Il “caso Galilei”, cinque verità nascoste dalla leggenda

caso galileiIl caso Galilei oltre la leggenda. Cinque miti che andrebbero sfatati per contestualizzare meglio quell’evento così centrale nel dibattito tra fede e scienza.

 

Per molti il noto “caso Galilei” è il più evidente paradigma dell’inconciliabilità tra scienza e fede. Un perfetto esempio, in pratica, da usare ogni qual volta si voglia sostenere il pregiudizio della Chiesa come ostacolo della scienza e della libertà di ricerca.

Eppure se si va oltre la leggenda, si scopre subito che il processo al Galilei non fu causato dalla sua negazione della concezione geocentrica, quanto al fatto che in mancanza di prove corrette (l’eliocentrismo sarebbe stato provato dal flusso delle maree, secondo lui) pretese sovvertire la concezione filosofica-scientifica del tempo, sostenendo un nuovo modo di concepire la scienza come unica ed esclusiva lettura della realtà. Per questo,  l’Inquisizione gli intimò di parlare di semplice “ipotesi” fino a quando «ci fusse vera dimostrazione che il Sole stia nel centro del mondo» (card. Bellarmino, Lettera a Foscarini). D’altra parte il celebre filosofo della scienza (laico) Paul Feyerabend concluse che: «La Chiesa, all’epoca di Galileo, si attenne alla ragione più che lo stesso Galileo».

Basandosi sul testo di Enrico Zoffoli, Galileo (Roma 1990), il prof. Corrado Gnerre su Il Giudizio Cattolico ha voluto sfatare alcuni luoghi comuni sul “caso Galilei”, che abbiamo sintetizzato in cinque punti.

 

1) LA CHIESA NON TEMEVA L’ELIOCENTRISMO.

Galileo non ebbe problemi con la Chiesa per la teoria eliocentrica (la Terra ruota intorno al Sole), anche perché già quattro secoli prima di Galilei, san Tommaso d’Aquino (1225-1274), disse che la concezione tolemaica, proprio perché non suffragata da prove, non poteva considerarsi definitiva. Copernico (1473-1543), astronomo polacco e perfino sacerdote cattolico, morto ventuno anni prima di Galilei, aveva sostenuto la concezione eliocentrica e la gerarchia ecclesiastica, compresi pontefici come Leone X e Clemente VII, si mostrarono aperti alle sue tesi (nessun “caso Copernico”). Infatti, nell’Università di Salamanca, proprio negli anni di Galilei, si studiava e si insegnava anche la concezione copernicana e lo stesso Galilei ne era consapevole: «(Il trattato di Copernico) è stato ricevuto dalla santa Chiesa, letto e studiato per tutto il mondo, senza che mai si sia presa ombra di scrupolo nella sua dottrina (…)», scrisse a Cristina di Lorena. Il rifiuto verso l’eliocentrismo proveniva invece dal mondo protestante, sono noti gli insulti di Martin Lutero a Copernico: «Cadde un giorno il discorso sopra un astrologo moderno il quale voleva dimostrare che la Terra si muove e non già il cielo o il firmamento col Sole e con la Luna, (…) Ma le cose adesso vanno così: chi vuole apparire savio e dotto non deve approvare quello che fanno gli altri, ma deve fare alcunché di singolare e tale che a suo credere nessun altro sia capace di fare. Il pazzo vuole rovesciare tutta l’arte astronomica».

 

2) IL “CASO GALILEO” DOVUTO A PROBLEMI DI FILOSOFIA DELLA SCIENZA.

Galilei sosteneva l’eliocentrismo basandosi su una “prova” sbagliata: in una lettera al cardinale Orsini affermava che la rotazione della Terra intorno al Sole sarebbe stata provata dalle maree. I giudici però contestarono questa “prova” e dissero, giustamente, che le cause delle maree dovevano ricercarsi in altro. Eppure Galilei pretendeva presentare l’eliocentrismo non come ipotesi ma come una tesi comprovata, mentre San Roberto Bellarmino (1542-1621), che svolse un ruolo importante nel processo a Galilei, lo invitava a fare l’opposto senza che rinunciasse alla convinzione eliocentrica. Così scriveva Bellarmino in una lettera del 12 aprile del 1615 al padre carmelitano Paolo Antonio Foscarini che appoggiava Galilei: «Dico che il Venerabile Padre e il signor Galileo facciano prudentemente a contentarsi di parlare “ex suppositione” e non “assolutamente”, come io ho sempre creduto che abbia parlato il Copernico. (…) Dico che quando ci fusse “vera dimostrazione” che il Sole stia nel centro del mondo e la Terra nel terzo cielo, e che il Sole non circonda la Terra, ma la Terra circonda il Sole, all’hora bisogneria andar con molta consideratione in esplicare le Scritture che paiono contrarie, ed è meglio dire che non le intendiamo, piuttosto che dire che sia falso quello che si dimostra». Bellarmino, d’altra parte, nel 1571 (cinquant’anni prima), scriveva nelle sue Praelectiones Lovanienses: «Non spetta ai teologi investigare diligentemente queste cose (…). Possiamo scegliere la spiegazione che ci sembra più conforme alle SS. Scritture (…). Se però in futuro sarà provato con evidenza che le stelle si muovono con moto del cielo e non per loro conto, allora dovrà vedersi come debbano intendersi le Scritture affinché non contrastino con una verità acquisita. È certo, infatti, che il vero senso della Scrittura non può contrastare con nessun’altra verità sia filosofica come astronomica (…)».

Proprio in questi giorni Guy Consolmagno, gesuita, astronomo ed ed presidente della Division for Planetary Sciences della American Astronomical Society, oggi ricercatore alla Specola Vaticana, ha spiegato che «il caso Galileo è interessante perché si è svolto in un momento in cui la Chiesa e la scienza erano la stessa cosa. Chi stava facendo scienza in quei tempi? I sacerdoti delle università. Quando Papa Urbano VIII ha criticato Galileo, non lo ha fatto in quanto Papa, ma dal punto di vista di un filosofo di professione, che aveva studiato le stesse cose di Galileo».

 

3) GALILEI NON SUBI’ ALCUNA TORTURA

Galilei non subì nulla di eclatante a differenza di quanto molti pensano. Alcuni sondaggi dicono che la stragrande maggioranza degli studenti europei crede che Galilei subì torture e che fu addirittura arso vivo. Eppure fu condannato a recitare una volta alla settimana i sette salmi penitenziali e a permanere nel Giardino di Trinità dei Monti (alloggio con cinque camere, vista sui giardini vaticani e cameriere personale); poi nella splendida Villa dei Medici al Pincio; quindi a Siena presso l’amico e arcivescovo Ascanio Piccolomini, in seguito a Firenze nella sua casa di Costa San Giorgio e, infine, nella Villa di Arcetri, presso il Monastero delle Clarisse di San Matteo dove vivevano le sue due figlie suore. In particolare Virginia, molto attaccata al padre, non avrebbe mai fatto tale scelta se il padre fosse stato maltrattato. Galilei, che rimase sempre devoto cattolico, poté continuare a pubblicare e a curare l’amicizia di vescovi e scienziati; e proprio dopo la condanna pubblicò l’opera più importante, