Il neuropsicologo Shallice: «la mente non è prodotto dei neuroni»

Timothy ShallicePer negare Dio bisogna negare l’uomo e la sua eccezionalità. E’ questo, come abbiamo già sottolineato, uno dei dogmi dell’ateismo moderno che ancora persiste nonostante il fallimento del positivismo scientista. L’uomo definito come un “nient’altro che”, perché l’ammissione di una sua eccezionalità e di una diversità qualitativa e ontologica rispetto al resto dell’ambiente naturale richiederebbe una giustificazione poco gradita a chi nega che l’essere umano sia il frutto di un Pensiero razionale.

Se fino a ieri questo tentativo era portato avanti da darwinisti e neodarwinisti, pensiamo a Richard Dawkins, oggi il compito è stato affidato ai neuroscienziati. L’evoluzione e la teoria di Darwin, se non vengono strumentalizzate, non hanno alcun contrasto con i contenuti della fede cristiana ma semmai risultano incompatibili con il naturalismo. Per questo oggi gli anti-teisti puntano sui neuroscienziati: a loro il compito di dover dimostrare che il libero arbitrio è un’illusione, che la coscienza è un epifenomeno del cervello, che la mente è semplicemente (termine classico del riduzionismo) un “fascio di neuroni”, secondo le affermazioni di Francis Crick.

«Coloro che ritengono, in maniera riduzionistica, che il cervello produca solamente impulsi elettrochimici e questi automaticamente si traducano poi in decisioni operative, tendono a ritenere che la libertà non esiste, in quanto tutto dovrebbe essere predeterminato», ha spiegato Sergio Barbieri, neurologo e direttore di “U.O. Neurofisiopatologia” al Policlinico di Milano. «In realtà, ultimamente, anche questo tipo di approccio è stato abbastanza contestato, fortunatamente». Secondo Mauro Ceroni, docente e ricercatore universitario in Neurologia presso l’Università di Pavia, che l’uomo sia il suo cervello «non ha nulla di scientifico». E’ ovvio che «nulla può accadere in me che non abbia una base fisiologica, che non implichi un’attivazione dei circuiti nervosi, ma ciò non significa affatto che tutto sia riconducibile al mio cervello».

In questi giorni “La Stampa” ha intervistato Timothy Shallice, matematico e professore di neuropsicologia e coordinatore del settore di neuroscienze cognitive della Scuola internazionale superiore di studi Avanzati (Sissa) di Trieste, vincitore del «Premio Mente e Cervello 2013» assegnato dal rettore dell’Università di Torino. Ha spiegato: «Le neuroscienze cognitive permettono di indagare oltre la materia organica, là dove la mente, e quindi qualcosa di non afferrabile come il prodotto dei neuroni, agisce dal e sul corpo in un complesso gioco di circuiti e percorsi, spalancandosi sui “teatri” in cui si svolgono le trame delle malattie». Studiare le lesioni e trovarne i motivi non significa comprendere l’origine di tali “funzioni”, «abbiamo soltanto un disegno parziale della causa». E ancora: «Individuando la lesione che riteniamo potenzialmente responsabile di questi disturbi, ci siamo accorti che il problema non è sempre e semplicemente in cause meccaniche, ma è dovuto a sistemi molto più complessi e dinamici che gestiscono, nel caso specifico, la memoria, ma che non sono soltanto di tipo organico: abbiamo a che fare con funzionamenti mentali che le macchine ancora non tracciano». E oltretutto si scopre che «questa macchina computazionale che è il cervello è diversa da persona a persona».

Proprio il mese scorso Massimo Gandolfini, primario neurochirurgo, ha analizzato nel suo libro “I Volti della coscienza“ (Cantagalli 2013) i rapporti mente-cervello alla luce delle attuali conoscenze scientifiche, tenendo presente un dibattito filosofico e teologico secolare. Sempre in questi giorni un neurologo e due neuroscienziati, Mauro Ceroni, Faustino Savoldi e Luca Vanzago, hanno pubblicato “La coscienza” (Edizioni Aras 2013), frutto della lettura della maggior parte delle pubblicazioni sul tema negli ultimi 30 anni e di una dimestichezza coi temi filosofici sull’argomento, un’opera che difende l’uomo da «ogni riduzione della propria persona».

La redazione

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Scalfari, il miglior filosofo italiano dopo Topo Gigio

Eugenio ScalfariAver fondato un quotidiano evidentemente dà il diritto a pontificare su tutto e tutti, come da anni fa Eugenio Scalfari. Da quando era caporedattore di “Roma Fascista” è passato molto tempo e per raccogliere le sue omelie ci vorrebbero interi archivi.

