Frans De Waal e il tentativo della “morale negli animali”

Frans De WallIl dogma riduzionista-naturalista “noi siamo i nostri geni” è stato ormai abbandonato, sostituito da qualche tempo da un’altra convinzione dogmatica: “noi siamo il nostro cervello”. Messi da parte i genetisti, ecco fare spazio ai neuroscienziati per sostenere che il libero arbitrio è un’illusione, che la coscienza è un epifenomeno del cervello e che la morale è un mero prodotto neuronale. Il tutto ovviamente per evitare di attribuire all’essere umano un’eccezionalità davvero fastidiosa da sopportare per i negatori del Creatore.

In questa nuova impresa non ci sono solo neuroscienziati, ma anche etologi come Frans De Waal il quale ovviamente ha interesse a sostenere che «la morale non nasce con la religione ma è innata», cioè presente negli animali e sopratutto nei primati, i quali addirittura «distinguono tra bene e male e reagiscono alle ingiustizie». Una esagerazione, fortunatamente ridimensionata subito sotto: «non dico che gli scimpanzé o i bonobo siano esseri morali, ma hanno tutti gli ingredienti di base senza i quali noi umani non potremmo avere una morale». Più l’intervista prosegue e più le affermazioni si spogliano di sicumera: «Non possiamo sapere cosa sentono gli animali», rettifica per la terza volta. «Quello che possiamo fare è misurare come reagiscono in alcune situazioni».

Ovvero si interpretano (spesso arbitrariamente) le reazioni animali da un punto di vista umano, cioè l’antropomorfismo. Un semplice gioco di deduzioni probabilistiche che nulla a che vedere con il metodo scientifico, alla pari di chi chiacchiera con il suo gattino perché “lui mi capisce”. Verso la fine un’altra precisazione: «La morale umana non riguarda solo me e te o le persone che conosciamo, ma si applica a chiunque nello stesso modo. Questo richiede un certo livello di astrazione, delle regole generalizzate. In questo senso la morale umana è speciale: noi discutiamo i principi del nostro sistema etico e cerchiamo di giustificarli, mentre le scimmie antropomorfe non lo fanno», sempre ammesso che abbiano e seguano un sistema etico. Non manca una critica a Richard Dawkins e al suo “gene egoista” che De Wall considera addirittura «un messaggio antidarwiniano».

In pratica l’etologo olandese riduce la morale umana all’empatia, alla cooperazione e al prendersi cura degli altri. E’ ovvio allora che concluda che «la cooperazione e l’armonia sociale sono state sempre un vantaggio per la nostra specie, molto prima che nascessero le moderne religioni, ovvero circa duemila anni fa». La religione, dunque, avrebbe semplicemente «rinforzato il sistema». Al di là della validità scientifica, anche volendo prendere per vero il punto di vista di De Waal, occorre constatare che si tratta di una lettura originale della storia umana che conferma come nell’uomo vi sia una naturale inclinazione al bene, alla relazione e alla cooperazione e che la religione, in particolare il cristianesimo, ha valorizzato spiegandone l’origine: siamo tutti fratelli, ci ha detto Gesù Cristo, poiché figli di un unico Dio. Aggiungendo però un insegnamento unico: «Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”». Questo lo dicevano anche gli antichi greci. Ma, aggiunge Gesù: «io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti. Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5, 43-48).

Non esiste alcuna specie animale che ama i suoi nemici o che ha un concetto di vera gratuità. La cooperazione e la cura verso la propria prole di cui parla De Waal hanno un senso nell’evoluzione e nel mantenimento del gene mentre quella verso gli estranei si chiama grooming: io faccio a te così tu farai a me. E’ sempre per un ritorno personale (come è stato scoperto nelle formiche) che si muove l’animale e non potrebbe essere così dato che «il comportamento morale in quanto tale non esiste nemmeno in forma iniziale in esseri non umani» (F. Ayala, “L’evoluzione”, Jaca Book 2009, p. 157). L’altruismo è soltanto apparente, si tratta sempre di una forma di egoismo. Non a caso una importante scuola di biologi evoluzionisti, guidati anche da Marc Hauser, sostiene essere più interessante notare le differenze tra animali e uomo piuttosto che rimarcare le (poche) analogie.

L’etologo De Wall riconosce il fallimento dell’ateismo moderno nell’aver usato come argomento principale l’aggressione ai credenti e alla religione. «Con la loro pretesa di essere razionali», ha accusato, «il loro disprezzo per l’intreccio storico fra scienza e religione e la loro disponibilità ad inimicarsi anche i credenti moderati, i neo-atei finiscono per cadere nella parte dogmatica dello spettro. La loro posizione è stata particolarmente dannosa al dibattito sull’evoluzione. Chi ascolterà i biologi che sostengono quanto sia ben documentata l’evoluzione se la prima cosa che esce dalle loro bocche è: “sei un idiota”? Per di più, l’ateismo è una posizione vuota. Tutto quello che fa è sostenere che Dio non esiste, mentre lascia senza risposte domande come: cosa fare con la nostra vita, dove trovarne il significato, perché siamo qui e come metterci in connessione con la società umana nel suo insieme». Il suo approccio è invece più soft: focalizzarsi sugli aspetti positivi per rendere inutile la religione: «L’ateismo», ha scritto nel suo recente volume “Il bonobo e l’ateo”, «dovrà essere combinato con qualcos’altro, qualcosa di più costruttivo che la sua opposizione alla religione, per essere rilevante per la nostra vita. L’unica possibilità è quella di abbracciare la morale come naturale per la nostra specie».

Ecco dunque svelato che il tentativo riduzionista di concepire la morale umana come fattore puramente naturale serve alla causa ateista più che a quella scientifica. Ancora una volta si abusa della scienza per negare Dio. Un tentativo contro la scienza e contro lo stesso Charles Darwin, secondo il quale, invece, «un essere morale è un essere in grado di paragonare le sue azioni e le sue motivazioni passate e future e di approvarle o disapprovarle. Non abbiamo ragioni di supporre che qualcuno degli animali inferiori abbia queste capacità» (C. Darwin, “L’origine dell’uomo e la selezione naturale”, Newton Compton 2007, p.88).

La redazione

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Reza Aslan ha le competenze storiche di Corrado Augias

Reza AslanAnche in Italia è arrivato “Gesù il ribelle” (Rizzoli), il libro di Reza Aslan che negli Usa ha dominato per mesi le classifiche dei bestseller a causa di un’intervista divenuta virale realizzata da “Fox news”. Il conduttore, Lauren Green, ha incalzato per dieci minuti l’autore chiedendogli perché un musulmano (Aslan è musulmano) abbia scritto un libro su Gesù, non accontentandosi delle risposte ricevute.

Il libro ovviamente non è un saggio sulla storicità del cristianesimo, anche perché lo stesso Aslan è un semplice giornalista e professore associato di Creative Writing (“Scrittura creativa”) all’University of California. Anzi, il Washington Post ha spiegato che nonostante sia «ansioso – forse impaziente – di presentarsi come un accademico formidabile con buona fede nella religione e storia», tuttavia «il ragazzo non ha i titoli accademici di cui si vanta di avere», o che vorrebbe avere. Aslan, si legge, ha più volte affermato di avere un dottorato in “storia delle religioni” in “sociologia delle religioni”, ma non esistono gradi all’università che ha frequentato. Il suo dottorato è in sociologia (140 pagine sull’attivismo politico musulmano contemporaneo), secondo l’ufficio di stato civile presso l’Università della California a Santa Barbara e ha una laurea in studi religiosi e un master in studi teologici, ma non è professore di religione o di storia (e non possiede né un dottorato né una cattedra per lo studio accademico della religione). Aslan ha anche affermato di essere “un membro attivo” del Riverside’s Department of Religious Studies ma è stato smentito da Vivian-Lee Nyitray, ex presidente del dipartimento la quale ha ammesso di aver riconosciuto la possibilità di ammettere Aslan tra i membri lo scorso anno, ma senza arrivare ad una decisione positiva.

In ogni caso quello di Aslan si tratta di un romanzo dove, prevedibilmente, la figura di Cristo viene separata dal presunto mito elaborato successivamente, come hanno provato a fare tanti altri nei secoli scorsi. Nel libro è comunque assente la provocazione e il sarcasmo, ma -così appare- un’autentica voglia di capire. Lo ha spiegato lui stesso a “Repubblica”, dopo aver rivelato che madre, moglie e fratello sono cristiani:«Non avrei mai potuto scrivere un libro contro i miei valori, contro le persone che amo e in cui credo. Volevo solo capire. Solo capire». Appare originale, in ogni caso, decidere di pubblicare un saggio (nei suoi obiettivi) per la voglia di capire e non di spiegare.

Ha anche affermato di ritenere Gesù Cristo «la persona più importante degli ultimi duemila anni, è alla base della civiltà occidentale». Nel suo libro racconta che Gesù era un contadino palestinese, che non sono mai esistiti né i dodici discepoli né il processo sotto Ponzio Pilato e che la sepoltura di Gesù sarebbe stata improbabile e il corpo sarebbe stato gettato in una fossa comune. Tesi sconosciute e mai sostenute dagli storici del cristianesimo e dagli studiosi del Nuovo Testamento.

Durissima la critica di Elizabeth Castelli, specialista in studi biblici e cristianesimo antico. Anche lei, a dire la verità, è un’autrice decisamente controversa (estrapola concetti femministi dalla Bibbia, ad esempio) e con poco seguito, ma tuttavia ha le credenziali per entrare nel dibattito: «Aslan è un lettore piuttosto che un ricercatore», ha scritto. «Se non fosse stato spinto alla ribalta da un aggressivo piano di marketing da parte di Fox News, il libro sarebbe probabilmente stato semplicemente accantonato accanto ad una miriade di altri esempi del suo genere, e tutti potevano tornare alle loro vite. E com’è con tanti spettacoli, forse il miglior consiglio che si può dare è questo: niente da vedere qui, gente. Andate oltre». Il ben più attendibile Barth Ehrman, studioso statunitense del Nuovo Testamento, ha spiegato di non avere «intenzione di leggerlo. Questo perché, come la maggior parte degli studiosi di ricerca, semplicemente non ho il tempo o la voglia di leggere libri scritti per i non esperti, soprattutto quando sono scritti da non esperti».

Anche Denny Burk, docente di Biblical Studies al Boyce College, non ha alcuna intenzione di leggere il libro. Dopo aver letto alcune interviste a Aslan, «è diventato molto chiaro che il suo libro era una ricostruzione del materiale apparso in numerose opere nel corso dell’ultimo secolo». «Se non fosse stato per un’intervista imbarazzante, credo che nessuno starebbe nemmeno parlando del libro. E’ irrilevante».

Per molti Reza Aslan è già diventato il nuovo Dan Brown musulmano, per noi invece rappresenta più il Corrado Augias islamico.

La redazione 

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Le curiose correlazioni di Giovanni Sartori

Giovanni Sartori 
 
di Giorgio Masiero*
*fisico

 

Qualche sabato fa aspettavo alla stazione il treno per Milano. Man mano che si avvicinava l’ora schedulata, sempre più gente giungeva, accalcandosi al binario. Finalmente arrivò il treno, puntuale una volta tanto – constatai soddisfatto. Fu l’arrivo della gente (evento A) a causare l’arrivo del treno (evento B)? O fu l’arrivo del treno (B) la causa dell’arrivo della gente (A)? Né l’uno né l’altro, ragionai: entrambi gli eventi accaddero sotto la spinta di una terza causa, l’orario ferroviario (C). C fu la causa dei due eventi “separati” A e B.

Un’altra correlazione mi aveva intrigato qualche tempo prima. Mia moglie mi dice un giorno che secondo un sondaggio organizzato dalla sua rivista preferita coloro che consultano più spesso astrologi e chiromanti vivono più a lungo. “Ma ci credi davvero?” le rispondo di botto. “Che cosa avrebbero gli astrologi? Uno speciale tipo di energia psichica che trasmettono ai loro clienti?! No, aspetta, forse è perché chi conosce il proprio futuro vive più felice e più sano!” E lei, fredda: “La cosa è presto detta. Le donne frequentano gli astrologi più degli uomini” e d’altra parte “le donne vivono più degli uomini”. Tacqui basito.

La morale è che bisogna stare attenti con le correlazioni, prima di tirare conclusioni. Le correlazioni sono un tranello di cui nessuno è mai abbastanza avvertito ed anche chi per lavoro (in campo educativo o scientifico o manageriale o tecnologico) dovrebbe esserne vaccinato ci casca con facilità. Ho un amico ricercatore, biologo e matematico, grande conoscitore delle tecniche statistiche, che si è divertito a raccogliere alcune gustose conclusioni pseudo-scientifiche, tirate da una giustapposizione ingenua (o interessata o ideologica) di correlazioni, che hanno riempito pagine e pagine di quotate riviste peer review. I territori più esposti alle incursioni vanno dalla biologia all’ecologia, dalla finanza alle neuroscienze all’ufologia, per culminare nella madre delle madri delle correlazioni: quelle “segrete” del complottismo, per definizione infalsificabili, ma che fortunatamente si appalesano ad una schiera di eletti, i quali poi sentono il dovere di svelare il complotto a tutti.

Il punto è che, ogni volta che siamo in presenza di una correlazione regolare (e quindi presumibilmente non casuale) tra 2 eventi A e B, prima di saltare alla conclusione indotta dal nostro sistema di credenze, per es. che A sia causa di B, si deve valutare la possibilità a prima vista controintuitiva che B sia causa di A; e si deve valutare anche la possibilità che entrambi siano effetti di una terza causa C, e perfino che A e B siano 2 aspetti diversi dello stesso fenomeno D. La persona razionale si pone sempre nuove domande e valuta le ipotesi più disparate, anche se apparentemente assurde. “Che sta succedendo? posso immaginare altre possibilità? le potrei controllare e falsificare così da individuare le ipotesi più probabili o magari l’unica corretta?” Solo così possiamo discriminare la ricostruzione veridica dei fatti da una storiella appena verosimile.

Preso posto sul treno quel sabato, aprii il Corriere della Sera e iniziai canonicamente con la lettura dell’editoriale. Fin dalle prime parole questo mi sorprese perché consisteva di un articolo di Giovanni Sartori dedicato al clima. Donde la sorpresa? vi chiederete. Perché da non so quanti lustri, ogni 15 agosto di ogni anno che Dio manda in terra, il più blasonato quotidiano italiano riserva al prof. Sartori la colonna di apertura per una predica catastrofista sulle condizioni climatiche del pianeta. Che il giornalaio mi abbia rifilato la copia dello scorso 15 agosto? mi chiesi. Una rapida occhiata alla data del giornale mi rassicurò: no, era proprio la copia del 23 novembre. E che cosa scriveva Sartori? Forse per scarsità di argomenti più originali, il Nostro prendeva spunto dal ciclone abbattutosi sulle Filippine e dal diluvio che stava in quel momento colpendo la Sardegna, per dispiegare per l’ennesima volta il ragionamento che va ripetendo ogni anno a ferragosto: il clima terrestre si è gravissimamente deteriorato a causa del surriscaldamento globale, che è stato causato dall’incontrollato aumento demografico in Africa, in America Latina e in altri paesi sottosviluppati, che sono sotto l’influenza negativa della dottrina cattolica in tema di controllo delle nascite. È pertanto inutile (per non dire ipocrita) che “papa Francesco si limiti a carezzare molti bambini, stringere molte mani e a distribuire in piazza San Pietro la «Misericordina» che poi, aperta la scatolina, è un rosario”…

La catena causale sartoriana è quindi la seguente: Chiesa cattolica → Crescita demografica → Emissione anomala di CO2 → Surriscaldamento globale → Disastri ambientali. E se questa è l’anamnesi, la terapia è presto detta: la soluzione al problema di un “clima impazzito” e le ultime speranze di salvezza di un pianeta stremato passano per l’attivazione delle correlazioni opposte, cioè attraverso la liberazione delle masse ignoranti e superstiziose dei paesi sottosviluppati dall’influenza di una Chiesa cattolica da sempre contraria all’uso indiscriminato della pillola e attraverso una rigida politica statale di controllo delle nascite. Elementare, Watson!  Ora, sorvolerò sulle sottintese implicazioni, non dico razzistiche, ma solo provinciali della visione euro-centrica di Sartori, nostalgico di un mondo che non c’è più: l’Asia, l’America Latina e l’Africa si sono da tempo emancipate economicamente e culturalmente da un’Europa occidentale declinante, cui il colonialismo e gli sconvolgimenti del secolo breve hanno tolto ogni scampolo di autorità morale. E mi fermerò alla pre-analisi statistica.

Nel discorso del Nostro, per quanto accattivante, tutta la catena di correlazioni è ingenua (o interessata o ideologica). Per cominciare, c’è davvero un processo “stabile” di riscaldamento globale o siamo piuttosto in presenza di un fenomeno climatico, in quanto tale per definizione variabile seppure su tempi lunghi? La domanda non è peregrina se si ricorda lo scandalo scoppiato nel 2009 all’IPCC (un’organizzazione ONU di monitoraggio del clima) che rivelò una manomissione sistematica dei dati da parte di alcuni membri poco “scientifici” e molto “politici”. E poi, ammesso il riscaldamento del clima (A), è esso causato da una sovra-emissione di anidride carbonica (B) di origine antropica (C), o piuttosto è l’emissione anomala di anidride carbonica (B) ad essere causata da un riscaldamento terrestre (A), a sua volta causato da altri fattori (C), per es. da fenomeni solari? Chi fosse interessato ad approfondire l’argomento potrebbe leggere questo articolo (e relati) del prof. Enzo Pennetta, dove le questioni vengono affrontate sia al livello scientifico che di geopolitica globale.

Ancora, siamo sicuri che una forte crescita demografica in alcuni popoli sia correlata all’ignoranza, piuttosto che alla miseria e alla fame? E alla luce di dati più aggiornati, siamo informati che quasi tutti i paesi africani, latinoamericani ed asiatici hanno superato i tassi europei di crescita economica e si stanno anche stabilizzando in termini demografici, così da far cambiare per es. le politiche sulla natalità ad un paese come la Cina? E non sarà che il vero problema demografico del futuro non riguarda tanto il numero esorbitante delle nascite (dato che non ci si moltiplica più da nessuna parte “come conigli”), ma piuttosto il prolungamento dell’attesa di vita (in quanto non si muore più quasi ovunque “come mosche”)? E il prof. Sartori conosce veramente la posizione della Chiesa cattolica sulla natalità, il controllo delle nascite e più in generale per una ripartizione più equa delle risorse mondiali?

Quel sabato arrivai a Milano prima dell’orario previsto: che ci sia stata una correlazione positiva tra l’arrivo del treno in anticipo di 4 minuti e la predica del prof. Sartori in anticipo di 8 mesi?! Sorrisi, scendendo dal treno.

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La Genesi non è in contraddizione con la scienza, intervista a Vincenzo Balzani

Vincenzo Balzani, professore emerito di Chimica all'Università di Bologna

Vincenzo Balzani, professore emerito di Chimica all’Università di Bologna

Nel novembre scorso l’“Huffington Post” ha intervistato Peter Atkins, noto chimico inglese del Lincoln College, conosciuto anche per le sue battaglie contro la religione e la fede in Dio, in linea con il suo connazionale Richard Dawkins.

Abbiamo colto l’occasione per intervistare sugli stessi temi il prof. Vincenzo Balzani, anche lui chimico e professore emerito all’Università di Bologna, molto noto in ambito internazionale e recentemente premiato dalla prestigiosa rivista “Science” tramite il “Nature Award for mentoring in Science”. Nel 2011 ha partecipato al Cortile dei Gentili, evento culturale organizzato dal Pontificio consiglio per la Cultura.

 

1) Prof. Balzani, nell’intervista per l'”Huffington Post”, Peter Atkins mette duramente a confronto la scienza e la fede attraverso un dualismo tra bene e male. Lei è un chimico e un credente, condivide le accuse rivolte alla religione? Osserva anche lei questa totale inconciliabilità?
E’ noto che Atkins è un ateo, ma è anche una persona intelligente e mi meraviglia che abbia tranciato giudizi così categorici. L’ho incontrato un paio di anni fa a Roma in occasione di un congresso internazionale sull’insegnamento della scienza, ha tenuto una conferenza subito dopo la mia, abbiamo detto cose molto diverse ma alla fine ci siamo congratulati a vicenda. Nessuno ha la verità in tasca.

Uno dei motivi su cui si baserebbe l’inconciliabilità fra scienza e fede è la supposta incongruenza fra l’evoluzione cosmica che secondo la scienza ha portato alla formazione dell’universo così come lo conosciamo (inclusa l’evoluzione biologica sulla terra) e la creazione del mondo e dell’uomo così come è descritta nella Genesi. In realtà i due racconti, quello della scienza e quello della Bibbia, non devono essere contrapposti, ma si possono benissimo tenere assieme. Perché Genesi non è un libro scientifico, come invece affermano i creazionisti americani. Il primo capitolo di Genesi, non è un resoconto dell’attività di Dio che ci viene dato per risparmiarci la fatica e toglierci  la bellezza di scoprire, mediante la scienza, la storia dell’universo. Quello di Genesi è un racconto simbolico che vuole farci conoscere una verità di fede: tutto è stato creato da Dio per amore dell’uomo, che di Dio è immagine.

Ma se è sbagliato pensare che la creazione in senso materiale sia avvenuta letteralmente nei tempi e nei modi del racconto di Genesi, io penso sia sbagliato anche pensare che la storia dell’universo così come ce la presenta la scienza sia di per sé sufficiente e che quindi non ci sia bisogno di Genesi. I due racconti sono su due piani diversi. Quello della scienza è un tentativo di dare una risposta alle domande: come si è formato l’universo e, in esso, come si è formato l’uomo? Quello della Bibbia è la risposta, secondo la fede, alla domanda: perché c’è l’universo e che significato ha, in esso, la presenza dell’uomo? Come ha scritto il Cardinale Martini, ci sono infatti due scritture: c’è la scrittura dell’uomo, la scienza, che si occupa dei fatti, dei fenomeni e delle teorie che li spiegano, e c’è la scrittura di Dio, la Bibbia, dove si trovano le risposte ai grandi interrogativi della vita dell’uomo.

