalità del razionalismo di cui è così orgoglioso. Ovvero: se esiste solo ciò che è dimostrabile scientificamente, come dicono i razionalisti odifreddini, tutto il resto è mera opinione, comprese le camere a gas. «Ai martellatori di verità, ultimi eredi del positivismo ottocentesco, mentre si aggrappano alle loro opinioni capita spesso di martellarsi le dita», ha commentato infatti Aldo Grasso, editorialista de “Il Corriere della Sera”. Guido Vetere su “Il Sole 24 ore” ha scritto invece: «Credere che una cosa come l’Olocausto sia accaduta sarebbe dunque, in qualche misura, simile ad un atto di fede. E sappiamo che con la fede Odifreddi è un po’ a disagio: sembra infatti che egli voglia sostituirla integralmente con la ragione (la sua), senza molti residui. Purtroppo però gli strumenti della ragione (non solo quella di Odifreddi) sono quelli che sono, e la pretesa del matematico frana spesso nel ridicolo».

Ci ha pensato il “Festival delle scienze” attraverso un comunicato a smontare con autorità il razionalismo scientista di Odifreddi: «le scienze storiche, nonostante non siano solo caratterizzate da un approccio sperimentale sono da considerarsi scienze in senso stretto e le conclusioni a cui giungono hanno pari valore di quelle a cui giungono quelle sperimentali. Da questo punto di vista, tornando alle affermazioni di Odifreddi, non solo la storiografia, ma anche le testimonianze e le certificazioni giuridiche hanno dimostrato senza ombra di dubbio la drammatica verità di quella che è stata una delle più grandi tragedie della storia dell’uomo». A causa del fatto che Odifreddi sarà loro ospite, i responsabili del “Festival della scienza” hanno voluto precisare che «le affermazioni e le posizioni di Odifreddi non corrispondono minimamente allo spirito del Festival».

Tuttavia, piuttosto che rivedere le sue posizioni, scusarsi e godersi la pensione, Odifreddi ha voluto -almeno inizialmente- rispondere freneticamente a tutti gli intellettuali e gli storici che hanno osato criticarlo sui vari quotidiani. Per questo Aldo Grasso ha contro-replicato: «Invece di processare le intenzioni e perdere tempo a fare repliche offensive e pretestuose, Odifreddi farebbe bene a meditare un po’ prima di scrivere su temi così delicati». Il direttore de “La Stampa”, Mario Calabresi, ha invece risposto: «L’incapacità di fare marcia indietro, di scusarsi produce reazioni grottesche come quella di dipingere “La Stampa” come una macchina del fango, quando ha solo fatto informazione accendendo una luce su una vera macchina di negazionismo e becero antisemitismo come quella scatenata da Odifreddi con un suo sciagurato post». Su “Panorama” articolo ironico: «Due sfondoni in 26 giorni. Una media scientificamente ipotizzabile di 14,1 minchiate all’anno. La teoria della calcolabilità, in cui Odifreddi è un maestro, spiega che, secondo la logica delle funzioni automatiche, il professore, laureato nel 1973, è stato diversamente ciuccio 564 volte minimo. Se la matematica non è un’opinione, il professore se l’è fatta da solo la macchina del fango». Odifreddi ha anche riportato una lettera di Chomsky che solidarizza con lui, utilizzando quella che dal punto di vista della retorica e della logica è una fallacia ab auctoritateuna cosa falsa non diventa più vera per il fatto che a dirla, e ad appoggiarla, stia una autorità.

Se prima il suo blog ospitato su “Repubblica” era popolato solamente da odifreddini scodinzolanti, anticattolici, atei militanti e anticlericali ora, si legge su “La Stampa” è divenuto calamita anche per gli antisemiti. Mentre Odifreddi è il nuovo zimbello del web, tra varie volgarità e simpatici tweets: «odifreddi fa vacillare il mio ateismo», «se ho capito bene devo smettere di credere nell’esistenza di Odifreddi», «io sono un negazionista di Odifreddi. Non è mai esistito. E’ un software bielorusso». E c’è chi brucia i suoi libri ironizzando: «E’ in un certo senso rivelatorio che Odifreddi si dica più convinto dell’esistenza della “Natura Madre onnipotente” che delle camera a gas». «Da quando (cioè da sempre) si è messo in testa di consolidare la sua fama attraverso la contrapposizione tra il suo rigoroso razionalismo e le superstizioni cattoliche, ha iniziato a frequentare assiduamente inesattezze e strafalcioni» si legge su “Italia Oggi”, prima dell’elenco delle sue più note odifreddure.