Lo studioso Francesco Bucci ha però fatto uno sforzo notevole andando a riprendere gli articoli del gran sacerdote del laicismo, pubblicando finalmente (dopo moltissimi e impauriti rifiuti) il suo Eugenio Scalfari – L’intellettuale dilettante (Dante Alighieri, 2013, pp. 151). Analizzando gli scritti di Barbapapà, Bucci ha rilevato immediatamente che il livello di cultura del fondatore di “Repubblica” è vicina a quello dello studente svogliato e poco preparato, sopratutto di filosofia.

Gli strafalcioni imperano, così come la confusione generale sul pensiero dei suoi autori preferiti (Hegel, Montaigne ecc.). Per approfondire invitiamo la lettura della recensione del sociologo Giuliano Guzzo.

Tuttavia, nel suo ultimo libro, “L’amore, la sfida, il destino” (Einaudi 2013), Eugenio Scalfari raggiunge un punto di maturità notevole autodefinendosi “narciso paterno”, perennemente in debito verso tutti, che “ama gli altri per essere amato”. Una perfetta sintesi dell’estrema vanità di Barbapapà, come quando riconosceva di essere «appassionato all’ebbrezza del potere» e che lo ha portato a rivolgersi così ad un vigile mentre lo multava: «Sarebbe meglio che lei facesse una cura ricostituente anziché contravvenzioni, perché lei non sa chi sono io! Io sono l’onorevole Scalfari».

Ma che lo porta anche inevitabilmente ad espellere Dio dalla sua esistenza per mettere al centro il suo (super)Io e affermare l’abissale e lucido nichilismo: «mi sono convinto che il senso della vita è un nonsenso: vivere ha un inizio e una fine, si nasce e si muore per caso, ognuno di noi potrebbe anche non nascere, senza che questo abbia effetti sull’Universo. Di fatto la vita è formata solo da brevi segmenti di senso, dettati di volta in volta dall’incontro del nostro mondo interiore con la realtà esterna». Anche se questo comporta inevitabilmente definire se stesso e i suoi cari delle “scimmie pensanti” e la sua vita come «malinconia, risentimento e voglia di compensare un torto subito» (E. Scalfari, “L’uomo che non credeva in Dio”, Einaudi 2008).

La redazione

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La modernità ha travisato il concetto di “scienza”

Olivier ReyPermettete una premessa. Sarà capitato un po’ a tutti, che quando leggi un libro o guardi un film ti rimangono impressi dei particolari di per sé sono assolutamente secondari. A distanza di anni fai fatica a ricordare i nomi dei protagonisti o la trama, ma quel preciso particolare è ancora lì, fisso e indelebile nella memoria.

Per esempio, del romanzo ucronico Fatherland, ambientato negli anni ’60 di un’Europa che ha visto la Germania nazista vittoriosa, ricordo poche cose. Ma ricordo le (reali) specifiche tecniche, citate fugacemente nel romanzo, dello spioncino usato dalle SS per osservare l’agonia delle vittime dentro le camere a gas: doppio vetro, di tal materiale, con tot diametro, con doppie guarnizioni in gomma… Il rinforzo mnemonico che è all’origine della vividezza del ricordo è forse dato dalla visita, qualche anno fa, del lager di Auschwitz, dove in un blocco sono esposti i progetti tecnici di camere a gas e crematori. Chiari. Funzionali. Lucidi. Spietati.

Credo che poche altre cose, meglio di quei progetti di Auschwitz (e della descrizione dello spioncino), possano permettere di concludere che la proverbiale frase “il sonno della ragione genera mostri” non è altro che una grandissima stupidata. Infatti il male non deriva dalla volontà priva della ragione, come voleva ottimisticamente Socrate (intellettualismo etico). Il male deriva invece da una volontà unita a una ragione distorta, che ha perso il fine e il bene ultimo delle cose e delle persone. È questo il pericolo evidenziato dal filosofo e matematico francese Olivier Rey, di cui ci siamo già occupati. Un pensatore non certo anti-scientifico, ma anti-scientista, che sottolinea lucidamente i pericoli di un certo scientismo contemporaneo.

In passato l’antitesi principale è stata tra scienza e religione: l’illuminismo del ‘700, il positivismo dell’800, il materialismo del ‘900, inebriati dai risultati (indiscutibili) del sapere scientifico, volevano a tutti i costi relegare il sacro e la religione alla mera superstizione, inutile e dannosa. Ma col progresso scientifico è cresciuta anche la consapevolezza dei limiti della scienza. Benissimo ha detto Francesco Bacone: “Un po’ di scienza porta all’ateismo, ma molta scienza riporta alla religione” (Saggio sull’ateismo, 1612). Sono molti, infatti, gli scienziati contemporanei che riconoscono di trovare nella religione (nella fattispecie cristiana e cattolica) lo sprone della loro ricerca (vedi dossier), e tanti sono i filosofi della scienza che riconoscono nel cristianesimo la radice del sapere scientifico.

Superata dunque questa fase (scienza vs religione) si è aperta una nuova antinomia, più sottile e perniciosa: quella tra scienza vs morale. “Si può fare? Dunque è giusto farlo”. Ed è a questa (presunta) fattibile liceità, come alla connessa perdita di un senso più profondo, che rimanda l’analisi di Rey. Non tutto quello che la scienza scopre è buono e moralmente lecito. Non tutto permette all’essere umano di vivere bene e meglio. Per il pensatore francese la causa di tale pericolosa deriva va trovata in un travisamento del concetto di scienza: mentre per la tradizione la scienza aveva a che fare con la scoperta della realtà nella sua totalità, incluso l’uomo, oggi un certo sapere scientista ha come estromesso l’uomo dalla realtà, privandolo del ruolo centrale che gli dovrebbe competere. Un’analisi forse non nuova (per alcuni versi richiama il saggio Perché io credo in colui che ha fatto il mondo, 1999, del fisico italiano Zichichi), ma sempre di attualità.

Concludendo con un’altra citazione, ancora una di quelle che rimangono impresse. Tolkien (anglicano convertitosi al cattolicesimo) nel suo monumentale Signore degli anelli, parlando di Smeagol-Gollum scrive: “S’interessava di radici e origini; si tuffava negli stagni profondi, scavava sotto gli alberi e le altre piante, forava gallerie nelle montagnole. Non guardava più le sommità dei monti e delle colline, le foglie sugli alberi o i fiori arrampicati su pei muri: la sua testa ed i suoi occhi erano rivolti verso il basso”. Una precisa descrizione dell’homo scientificus contemporaneo, più attento alle radici che alle foglie e ai fiori.

Roberto Reggi

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Contraddizioni femministe: abortire in base al sesso è eugenetica

Caterina SofficiDa tempo ci siamo ormai accorti che chi è favorevole all’interruzione di gravidanza si trova in una posizione contraddittoria, anche quando ritiene l’aborto un male necessario (o male minore).

La nuova conferma l’abbiamo avuta leggendo come “Il Fatto Quotidiano”, notoriamente in contrasto con la difesa della vita, ha commentato tramite Caterina Soffici (già nota per altri motivi) la sentenza del Procuratore della Corona inglese secondo cui in “certe circostanze” l’aborto in base al sesso non è illegale. La Soffici scandalizzata parla di “sentenza choc” e spiega le linee guida della sentenza: in alcuni casi gravi si è giustificati ad abortire in base al sesso, ad esempio se l’arrivo di una bambina mette a rischio la salute della donna perché poi il padre la riempie di botte perché voleva un maschio. In questi casi, secondo il procuratore, si deve scegliere il “male minore”.

Ora, è evidente che la sentenza è aberrante e ancor di più lo sono le motivazioni. Ha perfettamente ragione la giornalista de “Il Fatto” a criticarla, tuttavia è paradossale e contraddittorio che a scandalizzarsi siano proprio le femministe (la Soffici è femminista militante) che sono invece favorevoli all’aborto di una bambina (o di un bambino) se la sua nascita potrebbe essere un impedimento alla carriera lavorativa della donna, oppure potrebbe metterla a disagio psicologicamente perché non pronta ad essere madre.

Inoltre, improvvisamente le femministe de “Il Fatto” si preoccupano degli embrioni-feti umani (anche se solo quelli di sesso femminile), come se magicamente non fossero più grumi di cellule o esseri-umani-non-persone come invece sostengono quando devono difendere la Legge 194. Tutta d’un tratto gli embrioni abortiti diventano delle “bambine uccise”, esattamente la stessa contraddizione della femminista Michela Marzano che un giorno, giustifica l’aborto dicendo che «la vita di una donna è infinitamente più preziosa di quella di un essere che non è ancora nato», ed un altro -parlando di un uomo che ha ucciso una donna incinta- tale “essere” si trasforma in «un bimbo che non nascerà mai» e la sua morte viene paragonata a quella della donna uccisa.

Decidetevi care femministe: o zigote-embrione-feto sono esseri umani come è evidente agli occhi della scienza, oppure non lo sono. Se sono esseri umani hanno automaticamente dei diritti umani, sono “uno di noi”, ed allora è sempre sbagliato ucciderli, per qualsiasi motivo. Se non sono esseri umani dovete dirci, innanzitutto, cosa sono e secondariamente non dovreste dispiacervi se vengono abortiti in quanto femmine. Oppure volete sostenere l’esistenza di grumi di cellule di sesso femminile?