Per capire quello che avviene al mondo c’è sempre bisogno di due Scritture, di due interpretazioni: una materiale e una spirituale. Per spiegarmi meglio, faccio ricorso ad un esempio semplice, tratto dalla  mia vita quotidiana. Accade spesso che io sia nel mio studio a lavorare mentre mia moglie è in cucina. Ad un certo punto mi stanco, vado in cucina e mia moglie dice: ti faccio un tè. Questo farmi un tè da parte di mia moglie ha due aspetti. Il primo è questo: mette la teiera sul fuoco e fa bollire l’acqua. La scienza può spiegare nei più minimi dettagli cosa accade nella teiera che è sul fuoco. Questo è l’aspetto materiale. Ma c’è un altro aspetto nel farmi il tè da parte di mia moglie: mi fa il tè perché mi vuole bene. Questo è un aspetto che la scienza non può cogliere, esattamente come il volermi bene di mia moglie non può spiegare come mai l’acqua nella teiera, sul fuoco, bolle. La scienza spiega come mia moglie fa il tè; è una questione materiale; l’amore spiega perché fa il tè, è una questione spirituale. Materia e spirito, scienza e (per chi crede) fede, sono due aspetti diversi, complementari, entrambi essenziali, di un’unica realtà: la realtà dell’uomo.

 

2) Leggendo le risposte di Peter Atkins si scorge una fiducia spropositata nei confronti della scienza: “Non esiste nessuna questione dell’essere su cui la scienza non possa far luce” e in seguito: “la chiave del sapere universale è in mano alla scienza”. Secondo la sua esperienza di scienziato, è davvero così?
“Nessuna questione dell’essere su cui la scienza non possa far luce …. sapere universale…”. E’ la segreta ambizione di alcuni scienziati: diventare come Dio. Lo scrive anche un illustre collega di Atkins, Stephen Hawking: “Se saremo abbastanza intelligenti per scoprire questa teoria unificata, decreteremo il definitivo trionfo della ragione umana, poiché allora conosceremo il pensiero stesso di Dio” (La Teoria del Tutto, Rizzoli, 2003).

Spiegare tutto. Se ci riuscissimo, sarebbe un disastro. Infatti il giorno in cui il sapere giungesse a stabilire con certezza l’origine e la fine di tutte le cose non ci sarebbe più spazio per la libertà. La libertà presuppone il confrontarsi con l’indeterminato, col mistero. Ma non c’è da preoccuparsi. Qualsiasi scienziato sa che ogni scoperta scientifica genera più domande di quelle a cui dà risposta. Lo ha detto due secoli fa Joseph Priestley: “Più grande è il cerchio di luce, più grande è il margine dell’oscurità entro cui il cerchio è confinato”; lo ha scritto Martin Buber nei racconti dei Chassidim: “Hai acquistato conoscenza, che ti manca?” “Così è in verità. Se tu hai acquistato conoscenza, allora soltanto sai quel che ti manca”; lo ha ripetuto Wittgenstein: “Sono andato per tracciare i contorni della mia isola e invece ho scoperto i confini dell’oceano”; lo ha ricordato Science (vol 309, 1 July 2005): “The highway from ignorance to knowledge runs both ways: as knowledge accumulates, diminishing the ignorance of the past, new questions arise, expanding the area of ignorance to explore”. La fisica stessa ci insegna che una delle cose che certamente sappiamo è che non potremo mai sapere tutto (Principio di indeterminazione di Heisenberg). John Maddox (What remains to be discovered, Simon’s book, 1998) spiega che non sappiamo ancora cosa siano lo spazio, il tempo, l’energia, la materia, come è iniziato l’universo e come è iniziata  la vita, cosa sono la mente e la coscienza. Altro che sapere tutto. Penso che gli scienziati dovrebbero volare più basso. Come suggerisce Wittgestein, “Su ciò di cui non possiamo parlare è meglio tacere”.

 

3) Lei ha auspicato un’alleanza tra credenti e non credenti in favore delle energie sostenibili, in particolare l’energia solare. Perché è una tematica che dovrebbe  avere a cuore un credente?
Perché per il credente la Terra è un dono di Dio, una specie di grande talento che Dio ha dato, collettivamente, all’umanità. Il compito che ci è stato assegnato è quello di custodire e far fruttare, non di distruggere, questo talento. Per custodire il pianeta è necessario utilizzare le sue risorse in modo sostenibile. L’energia che ci viene dal Sole è l’unica energia sostenibile poiché è abbondante, inesauribile, ben distribuita, non pericolosa, non collegata ad applicazioni militari, capace di far sviluppare l’economia e di colmare le disuguaglianze. Naturalmente, anche i non credenti sono interessati a custodire il pianeta. Per cui, la Terra è il grande Cortile dei Gentili dove credenti e non credenti ogni giorno devono incontrarsi e discutere, perché devono vivere insieme. Il cristiano deve portare la sua testimonianza evangelica immergendosi laicamente nei problemi del pianeta Terra, in mezzo a tutti gli altri uomini dei quali condivide il destino.

La redazione


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La Chiesa contro la legge indiana che criminalizza i gay

India omosessualiLa Corte Suprema indiana ha cancellato la decisione dell’Alta Corte di Delhi che nel luglio 2009 aveva aveva depenalizzato i rapporti intimi tra omosessuali, confermando la validità costituzionale della sezione 377 del Codice penale e accogliendo il ricorso di larga parte della popolazione e di molte associazioni culturali e religiose induiste.

Il cardinale cattolico Oswald Gracias, arcivescovo di Mumbai e presidente della Conferenza episcopale indiana ha protestato contro la decisione, affermando che «la Chiesa cattolica non è mai stata contraria alla depenalizzazione dell’omosessualità, perché non abbiamo mai considerati i gay come criminali. In quanto cristiani esprimiamo il nostro pieno rispetto per gli omosessuali. La Chiesa cattolica si oppone alla legalizzazione dei matrimoni gay, ma insegna che gli omosessuali hanno la stessa dignità di ogni essere umano».

D’altra parte nell’Italia cattolica l’omosessualità è stata depenalizzata nel lontano 1866, ben prima dall’anglicana Gran Bretagna (1967), della Germania comunista (1968), della luterana Norvegia (1972) o d’Israele (1988). Nel Catechismo cattolico si condanna il “peccato”, definendo «gli atti di omosessualità» come «intrinsecamente disordinati» ma si insegna ad accogliere il “peccatore”, gli omosessuali infatti «devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione».

Se dunque non possiamo che guardare con tristezza la decisione della Corte Suprema indiana, è momento di soddisfazione apprendere invece che, pochi giorni dopo la vittoria della famiglia naturale in Croazia, l’Alta corte australiana ha vietato all’unanimità i matrimoni omosessuali, pochi giorni dopo la celebrazione delle prime unioni gay nella capitale Canberra. In Italia, invece, l’assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna ha negato un’equiparazione di fatto tra le coppie eterosessuali e quelle omosessuali, respingendo due emendamenti proposti da Franco Grillini, consigliere regionale del gruppo misto (ex Idv) e presidente onorario di Arcigay.