Come se non bastasse il programma radiofonico “La Zanzara” lo ha ulteriormente messo in ridicolo con uno scherzo. Un finto Papa Bergoglio ha telefonato ad Odifreddi e il noto ed indomito laicone ha risposto scodinzolando, chiedendogli una prefazione al suo nuovo libro e facendo inconsapevolmente conoscere ai suoi fans che partecipa alle messe in Vaticano. Odifreddi chiede la prefazione, dunque, al capo dei “cretini” è stato fatto notare, come lui ritiene essere i cristiani.

 

Qui sotto lo scherzo telefonico a Piergiorgio Odifreddi

 

Perfino un fondatore dell’associazione atea UAAR, Giacomo Andrei, primo presidente del circolo di Siena, ha chiesto che venga tolta la presidenza onoraria a Odifreddi, spiegando che il professore «ha sempre dimostrato disprezzo per i giovani che hanno intrapreso studi umanistici ed esaltato la scienza, ma francamente nella sua vita di contributi alla scienza od alla sua divulgazione non se ne sono visti.». Ultimamente «si è lanciato in tesi negazioniste (ammantate di furbesco libertarismo di pensiero e di beneficio del dubbio) in merito allo sterminio degli ebrei e dell’esistenza stessa dei campi di concentramento e dell’esistenza delle camere a gas. Portandosi dietro un nugolo di nazifascisti e la riprovazione di gran parte del mondo della cultura e della società civile». Ha concluso Andrei: «Lui è libero di […] sostenere tesi insostenibili, solo per occupare un ruolo e godere della popolarità derivata, per quanto negativa (e magari incassare gettoni di presenza nei talk-show televisivi). Ma, detto chiaramente, mi sembra veramente inopportuno che possa contemporaneamente continuare a ricoprire la carica di presidente onorario, e che il discredito e l’indignazione, che lui si diverte a suscitare, ricadano anche sulla nostra associazione. Un personaggio che nel suo campo specifico non ha prodotto nulla di buono, e che perde tempo ad occuparsi in modo dilettantesco, anzi, diciamo pure, cialtronesco, di religione, storia e filosofia (pur essendo un personaggio televisivo), non merita sinceramente di ricoprire un tale ruolo onorifico».

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Il senso religioso di Federico Fellini

Federico FelliniA vent’anni dalla sua scomparsa l’Italia celebra il ricordo del celebre Federico Fellini, le cui pellicole hanno fatto sognare intere generazioni, comprese quelle più giovani come le nostre.

Indimenticabile la malinconia de “La Strada”, dove il regista sembra suggerirci che la rinascita non può che partire dal recupero della possibilità di stupirsi davanti ad ogni sasso del creato, da quel desiderio di compagnia e di amore gratuito superiore ad ogni odio. Non a caso Papa Francesco lo ha recentemente definito «il film che forse ho amato di più» e «il film più bello e più francescano».

Padre Virgilio Fantuzzi, classe 1937, è stato sul set «anche di notte, provvisto del “cestino” offertomi dalla troupe» dei più importanti film di Fellini, di cui era amico. «Se ho potuto beneficiare della sua amicizia», ha spiegato il gesuita ad “Avvenire”, «fatta di tante confidenze, osservazioni, telefonate e confronti dopo aver letto le mie recensioni attorno alle sue pellicole, lo devo soprattutto al direttore della fotografia Peppino Rotunno, che mi permise di essere sui set dei suoi film, e a padre Angelo Arpa, amico intimo del regista, quello che è stato per tutti il prete di Fellini. Fu Arpa a darmi le prime chiavi di lettura per capire la grandezza del genio di Rimini, a cominciare dallo Sceicco Bianco».

Una fede istintiva, quella di Fellini, dotato di uno spiccato senso religioso: «ho bisogno di credere» disse a Sergio Zavoli. «E’ un bisogno né vivo né maturo, per la verità, un bisogno infantile di sentirmi protetto, di essere giudicato benevolmente, capito, e possibilmente perdonato».

