Odifreddi ossessionato dall’UCCR

Odifreddi pregaIl noto matematico Piergiorgio Odifreddi parla sempre di UCCR, ci ha anche recentemente criticati in un’intervista all’UAAR di cui è presidente onorario. Ma lo sa che questa associazione si definisce “confessione religiosa” ed il suo fondatore vorrebbe togliergli la presidenza onoraria ritenendolo “dilettante negazionista”?

 
 
 

Tra gli obiettivi di UCCR c’è quello di prendere sul serio ed offrire una risposta alle tesi dell’ateismo militante contro la Chiesa, la fede in Dio e i credenti in generale.

In Italia, tra i principali sostenitori del laicismo, c’è certamente Piergiorgio Odifreddi e di conseguenza a lui ed alle sue affermazioni sono indirizzati diversi nostri articoli.

La cosa sembra essere reciproca e il buon Odifreddi, nostro affezionato lettore, pare avere una certa attenzione per il nostro sito web.

 

Piergiorgio Odifreddi e UCCR: ci ha sempre in mente?

D’altra parte Odifreddi interviene spesso nei commenti sul nostro blog (presenza sempre molto gradita), a volte utilizzando anche un nome artefatto.

Inoltre, il noto matematico usa spesso il suo blog ospitato da Repubblica per parlare di UCCR e criticarci per aver recensito un suo libro, creandogli non pochi grattacapi dato che conteneva affermazioni palesemente antisemite.

In una recente intervista per l’associazione di atei sedicenti razionalisti UAAR di cui è presidente onorario, è tornato a parlare di noi, provando a giocare la carta della lettera inviatagli da Benedetto XVI.

Odifreddi ha infatti dedicato un libro -senza insulti ai credenti e privo delle sue note ossessioni contro Dio- al Pontefice emerito e quest’ultimo gli ha risposto con una lettera. Lo ha ricordato con vanto nell’intervista, affermando:

«In ciò il papa si è rivelato molto più aperto dei papisti, anche perché è in possesso di argomenti molto più solidi dei loro. E la sua cultura e intelligenza gli permettono di non doversi rifugiare dietro a un dito, buttando tutto in burletta. Come sono costretti a fare, ad esempio, gli scolaretti dell’Uccr, che è la versione dell’Uaar per “i poveri di spirito”: dove “spirito” sta sia per humour, che per intelletto».

Riceviamo il colpo e porgiamo cristianamente l’altra guancia. D’altra parte non abbiamo mai avuto dubbi che Benedetto XVI fosse più aperto di noi, di maggior cultura e intelligenza, proprio per questo cerchiamo (spesso con scarso successo) di averlo come nostro costante riferimento. Apprezzabile e divertente invece la battuta sullo “spirito”.

Il suo asso nella manica, Odifreddi, non se l’è però giocato benissimo: Ratzinger gli ha risposto -come lui stesso riconosce nell’intervista- solo perché le sue critiche erano eccezionalmente prive di sciocco sarcasmo e gratuiti insulti. Se adottasse la stessa maturità di atteggiamento anche nei suoi libri e nei suoi articoli, la redazione UCCR non si interesserebbe a lui così spesso e probabilmente lui stesso non sarebbe così noto al pubblico.

 

Odifreddi presiede l’UAAR, una “confessione religiosa”.

Al nostro gradito lettore Piergiorgio Odifreddi vorremmo infine domandare cosa si prova a presiedere un’associazione che si auto-definisce così: «L’UAAR, in quanto confessione religiosa ai sensi dell’art. 8 c. III Cost. […] si interpreta come religione […] l’ateismo non potrebbe nemmeno essere distinto dalla religione».

Odifreddi è cosciente di essere presidente onorario di una confessione religiosa? E’ razionale per il principe dell’ateismo italiano essere a capo di un’associazione con scopi religiosi?

 

Il fondatore di UAAR: «Odifreddi? Dilettante negazionista»

Seconda domanda: Odifreddi rilascia un’intervista alla sua associazione religiosa UAAR il cui fondatore (uno dei fondatori), Giacomo Andrei, ha recentemente chiesto pubblicamente che venga tolta la presidenza onoraria a Odifreddi.

Il co-fondatore dell’UAAR afferma infatti che «nella sua vita, di contributi alla scienza od alla sua divulgazione non se ne sono visti». Ed inoltre «si è lanciato in tesi negazioniste (ammantate di furbesco libertarismo di pensiero e di beneficio del dubbio) in merito allo sterminio degli ebrei e dell’esistenza stessa dei campi di concentramento e dell’esistenza delle camere a gas».

Per questo, conclude Andrei, «mi sembra veramente inopportuno che possa contemporaneamente continuare a ricoprire la carica di presidente onorario, e che il discredito e l’indignazione, che lui si diverte a suscitare, ricadano anche sulla nostra associazione. Un personaggio che nel suo campo specifico non ha prodotto nulla di buono, e che perde tempo ad occuparsi in modo dilettantesco, anzi, diciamo pure, cialtronesco, di religione, storia e filosofia (pur essendo un personaggio televisivo), non merita sinceramente di ricoprire un tale ruolo onorifico».

Odifreddi è consapevole che i fondatori della associazione religiosa di cui è presidente onorario lo ritengono uno scolaretto poco brillante?

 

Due semplici domande, ci auguriamo che Odifreddi sia sufficientemente aperto da risponderci, così come Ratzinger ha risposto a lui.

La redazione

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«Pietro a Roma? Da prendere in seria considerazione»

Su questa pietraRecentemente abbiamo esposto, citando un articolo dell’archeologo Paolo Lorizzo, le prove archeologiche (e non solo) sulla sepoltura di San Pietro nella Necropoli Vaticana.

Proprio in questi giorni nelle librerie è comparso un interessante saggio storico-archeologico proprio sulla figura di Pietro, scritto da Andrea Carandini, archeologo e celebre storico dell’arte greco-romana intitolato: Su questa pietra. Gesù, Pietro e la nascita della Chiesa (Laterza 2013).

Si definisce “archeologo agnostico” e dedica il libro “a Francesco, vescovo di Roma”, dopo aver esaminato il rapporto tra Gesù e Pietro, soprattutto alla luce primato petrino (Mt 16, 18-19), ricostruisce la venuta a Roma dell’apostolo evidenziando concludendo che «se Pietro è arrivato a Roma, possibilità da prendere in seria considerazione, vi è giunto dopo il 60 d.C.» e qui ha «esercitato quel ruolo rilevante che veniva riconosciuto al pastore del gregge di Gesù», fino al martirio sotto l’imperatore Nerone, subito dopo l’incendio di Roma del 64 d.C.

Il volume offre dunque un panorama aggiornato delle questioni che riguardano la nascita della Chiesa e anche il primato di quella cattolica. Rimangono alcuni aspetti contraddittori sull’atteggiamento di Carandini verso Gesù, condizionato dal pregiudizio mitologico in voga nei secoli scorsi. D’altra parte su questo specifico terreno non ha le competenze di Bart Herman, Klaus Berger o John P. Meier (cioè non è uno studioso del Nuovo Testamento e non è uno storico delle origini del cristianesimo), mentre rimane attendibile sul lato storico-archeologico degli sviluppi successivi nel I° secolo.

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L’eutanasia (anche per minori) bocciata dalla comunità medica

eutanasiaIn Belgio è stato approvato in prima istanza il testo di legge che estende la possibilità dell’eutanasia anche ai minori malati in fase terminale, se richiesta da loro stessi ed a condizione che uno psicologo abbia certificato la “capacità di giudizio” del minorenne richiedente.

Come già in molti hanno fatto notare, i vari Gabriele Paolini dovrebbero rallegrarsi in quanto se bastasse davvero uno psicologo per certificare la “capacità di giudizio” dei minorenni sul loro suicidio, perché lo stesso non dovrebbe valere anche per dare il via libera ai rapporti sessuali con gli adulti?