Il Parlamento europeo ha invece definitivamente respinto il rapporto Estrela su “Salute e diritti sessuali e riproduttivi”, che se fosse passato avrebbe sponsorizzato l’aborto come diritto umano, la fecondazione e la teoria del “gender” invitando i membri dei Paesi europei a garantire a tutti, anche giovanissimi, aborto (senza consenso dei genitori), contraccezione, fecondazione assistita, rieducazione degli insegnanti, corsi obbligatori a scuola sull’identità di genere e sull’omosessualità.

Rimane la preoccupazione per la vicenda indiana, ma anche la felicità per le tre notizie arrivate dall’Europa.

La redazione

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I miti e la realtà sulla regolamentazione naturale della fertilità

Metodi naturali«Quando si ha motivo per non procreare [motivi medici, eugenetici, economici e sociali, nda] «questa scelta è lecita, e potrebbe persino essere doverosa. Resta però anche il dovere di realizzarla con criteri e metodi che rispettino la verità totale dell’incontro coniugale nella sua dimensione unitiva e procreativa, quale è sapientamente regolata dalla natura stessa nei suoi ritmi biologici. Essi possono essere assecondati e valorizzati, ma non violentati con artificiali interventi». Questa è la visione sulla regolazione della fertilità da parte della Chiesa cattolica, espressa in questi termini da Giovanni Paolo II.

Più volte abbiamo sottolineato che credere che la Chiesa insegni i coniugi a procreare senza alcun discernimento o progettualità è un grosso equivoco. Non esiste alcune fecondità ad oltranza nel Magistero della Chiesa, tant’è che ad ogni coppia di fidanzati nei corsi prematrimoniali organizzati dalle parrocchie viene insegnato l’uso dei metodi naturali e nel questionario preparatorio al Sinodo sulla famiglia del prossimo anno si è appunto chiesto quali metodi naturali sono promossi dalle Chiese particolari per aiutare i coniugi ad applicare la dottrina della “Humanae vitae”. Ovviamente questi ultimi nulla hanno a che vedere con i metodi contraccettivi (altro equivoco!).

Il sito web “Aleteia” ha intervistato Françoise Soler, che nel 1969 ha introdotto uno specifico metodo naturale -quello sintotermico- in Spagna, la quale ha elencato i vari metodi in uso oggi: quelli che si basano sulla durata del ciclo come base di calcolo (metodi Ogino, Knaus e dei Giorni Fissi); quelli che si basano sul muco cervicale (metodo Billings, Metodo Modificato del Muco, metodo del muco dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, quello dei Due Giorni); quelli basati sulla temperatura, misurata al risveglio, quelli basati sulla durata del ciclo più corto noto e temperatura (il ciclo-termico) ecc. «Il metodo che utilizza tutto questo» (durata del ciclo più corto conosciuto, muco, temperatura e in forma opzionale anche l’autopalpazione cervicale, così come altri sintomi) ha quindi spiegato, «è il sintometrico o degli indici molteplici, ora chiamato in Germania Sensiplan».

«Le persone devono decidere da sé in base alla propria situazione e in funzione del loro obiettivo (conoscere la fertilità, concepire, evitare una gravidanza) quale vogliono applicare», ha aggiunto, spiegando poi quale metodo sia migliore a seconda degli obiettivi. Rispetto all’efficacia, «ci sono metodi di pianificazione familiare naturale molto efficaci e altri poco», tra i migliori il metodo sintotermico. L’efficacia ovviamente dipende «dal suo insegnamento e dalla sua applicazione». E’ comunque molto facile da apprendere tant’è che «le suore di Madre Teresa di Calcutta avevano insegnato nel 1978 il metodo sintotermico a più di 20.000 coppie, per la maggior parte analfabete, induiste e musulmane. Per questo era presente al Sinodo sulla Famiglia del 1980».

Sui metodi naturali ci sono molti pregiudizi e miti, e «molti hanno ancora una vaga idea del metodo di Ogino del 1930». Eppure «da decenni il Magistero invita alla procreazione responsabile, visto che sa che le persone possono guidare il proprio comportamento con la ragione, l’amore e la volontà, assumendo in anticipo le conseguenze che deriveranno dalle proprie azioni. Gli orientamenti del Magistero si basano sulla fiducia in Dio, nelle persone “di buona volontà” e nei progressi della scienza».

La redazione

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Siamo liberi ma non padroni della vita

EutanasiaPubblichiamo questa riflessione di Claudio Magris sulla recente legge belga che estende la possibilità dell’eutanasia anche ai bambini malati. Non siamo totalmente d’accordo con le sue parole, anche perché la riflessione manca di concentrarsi sulle cure palliative che oggi permettono l’inesistenza di un dolore insopportabile e per questo dovrebbero essere al centro della discussione sulla liceità o meno del suicidio assistito/eutanasia.

Tuttavia Magris, laico dichiarato, ha come al solito la lucidità per staccarsi dal mainstream culturale-mediatico e sottolineare gli aspetti più controversi. In questo caso, ad esempio, ha colto perfettamente l’ossessione occidentale per il tema della morte e il terrore verso qualunque tipo di sofferenza (sopratutto degli altri), che sono poi le basi per l’attualità dell’argomento dell’eutanasia.

    di Claudio Magris* *scrittore ed editorialista de “Il Corriere della Sera”

da “Il Corriere della Sera”, 8/12/13

 

Qualche settimana fa, due carabinieri hanno salvato in extremis un uomo che stava per suicidarsi e si era gettato nel vuoto con una corda al collo. Il fulmineo intervento è un’ulteriore decorazione sul medagliere dell’Arma, perché non è cosa da poco salvare una vita. In questo caso estremo non viene certo in mente alcun dubbio su quell’intervento così pronto.

Ma fino a quando, fino a dove è lecito o giusto salvare la vita di qualcuno che vuole rifiutarla, rinunciarvi, fuggirla perché non la regge più? Se i carabinieri avessero fermato qualcuno mentre si recava in Svizzera o in altro posto per porre fine ai suoi giorni con un suicidio assistito, ciò sarebbe stato verosimilmente contestato come una violazione della libertà, una dogmatica costrizione a vivere imposta a chi non se ne sente più in grado, schiacciato e tormentato da un peso o da un dolore insopportabile.

Ma è giustificata questa differenza — che certo in noi è istintiva e profonda — fra due modalità di impedire una morte o meglio fra due modalità di porre volutamente fine alla propria vita, una da rispettare e l’altra da impedire anche contro la volontà dell’interessato? Certo, in un caso si può presupporre una decisione meditata, una volontà razionalmente radicata nella persona, pienamente consapevole, mentre in altre circostanze si può pensare a una scelta dettata da un’esaltazione momentanea, priva di lucidità che non esprime una deliberata, cosciente e libera volontà, come il gesto di chi agisca alterato da una droga o da un violento choc. Ma, a parte casi particolarmente evidenti, chi si prende l’arbitrio di decidere sulla volontà di un altro, di stabilire che un altro vuole o non vuole veramente ciò che dice di volere, di desiderare, ciò che invoca?

Saremmo felici se Monicelli o Lizzani — cui va il mio intenso e, nel caso di Lizzani, personalmente grato ricordo—fossero vivi, ma sarebbe stato lecito impedire loro ciò che hanno voluto? Siamo certi che i bambini sofferenti — cui in Belgio una proposta di legge vorrebbe dare la possibilità di richiedere l’eutanasia — abbiano una capacità di giudizio superiore a quella dell’uomo salvato dai carabinieri? E uno psicologo, esperto di una scienza non certo esatta e particolarmente esposta a interpretazione impressionistiche, è proprio certo che la sappia più lunga? E gli stessi genitori — non tutti necessariamente amorosi e specialmente non tutti necessariamente intelligenti e preparati, come dimostrano tante cronache—possono essere considerati «padroni» dei loro figli sino al punto di decidere della loro vita o della loro morte?