La redazione

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Chiesa cattolica in prima linea per aiutare le Filippine

FilippineTacloban è oggi una città totalmente rasa al suolo dopo supertifone Haiyan che ha lasciato dietro di sé migliaia di vittime e oltre 660.000 sfollati.

Fortunatamente anche questa volta in molti si sono attivati per prestare aiuto: c’è chi invia aerei cargo con materiali medico-logistici, come Medici Senza Frontiere in aiuto della popolazione, chi kit di emergenza come l’Oms. 3 milioni di euro sono stati inviati, come primo contributo, dalla Conferenza Episcopale Italiana prelevandoli dai fondi dell’8 per 1000; 1,5 milioni di euro li ha inviati lo Stato italiano.

150.000 dollari di «primo contributo» da Papa Francesco tramite il Pontificio Consiglio Cor Unum, somma di cui una nota spiega che «verrà ripartita attraverso la Chiesa locale nelle regioni maggiormente toccate dalla calamità e sarà impiegata a sostegno delle opere di assistenza svolte in favore degli sfollati e degli alluvionati»; 100.000 euro pure di primo invio dalla Caritas.

Anche la Caritas Ambrosiana ha già messo a disposizione 10mila euro e ha lanciato una raccolta fondi. Per contribuire si possono inviare offerte a Caritas Ambrosiana: donazioni on line su www.caritasambrosiana.it con Visa, American Express, MasterCard.

La redazione

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Gli intellettuali laici: incoerenti clericali

Odifreddi angelico 
di Bruno Giurato
 
da “Lettera43”, 27/10/13

 

Che mondo sarebbe, per gli intellettuali laici italiani, senza la chiesa cattolica? Lo scherzetto della Zanzara a Piergiorgio Odifreddi ha svelato la figura di un ateo irriducibile che vuole partecipare alla messa papale del 25 ottobre scodinzolando di gioia per la telefonata del falso Bergoglio (e con una mossa di public relations sbilenca gli propone di scrivere la prefazione al suo libro).

Ma soprattutto la goliardata di Giuseppe Cruciani e David Parenzo ha manifestato l’animus di un guardiano della laicità contento della lettera con cui Benedetto XVI risponde al suo libro, e fa a fettine le sue argomentazioni. Odifreddi, anche al telefono con il falso Bergoglio, si è mostrato orgoglioso e onorato di aver ricevuto un calcio nel popò dalla pantofola rossa del Papa emerito. Una lettera vera, più una telefonata farlocca, ed ecco che il matematico impegnato sul fronte di un legalismo scientifico antireligioso si è quasi trasformato in una pecorella, smarrita ma sempre scodinzolante, nella vigna di Pietro. E sì, 300 anni e passa di cultura illuminista, positivista, scientifica se non scientista. Una grande sbornia gramsciana, le tentazioni operaiste, l’ideale liberale come pio desiderio. Una nevicata di postmoderno. E alla fine l’intellettuale, appena può, si raccoglie meditabondo alla corte del papa.

Il principe dei neo-illuministi, Eugenio Scalfari, nell’intervista ormai famosa a Francesco pubblicata su Repubblica, si è detto «anticlericale». Ma poco dopo, l’uomo che non credeva in Dio poneva al papa una domanda dal commovente profumo d’incenso: «Quali sono i santi che lei sente più vicini all’anima sua?» (l’inversione poetica tra nome e aggettivo possessivo dice molto: non «la sua anima», ma «l’anima sua»), e raccontava di aver fatto in gioventù un mese e mezzo di esercizi spirituali, suscitando la risposta incredula e dubitativa di Bergoglio, secondo cui «è impossibile resistere» a questa specie di tour de force di preghiera. Nulla da fare, anche un bell’ateone come Scalfari sente il fascino della religione e non può fare a meno di rivendicare quarti di nobiltà da reducismo cattolico. Tutto prestigio che cola, e con tantopathos metafisico, un pizzico di curialità che non guasta.

E se la tendenza della Chiesa a tuffarsi nel dialogo con i non credenti fa innervosire le correnti più tradizionaliste del cattolicesimo, dall’altra parte, quella dei laici, appunto, è tutta una corsa al libro con il teologo, all’incontro culturale con i prelati. Una nuova forma di buonismo clerical chic che da un po’ è inarrestabile. Per esempio, l’iniziativa Il cortile dei gentili, promossa dal cardinal Gianfranco Ravasi, ministro della cultura del Vaticano, è regolarmente frequentata dal meglio dell’aristocrazia intellettuale. All’incontro romano del 25 settembre 2013 dedicato al giornalismo c’erano, tra gli altri, Ferruccio de Bortoli, Ezio Mauro, Marcello Sorgi, Lilli Gruber, Roberto Napoletano, Mario Calabresi.