L’eutanasia per i minori arriva undici anni dopo l’approvazione completa per gli adulti (con un aumento del 500% nelle morti di eutanasia tra il 2003 e il 2012) e questo dimostra l’inevitabile piano inclinato, all’inizio è stata legalizzata per i soli malati terminali adulti e da lì in avanti è stato impossibile fermarsi: è toccato ai malati non terminali, poi a chi soffre a livello psicologico, poi agli anziani anche senza alcuna malattia fino ad oggi, dove si è aperto anche ai bambini in fase terminale. E il piano rimane inclinato verso ennesime aperture. «Quando il Belgio è stata legalizzata l’eutanasia», ha spiegato Tom Mortier sul “National Post”, «c’erano garanzie che sarebbe stato ben controllato e limitato ai casi eccezionali. Ma il numero di casi possibili è aumentato ogni anno raggiungendo quasi il 2% dei decessi totali nel 2012, e la definizione di ciò che è accettabile si sta continuamente espandendo». Numerose le volte, inoltre, si è praticata l’eutanasia su persone sane e senza il loro consenso, come accaduto alla madre di Marcel Ceuleneur.

Al Parlamento europeo si è svolto un dibattito sulla nuova legge belga a cui ha partecipato il professor Etienne Vermeersch, il padre delle leggi sull’aborto e l’eutanasia in Belgio il quale ha spiegato che la modifica alla legge in vigore dal 2002 è necessaria “per consentire di praticare l’eutanasia sugli handicappati”, adulti o bambini che siano. “Il Foglio” ha rivelato che Vermeersch è entrato nell’ordine dei Gesuiti nel 1953 ma nel 1958 ha rotto con la fede cattolica diventando un militante scettico e ateista, “un umanista” (autore di “Perché il dio cristiano non può esistere”). Nel 1979 si è pronunciato a favore della depenalizzazione della pedofilia e il suo nome è soprattutto legato alla teoria della sovrapopolazione come minaccia principale all’umanità. Sostiene infatti che i governi debbano intervenire per limitare i tassi di fertilità a un solo figlio per coppia, sostenendo la disumana politica del figlio unico in Cina.

Fortunatamente la bocciatura di tale decisione del governo belga è stata pressoché unanime nel mondo medico-scientifico, religioso e politico, con l’eccezione dei Radicali italiani. Tutte le associazioni mediche principali del mondo occidentale sono contrarie ad ogni forma di eutanasia e suicidio assistito, in Italia si sono espressi contro il Comitato nazionale di bioetica (Cnb), il Consiglio nazionale degli psicologi e la Federazione nazionale degli ordini dei medici (Fnomceo), il cui presidente Amedeo Bianco ha giustamente ricordato: «L’eutanasia, in assoluto è vietata dal nostro Codice penale ed anche dal Codice deontologico medico», e al divieto si aggiunge comunque il fatto che oggi «sono disponibili efficaci terapie anti-dolore che permettono di alleviare anche le situazioni di sofferenza maggiori».

Ha quindi proseguito: «E’ difficile, con i progressi fatti dalle terapie antalgiche, contro il dolore immaginare che possano esistere oggi condizioni di sofferenza sulle quali non si possa intervenire e che non possano essere alleviate. Ciò anche prevedendo e sapendo che l’utilizzo di tali tecniche farmacologiche può tuttavia comportare un’accelerazione del processo del morire. Va però sottolineato che oggi ci sono gli strumenti per alleviare il dolore e la sofferenza, che sono gli elementi che possono spingere verso una scelta eutanasica. Mi pare che tale proposta attenga piuttosto ad una cultura, quella belga, profondamente diversa dalla nostra, sia dal punto di vista giuridico che bioetico».

Le affermazioni di Bianco, presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici, sono convincenti ragioni laiche da contrapporre ai teorici della morte ed è corretto per noi cattolici affrontare il dibattito bioetico in questo modo, non soltanto avanzando motivazioni di tipo etico-religioso.

La redazione

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Il matrimonio omosex è un falso problema

Tribunale 
 
di Bruno Ferraro*
*Presidente Aggiunto Onorario Corte di Cassazione
 
da “Libero”, 29/05/13
 

Il cosiddetto matrimonio omosex è fuori della Carta Costituzionale. È un’opinione pienamente condivisa dal Senatore Giovanardi e contrastata dalla Presidente della Camera Boldrini. I due personaggi si sono pronunciati a margine della Giornata internazionale contro l’omofobia e la Presidente si è appellata al Trattato UE e alla Commissione Europea, secondo cui “i diritti di lesbiche, gay, bisessuali e transessuali formano parte integrale dei criteri per l’accesso all’Unione”.

Resto fermo nella mia convinzione e sostengo che, almeno fino ad eventuale sopravvenuta modifica della nostra Costituzione, nessuno può imporci di violarla e nessuno può dimostrare che il matrimonio omosex si armonizza con il principio dell’art. 29 che contempla il riconoscimento della famiglia come “società naturale fondata sul matrimonio”.

Sulla base dell’art. 3 della Costituzione e del principio di uguaglianza in esso sancito, nessuna discriminazione può ritenersi consentita in via di principio. Tuttavia, scendendo sul terreno delle norme positive, non riesco ad intravedere lacune suscettibili di essere colmate con norme di nuova emanazione. Non esiste un problema successorio, in quanto utilizzando il testamento è possibile trasmettere al compagno, in assenza di eredi aventi diritto, anche l’intero patrimonio. Nulla vieta, peraltro, la stipula di una polizza assicurativa o di una pensione integrativa a vantaggio del partner. È un falso problema il subentro nel contratto di locazione della casa in comune di residenza, in quanto tale contratto può essere stipulato congiuntamente dai due partner: in ogni caso la Corte Costituzionale (sentenza n. 404/1988) ha riconosciuto al convivente il diritto di successione nel contratto di locazione dopo la morte del titolare.

È un falso problema il diritto di visitare in carcere o in ospedale il partner in quanto tale possibilità è oggi concessa ai conviventi da norme dell’ordinamento penitenziario. Ed ancora, la giurisprudenza ha riconosciuto al convivente la risarcibilità per fatto illecito del terzo in danno del partner (esempio, un incidente stradale). Quanto ai contratti di convivenza, la loro stipula tra conviventi omosessuali è da tempo ammessa dalla giurisprudenza.

Se quanto precede è irrefutabile; se il legislatore non ha diritto di introdurre un istituto (il matrimonio) che si fonda su una legge di natura antica quanto l’uomo; se la questione dei diritti civili va tenuta nettamente distinta da quella concernente la famiglia; se i concetti di paternità e maternità sono radicati nella natura umana e non possono essere sostituiti con un generico concetto di “genitorialità”; se tutta la storia umana è centrata sull’attrazione dell’uomo verso la donna e viceversa; se la stessa parola “matrimonio” deriva da matris (madre) e munus (compito della madre di contribuire alla perpetuazione della specie); ci pensi un bel po’ chi sostiene che una coppia omosessuale ha diritto di vivere la propria unione ottenendone il riconoscimento giuridico.

Il matrimonio omosex è un falso problema. Non c’è bisogno di scardinare la famiglia per dare ad omosex e transex i diritti di cui sono già oggi titolari.

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L’intolleranza (laica) di Corrado Augias

Corrado Augias (primo piano)Decadenza Berlusconi, Palazzo Madama vota favorevolmente e sui media si scatena la solita bagarre degli opinionisti pro/contro. Non entriamo nel merito, non ci interessa in questo contesto che non segue o sostiene alcun schieramento politico.