«Occorreva riconoscere», ricorda ancora padre Fantuzzi, «la grandezza di un genio che, con il suo retroterra cattolico, ha in fondo raccontato – a volte in modo implicito e con originalità – il suo rapporto con la fede ma anche con i riti della Chiesa», anche se -precisa- «Federico non ha mai varcato il limite che separa la religiosità implicita da quella esplicita. In parole povere non esiste un suo film interamente intessuto di tematiche religiose, anche se si può dire che ogni sua opera è animata dal soffio misterioso di un Dio nascosto». L’ultima volta che lo vide, pochi giorni prima della sua scomparsa, Fellini congedò padre Fantuzzi citando Jung: «”Il sentimento religioso ci dice che l’uscita è verso l’alto”. Parole che mi illuminarono sulla continua ricerca e attenzione al trascendente del mio amico Federico».

La redazione

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Trasparenza e antiriciclaggio: migliora il rating del Vaticano

Piazza San Pietro 2In seguito alle più recenti iniziative intraprese per adeguarsi agli standard internazionali antiriciclaggio, è stato elevato lo «Standard Ethics Rating» (SER) attribuito allo Stato della Città del Vaticano a «EE» dal precedente «EE-».

Il passaggio da «EE-» a «EE» porta la Città del Vaticano a uscire dal gruppo di Stati rappresentato da Brasile, Bulgaria, Estonia, Messico, Polonia, Romania e Sudafrica, per entrare nello gruppo di Stati dove si trovano Giappone, Grecia, Italia, Portogallo, Repubblica Ceca e Slovacchia.

Un comunicato ufficiale rileva un «ridimensionamento» della distanza tra lo Stato della Città del Vaticano e «le richieste internazionali in fatto di trasparenza e di rendicontazione delle proprie finanze e delle proprie istituzioni finanziarie, ed una fattiva collaborazione per la crescita della Comunità internazionale». In sostanza, Standard Ethics riconosce che lo Stato vaticano è sulla strada giusta e sta collaborando con gli organismi internazionali per adeguarsi alle normative antiriciclaggio, «azioni che rafforzano – conclude il comunicato – il tentativo di creare un sistema di controlli efficace e sostenibile nel lungo periodo».

Nel frattempo sappiamo che Papa Francesco ha sospeso dal suo incarico il vescovo Franz-Peter Tebartz-van Elst fino a che non verrà portata a termine un’inchiesta sulle sue spese, circa 43 milioni di dollari per rinnovare la sua residenza ufficiale! Perché malgrado l’indicazione del diritto canonico a perseguire la vita semplice, ancora alcuni sacerdoti e vescovi vivono sfarzosamente? Se lo è domandato padre Dwight Longenecker su Aleteia, rispondendo: perché «sono caduti nella trappola della vanità, dell’avidità e del materialismo come tanti altri nella nostra società».

Per quanto riguarda i laici (intesi come i cattolici non sacerdoti), invece, «non sono chiamati alla povertà, ma sono chiamati ad essere buoni amministratori della loro ricchezza, e tutti i cristiani sono chiamati ad evitare materialismo, avidità e la trappola delle grandi ricchezze. Contrariamente all’opinione comune, ad ogni modo, ciò non vuol dire che i laici debbano essere poveri o dare tutto il proprio denaro ai poveri. Sono dell’opinione che i laici dovrebbero accumulare denaro per quanto possono. Se un uomo ha il dono di fare soldi, dovrebbe lavorare sodo, essere scaltro, condurre gli affari onestamente e fare quanto denaro può. Dovrebbe poi chiedersi cosa farci con tutto quel denaro. Un laico che guadagna molto denaro dovrebbe usare queste risorse per servire il Signore».

Infatti, conclude padre Dwight, «pensate a ciò che potrebbe fare la Chiesa se i ricchi considerassero la propria ricchezza il mezzo per fare del bene nel mondo! Costruiremmo nuove chiese e scuole. Costruiremmo cliniche per le donne che hanno una gravidanza critica. Serviremmo i poveri con scuole professionali e programmi di assistenza. Costruiremmo case per gli anziani e le doteremmo di personale. Finanzieremmo film, canali televisivi e stazioni radio per proclamare il Vangelo, e la lista potrebbe continuare a lungo!»

La redazione

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Il giudizio di Papa Francesco: «la famiglia è tra uomo e donna»

Papa francescoTornando in aereo dalla Giornata Mondiale della Gioventù in Brasile, papa Francesco ha esposto ai giornalisti quello che riporta da anni il Catechismo, ovvero che la Chiesa ha sempre condannato il peccato e non il peccatore. Il Pontefice ha spiegato: «Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla? Il catechismo della Chiesa cattolica dice che queste persone non devono essere discriminate ma accolte».

Se questa è la posizione della Chiesa rispetto ai fratelli omosessuali, il giudizio di Papa Bergoglio sul matrimonio e sulla famiglia è arrivato un mese dopo nel messaggio del Pontefice alla Settimana Sociale dei cattolici italiani: «La Chiesa offre una concezione della famiglia, che è quella del Libro della Genesi, dell’unità nella differenza tra uomo e donna, e della sua fecondità. In questa realtà riconosciamo un bene per tutti, la prima società naturale, come recepito anche nella Costituzione della Repubblica Italiana», ha spiegato Francesco. «Vogliamo riaffermare», ha proseguito il Pontefice, «che la famiglia così intesa rimane il primo e principale soggetto costruttore della società e di un’economia a misura d’uomo, e come tale merita di essere fattivamente sostenuta». Per sostenere tutto questo non occorre la fede: «Queste riflessioni non interessano solamente i credenti ma tutte le persone di buona volontà, tutti coloro che hanno a cuore il bene comune del Paese».

Come Benedetto XVI, anche Francesco ha puntato l’indice contro «le conseguenze, positive o negative, delle scelte di carattere culturale, anzitutto, e politico riguardanti la famiglia». Conseguenze che «toccano i diversi ambiti della vita di una società e di un Paese: dal problema demografico, che è grave per tutto il continente europeo e in modo particolare per l’Italia, alle altre questioni relative al lavoro e all’economia in generale, alla crescita dei figli, fino a quelle che riguardano la stessa visione antropologica che è alla base della nostra civiltà». Dobbiamo dare atto questa volta ai principali media di aver riportato la notizia senza le solite strumentalizzazioni o omissioni si veda ad esempio “Repubblica”.

Un altro giudizio interessante di Francesco è stato rivolto ai cattolici durante l’omelia nella domus di Santa Marta, invitandoli ad “immischiarsi in politica”: «Chi governa deve farlo con umiltà e amore, caratteristiche indispensabili. E i cittadini, soprattutto se cattolici, non possono disinteressarsi della politica». In particolare, ha proseguito Francesco, «un buon cattolico si immischia in politica, offrendo il meglio di sé, perché il governante possa governare». Ricordiamo che non è proprio una buona notizia per gli amici devoti al laicismo come il vaticanista Marco Politi, che infatti ancora una volta ha scelto di non commentare la notizia come invece avrebbe dovuto fare nel rispetto dei suoi lettori. Nemmeno Roberto Saviano ha commentato, lui che qualche mese fa invitava proprio i cattolici a non entrare in politica: «La Chiesa non ha alcun diritto di condizionare le leggi e le istituzioni dei paesi laici. I cattolici possono dire la loro, ma non influenzare o boicottare nuove leggi. Questo è profondamente ingiusto».

La redazione

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Le ragioni contro l’aborto di Pier Paolo Pasolini

Pierpaolo Pasolini 
 
di Michele Luscia
 
da Notizie Pro Vita, luglio-agosto 2013
 
 

Quando Pier Paolo Pasolini, nel 1975, pubblica sulla rubrica del Corriere della Sera “Scritti corsari” un articolo durissimo contro la legalizzazione dell’aborto, in tantissimi corrono a condannare la presa di posizione del poeta bolognese: i compagni comunisti, i movimenti femministi e, soprattutto, i radicali non comprendevano come un marxista omosessuale potesse difendere istanze che, allora, erano ritenute peculiari di una classe bollata come conservatrice e confessionale.

L’articolo esordisce con una frase che, considerata l’epoca, suonava quasi reazionaria: “Sono traumatizzato dalla legalizzazione dell’aborto, perché la considero, come molti, una legalizzazione dell’omicidio. Il poeta qui attinge a una sensibilità prenatale che egli sente viva nel quotidiano e nei sogni; egli ricorda la propria “felice immersione nelle acque materne: so che là io ero esistente”. Il messaggio di Pasolini a difesa della vita umana è racchiuso in queste parole, che danno la cifra dell’uomo e dell’intellettuale capace di difendere le ragioni della vita usando le ragioni della ragione. La vita è sacra, in assoluto, anche perché è presupposto irrinunciabile del pensiero umano; anche delle sue derive illuministe, nonché d’innumerevoli barbari ragionamenti positivisti.

La legge sull’aborto, sopprimendo l’esistenza di creature inermi, è senz’altro l’espressione più spietata del razionalismo positivista. Da ragazzo frequentavo le manifestazioni del Movimento per la Vita, ero un cristiano praticante e riponevo la mia fede in Dio, ma quando combattevo il relativismo etico e la cultura abortista usavo le armi della ragione. Oltre la stessa Fede ho sempre ritenuto la vita un valore laico e poi non mi andava di tirare per la giacca Dio per contrastare il pensiero di un uomo, mi appariva quasi blasfemo. Dicevo: “Se tutti gli uomini sono stati embrioni, perché non tutti gli embrioni possono diventare uomini?” e ancora: “Come si può stabilire per legge un termine entro il quale la vita non è tutelata?” e nessuno sapeva mai rispondere a queste banali domande.

Ricordo quando una mia cara amica rimase incinta per un rapporto occasionale, era giovanissima, non conosceva nemmeno il proprio partner e decise di abortire. Recatasi all’ospedale, in attesa del suo turno, vide una madre uscire con un bimbo tra le braccia e scappò via. Lo scorso anno si è sposata e ad accompagnarla all’altare c’era quel bambino ormai undicenne che, microfono alla mano, le ha dedicato una preghiera per la felicità della sua famiglia, commuovendo l’intera assemblea nuziale. L’aborto è una sconfitta della ragione e dei sentimenti, un crimine legalizzato, utile soltanto a rafforzare il relativismo etico tanto caro al potere consumistico. Per questo penso che nessuno possa dirsi abortista, per questo ritengo che la guerra all’aborto sia l’unica guerra in cui lo sconfitto è chi non combatte.

“Il fondo del mio insegnamento consisterà nel convincerti a non temere la sacralità e i sentimenti, di cui il laicismo consumistico ha privato gli uomini trasformandoli in brutti e stupidi automi adoratori di feticci”, diceva Pierpaolo Pasolini.

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Il furbo Dario Fo si inventa la censura per avere pubblicità?

Dario FoIl settantasettenne Dario Fo, dopo una vita di teatro, ha evidentemente ancora bisogno di stratagemmi mediatici per pubblicizzare i suoi spettacoli: è nato così il leggendario caso del Vaticano che censura il suo spettacolo commemorativo su Franca Rame e il suo libro sull’antipolitica “In fuga dal Senato”, previsto per il 18 gennaio prossimo e che avrebbe dovuto svolgersi all’Auditorium Conciliazione di Roma.

Vaticanisti affamati di anticlericalismo, come Paolo Rodari (passato da “Il Foglio” a “Repubblica” e convertitosi immediatamente alla linea editoriale di Scalfari), hanno immediatamente diffuso le accuse di “censura” da parte del Vaticano senza ovviamente riportare (o attendere) le parole della controparte. Come ad esempio quelle di Valerio Toniolo, amministratore delegato dell’Auditorium della Conciliazione, che ha spiegato: «Come fa Dario Fo a dire che il suo spettacolo è stato censurato? Lui stesso dice che in passato è stato ospite dell’Auditorium. In realtà lo spettacolo non è stato annullato perché non era mai stata data una conferma, e questo rientra nelle libere scelte di programmazione del nostro teatro. Il teatro ha il diritto e la possibilità di stabilire il proprio calendario in base alla propria attività artistica, nel modo che ritiene migliore. Questa è la base della programmazione. Non abbiamo fatto torto a nessuno. Stavamo decidendo quali attività svolgere e non è stata data una conferma sulla spettacolo di Dario Fo perché le nostre scelte di programmazione erano altre. Noi non abbiamo mai censurato nessuno nel nostro teatro. Ma visti i problemi che fa, se si vuole fare una provocazione, allora siamo ben contenti che lo spettacolo non si faccia all’ Auditorium».

E’ abbastanza curioso che un fiero anticattolico come Dario Fo abbia bisogno e voglia usufruire dei teatri cattolici per i suoi spettacoli, che ovviamente lo hanno sempre ospitato volentieri fin dal suo “Mistero buffo”. Fo ha anche inviato una lettera al Vaticano, ricattandolo per il fatto che Papa Francesco parla di “aperture” e la Chiesa non lo seguirebbe. A lui ha replicato padre Federico Lombardi, portavoce della Santa Sede: «In realtà nessuna autorità vaticana ne sapeva nulla, né alla Presidenza dell’Apsa, proprietaria dell’Auditorium, né in Segreteria di Stato, né ai Consigli della Cultura o delle Comunicazioni Sociali. Tuttavia dopo queste uscite mediatiche, che cercano di mettere in mezzo il Vaticano e il Papa in modo non corretto e forse addirittura strumentale, penso proprio che sia meglio che lo spettacolo non si faccia all’Auditorium».