Ma non c’è festival della letteratura, della filosofia, di qualcosa, che non tragga lustro, pathos metafisico, e appunto brividi curiali, dalla presenza di qualche teologo o saggista religioso. Perfino nelle terrazze de La grande bellezza di Paolo Sorrentino il cardinale regge di più della scrittrice impegnata, subito sbugardata. La santa poi ti risolve il film. Sul fronte dei libri, inoltre, il clericalchicchismo domina: non si contano le pubblicazioni di filosofi, giornalisti, letterati che dialogano con questo o quel teologo sulle grandi domande esistenziali e religiose. Dagli onnipresenti Scalfari a Corrado Augias, dal filosofo francese (ateo convinto) Michel Onfray, moltissimi hanno scritto almeno un libro con un teologo: gettonatissimo come sparring partner l’eterna brillante promessa della teologia Vito Mancuso. Attualmente nella top 20 della saggistica si trovano ben sette libri che hanno a che fare con argomenti religiosi.

Il cattolicesimo è trend ed è moda, ma in particolare è cool se ne parlano gli anticattolici. Più di Scalfari c’è chi ha costruito carriere intere spiegando, da ateo, ai cattolici come debbono fare per essere veri cattolici. Si parla naturalmente di Paolo Flores d’Arcais, direttore di Micromega, che riempie la sua rivista di articoli di argomento teologico e di tono ammonitorio. L’ultimo suo libro si intitola La democrazia ha bisogno di Dio? Falso! (Laterza). Be’ la democrazia non ne avrà bisogno.

Ma gli intellettuali illuministi, in un modo o nell’altro, come termine di segreti desideri, oggetto di avversione identitaria, potere contrattuale per negoziare anticipi e diritti d’autore, accidenti se ne hanno bisogno. Attualmente Dio è il loro core business.

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La nullità del matrimonio non è il “divorzio cattolico”

Sacra RotaUn recente studio americano ha confermato un dato piuttosto stabilizzato: mentre i tassi di divorzio sono significativi nella popolazione, i cattolici hanno meno probabilità di divorziare rispetto alle persone di altre fedi religiose. L’indagine è stata realizzata dal noto “Center for Applied Research in the Apostolate” (CARA) della Georgetown University.

Osservando le indagini nazionali è emerso infatti che i cattolici si distinguono per avere il 28% dei divorziati rispetto a oltre il 40% di quelli senza affiliazione religiosa, il 39% dei protestanti e il 35% di quelli di un’altra fede religiosa. Inoltre, i cattolici che sposano altri cattolici hanno ancor meno probabilità di divorziare rispetto ai cattolici sposati con persone di altre fedi.

Approfittiamo di questa notizia per chiarire l’equivoco che il riconoscimento di nullità del matrimonio religioso da parte della Chiesa cattolica sia la “via cattolica al divorzio” come soventemente viene affermato. Essendo il matrimonio religioso un sacramento nessuna autorità umana può sciogliere tale unione secondo l’ammonimento di Gesù Cristo: “l’uomo non separi ciò che Dio ha unito”. Può invece verificarsi ex post la sussistenza di una causa di nullità, tale da viziare la validità del matrimonio contratto e la Sacra Rota, l’organo ecclesiastico adibito a tale verifica, ha il compito di certificare che il matrimonio non è mai stato valido dalla sua origine.

In questi casi alcuni parlano di “annullamento del matrimonio”, generando giustamente confusione. Tuttavia non esiste alcun annullamento poiché non c’è mai stato alcun matrimonio. Quello che comunemente si dice “annullamento del matrimonio”, in realtà, è una dichiarazione di nullità del matrimonio: la Chiesa dichiara che un matrimonio non è valido constatando che il consenso espresso da uno dei due nubendi (o da entrambi), per motivi fondati e provati, non è valido. E’ dunque assolutamente compatibile e coerente la presenza nella dottrina della Chiesa della possibilità di dichiarare nullo il presunto matrimonio contratto e la non accettazione del divorzio, come spiegato benissimo anche nell’utile sito web “Aleteia”.

L’avvocato Gian Ettore Gassani, presidente dell’Associazione matrimonialisti civili, ha spiegato che «i costi per un annullamento risultano più ridotti e persino il tempo di attesa. I processi italiani sono lunghissimi, uno ecclesiastico può durare solo un paio d’anni». La Conferenza Episcopale Italiana ha previsto il patrocinio gratuito per i meno abbienti e nel 2012 alla Rota Romana il 53% delle cause finali sono state gratuite. Massimo del Pozzo, professore stabile di Diritto canonico e coordinatore della stessa facoltà alla Pontifica università della Santa Croce, ha confermato: «Una cosa dev’essere chiara: la nullità del vincolo matrimoniale non è la via cattolica al divorzio. Non bisogna strumentalizzare le cause di nullità. Alla base c’è forse una malintesa concezione pastoralista. Anche nell’insegnamento qui all’Università ripetiamo che un matrimonio fallito non è, e non può essere, automaticamente nullo. Bisogna vedere se esistono le condizioni oggettive della nullità».

Nei giorni scorsi Papa Francesco ha proprio chiamato una divorziata che ha appena ottenuto l’annullamento del suo matrimonio, Anna Rosa. Sposata con rito religioso con un uomo non credente, che non ha frequentato il corsi prematrimoniale e senza la volontà, comunicata dopo le nozze, di non volere figli. Il divorzio e l’allontanamento dalla Chiesa anche per lei, fino a quando una psicoterapeuta le consiglia di rivolgersi alla Sacra Rota.

La redazione

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Il dogma del peccato originale va rivisto? Ovviamente no.

Peccato originale e significato. Il teologo Vito Mancuso ritiene insostenibile il dogma del peccato originale perché mette “inimicizia tra Dio e il bambino”. Un’interpretazione errata e una forzatura del cristianesimo, tipica del dualismo gnostico. Così hanno risposto due importanti teologi.

 

Chiunque può capire cosa sia il peccato originale, basta guardare dentro sé, vedersi in azione e domandarsi: “perché nonostante io sappia cosa è giusto, scelgo ciò che è sbagliato?” Tale condizione originale dell’uomo, desideroso di felicità ma strutturalmente incapace di conquistarla, è facilmente riconoscibile da chiunque.

«Questo mistero del peccato originale, che è poi così tremendamente vero», scriveva Carl Gustav Jung; «Il legno con il quale siamo costruiti è storto», scriveva Eugenio Scalfari qualche settimana fa. Non è la Chiesa ad aver “inventato” il peccato originale, ma – al contrario – è lei l’unica ad aver dato una spiegazione della nostra originale situazione, così come genialmente descritto in Genesi. Se si toglie il peccato originale non si capisce più l’uomo.

Tuttavia è abbastanza usuale scovare Vito Mancuso che, con il suo sarcastico sorriso e l’aria dimessa e stropicciata, liquida il dogma del peccato originale riprendendo l’obiezione più classica e antica secondo cui metterebbe «inimicizia tra Dio e il bimbo che nasce». Che un docente di teologia cattolica usi un’obiezione tanto banale e abusata spiega in parte perché i più noti colleghi di Mancuso non lo considerino all’altezza del ruolo che svolge. Il teologo di Carate Brianza vorrebbe riscrivere il dogma parlando «di “caos” originale» perché secondo lui «il centro del cristianesimo consiste in un tale legame tra Dio Padre e l’umanità da rendere insostenibile l’idea che gli uomini siano peccatori agli occhi di Dio per il fatto stesso di essere uomini, idea che considero un’offesa alla creazione e alla paternità divina».

Leggendo tale obiezione, Pierangelo Sequeri, preside della Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, dove è anche professore ordinario di teologia fondamentale, ha così commentato: «Questa semplificazione, che intende riassumere il nucleo della dottrina, non è leale. Questa equivoca forzatura è propria del dualismo gnostico, semmai, al quale il cristianesimo si è duramente opposto fin dall’inizio». Mancuso non rifiuta il dogma ma intende «la natura umana come precario impasto di un “caos originario”, in cui lavora un’oscura “forza distruttiva”, al di sotto e al di là di ogni profilo morale. È perciò curioso – oltre che “sbagliato” – che, pur sostenendo questa naturalizzazione del peccato e del male nell’uomo, Mancuso rimproveri questa “scandalosa” dottrina al Concilio di Trento. Il Concilio di Trento, in verità, che fronteggia proprio su questo punto il radicalismo agostiniano del protestantesimo, condivide l’idea di una corruzione della natura umana, ma resiste fermamente all’idea della corruzione come natura dell’uomo».

Il Catechismo della Chiesa Cattolica, infatti, spiega che: «Il peccato originale, sebbene proprio a ciascuno, in nessun discendente di Adamo ha un carattere di colpa personale. Consiste nella privazione della santità e della giustizia originali, ma la natura umana non è interamente corrotta: è ferita nelle sue proprie forze naturali, sottoposta all’ignoranza, alla sofferenza e al potere della morte, e inclinata al peccato (questa inclinazione al male è chiamata “concupiscenza”). Il Battesimo, donando la vita della grazia di Cristo, cancella il peccato originale e volge di nuovo l’uomo verso Dio; le conseguenze di tale peccato sulla natura indebolita e incline al male rimangono nell’uomo e lo provocano al combattimento spirituale» (CCC 405). Per il rapporto tra peccato originale e battesimo è interessante questa risposta del teologo padre Angelo Bellon.