Alla trasmissione “Otto e mezzo” sul La7 di mercoledì 27 novembre sono ospiti il giornalista Corrado Augias e Giorgio Mulè, direttore di “Panorama”. Conduce la rossa (in tutti i sensi) Lilli Gruber, ex parlamentare del Partito Socialista Europeo (il cui nome è recentemente comparso tra i partecipanti al Gruppo Bilderberg, che invita segretamente le personalità più influenti in campo economico, politico e bancario) e nota per interrompere continuamente gli ospiti della fazione politica avversa alla sua (M5S, PDL, SC ecc.), lasciando invece liberamente parlare chi la pensa come lei (guardate la trasmissione e fateci caso).

Come già detto, in studio è ospite il principe italiano della laicità, Corrado Augias. Da anni ripete su “Repubblica” che l’essere laici (cioè inteso come laicisti) significa rispettare, non imporre il proprio punto di vista, evitare di offendere il prossimo, sottintendendo ovviamente che i cattolici si comporterebbero all’opposto. Peccato che evidentemente si sia scordato questi sani principi durante la trasmissione quando, dopo aver ironizzato sul suo interlocutore e avergli attribuito dei precisi stati d’animo, si è pesantemente infastidito quando Mulè lo ha più volte interrotto per chiarire il suo punto di vista (giusto o sbagliato che sia). Più o meno quello che normalmente accade in tutti i talk show, prevalentemente a sfondo politico, dove spesso capita che ci si interrompa a vicenda o si parli l’uno sopra all’altro.

Eppure la reazione di Augias è stata decisamente intollerante: «Quando parlo, tu taci», ha detto con cattivo autoritarismo. «Io ragiono con difficoltà, lentamente. Se devo seguire un filo tu non devi parlare se no mi interrompi. Ho una certa età». La replica di Mulè: «l’imperativo solitamente non si usa tra persone civili». Troppo facile scrivere e teorizzare gli immensi valori laici e poi non saperli dimostrare concretamente.

 

Qui sotto l’intolleranza di Corrado Augias

 

Curioso che Augias non voglia essere contraddetto quando lui, in molte puntate a sfondo religioso nel suo ex-programma “Le storie” (si, è abbastanza ossessionato dalla religione) interrompeva volentieri colui a cui poneva le domande, ovviamente se il malcapitato rispondeva in modo a lui sgradito. Un esempio tra mille è la nota puntata con ospiti Vito Mancuso e Antonio Socci in occasione dell’uscita del nuovo libro dello scrittore cattolico, dove Augias ha sistematicamente usato il teologo gnostico per ribattere alle affermazioni di Socci (lui non sarebbe stato in grado). Non a caso Antonio Socci ha poi rivelato le scorrettezze etiche di Augias durante questa puntata. Come si vede nel video qui sotto, il giornalista anticlericale interrompe più volte il ragionamento di Socci, quest’ultimo però si ferma e ogni volta garbatamente riprende il filo logico.

 

Qui sotto un esempio delle interruzioni di Corrado Augias.

 

Va bene che Augias ragiona con difficoltà, ma la coerenza?

La redazione

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L’esperienza mistica di Bertrand Russell

Bertrand RussellRidurre il pensiero del celebre Bertrand Russell alla sciocchezza della teiera celeste è un’umiliazione per lo stesso filosofo gallese. Attraverso tale provocazione Russell pensava di dimostrare che l’onere della prova sull’esistenza di Dio spetta a chi afferma la sua esistenza e non, invece, allo scettico. Altrimenti, sosteneva, bisognerebbe dimostrare anche l’inesistenza di una teiera celeste in rivoluzione attorno al Sole su un’orbita ellittica e troppo piccola per essere rivelata dal più potente dei nostri telescopi.

Vissuto in epoca positivista Russell parlava evidentemente di dimostrazione scientifica ignorando che nemmeno nella scienza (e nella matematica, che è il linguaggio con cui si esprime) è vero solo ciò che è dimostrato. In secondo luogo è evidente che se l’esistenza di Dio si potesse provare attraverso il metodo scientifico, allora Dio sarebbe necessariamente parte della Sua creazione, come la teiera, e dunque non potrebbe più esserne il Creatore ultimo. Inoltre, è arduo pensare che l’ipotesi dell’esistenza di una teiera celeste stia su un piano di parità con l’ipotesi della sua inesistenza, così come nessuno si sente in dovere di confutare le milioni di cose improbabili che una fantasia fertile può concepire. L’importante non è se Dio sia confutabile o no (e non lo è), ma se Dio sia “probabile” o no, e restando in ambito filosofico è molto più probabile che l’ordine, la regolarità e la bellezza del cosmo rispondano ad una Causa prima, rispetto all’esistenza di un topino fatato o della teiera in orbita. Non a caso nessuno crede davvero alla teiera o è ad essa agnostico, mentre tanti credono a Dio o sono agnostici rispetto ad esso, riconoscendone comunque una plausibilità.

Infine, se a questo punto come obiezione si postulasse l’esistenza di un unicorno rosa anch’esso al di fuori del tempo e dello spazio, dunque non indagabile dalla scienza (che non può indagare ciò che è meta-fisico), e creatore onnipotente di quel che esiste, si starebbe semplicemente teorizzando ancora una volta Dio, anche se usando un altro nome e dandogli una forma precisa. L’obiezione cadrebbe nel vuoto, sarebbe ridondante.  L’obiezione della teiera, in ogni caso, non vale per i cristiani i quali non credono al dio di Albert Einstein e dei deisti ma al Dio rivelato da Gesù Cristo: «Dio nessuno l’ha mai visto. Proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato» (Gv 1,18). Tra noi e Dio c’è di mezzo il testimone eccezionale chiamato Gesù.

Avendo sbagliato analogia, Russell non ha affatto mostrato a chi spetta l’onere della prova, dilemma risolto dall’argomento del consenso comune. Ovvero, è sull’accusa e non sulla difesa che grava l’onere della prova, come dicono i giuristi: la negazione dell’esistenza di Dio è un fenomeno recente e sostenuto da poche persone rispetto alla mole degli uomini credenti che si sono succeduti sulla Terra; non sono loro a doversi giustificare ma è il non credente che deve trovare motivi per negare una realtà che contrassegna tutti gli uomini di tutti i tempi. Come affermava Alexis de Tocqueville: “l’irreligione è un accidente, solo la religione è lo stato permanente dell’umanità”. Si potrebbe anche dire: è “l’eccezione” che va giustificata, non la “normalità/consuetudine”. Oltretutto, c’è un’altra cosa da sottolineare e lo ha fatto il filosofo Umberto Eco dicendo: «La psicologia dell’ateo mi sfugge perché kantianamente non vedo come si possa non credere in Dio, e ritenere che non se ne possa provare l’esistenza, e poi credere fermamente all’inesistenza di Dio, ritenendo di poterla provare» (“In cosa crede chi non crede”, Liberal 1996, p. 23).

Torniamo però a Bertrand Russell, sottolineando un recente articolo sul “Guardian” dove per l’appunto si specifica che la sua scrittura sulle tematiche etice e religiose mancava dell’originalità e della raffinatezza rispetto alla sua opera filosofica sulla matematica. Nonostante fosse un uomo molto intelligente supportò l’eugenetica di Francis Galton e sostenne diversi luoghi comuni contro le religioni, oggi ripresi dagli anticlericali di professione. Tuttavia nella sua autobiografia ha rivelato di tanto in tanto un rapporto più complesso e ambivalente alla religione. In particolare descrivendo un episodio del 1901, quando assistette la moglie del suo collega di Cambridge, Alfred Whitehead, sofferente di problemi di cuore. Tale esperienza causò a Russell una sorta di visione spirituale: «Il terreno sembrava cedere sotto di me e mi sono trovato in un’altra regione», ha scritto. «Nel giro di cinque minuti sono passato attraverso a diverse riflessioni come il fatto che la solitudine dell’anima umana è insopportabile; nulla può penetrarla tranne la più alta intensità del tipo di amore che gli insegnanti religiosi hanno predicato».