«Non permettermi di andare in scena nel suo teatro è un autogol terrificante da parte della Santa Sede. Mi hanno fatto un grande regalo, forse mi vogliono bene, perché così non fanno che farmi pubblicità. Hanno solo mosso ancora di più la curiosità della gente. Abbiamo sospeso tutta la pubblicità, perché basta scrivere su una locandina ‘lo spettacolo rifiutato dal Vaticano’ per avere la fila», ha detto Dario Fo, rivelando perfettamente i veri motivi per cui ha avuto bisogno di mettere in atto tale caso mediatico. Lo ha riconosciuto anche Giuseppe Frangi scrivendo: «Fo è da sempre abilissimo nel cavalcare polemiche di questo tipo che portano alla fine acqua al suo mulino: del resto, lui stesso ha candidamente ammesso di aver ricevuto un regalo, perché questa polemica accende curiosità e interesse per uno spettacolo che forse non aveva un grande appeal».

Nonostante abbia incredibilmente ricevuto un premio Nobel («l’hanno dato ad ogni idiota di quinta categoria», ha spiegato Harold Bloom, celebre critico letterario americano, che l’abbiano dato a «Dario Fo è semplicemente ridicolo») sorprende tuttavia che abbia dovuto abbassarsi a tale livello per motivi pubblicitari. Anche volendo credere all’equivoco con i responsabili del teatro, e quindi ad una mezza buona fede di Fo, il suo comportamento mediatico è stato esagerato e gravemente diffamatorio. Nei commenti alla notizia sul “Corriere della Sera”, 146 voti positivi li ha ricevuti questo commento: “non ho capito bene: non ti vogliono dare un teatro per uno spettacolo e per questo dici che ti censurano? Secondo me, Fo va semplicemente alla ricerca di pubblicità con una polemica unilaterale. ci sono tanti teatri a roma, sicuramente ne troverà un altro. O immagina che tutti quelli che non gli concedono un teatro lo vogliamo censurare? Ma sia serio”. In un secondo articolo, il commento più votato è stato questo: “Il Vaticano dice ancora no…fa benissimo!!”.

Più o meno sono le stesse reazioni più approvate anche sui social network. Il furbo Dario Fo, «vecchio giullare della repubblica di Salò» come lo ha chiamato Oriana Fallaci a causa della sua convinta adesione giovanile alla Guardia Nazionale Repubblicana partecipando a diverse retate contro i partigiani comunisti nella Val d’Ossola, ha trovato certamente un modo efficace per farsi pubblicità. Tuttavia probabilmente la sua figura -ancora una volta- non ne è uscita tanto positivamente. Il suo comportamento in questo caso è stato molto vicino al fascismo di cui ha fatto parte in gioventù e che poi ha rinnegato.

La redazione

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Il fisico Meissner: «le leggi universali sono un indizio di Dio»

Krzysztof MeissnerTutti sanno quanto il celebre fisico Albert Einstein fosse affascinato dalle leggi universali e dall’ordine del cosmo, tanto che in tutto questo scorgeva l’opera di uno “Spirito infinitamente superiore”, come amava dire lui. «In considerazione di tale armonia nel cosmo», aggiungeva, «che io, con la mia mente umana limitata sono in grado di riconoscere, ci sono ancora persone che dicono che Dio non esiste. Ma ciò che veramente mi fa più arrabbiare è che mi citano a sostegno di tali opinioni».

La posizione di Einstein è riflessa certamente nelle parole di Krzysztof Meissner, docente di fisica teorica all’Università di Varsavia e uno dei massimi studiosi di fisica delle particelle in Europa. Meissner ha lavorato nei più importanti centri di ricerca al mondo e attualmente sta lavorando ad una versione “allargata” della teoria standard dell’universo, alla ricerca di una seconda «particella di Dio», dopo il Bosone di Higgs. In questi giorni ha partecipato al “Cortile del dialogo” a Varsavia, organizzato dall’arcidiocesi con il patrocinio del Pontificio Consiglio della cultura.

In una recente intervista, alla domanda sulla differenza tra uno scienziato ateo e uno credente, il cattolico Meissner non ha risposto denigrando chi non crede, come invece ci hanno abituato i militanti miscredenti che si occupano di scienza come Dawkins o Odifreddi. Ha semplicemente spiegato che di differenze, «nel modo di fare ricerca, nessuna. Entrambi usano gli stessi mezzi, usano la stessa matematica. La differenza è nell’approccio al risultato finale. Le leggi che governano l’universo si rivelano sempre semplici, eleganti, con un che di perfetto nella loro essenza. Se uno non crede in Dio constata questa perfezione e si ferma lì. Se uno è credente non può non vedervi un riflesso della perfezione di Dio. Quello che cambia è insomma il significato attribuito alle scoperte, l’ottica con cui le possiamo guardare e apprezzare».

A 52 anni, dopo una vita spesa per la fisica Meissner è ancora affascinato dalle leggi universali, «leggi che sono appunto semplici, eleganti, perfette, a cui rispondono tutte le cose. Un universo sorto dal caso dovrebbe essere caotico. Se ci fossero delle leggi non potrebbero essere universali nel tempo e nello spazio. Potrebbe esserci una certa misura di correlazione fra la cose, non di più. La presenza di leggi universali, che è la condizione di possibilità della ricerca scientifica, leggi che non cambiano dal lunedì al mercoledì, è qualcosa di stupefacente, che non smette di sorprendermi dopo tanti anni. La considero più che un indizio, direi quasi una prova della presenza di una realtà trascendente, del fatto che c’è qualcosa di più grande del mondo in cui viviamo. Cosa sia questa trascendenza, se sia un Dio personale o una divinità panteistica, è un quesito per rispondere al quale abbiamo bisogno della fede. Ma, ripeto, che ci sia una dimensione che trascende il nostro mondo, per me come scienziato è evidente».

Bisogna però stare attenti, avverte, a non «tirare in ballo l’intervento divino per colmare le lacune della nostra conoscenza. Ma una cosa va detta. Fino alla fine del XIX secolo è stata dominante una visione della scienza, originatasi anche per influsso della Rivoluzione francese, fortemente deterministica […]. Un determinismo che riguardava anche l’uomo. Ogni fenomeno era ritenuto spiegabile e prevedibile. La fisica quantistica ha spezzato le catene di questo determinismo duro e semplicistico e ha reso il mondo più interessante. Si può dire che abbia anche ricreato le condizioni per riflettere sull’altro grande mistero che, secondo me, spinge a considerare l’esistenza di una realtà trascendente e che sfugge al determinismo, il libero arbitrio dell’uomo».

Un’altra avvertenza di cui occorre fare tesoro per noi credenti è l’approccio al Big Bang che non va confuso con la Genesi di cui parla la Bibbia: «Prima di tutto perché non sappiamo se il Big Bang sia realmente esistito, o meglio: i nostri strumenti di fisica teorica ci permettono di capire l’universo solo fino a un certo punto di densità, oltre al quale non possono esserci più di aiuto. Può esserci stato un punto zero, un inizio di tutto, ma non possiamo escludere, andando a ritroso, di entrare in una sorta di tempo negativo, oltre il punto zero. Ho sempre considerato quindi azzardato mettere in parallelo il Big Bang e la Genesi. Anche i credenti non dovrebbero mai dimenticare che la Bibbia è una verità rivelata sulla relazione tra l’uomo e Dio, non su quella tra l’uomo e la realtà materiale».

Queste riflessioni di Meissner sono state inserite nella pagina, presente su questo sito web, che raccoglie le più interessanti citazioni sul rapporto tra scienza e fede dei più importanti scienziati moderni e non.

La redazione

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Suicidio di Carlo Lizzani: l’implosione dell’etica laica

Carlo LizzaniIl suicidio di Carlo Lizzani, il 5 ottobre scorso, è l’ennesimo caso di personaggi di laicità comprovata e manifestata (Monicelli, Lucentini, Magri, D’Amico ecc.) il cui senso dell’esistenza non ha retto di fronte all’invecchiamento e alla sofferenza. Ovviamente ai familiari va la nostra vicinanza e a Carlo il nostro rispetto, ma il suo tragico gesto, divenuto di dominio pubblico, va giudicato pubblicamente.