Ci può essere un’implicita violenza, un superbo senso di superiorità nel credere che si possano legare le mani di chi vuole impiccarsi e che non si debba invece legarle a chi vuol prendere le pillole prescritte. Non sto certo scoraggiando chi ha generosamente e talora rischiosamente trattenuto un fratello sull’orlo del baratro e non sto propugnando l’obbligo di accanirsi a prolungare la vita a ogni costo e in ogni condizione, pure contro la volontà o anche solo contro la possibilità di sopportazione della persona. C’è un momento, hanno scritto teologi come Thiede o Sölle, in cui proprio il senso cristiano della finitezza umana e della vita come viaggio — anche comico, visto da lassù — aiuta a dire di sì alla sua conclusione e le mani, non più nevroticamente contratte, lasciano la presa. Non è la vita che va idolatrata, perché è difficile dire se il Big Bang sia stato un bene o un male; sono i viventi che vanno rispettati in tutte le fasi della loro esistenza, da quelle deboli degli inizi nel grembo materno a quelle deboli della fine e a tutte quelle intermedie, felici o dolorose.

Altrimenti potrebbe diventare realtà la feroce, paradossale satira del grande Philip Dick — l’autore di tanti capolavori di fantascienza — quando in un racconto immagina che la liceità dell’aborto venga prolungata sino ai nove anni del figlio o della figlia. Inoltre c’è una fondamentale differenza tra chi invoca la morte, per sé o per gli altri, sotto la pressione di sofferenze insopportabili e chi vorrebbe stabilire un livello di «abilità» o di salute al di sotto del quale è lecito o magari socialmente ed economicamente auspicabile la soppressione del «disabile», come quella praticata dal nazismo con l’operazione «Aktion T4», volta, come ha ricordato di recente Marco Paolini, a eliminare migliaia di tedeschi «la cui vita non era degna di essere vissuta», senza chiedersi chi stabilisce quando una vita è degna o no di essere vissuta.

È difficile avere, in queste cose, certezze. Probabilmente abbiamo perso la familiarità con la morte che aveva la civiltà classica, il senso concreto di far parte del gran fiume delle cose, come dice l’espressione cinese, del ciclo di aurora e tramonto, fiorire e appassire, aggregazione e disgregazione degli elementi. Si è forse data troppa importanza alla morte, permettendole di fare troppo il gradasso e di presentarsi come il trionfo del nulla e dell’insensatezza di tutto .

[…] Forse bisognerebbe ritrovare concretamente, fisicamente il senso della morte quale sigillo della nostra appartenenza all’ordine naturale delle cose; viverla certo come mistero, ma senza la necessità di parlare troppo del mistero e delle cose nascoste e continuando, anche su quella soglia, a interessarsi delle cose relative ed effimere di cui ci si è interessati nella quotidianità, anche al corso di un titolo in Borsa. Un senso classico — romano più ancora che greco — invita a venerare l’imperscrutabile ma, proprio perché è imperscrutabile, a non angosciarsi nell’ossessivo tentativo di scrutarlo. Ciò non implica affatto necessariamente uno spirito irreligioso: le nostre contingenze — dice un bellissimo passo di una lettera di Biagio Marin al suo traduttore cinese — colorano l’eternità di Dio; sono il nostro modo di vivere quella «inafferrabilità di Dio» che, ricorda Alberto Melloni nel suo forte, incisivo libro Quel che resta di Dio, è proclamata con forza «martellante» nella Bibbia. Inafferrabilità dunque pure della nostra morte, che allora è meglio vivere come una parte prevista e normale nel teatro della nostra esistenza, i cui elementi ricevono l’ordine o decidono di rompere le righe.

Certamente vi sono sofferenze inaudite, fisiche e psichiche, inflitte dalla sorte o dagli uomini che rendono impossibile ogni dignità classica e ogni composta uscita di scena al termine previsto dello spettacolo. La grande forza del cristianesimo è il bruciante tentativo di confrontarsi con l’infimo e l’estremo della condizione umana, talora così insostenibile e insopportabile da indurre non ad attendere di cadere, bensì a precipitarsi di propria volontà in quel buio che, scrive il teologo Karl Rahner parlando del suicidio, è l’oscura mano di Dio che sorregge come una rete chi cade, perché è inciampato o non ce la fa più. Morire è anche un diritto. Non perché si sia «padroni di sé stessi», come recita una rozza parola d’ordine; essere padroni è sempre un abuso, significa trattare gli altri come schiavi e anche trattare sé stessi da schiavi è un’umiliazione, un’alienazione che degrada e opprime il nostro Io.

L’uomo è libero, il che è altra cosa da essere padrone (il quale ad esempio può essere schiavo di sé stesso, delle proprie brame, delle proprie ansie). Libero anche di non voler continuare a vivere. Ma questa autentica libertà non è un’orgogliosa e benpensante rivendicazione di diritti sindacali, come accade troppo spesso quando si parla di eutanasia, di suicidio assistito, con una soddisfatta retorica politically correct, ossia ipocrita, ferocemente sferzata da un dramma dello scrittore svedese Carl-Henning Wijkmark, La morte modernaQuesta libertà confina e sconfina con la responsabilità, con i rapporti con gli altri; il grande scrittore argentino Ernesto Sábato ha scritto di aver pensato alcune volte al suicidio e di essersene astenuto per non recare dolore agli altri, convinto che non sia lecito far soffrire nessuno, nemmeno un cane. Ma se uno non ce la fa, se il mondo che come Atlante egli regge sulle sue spalle è per lui troppo pesante e lo schianta, lo maciulla? Chi può imporre a un altro di sopportare sofferenze per lui insostenibili? Sofferenze che possono essere anche solo psichiche, ma non perciò meno crudeli e intollerabili. Forse si ha più comprensione per i dolori fisici che per quelli psichici e spirituali. Ma perché un cancro dovrebbe commuovere più di un’ossessione che occupa la mente sino alla disperazione?

Il famoso giuramento di Ippocrate, che obbliga il medico a tutelare a ogni costo la vita e l’integrità del paziente, sembra cadere sempre più in discredito e si invoca che esso sia subordinato alla volontà del paziente, visto che si tratta della mente e del corpo del paziente e non del medico — né, beninteso, dei famigliari del paziente stesso, che non possono sovrapporre la loro volontà alla sua. Ma qual è, quale dovrebbe essere il confine di questa condiscendenza del medico al desiderio di chi gli chiede aiuto? Origene, grande teologo e interprete della Scrittura, si evirò, forse per aver offeso la continenza e per non offenderla più. Se un fanatico della purezza chiedesse al medico di evirarlo per evitargli tentazioni sessuali e pensieri impuri, il medico dovrebbe seguire la sua etica, che gli vieta di castrare il maniaco della castità, o rispettare la sua libera scelta?

Talora nell’aiuto a chi vuole uscire di scena può insinuarsi un’orribile falsa pappa del cuore, la sentimentalità inconsapevolmente cinica di tante benintenzionate persone convinte di essere sensibili; talmente sensibili da non poter vedere accanto a sé alcuna sofferenza e alcun sofferente e profondamente sollevate quando sofferenza e sofferenti vengono tolti o si tolgono di mezzo. Ci sono persone così sensibili, diceva Bernanos, che non possono veder soffrire alcun animaletto e lo schiacciano subito, non per non farlo più soffrire, ma per non vederlo più soffrire.