Tale visione (indimostrabile come vera ma a cui lui credette immediatamente nonostante le sue note obiezioni scientiste) fu così potente che lui divenne «una persona completamente diversa». Anche se questa «intuizione mistica» è poi sbiadita di fronte ad una vecchia «abitudine di analisi», i suoi effetti -ha scritto-, «sono rimasti sempre con me, modificando il mio atteggiamento durante la prima guerra, il mio interesse nei bambini, la mia indifferenza per disgrazie minori e un certo tono emotivo in tutti i miei rapporti umani». L’aver vissuto imbevuto di un’atmosfera iper-positivista non lo ha purtroppo aiutato a far emergere le sue significative intuizioni.

La redazione

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Le ragioni della Chiesa sui divorziati risposati

SposiDopo l’annuncio di un sinodo straordinario che si terrà nell’ottobre del 2014 sulla pastorale della famiglia, l’arcivescovo prefetto della Congregazione per la dottrina della fede Gerhard Ludwig Müller ha voluto pubblicare un contributo sull’Osservatore Romano per spiegare le ragioni della posizione della Chiesa cattolica, rispondendo alle questioni avanzate da gruppi di fedeli e dalla società in generale. Pubblichiamo qui sotto alcune parti.

 
di Gerhard Ludwig Müller*
*prefetto della Congregazione per la dottrina della fede

 

La dottrina sulla indissolubilità del matrimonio incontra spesso incomprensione in un ambiente secolarizzato. Laddove si sono smarrite le ragioni fondamentali della fede cristiana, una mera appartenenza convenzionale alla Chiesa non è più in grado di guidare a scelte di vita importanti e di offrire alcun supporto nelle crisi dello stato matrimoniale — come anche del sacerdozio e della vita consacrata. Molti si chiedono: come posso io legarmi per tutta la vita a una sola donna / a un solo uomo? Chi può dirmi come sarà tra dieci, venti, trenta, quaranta anni di matrimonio? È poi effettivamente possibile un legame definitivo con una sola persona? Le molte esperienze di comunione matrimoniale che oggi si spezzano rafforzano lo scetticismo dei giovani nei confronti delle decisioni definitive della vita.

D’altra parte, l’ideale della fedeltà tra un uomo e una donna, fondato sull’ordine della creazione, non ha perso alcunché del suo fascino, come evidenziano le recenti inchieste tra i giovani. La maggior parte di loro aspira a una relazione stabile e duratura, in quanto ciò corrisponderebbe anche alla natura spirituale e morale dell’uomo. Inoltre va ricordato il valore antropologico del matrimonio indissolubile: esso sottrae i coniugi dall’arbitrio e dalla tirannia dei sentimenti e degli stati d’animo; li aiuta ad affrontare le difficoltà personali e a superare le esperienze dolorose; protegge soprattutto i figli, che patiscono la maggior sofferenza dalla rottura dei matrimoni.

Per i cristiani vale il fatto che il matrimonio dei battezzati, incorporati nel Corpo di Cristo, ha un carattere sacramentale e rappresenta, quindi, una realtà soprannaturale. Uno dei più gravi problemi pastorali consiste nel fatto che molti, oggi, giudicano il matrimonio esclusivamente secondo criteri mondani e pragmatici. Chi pensa secondo lo «spirito del mondo» (1 Corinzi, 2, 12) non può comprendere la sacramentalità del matrimonio. L’amore coniugale viene purificato, rafforzato e accresciuto dalla grazia sacramentale: «Questo amore, ratificato da un impegno mutuo e soprattutto consacrato da un sacramento di Cristo, resta indissolubilmente fedele nella prospera e cattiva sorte, sul piano del corpo e dello spirito; di conseguenza esclude ogni adulterio e ogni divorzio» (Gaudium et spes, n. 49). Certo, ci sono situazioni — ogni pastore lo sa — in cui la convivenza matrimoniale diventa praticamente impossibile a causa di gravi motivi, come ad esempio in caso di violenza fisica o psichica. In queste dolorose situazioni la Chiesa ha sempre permesso che i coniugi si potessero separare e non vivessero più insieme. Va precisato, tuttavia, che il vincolo coniugale di un matrimonio validamente celebrato rimane stabile davanti a Dio e le singole parti non sono libere di contrarre un nuovo matrimonio finché l’altro coniuge è in vita. I pastori e le comunità cristiane si devono perciò adoperare nel promuovere in ogni modo la riconciliazione anche in questi casi oppure, quando ciò non è possibile, nell’aiutare le persone coinvolte ad affrontare nella fede la propria difficile situazione.

 

LE RAGIONI CHE SI TROVANO NELLA SCRITTURA
Non è scevro di problematicità il fatto di porre immediatamente la nostra questione nell’ambito dell’Antico Testamento, in quanto il matrimonio non era ancora considerato allora come un sacramento. La Parola di Dio nell’Antico Testamento è tuttavia significativa rispetto a ciò anche per noi, dal momento che Gesù si colloca in questa tradizione e argomenta a partire da essa. Nel Decalogo si trova il comandamento “Non commettere adulterio” (Esodo, 20, 14), ma altrove il divorzio è considerato possibile. Secondo Deuteronomio, 24, 1-4, Mosè stabilisce che un uomo può rilasciare alla moglie un libello di ripudio e la può mandar via dalla sua casa se questa non trova più grazia ai suoi occhi. In conseguenza di ciò, l’uomo e la donna possono risposarsi. Accanto alla concessione del divorzio, tuttavia, nell’Antico Testamento si trova anche un certo disagio verso questa prassi. Come l’ideale della monogamia, così anche l’ideale della indissolubilità viene compreso nel confronto che i profeti istituiscono tra l’alleanza di Jahwè con Israele e il legame matrimoniale. Il profeta Malachia esprime con chiarezza tutto ciò: «Nessuno tradisca la donna della sua giovinezza (…) la donna legata a te da un patto» (Malachia, 2, 14-15).

Furono soprattutto le controversie con i farisei a dare a Gesù l’occasione di occuparsi del tema. Egli prese espressamente le distanze dalla prassi veterotestamentaria del divorzio, che Mosè aveva permesso a causa della «durezza del cuore» degli uomini, e rinviò invece alla volontà originaria di Dio: «Ma all’inizio della creazione li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola (…) Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto» (Marco, 10, 5-9; cfr. Matteo, 19, 4-9; Luca, 16, 18). La Chiesa cattolica, nel suo insegnamento e nella sua prassi, si è costantemente riferita alle parole di Gesù sulla indissolubilità del matrimonio. Il patto che unisce intimamente e reciprocamente i due coniugi è istituito da Dio stesso. Si tratta quindi di una realtà che viene da Dio e non è più nella disponibilità degli uomini.

Oggi, alcuni esegeti affermano che questi detti del Signore avrebbero riscontrato già nei tempi apostolici una certa flessibilità nell’applicazione: e precisamente, nel caso della pornèia (fornicazione, cfr. Matteo, 5, 32; 19, 9) e nel caso della separazione tra un partner cristiano e uno non cristiano (cfr. 1 Corinzi, 7, 12-15). Le clausole sulla fornicazione sono state oggetto di controversa discussione fin da subito in campo esegetico. Molti sono convinti che non si tratti di eccezioni rispetto all’indissolubilità del matrimonio, ma piuttosto di legami matrimoniali invalidi. In ogni caso, la Chiesa non può basare la sua dottrina e la sua prassi su ipotesi esegetiche controverse. Essa si deve attenere al chiaro insegnamento di Cristo. Paolo stabilisce che il divieto di divorzio è un’espressa volontà di Cristo: «Agli sposati ordino, non io, ma il Signore: la moglie non si separi dal marito — e qualora si separi rimanga senza sposarsi o si riconcili col marito — e il marito non ripudi la moglie» (1 Corinzi, 7, 10-11). Allo stesso tempo, basandosi sulla propria autorità, Paolo concede che un non cristiano possa separarsi dal suo partner diventato cristiano. In questo caso il cristiano non è più «soggetto a schiavitù», non è più costretto cioè a rimanere non-sposato (1 Corinzi, 7, 12-16).

A partire da questa posizione, la Chiesa ha riconosciuto che solo il matrimonio tra un uomo e una donna battezzati è sacramento in senso proprio e solo per questi vale l’indissolubilità incondizionata. Il matrimonio dei non battezzati è infatti ordinato all’indissolubilità, ma può comunque essere sciolto in determinate circostanze — a causa di un maggior bene (privilegium Paulinum). Non si tratta dunque di una eccezione al detto del Signore: l’indissolubilità del matrimonio sacramentale, del matrimonio nell’ambito del mistero di Cristo, rimane. Di grande significato per il fondamento biblico della comprensione sacramentale del matrimonio è la Lettera agli Efesini, in cui si afferma: «Voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei» (5, 25). E un po’ oltre l’Apostolo scrive: «Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno una carne sola. Questo è un grande mistero; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa» (5, 31-32). Il matrimonio cristiano è un segno efficace dell’alleanza di Cristo e della Chiesa. Il matrimonio tra battezzati è un sacramento perché contrassegna e media la grazia di questo patto.

 

LE RAGIONI CHE DELLA TRADIZIONE DELLA CHIESA
I Padri della Chiesa e i concili costituiscono successivamente una importante testimonianza per lo sviluppo della posizione ecclesiastica. Secondo i Padri le istruzioni bibliche sono vincolanti. Essi ricusano le leggi civili sul divorzio ritenendole incompatibili con la richiesta di Gesù. La Chiesa dei Padri, in obbedienza al Vangelo, ha respinto il divorzio e il secondo matrimonio; rispetto a tale questione la testimonianza dei Padri è inequivocabile. Nell’epoca patristica i credenti separati che si erano risposati civilmente non venivano riammessi ai sacramenti nemmeno dopo un periodo di penitenza. Alcuni testi patristici lasciano intendere che gli abusi non venivano sempre rigorosamente respinti e che a volte sono state cercate soluzioni pastorali per rarissimi casi limite.

Più tardi e in alcune zone, soprattutto a causa della crescente interdipendenza tra Chiesa e Stato, si pervenne a più grandi compromessi. In oriente questo sviluppo ha proseguito il suo corso e ha portato, soprattutto dopo la separazione dalla cattedra di Pietro, a una prassi sempre più liberale. Oggi nelle Chiese ortodosse esiste una varietà di cause per il divorzio, che sono solitamente giustificate con riferimento alla oikonomìa, la clemenza pastorale per i singoli casi difficili, e aprono la strada a un secondo o terzo matrimonio con carattere penitenziale. Questa prassi non è coerente con la volontà di Dio, chiaramente espressa dalle parole di Gesù sulla indissolubilità del matrimonio, e ciò rappresenta certamente una questione ecumenica da non sottovalutare. In occidente, la riforma gregoriana ha contrastato le tendenze di liberalizzazione e ha riproposto l’originaria concezione delle Scritture e dei Padri. La Chiesa cattolica ha difeso l’assoluta indissolubilità del matrimonio anche a costo di grandi sacrifici e sofferenze. Lo scisma della “Chiesa di Inghilterra”, separatasi dal successore di Pietro, è avvenuto non a causa di differenze dottrinali, ma perché il Papa, in obbedienza alla parola di Gesù, non poteva assecondare la richiesta del re Enrico VIII circa lo scioglimento del suo matrimonio.

Il concilio di Trento ha confermato la dottrina dell’indissolubilità del matrimonio sacramentale e ha chiarito che essa corrisponde all’insegnamento del Vangelo (cfr. Denzinger-Hünermann, 1807). Talvolta si sostiene che la Chiesa abbia di fatto tollerato la pratica orientale, ma ciò non corrisponde al vero. I canonisti hanno sempre parlato di una prassi abusiva, e vi sono testimonianze circa alcuni gruppi di cristiani ortodossi che, divenuti cattolici, dovettero firmare una confessione di fede in cui si faceva esplicito riferimento alla impossibilità della celebrazione di seconde o terze nozze. Il concilio Vaticano II ha riproposto una dottrina teologicamente e spiritualmente profonda del matrimonio nella costituzione pastorale Gaudium et spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, esponendo con chiarezza anche il principio della sua indissolubilità. Il matrimonio è inteso come una completa comunione corporale e spirituale di vita e di amore tra uomo e donna, che si donano e si accolgono l’un l’altro in quanto persone. Attraverso l’atto personale e libero del reciproco consenso viene fondata per diritto divino un’istituzione stabile, ordinata al bene dei coniugi e della prole, e non dipendente dall’arbitrio dell’uomo: «Questa intima unione, in quanto mutua donazione di due persone, come pure il bene dei figli, esigono la piena fedeltà dei coniugi e ne reclamano l’indissolubile unità» (n. 48).

Per mezzo del sacramento Dio concede ai coniugi una grazia speciale: «Infatti, come un tempo Dio ha preso l’iniziativa di un’alleanza di amore e fedeltà con il suo popolo così ora il salvatore degli uomini e sposo della Chiesa viene incontro ai coniugi cristiani attraverso il sacramento del matrimonio. Inoltre rimane con loro perché, come egli stesso ha amato la Chiesa e si è dato per essa, così anche i coniugi possano amarsi l’un l’altro fedelmente, per sempre, con mutua dedizione» (ibidem). Mediante il sacramento l’indissolubilità del matrimonio racchiude un nuovo, più profondo significato: essa diventa l’immagine dell’amore di Dio per il suo popolo e della fedeltà irrevocabile di Cristo alla sua Chiesa. È possibile comprendere e vivere il matrimonio come sacramento solo nell’ambito del mistero di Cristo. Se si secolarizza il matrimonio o se lo si considera come realtà puramente naturale rimane come impedito l’accesso alla sua sacramentalità.

 

LE RAGIONI DEL MAGISTERO IN EPOCA RECENTE
Con il testo tutt’oggi fondamentale dell’esortazione apostolica Familiaris consortio, pubblicata da Giovanni Paolo II il 22 novembre 1981 il Papa ha dimostrato un’alta misura di premura e di attenzione.

Al n. 84 («I divorziati risposati») vengono esposti i seguenti principi:
1. I pastori in cura d’anime sono obbligati per amore della verità «a ben discernere le diverse situazioni». Non è possibile valutare tutto e tutti allo stesso modo.
2. I pastori e le comunità sono tenuti ad aiutare «con sollecita carità» i fedeli interessati; anch’essi infatti appartengono alla Chiesa, hanno il diritto alla cura pastorale e devono poter partecipare alla vita della Chiesa.
3. L’ammissione all’eucaristia non può tuttavia essere loro concessa. In relazione a questo viene addotto un duplice motivo: a) «il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall’eucaristia»; b) «se si ammettessero queste persone all’eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio». Una riconciliazione mediante il sacramento della penitenza — che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico — può essere accordata solo sulla base del pentimento rispetto a quanto accaduto, e sulla disponibilità «a una forma di vita non più in contraddizione con l’indissolubilità del matrimonio». Ciò comporta, in concreto, che quando la nuova unione non può essere sciolta per seri motivi — quali, ad esempio, l’educazione dei figli — entrambi i partner «assumono l’impegno di vivere in piena continenza».
4. Per motivi teologico-sacramentali, e non per una costrizione legalistica, al clero è espressamente fatto divieto, fintanto che sussiste la validità del primo matrimonio, di porre in atto «cerimonie di qualsiasi genere» a favore dei divorziati che si risposano civilmente.