Come sempre accade in questi casi, molti esponenti della summa laicale hanno celebrato il suicidio di Lizzani come un atto di eroismo, di coraggio (anche se, a parte Umberto Veronesi, non si sono spinti fino alla logica conseguenza di invitare i giovani all’imitazione di questo valoroso gesto). Come spiegato da Tommaso Scandroglio, hanno sostenuto la loro posizione spiegando che il suicidio di Lizzani non va giudicato perché la morte è affare privatissimo. Peccato che subito dopo ne abbiano però fatto un affare pubblico e di Stato strumentalizzando tale morte per rilanciare la richiesta di eutanasia legale in Italia.

Ad abusare politicamente di questo “gesto privato” di Lizzani sono stati ovviamente i soliti radicali come Filomena Gallo e Mina Welby, abili manipolatori delle disgrazie altrui come ha sottolineato in precedenza il laico Sergio Romano.

I vari intellettuali di “Repubblica” e de “Il Giornale”, come Ozpetek e Feltri, hanno avuto il merito di evidenziare invece l’incoerenza della morale laica: il problema per loro non è quella di evitare suicidi e omicidi, ma di dare la possibilità di uccidere e di uccidersi in totale sicurezza. L’eutanasia in ospedale servirebbe a questo perché «il corpo di una persona schiacciata sul marciapiedi mi sembra un torto alla dignità», ha spiegato Ozpetek. È questione di stile: buttarsi giù da una finestra è volgare, suicidarsi con un’iniezione è invece molto rock.

Allo stesso modo per le stanze del buco: all’intellighenzia laica non interessa che i giovani si drogano e i motivi per cui lo fanno, l’importante è che lo facciano con siringhe sterili e in ambienti controllati. E ancora: è volgare che gli omosessuali comprino i bambini dalle povere donne indiane, molto meglio che facciano l’ordinazione e poi se li facciano regalare da occidentali “madri generose”, come ci hanno spiegato Chiara Lalli e Giuseppina La Delfa.

Non è un caso che l’implosione dell’etica laica sia perfettamente osservabile nelle parole del più noto esponente italiano, l’oncologo Umberto Veronesi: alla domanda «Che cosa direbbe agli italiani che non hanno più voglia di vivere?», Veronesi non ha dubbi: «Di procurarsi una corda o di aprire una finestra: non c’è altra soluzione legittima o accettabile. È assurdo perché uccidersi non è reato, anche il tentato suicidio non è punibile. Allora perché è reato aiutare qualcuno se questa persona ha scritto chiaramente qual è la sua volontà?». Questi sono i consigli illuminanti che Veronesi offre agli italiani, configurando le sue parole come istigazione al suicidio. Le domande che si pone, inoltre, sono completamente assurde e inaccettabili in un confronto razionale: nel nostro ordinamento giuridico il suicidio non è considerato reato perché sarebbe grottesco mettere dietro le sbarre un cadavere. Il tentato suicidio invece non è punibile, non perché lo Stato lo approvi – non tutto ciò che non è punito è da considerarsi legittimo si spiega al primo anno di giurisprudenza alle matricole – bensì perché sarebbe inutile spedire in carcere o comminare una multa al tentato suicida: i suoi problemi non si risolvono con la reclusione e questa sanzione potrebbe solo aggravarli. Se fosse legittimo, come dice Veronesi, tentare di togliersi la vita non si capisce il motivo per cui il nostro Stato punisce chi aiuta a suicidarsi (580 cp) o chi uccide un terzo con il suo consenso (579 cp). Se il suicidio fosse cosa buona l’omicida del consenziente potrebbe solo ricevere un encomio. Lo sfavore del nostro ordinamento invece verso il suicidio lo si deduce proprio da queste due norme che puniscono chi aiuta un altro a togliersi la vita.

Il suicidio non è un gesto di libertà (ma di libero arbitrio), nemmeno di coraggio, anzi è proprio un gesto di resa e l’eliminazione di ogni libertà. E’ un gesto di disperazione e chi esalta la disperazione è perché non è capace di ritrovare un significato più alto del vivere, del soffrire e del morire. E’ un problema esistenziale che ossessiona le nostre secolarizzate società. Il vero eroismo, la vera esaltazione della libertà è invece quella di Marina Neri, la giovane colpita da un raro tumore osseo che ha saputo combattere fino alla fine senza mai arrendersi. Non ha invitato l’umanità sofferente al suicidio, come Veronesi, ma ha offerto la sua testimonianza: «Per chiunque viva un’esperienza simile alla mia, credo che valga sempre la pena di lottare, di provarci credendoci totalmente. Darei la vita per non morire».

La redazione

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