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La conversione cristiana della liberal Kirsten Powers

Kirsten PowersUn anno fa è toccato alla nota blogger americana Leah Libresco lasciare l’ateismo per convertirsi al cattolicesimo, con tanto di battesimo in diretta (la Libresco è stata recentemente e maldestramente citata da Piergiorgio Odifreddi pensando di usare alcuni suoi articoli a suo sostegno, probabilmente non informandosi su chi fosse l’autrice).

Un’altra delle conversioni più “rumorose” dal punto di vista mediatico è stata quella di Kirsten Powers, nota commentatrice di “Fox News”, collaboratrice di “USA Today” ed editorialista di “Newsweek”, di stampo democratico e atea per gran parte della sua vita. Almeno fino, secondo il suo racconto, al suo incontro personale con Gesù Cristo. La conversione (al cristianesimo evangelico) è avvenuta durante un viaggio nel 2006 e ne ha parlato lei stessa recentemente su “Christianity Today”.

«Se sette anni fa qualcuno mi avesse detto che avrei scritto per Christianity Today su come sono arrivata a credere in Dio, avrei riso ad alta voce», ha scritto la bella e giovane giornalista. Tutto è iniziato dal fidanzamento con un cristiano, proprio quando «deridevo i cristiani bigotti e anti-intellettuali, troppo deboli per affrontare la realtà». Eppure lui le diceva: “Pensi che si potresti mantenere una mente aperta in proposito?”, “Beh, naturalmente. “Sono molto open-minded!”, rispondeva lei. «Anche se non lo ero affatto. Mentre parlava, cresceva in me un conflitto. Da un lato rabbrividivo, dall’altro avevo un enorme rispetto per lui. Era intelligente, educato e intellettualmente curioso. Mi ricordo di aver pensato, se dice il vero io non sono nemmeno disposta a considerarlo?». Così ha provato a seguirlo in Chiesa, ascoltava i sermoni dotati di buon senso anche se si domandava «perché il pastore doveva rovinare una perfetta chiacchierata con queste sciocchezze su Gesù?». Talvolta il pastore sottolineava le debolezze strutturali dell’ateismo e dell’agnosticismo, così «mi sono resa conto che, anche se il cristianesimo non era la cosa vera, neppure lo era l’ateismo».

Nei mesi successivi, ha continuato, «ho cominciato a leggere la Bibbia. Il mio ragazzo pregava con me perché Dio si rivelare. Dopo circa otto mesi ho concluso che il peso dell’evidenza era dalla parte del cristianesimo. Ma non ho sentito alcun collegamento con Dio e francamente, mi sono trovata bene così. Ho continuato a pensare che le persone che dicevano di sentire da Dio o facevano esperienza di Lui stavano delirando. Nei miei momenti più generosi, ho permesso che stessero solo immaginando le cose che avrebbero fatto sentire loro bene. Poi, una notte, nel 2006, durante un viaggio a Taiwan, mi sono svegliata in quello che sembrava uno strano incrocio tra un sogno e la realtà. Gesù è venuto da me dicendomi: “Eccomi”. Sembrava così reale. Non sapevo cosa fare».

Tornata a New York «ho provato a spiegare l’esperienza come una sinapsi venuta male, ma ero persa. Il mondo sembrava completamente diverso, come un velo che era stato sollevato. Non avevo un briciolo di dubbio. Ero pieno di gioia indescrivibile. L’orrore della prospettiva di essere una devota cristiana è strisciato via quasi immediatamente. Ho trascorso i successivi mesi facendo del mio meglio per lottare lontano da Dio. E ‘stato inutile. Ovunque mi voltai, era lì. Lentamente c’era meno paura e più gioia. Il mastino del Cielo mi aveva inseguito e catturato, che fosse gradito da me o no». Ha tuttavia mantenuto alcune convinzioni progressiste in campo bioetico.

Questa la sua significativa testimonianza, lo stesso si può dire della conversione cattolica di un ex dirigente di Yahoo, Richard Riley, così come di quella di Mario Joseph, dopo essere stato un devoto islamico. Anche Abigail Cofre ha recentemente raccontato del suo avvicinamento al cattolicesimo dopo una vita passata nell’occulto e nell’esoterismo, mentre Joseph-Marie Verlinde priore di un monastero in Francia ha parlato del suo passato come insegnante di Yoga (“non esiste lo yoga cristiano, ma semmai ci sono cristiani che fanno yoga”, ha precisato). Un’ultima rumorosa conversione è stata quella di Holly Burkhalter, nota ex attivista di “Human Rights Watch” e “Physicians for Human Rights”.

La redazione

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Nessun umanesimo senza il contributo del cattolicesimo

UmanesimoTre importanti intellettuali italiani, Ernesto Galli della Loggia, Alberto Asor Rosa e Roberto Esposito, hanno pubblicato un testo in favore della cultura umanistica, pubblicato sulla rivista «il Mulino».

Esso ha acceso un dibattito nell’opinione pubblica, sorpresa che i tre studiosi, molto distanti sul piano politico, mostrino di nutrire le stesse apprensioni per la sorte dell’istruzione italiana e della stessa identità nazionale. L’allarme nasce dal «ripudio dell’umanesimo» e dalla «crescente tecnicizzazione» dell’insegnamento, che configurano una «rimozione del passato» destinata a compromettere in prospettiva il futuro dell’Italia, ma con gravi ripercussioni già nell’immediato. Non c’è solo la cultura scientifica, ma occorre salvaguardare anche quella umanistica, altrettanto fondamentale.

Su “Avvenire” il filosofo Adriano Fabris, docente Filosofia morale presso l’Università di Pisa, ha condiviso l’appello spiegando che senza cultura umanista «tutto rischia di essere appiattito su di un’unica dimensione tecnicoscientifica. E anche nei rapporti interumani domina, così potremmo chiamarla, la “dittatura della procedura”», oltre alla diffusione di una «concezione ideologica della ricerca scientifica, che peraltro non corrisponde al modo in cui gli scienziati fanno ricerca e alla consapevolezza che essi hanno della parzialità dei risultati raggiunti».

Il filosofo tuttavia si stupisce che nel testo condiviso dai tre studiosi «non si parla mai di religioni. Né si fa riferimento all’apporto che la tradizione ebraico-cristiana ha dato in Occidente alla definizione dell’umano. Analogamente la storia culturale d’Italia, qui brevemente tratteggiata, tralascia alcuni passaggi importanti, come ad esempio l’umanesimo cristiano del Quattro e Cinquecento, e accenna invece, con giudizio abbastanza scontato, alla stagione della Controriforma. E infine non considera il fatto che, da quasi vent’anni, la questione dell’essere umano è al centro dell’attenzione teorica e pratica del cattolicesimo del nostro Paese. Anzi, proprio al tema del “nuovo umanesimo”, il cui riferimento per il credente è in Gesù Cristo, sarà dedicato nel 2015 il quinto Convegno nazionale della Chiesa italiana […]. Se l’urgenza è di ripristinare una cultura politica in Italia su base davvero umanistica, allora è necessario promuovere l’apporto di tutti. La posta in gioco è troppo alta. La posta in gioco è il nostro futuro».

Anche lo scrittore Antonio Socci ha spiegato che «dall’alba della lingua italiana, con san Francesco, ai pilastri della letteratura (Dante, Tasso, Manzoni), tutto risplende di cattolicesimo. La verità (negata) è che l’identità italiana, per secoli, è stata data dal cattolicesimo. Ciò che nel Risorgimento si chiamava Italia – come ha osservato il laico Sergio Romano – era unito solo da una cosa: il cattolicesimo». I tre intellettuali, ha proseguito, «lamentano la colpevole “rimozione del passato” perpetrata nel nostro Paese, ma poi sono loro stessi i primi a rimuovere il cattolicesimo, che permea tutta la cultura e la storia d’Italia».