La Lettera della Congregazione per la dottrina della fede circa la recezione della comunione eucaristica da parte dei fedeli divorziati risposati del 14 settembre 1994 ha confermato che la prassi della Chiesa su questo tema «non può essere modificata in base alle differenti situazioni» (n. 5). Si chiarisce, inoltre, che i credenti interessati non devono accostarsi alla santa Comunione sulla base del loro giudizio di coscienza: «Qualora egli lo giudicasse possibile, i pastori e i confessori (…) hanno il grave dovere di ammonirlo che tale giudizio di coscienza è in aperto contrasto con la dottrina della Chiesa» (n. 6). In caso di dubbi circa la validità di un matrimonio fallito, questi devono essere verificati dagli organi giudiziari competenti in materia matrimoniale (cfr. n. 9). Rimane di fondamentale importanza fare «con sollecita carità tutto quanto può fortificare nell’amore di Cristo e della Chiesa i fedeli che si trovano in situazione matrimoniale irregolare. Solo così sarà possibile per loro accogliere pienamente il messaggio del matrimonio cristiano e sopportare nella fede la sofferenza della loro situazione. Nell’azione pastorale si dovrà compiere ogni sforzo perché venga compreso bene che non si tratta di nessuna discriminazione, ma soltanto di fedeltà assoluta alla volontà di Cristo che ci ha ridato e nuovamente affidato l’indissolubilità del matrimonio come dono del Creatore» (n. 10).

Nell’esortazione post-sinodale Sacramentum caritatis del 22 febbraio 2007 Benedetto XVI riprende e rilancia il lavoro del precedente sinodo dei vescovi sull’eucaristia. Egli giunge a parlare della situazione dei fedeli divorziati risposati al n. 29, ove non esita a definirla «un problema pastorale spinoso e complesso». Benedetto XVI ribadisce «la prassi della Chiesa, fondata sulla Sacra Scrittura (cfr. Marco, 10, 2-12), di non ammettere ai Sacramenti i divorziati risposati», ma scongiura addirittura i pastori a dedicare «speciale attenzione» nei confronti delle persone interessate «nel desiderio che coltivino, per quanto possibile, uno stile cristiano di vita attraverso la partecipazione alla santa messa, pur senza ricevere la comunione, l’ascolto della Parola di Dio, l’adorazione eucaristica, la preghiera, la partecipazione alla vita comunitaria, il dialogo confidente con un sacerdote o un maestro di vita spirituale, la dedizione alla carità vissuta, le opere di penitenza, l’impegno educativo verso i figli». Viene ribadito che, in caso di dubbi circa la validità della comunione di vita matrimoniale che si è interrotta, questi devono essere esaminati attentamente dai tribunali competenti in materia matrimoniale.

La mentalità contemporanea si pone piuttosto in contrasto con la comprensione cristiana del matrimonio, specialmente rispetto alla sua indissolubilità e all’apertura alla vita. Poiché molti cristiani sono influenzati da tale contesto culturale, i matrimoni sono probabilmente più spesso invalidi ai nostri giorni di quanto non lo fossero in passato, perché è mancante la volontà di sposarsi secondo il senso della dottrina matrimoniale cattolica e anche l’appartenenza a un contesto vitale di fede è molto ridotta. Pertanto, una verifica della validità del matrimonio è importante e può portare a una soluzione dei problemi.
Laddove non è possibile riscontrare una nullità del matrimonio, è possibile l’assoluzione e la comunione eucaristica se si segue l’approvata prassi ecclesiale che stabilisce di vivere insieme «come amici, come fratello e sorella». Le benedizioni di legami irregolari sono «da evitare in ogni caso (…) perché tra i fedeli non sorgano confusioni circa il valore del matrimonio». La benedizione (bene-dictio: approvazione da parte di Dio) di un rapporto che si contrappone alla volontà divina è da ritenersi una contraddizione in sé. Nell’omelia pronunciata a Milano il 3 giugno 2012, in occasione del settimo Incontro mondiale delle famiglie, Benedetto XVI è tornato a parlare di questo doloroso problema: «Una parola vorrei dedicarla anche ai fedeli che, pur condividendo gli insegnamenti della Chiesa sulla famiglia, sono segnati da esperienze dolorose di fallimento e di separazione. Sappiate che il Papa e la Chiesa vi sostengono nella vostra fatica. Vi incoraggio a rimanere uniti alle vostre comunità, mentre auspico che le diocesi realizzino adeguate iniziative di accoglienza e vicinanza». L’ultimo sinodo dei vescovi sul tema «La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana» (7-28 ottobre 2012) si è nuovamente occupato della situazione dei fedeli che, in seguito al fallimento della comunione di vita matrimoniale — non il fallimento del matrimonio, che sussiste in quanto sacramento — hanno iniziato una nuova unione e convivono senza il vincolo sacramentale del matrimonio. Nel messaggio finale i Padri sinodali si sono rivolti con queste parole ai fedeli coinvolti: «A tutti costoro vogliamo dire che l’amore del Signore non abbandona nessuno, che anche la Chiesa li ama ed è casa accogliente per tutti, che essi rimangono membra della Chiesa anche se non possono ricevere l’assoluzione sacramentale e l’eucaristia. Le comunità cattoliche siano accoglienti verso quanti vivono in tali situazioni e sostengano cammini di conversione e di riconciliazione».

 

RISPOSTA ALLE OBIEZIONI PIU’ COMUNI
Sempre più spesso viene suggerito che la decisione di accostarsi o meno alla comunione eucaristica dovrebbe essere lasciata alla coscienza personale dei divorziati risposati. Questo argomento, che si basa su un concetto problematico di “coscienza”, è già stato respinto nella lettera della Congregazione del 1994. Certo, in ogni celebrazione della messa i fedeli sono tenuti a verificare nella loro coscienza se è possibile ricevere la comunione, possibilità a cui l’esistenza di un peccato grave non confessato sempre si oppone. Essi hanno pertanto l’obbligo di formare la propria coscienza e di tendere alla verità; a tal fine possono ascoltare nell’obbedienza il magistero della Chiesa, che li aiuta «a non sviarsi dalla verità circa il bene dell’uomo, ma, specialmente nelle questioni più difficili, a raggiungere con sicurezza la verità e a rimanere in essa» (Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Veritatis splendor, n. 64).

Se i divorziati risposati sono soggettivamente nella convinzione di coscienza che il precedente matrimonio non era valido, ciò deve essere oggettivamente dimostrato dalla competente autorità giudiziaria in materia matrimoniale. Il matrimonio non riguarda solo il rapporto tra due persone e Dio, ma è anche una realtà della Chiesa, un sacramento, sulla cui validità non solamente il singolo per se stesso, ma la Chiesa, in cui egli mediante la fede e il Battesimo è incorporato, è tenuta a decidere. «Se il matrimonio precedente di fedeli divorziati risposati era valido, la loro nuova unione non può essere considerata lecita in alcun caso, per il fatto che la recezione dei Sacramenti non si può basare su ragioni interiori. La coscienza del singolo è vincolata senza eccezioni a questa norma» (cardinale Joseph Ratzinger, La pastorale del matrimonio deve fondarsi sulla verità, «L’Osservatore Romano», 30 novembre 2011, pagine 4-5). Anche la dottrina dell’epichèia, secondo la quale una legge vale sì in termini generali, ma non sempre l’azione umana vi può corrispondere totalmente, non può essere applicata in questo caso, perché l’indissolubilità del matrimonio sacramentale è una norma di diritto divino, che non è dunque nella disponibilità autoritativa della Chiesa. Questa ha, tuttavia, il pieno potere — sulla linea del privilegio paolino — di chiarire quali condizioni devono essere soddisfatte prima che un matrimonio possa definirsi indissolubile secondo il senso attribuitogli da Gesù. Su questa base, la Chiesa ha stabilito gli impedimenti al matrimonio che sono motivo di nullità matrimoniale e ha messo a punto una dettagliata procedura processuale.

Un’ulteriore tendenza a favore dell’ammissione dei divorziati risposati ai sacramenti è quella che invoca l’argomento della misericordia. Poiché Gesù stesso ha solidarizzato con i sofferenti donando loro il suo amore misericordioso, la misericordia sarebbe quindi un segno speciale dell’autentica sequela. Questo è vero, ma è un argomento debole in materia teologico-sacramentaria, anche perché tutto l’ordine sacramentale è esattamente opera della misericordia divina e non può essere revocato richiamandosi allo stesso principio che lo sostiene. Attraverso quello che oggettivamente suona come un falso richiamo alla misericordia si incorre nel rischio della banalizzazione dell’immagine stessa di Dio, secondo la quale Dio non potrebbe far altro che perdonare. Al mistero di Dio appartengono, oltre alla misericordia, anche la santità e la giustizia; se si nascondono questi attributi di Dio e non si prende sul serio la realtà del peccato, non si può nemmeno mediare alle persone la sua misericordia. Gesù ha incontrato la donna adultera con grande compassione, ma le ha anche detto: «Va’, e non peccare più» (Giovanni, 8, 11). La misericordia di Dio non è una dispensa dai comandamenti di Dio e dalle istruzioni della Chiesa; anzi, essa concede la forza della grazia per la loro piena realizzazione, per il rialzarsi dopo la caduta e per una vita di perfezione a immagine del Padre celeste.

 

L’ATTENZIONE E LA CURA PASTORALE VERSO I DIVORZIATI RISPOSATI
Anche se, per l’intima natura dei sacramenti, l’ammissione a essi dei divorziati risposati non è possibile, a favore di questi fedeli si devono rivolgere ancora di più gli sforzi pastorali, per quanto questi debbano rimanere in dipendenza dalle norme derivanti dalla Rivelazione e dalla dottrina della Chiesa. Il percorso indicato dalla Chiesa per le persone direttamente interessate non è semplice, ma queste devono sapere e sentire che la Chiesa accompagna il loro cammino come una comunità di guarigione e di salvezza. Con il loro impegno a comprendere la prassi ecclesiale e a non accostarsi alla comunione, i partner si pongono a loro modo quali testimoni della indissolubilità del matrimonio. La cura per i divorziati risposati non dovrebbe certamente ridursi alla questione della recezione dell’eucaristia. Si tratta di una pastorale globale che cerca di soddisfare il più possibile le esigenze delle diverse situazioni. È importante ricordare, in proposito, che oltre alla comunione sacramentale ci sono altri modi di entrare in comunione con Dio.

L’unione con Dio si raggiunge quando ci si rivolge a lui nella fede, nella speranza e nella carità, nel pentimento e nella preghiera. Dio può donare la sua vicinanza e la sua salvezza alle persone attraverso diverse strade, anche se esse si trovano a vivere in situazioni contraddittorie. Come rimarcano costantemente i recenti documenti del Magistero, i pastori e le comunità cristiane sono chiamate ad accogliere con apertura e cordialità le persone che vivono in situazioni irregolari, per essere loro accanto con empatia, con l’aiuto fattivo e per far loro sentire l’amore del Buon Pastore. Una cura pastorale fondata sulla verità e sull’amore troverà sempre e nuovamente in questo campo le strade da percorrere e le forme più giuste.

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Il complottismo del “teologo” Hans Küng

Hans KungIl vero padre spirituale del nostro Vito Mancuso non è certamente il card. Carlo Maria Martini, che la pensava diversamente da lui su quasi tutto, ma il teologo svizzero Hans Küng.

Da sempre ossessionato da Joseph Ratzinger, suo relatore di laurea all’università di Monaco nel 1970. Il Pontefice emerito, qund’era a capo della Congregazione per la dottrina della fede nel 1984, avviò un procedimento ecclesiale nei suoi confronti per l’incompatibilità delle sue bizzarre posizioni con l’insegnamento della teologia cattolica. Così è iniziato l’odio irrefrenabile verso Ratzinger e il Vaticano, lui un teologo di periferia noto grazie alla strumentalizzazione della sua figura da parte dei media anticlericali e Ratzinger addirittura fatto Papa, ovvero successore di Pietro.

La novità è che finalmente da oggi ha cominciato ad opporsi anche a Papa Francesco. Il motivo? Non avergli dato retta ed aver condannato l’aborto e rifiutato il sacerdozio femminile nella Evangelii Gaudium. Però, come si può criticarlo direttamente? Proprio Papa Francesco, poi, il nuovo paladino (suo malgrado) del laicismo e dell’anticlericalismo più becero? No, Küng non ha mai avuto coraggio, non è nelle sue capacità saper andare controcorrente per cui ha dovuto inventarsi il complotto secondo cui Francesco, quando critica il capitalismo e promuove la decentralizzazione verso diocesi e parrocchie lo farebbe di sua iniziativa, mentre quando si oppone all’aborto e al sacerdozio femminile «subisce le pressioni della congregazione della dottrina della fede e del suo prefetto, l’arcivescovo Gerhard Ludwig Müller». Così, «il Papa vorrebbe andare avanti – il “prefetto della fede” frena».

Capendo da solo che come tesi è abbastanza insostenibile, il teologo bollito si è anche domandato se «il Papa emerito Ratzinger per il tramite dell’arcivescovo Müller e di Georg Gänswein, il suo segretario, anch’egli nominato arcivescovo e prefetto della casa pontificia, effettivamente non agisca come una sorta di “Papa-ombra”», confermando dunque la sua schizofrenia nei confronti del Pontefice emerito. Il resto dell’articolo pubblicato su “Repubblica” sono insulti e diffamazioni nei confronti del prefetto Müller.

Queste dunque le nuove tesi di colui che sarebbe, per molti, il più pericoloso nemico della Chiesa cattolica. Non c’è molto da commentare, se non ricordare che l’odiato Gerhard Ludwig Müller è stato ovviamente pienamente confermato in questo delicatissimo e fondamentale ruolo da Papa Francesco. Come ha commentato uno dei vaticanisti più attenti e attendibili, Sandro Magister, «Müller scrive, Francesco detta».

Evidentemente Hans Küng è destinato a convivere con l’odio e la frustrazione anche durante il pontificato di Papa Francesco. Non a caso ha annunciato di volersi suicidare perché «stanco di vivere». Come si può, d’altra parte, amare una vita passata nell’invidia e nella presunzione? Mons. Gerhard Ludwig Müller, in accordo con Papa Francesco, ha replicato così alle sue dichiarazioni: «E’ molto triste sapere che un teologo parli in questo modo, spero che nessuno segua il suo esempio». Certamente per un cattolico non è proprio positivo non essere ritenuto un esempio positivo dal più importante riferimento della Chiesa cattolica dopo il Papa.

La redazione

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La contraccezione non elimina gli aborti (li aumenta)

Aborto a 18° settimane (6 mesi)Uno dei più longevi miti dell’abortismo è quello secondo cui un accesso agevolato alla contraccezione riduce le gravidanze indesiderate e, dunque, gli aborti. «Dobbiamo puntare molto sulla contraccezione come momento di prevenzione», affermava non a caso la politica abortista Maria Magnani Noya (cit. in La questione femminile, Marsilio 1976, p. 62).

La contraccezione come prevenzione all’aborto, dunque. Ma le cose stanno proprio così? Che cosa dice al riguardo la ricerca scientifica? A questa diffusa convinzione corrispondono degli effettivi riscontri oppure si tratta, per quanto popolare e radicata, di una leggenda metropolitana? La sola risposta attendibile può giungerci prendendo in esame i Paesi che sulla contraccezione hanno deciso, per così dire, di scommettere.