Lo psicoanalista francese Jacques Arènes dal suo punto di vista, più vicino all’esperienza dei cristiani rispetto a quella di Mancuso, ha spiegato: «Nel mondo cristiano, fin dall’inizio, si credeva al peccato originale. Si condivideva più o meno questa “colpa”. Era impossibile esserne esenti, anche se si era comunque assolti. Trovo questo profondamente liberante. Il senso di colpa, quando non scade in un aspetto morboso, è libertà. Il fatto di avere un rapporto personale e soggettivo con la colpa, davanti all’altro – il prossimo e/o Dio – è molto importante per la libertà di ciascuno».

E’ intervenuto anche Giuseppe Tanzella-Nitti, ordinario di teologia fondamentale alla Pontificia Università della Santa Croce, che ha spiegato: «L’esistenza di un peccato all’origine del genere umano si accorda con quanto l’uomo può verificare empiricamente, nella storia dei popoli e nella sua esistenza personale. È paradossale che un essere intelligente, capace di pensiero filosofico e di progresso tecnico-scientifico, che se volesse potrebbe impiegare le proprie risorse e la propria intelligenza per aumentare la qualità di vita dei popoli, eliminando tante sofferenze e cooperando come in una sola famiglia, applichi invece il suo genio e la sua razionalità per combattere, distruggere, umiliare e uccidere. Non si tratta di un retaggio della nostra biologia animale: ad essere onesti è molto di peggio. Non è pura bestialità, ma intelligenza che concepisce il male e lo persegue razionalmente. Qualcosa non funziona in noi. Mentre gli altri animali suonano sempre con lo stesso registro, noi siamo capaci di interpretare le note più sublimi e quelle più ignobili. Qualcosa è misteriosamente avvenuto alle origini e qualcosa continua ad avvenire in ognuno di noi: siamo depositari di una promessa maggiore di quanto siamo capaci di mettere in pratica. Il testo sacro può essersi servito anche del linguaggio del mito per trasmettere questa verità originaria, ma essa rimane tanto reale quanto l’esperienza quotidiana di ciascuno».

Rispetto all’obiezione usata anche da Mancuso, «si tratta di capirsi sul significato dei termini. Il termine inimicizia pone l’enfasi sulla gravità del peccato, in genere, e non intende umiliare nessuno, tanto meno i bambini che sono sempre creature predilette da Dio. L’inimicizia fa riferimento alla colpa (che non c’è nel peccato originale storicamente trasmesso) piuttosto che alla pena. Se la colpa (rifiuto di Dio) può causare inimicizia, la pena (beni perduti) causa piuttosto misericordia come lo stesso linguaggio comune ci ricorda. La storia dei nostri peccati, e dunque anche del peccato originale, più che rivelare l’ira di Dio, rivela la sua misericordia».

Vito Mancuso vive le fatiche esistenziali della confusione e le fragilità dell’uomo moderno, cioè colui che «alza il suo ditino fino al cielo, non solo perché sofferente del male, ma anche perché indignato per l’aliena e ingiustificata incursione del male nella nostra vita», ha spiegato Sequeri. «Noi non vogliamo condividere nessuna colpa di qualcun altro. Anzi, non vogliamo essere colpevolizzati e basta. Siamo caotici, siamo irrazionali, siamo pure bestiali. non vogliamo essere colpevolizzati da nessuno. Tanto meno da Dio, che semmai ha molto da farsi perdonare da noi. Quel tanto di accecamento che sta racchiuso in questa nostra presunzione, dovrebbe renderci più pensosi».

La redazione

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Lidia Ravera insulta anche donne e bimbi non nati: dimissioni!

Lidia RaveraL’assessore alla cultura della Regione Lazio, Lidia Ravera, è tornata ad insultare.

Ricordiamo le minacce e i suoi insulti razzisti a Condoleeza Rice, segretario di Stato degli USA con il governo Bush, definita «“lider maxima” delle donne-scimmia», «in quanto femminista lo sparerei direttamente a lei, il colpo». Rammentiamo anche la diffamazione nei confronti di Papa Francesco attribuendogli, senza verificare, false citazioni contro le donne. Anche un volta emersa la verità, la Ravera non ha mai sentito il bisogno di scusarsi.