Insomma, l’appello pubblicato su “il Mulino” appare di ben altro spessore della denuncia fatta da tre intellettuali marxisti, Mario Tronti, Giuseppe Vacca e Pietro Barcellona, sull’ “emergenza antropologica” che rischia di affondare la nostra civiltà. I “marxisti ratzingeriani” hanno infatti saputo individuare nel magistero della Chiesa il punto di resistenza più forte e profondo all’attuale “dittatura del relativismo” e della tecnocrazia, riconoscendo da un punto di vista laico che la Chiesa è depositaria di un sapere sull’uomo che salva la sua libertà, la sua dignità e la sua integralità dalla pretesa della tecnologia e della scienza su ciò che è umano.

Proprio in questi giorni, infatti, il card. Angelo Scola, arcivescovo di Milano, ha ricordato che «nel contesto dell’ecologia dell’uomo un primo dato con cui fare i conti è il prevalere della tecnocrazia. Se “nutrire il pianeta” significa lavorare perché tutti e ciascuno abbiano accesso al pane quotidiano, è indispensabile ricordarsi che il bisogno di nutrirsi, fra gli esseri umani, ha un valore che eccede il fatto bio-chimico di fornire energia al corpo. Cucinare è proprio della famiglia umana, prendere cibo insieme è uno dei momenti alti del vivere insieme. Ogni tradizione e cultura hanno un valore e un sapore la cui dimensione simbolica nutre la persona in modo reale, indispensabile alla vita quanto proteine e calorie che alimentano il corpo».

La redazione

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L’etica di Eugenio Scalfari, che sosteneva le leggi razziali

Eugenio ScalfariNel febbraio 1996 Eugenio Scalfari scrisse al card. Martini un contributo al suo volume “In cosa crede chi non crede” (Liberal) in cui, dopo aver ovviamente identificato la Chiesa cattolica come la causa di tutti i mali della storia, ha sfruttato le sue competenze da giornalista per teorizzare niente meno che l’origine dei principi morali dell’uomo.

Nel più puro stile ottocentesco social-darwinista Scalfari ha affermato che essi chiaramente risiedono «nell’appartenenza biologica degli uomini a una specie», tutta la complessità umana sarebbe spiegabile riconducendola a due istinti elementari: «quello della sopravvivenza dell’individuo e quello della sopravvivenza della specie». Tutto qui, Scalfari ha capito che basta questo a produrre «il sentimento della moralità» e che «è l’istinto biologico che sta alla base dell’agire morale».

Ma perché Scalfari è interessato a questo argomento? Ovviamente perché esso diventa la base teorica che serve a sostenere la sua visione esistenziale: «Perciò», trae le conseguenze Scalfari, «lasciamo perdere le metafisiche e le trascendenze se vogliamo insieme ricostruire una morale perduta». Anche l’aver elencato gli errori storici di diversi uomini di Chiesa torna utile: «Personalmente diffido di quell’Assoluto che detta comandamenti eteronomi e produce istituzioni deputate ad amministrarli, a sacralizzarli e a interpretarli. La storia, cardinal Martini, anche quella della Compagnia religiosa cui lei appartiene, mi autorizza e anzi mi incita a diffidare».

Riassumiamo sinteticamente lo “Scalfari-pensiero”: la morale esiste ma solo in quanto prodotto dell’istinto biologico e va assecondata in quanto proviene «dalla comune radice umana e dal comune codice genetico che è iscritto nel corpo di ciascuno di noi». Se avessimo dubbi basterebbe guardare alla storia criminale della Chiesa cattolica per convincerci che i suoi insegnamenti sull’uomo non possono sussistere. Il ragionamento è ovviamente un’immensa petizione di principio e per questo si fa fatica ad analizzarlo. Evitiamocela, per oggi, e confutiamo la riflessione di Scalfari adottando il suo ragionamento alla sua stessa biografia.

Tutti sanno che il fondatore di “Repubblica” è stato un militante attivo della gioventù fascista e un discepolo di Benito Mussolini. Nel 1942 invitava i compagni all’unità e alla determinazione: «Il Partito Nazionale Fascista deve oggi soprattutto essere in linea per la resistenza e la vittoria, fra questi noi vogliamo essere in prima linea». In questi giorni è comparso il suo nome nel saggio “Di pura razza italiana. L’Italia «ariana» di fronte alle leggi razziali” (Baldini e Castoldi 2013), curato dagli storici Mario Avagliano e Marco Palmieri, i quali ricordarono che molti intellettuali italiani furono i primi ad unirsi con fervore alla campagna antisemita. Scienziati, accademici, editori, giornalisti, artisti si prestarono a fare da agiprop della campagna razzista contro neri ed ebrei. Tra questi, oltre a Enzo Biagi, Giorgio Bocca e Indro Montanelli, anche Eugenio Scalfari.

Se la storia (ovviamente rivisitata in chiave anticlericale) di molti responsabili della Chiesa cattolica porta Scalfari a diffidare della validità della morale cristiana, anche la stessa storia del fondatore di “Repubblica” –riferimento del pensiero laico (o meglio, laicista) italiano-, dovrebbe portare lui stesso, e i suoi affezionati, a diffidare della validità della “morale laica”. O, ancora di più, della morale spiegata come mero istinto di sopravvivenza, esattamente come la concepivano i grandi dittatori del ‘900 che giustificavano i loro crimini proprio in base al darwinismo applicato a livello sociale (il grande naturalista C. Darwin non ha colpe sulla strumentalizzazione del suo pensiero, anche perché la pensava in modo opposto). La coerenza è un obbligo per un libero pensatore, no?

Vorremmo permetterci di dare un suggerimento a Eugenio Scalfari: piuttosto che trarre conseguenze così forzate, tirandosi poi la zappa sui piedi, provi a concepire l’uomo come un essere dotato di libertà, talmente libero e non pre-determinato da agire anche contro la legge morale universale che scopre misteriosamente abitare dentro di sé.  Inoltre, lasci perdere l’apologetica verso la morale laica e i tentativi per trovarne una giustificazione “naturalistica”. Il filosofo (ateo) Joel Marks, professore emerito di filosofia presso l’University of New Haven, ha trovato l’unica soluzione accettabile per chi nega una soluzione metafisica: «ho rinunciato del tutto alla moralità», ha scritto nel 2010. «Da tempo lavoro su un presupposto non verificato, e cioè che esiste una cosa come giusto e sbagliato. Io ora credo che non ci sia. Mi sono convinto che l’ateismo implica l’amoralità, e poiché io sono un ateo, devo quindi abbracciare l’amoralità. Ho fatto la sconvolgente scoperta che i fondamentalisti religiosi hanno ragione: senza Dio, non c’è moralità. Ma essi non sono corretti, credo ancora infatti che non vi sia un Dio. Quindi, credo, non c’è moralità. Niente è letteralmente giusto o sbagliato perché non c’è nessuna moralità».

Questo è l’unico manifesto coerente di una società davvero secolarizzata: il relativismo assoluto. L’eutanasia dei bambini malati nell’avanzatissimo Belgio e il libero associazionismo dei pedofili nella laicissima Olanda ne sono un’applicazione perfetta.

La redazione

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