Prendiamo per esempio il caso inglese: la Gran Bretagna è un Paese dove da alcuni anni si è deciso di investire massicciamente nella diffusione di contraccettivi. Una scelta non casuale ma pensata in risposta all’allarmante fenomeno abortivo tra le adolescenti e alla crescita del numero complessivo delle interruzioni volontarie di gravidanza. Più contraccezione meno aborti, le aspettative erano queste. Ebbene, dopo qualche tempo dall’avvio di questo programma si è verificato un fatto totalmente inaspettato: le cose sono peggiorate. Il numero degli aborti, anche se di poco, ha infatti continuato a crescere – nel 2011 sono stati 189.931, mentre nel 2010 furono 189.574 – ma soprattutto tra le giovanissime sono aumentati drammaticamente gli aborti multipli: nel 2010 in 485 hanno abortito per la terza volta, in 57 per la quarta, in 14 per la quinta, in 4 per la sesta e in 3 per la settima. Orbene, non occorre molto per capire che in un Paese dove quasi 500 adolescenti all’anno abortiscono per la terza volta è in corso un disastro educativo di vaste proporzioni e, quel che è peggio, destinato a crescere.

A questo punto si potrebbe ribattere facendo osservare che quello inglese è comunque un caso singolo e dunque sarebbe affrettato impiegarlo per decretare il fallimento sociale della contraccezione. Le cose non stanno così dato che quanto accade in Gran Bretagna si è verificato anche altrove. Pensiamo alla Spagna dove, secondo quanto riferisce uno studio pubblicato un paio di anni fa, nell’arco di una decade all’aumento del 63% dell’uso dei contraccettivi è corrisposto una crescita ancora maggiore, pari addirittura al 108%, del tasso di aborto (Cfr. «Contraception» 2011; 83(1):82-7). Oppure pensiamo al caso della Svezia dove, tra il 1995 ed il 2001, durante un periodo di facilitazione della diffusione dei contraccettivi, il tasso di aborto delle adolescenti è lievitato del 32% (Cfr. «Sexually Transmitted Infections» 2002; 78 (5):352-356). E potremmo continuare a lungo, se non fosse già chiaro non c’è correlazione tra contraccezione e riduzione delle gravidanza indesiderate (Cfr. «Journal of Health Economics» 2002; 21(2):207-25).

Non solo: i dati che abbiamo ricordato, unitamente ad altre risultanze, rafforzano l’ipotesi opposta, e cioè che la contraccezione sia causa o almeno concausa dell’aumento degli aborti (Cfr. «Working Paper, Duke University Department of Economics» 2008: 1-38 at 31). Ipotesi supportata anche dal fatto che oltre la metà delle donne intenzionate ad abortire – secondo quanto emerso in alcune ricerche – in precedenza faceva regolare ricorso alla contraccezione (Cfr. Guttmacher Institute 2008, Facts on Induced Abortion in the United States).

Come mai tutto questo? Le spiegazioni del fenomeno – precisato che qualora vi sia stato concepimento prodotti non di rado spacciati come contraccettivi (Norlevo, Ru-486, EllaOne) producono effetti abortivi –  sono principalmente di due tipi.  La prima è di ordine etico e riguarda il fatto che giammai un male, in questo caso l’aborto, può essere fronteggiato e men che meno superato ricorrendo a strategie a loro volta immorali, quali certamente sono le scelte di promozione della contraccezione; il fine, insomma, non giustifica i mezzi. Anche perché ricorrendo a mezzi ingiusti – come in questo caso – difficilmente si persegue il fine prefissato.

Passiamo così ad una seconda spiegazione dell’inefficacia della contraccezione, derivante da quella che potremmo definire una “incompatibilità di livelli”. Se infatti il fenomeno delle gravidanze, in particolare quelle tra le giovanissime, come sappiamo è del tutto reale, non è tuttavia detto che sia esso sia di natura squisitamente materiale. Al contrario, tutto lascia pensare che dietro vi siano forti carenze educative. Il che spiega come mai, se si predispone una risposta materiale – la distribuzione di contraccettivi – ad una domanda valoriale – il bisogno di autentica educazione all’affettività ed alla sessualità –, detta domanda non trova alcuna risposta adeguata e continua ad ingrandirsi. Esattamente con il tasso di aborto tende a crescere (o comunque certamente non decresce) con la diffusione dei contraccettivi.

Ne consegue che solo sostituendo la corrente apologia della contraccezione con una sana introduzione all’affettività e potenziando l’implementazione di interventi di gruppo che indirizzino il comportamento sessuale degli adolescenti si può ridurre l’incidenza del fenomeno delle gravidanze indesiderate (Cfr. «American Journal Of Preventive Medicine» 2012; 42(3): 272–294). Viceversa, insistendo con la politica contraccettiva si seguiterà a rimandare o, come abbiamo visto, a peggiorare la dimensione di un problema che già oggi è di proporzioni allarmanti.

Giuliano Guzzo

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Sette bastano alla lobby LGBT?

Famiglia allargata 
 
dal blog Berlicche, il cielo visto dal basso

 
 

Caro genitore 1, oggi era il mio primo giorno di scuola.

Siccome sei via con genitore 4 in Pakistan per andare a trovare genitore 3 della/del mia/o sorellina\fratellino\altro, a portarmi in classe sono stati il mio genitore 3 e genitore 2. C’è stata una scena buffa perché genitore 1 di genitore 4 era convinto/a che tu e genitore 4 aveste chiesto a lei\lui\altro di portarmi e così è partito/a con il\la suo\a compagno\a\altro per venirmi a prendere.

Si è anche un poco arrabbiato\a perché aveva promesso a genitore 3 di genitore 1 e a genitore 2 di genitore 4 di andare poi tutti assieme a fare shopping, ma poi alla fine ha capito e se n’è andato\a. Il viaggio è stato un poco noioso perché c’era anche genitore 3 che ha sparlato di genitore 6 tutto il tempo, ma non il mio genitore 6, quello\a di mio\a sorella\fratello\altro.

Quando siamo arrivati a scuola era pieno di genitori, soprattutto 1 e 2. La mia classe è spaziosa e siamo tanti bambini\bambine\altro. Hanno fatto firmare il diario ai genitori. Il\la maestro\a ha detto che ci voleva una pagina più grande, tutti hanno riso ma non ho capito perché, tanto il mio genitore 5 è in India e il 6 non l’ho mai neanche visto.

Ho spiegato al/alla maestro/a che genitore 5 non sa scrivere e firma con una croce, si è arrabbiato\a perché ha detto che croce non si può dire né scrivere perché è omofoba. All’intervallo ognuno di noi doveva decidere in quale bagno andare: in quello dei maschietti, delle femminucce o altro, anche se quest’ultimo non c’è perché il ministero non ha dato ancora i fondi a causa delle scuole private. E’ stato molto divertente perché io e tutti i miei amici abbiamo deciso che avremmo usato il bagno delle femminucce, allora i maestri si sono arrabbiati dicendo che non potevamo decidere tutti per un solo bagno e bisognava dividersi. I genitori si sono arrabbiati perché era un nostro diritto decidere. Non ho ancora capito alla fine se posso andare al bagno o no.

A fine giornata ci hanno fatto colorare e gonfiare degli strani palloncini bianchi, ci hanno detto che domani ci spiegheranno cosa servono e che l’importante comunque era abituarsi, credo però che siano le stesse cose che mi hai già fatto vedere tu. Mi sono tanto divertito\a!

A prendermi alla fine c’era il mio genitore 2 e un\una signore\signora\altro che lui\lei\altro ha detto che forse sarebbe diventato\a il mio nuovo genitore. Genitore 1, ma come faccio? Io so contare solo fino a 6!

Ciao ciao, tuo\a\altro Fufi.

Famiglia allargata

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