In questi giorni l’assessore (usare il maschile è d’obbligo quando si tratta di femministe!) è tornata alla carica dalle colonne dell’Huffington Post con un altro articolo delirante. Nel suo attacco al sindaco di Firenze, Matteo Renzi, lo ha accusato di avere approvato una delibera su quello che la scrittrice ha definito spregiativamente «il cimiterino dei non nati», ironizzando sul «diritto di seppellire grumi di materia chiamandoli bambina e bambino», cioè coloro che sono morti durante la gravidanza. Non sarebbe un gesto di attenzione verso le madri di questi bambini, ma «uno splatter che ritorna sugli schermi della politica». E ancora ha parlato di «tutte quelle donne che, poiché il corpo ha le sue insondabili leggi, non sono riuscite a portare a termine il loro dovere di animali al servizio della specie».

Come ogni femminista e abortista è poi caduta in contraddizione: poco sotto, confutando in un colpo solo tutte le fatiche di Chiara Lalli di far passare l’aborto come qualcosa di bello e gioioso, ha riconosciuto: «abortire è una sofferenza psichica, un sacrificio delle propria integrità fisica e mentale, uno scacco, un’amputazione». Nessuno, però, soffrirebbe se si abortissero dei grumi di materia. L’aborto è una tragedia di sofferenza proprio perché a venire ucciso, e la Ravera lo sa, è un bambino. E’ un essere umano.

Si è vantata di essere “dalla parte delle donne”. E le donne le hanno risposto rabbiose nei commenti sotto il suo articolo, così come dalle stesse pagine dell’Huffington, come ha fatto Allegra Salvadori. Paola Ricci Sindoni ha parlato di: «Povertà umana e indifferenza morale che squalificano il suo ruolo di politico». Intanto l’Associazione CiaoLapo Onlus e tante altre associazioni stanno chiedendo le dimissioni immediate al presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti.

Su “Citizengo.org è possibile firmare una petizione contro le affermazioni della Ravero e tutti possono inviare un’email a Zingaretti, all’indirizzo: presidente@regione.lazio.it (oltre che a lravera@regione.lazio.it, assessoratoumr@regione.lazio.it). E’ possibile copiare-incollare questo testo: “Al Presidente della Regione Lazio. Ai componenti della Giunta Regionale. Io sottoscritto, [nome e cognome], sostengo e sottoscrivo la richiesta della Associazione CiaoLapo Onlus di immediate dimissioni dell’Assessore alla Cultura e alle Politiche Giovanili Lidia Ravera. Ho letto quanto da lei scritto sul tema della morte endouterina e del diritto di sepoltura e l’ho trovato offensivo ed incompatibile col ruolo istituzionale ricoperto”.

La redazione

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Miss Mondo 2013, più bella dentro che fuori

"Mipcom" al Palais des Festivals di CannesQuesta giovane ragazza filippina, Megan Young, eletta Miss Mondo 2013, ha depistato il noioso canovaccio dell’intervista di rito dopo la vittoria, disorientando con le sue risposte.

Alla  domanda su quale posizione avesse a proposito della controversa “RH” ossia la legge filippina su “parentalità e salute riproduttiva” – espressione giuridica che maschera ben altro- ha risposto: «sono  pro- life e se questa  legge intende uccidere qualcuno che è già presente, sono certamente contro. Sono contraria all’aborto».

Già, perché non si tratta di essere pro o contro un’idea, di esercitare un’opzione, una scelta piuttosto che un’altra come la formula pro-choice fa surrettiziamente pensare. Si tratta di prendere una decisione fondamentale: decidere che la vita di qualcuno prosegua o no. Lo spettatore televisivo che scrutava attentamente la sua bellezza che le ha permesso il titolo di Miss Mondo, ha dovuto fermarsi per seguire la nuova piega dell’intervista.

Si è infatti trasformata in un’testimonianza personale, su tematiche sessuali: contraria ai contraccettivi,  «il sesso è per il matrimonio. Deve essere con il tuo compagno per la vita». Quindi il divorzio? Contraria. Questo approccio critico di una miss ha così sorpreso la conduttrice Karen Davila, che le ha domandato: «ora, dato che sei una ragazza meravigliosa, come fai a dire no al sesso?». E lei: «Semplicemente  dici di no. Se il ragazzo è disposto a sacrificare questo aspetto allora per la relazione significa molto». 

Insomma, posta sulla cima di un certo mondo per la sua bellezza ha difeso quello che ormai oggi è de facto  uno scandaloso tabù, il valore della sessualità come dono totale di sé all’interno di un progetto di vita matrimoniale.  Il tutto con semplicità autentica, lasciando ad altre miss la prevedibile colata di luoghi comuni. Più bella dentro che fuori.

La redazione

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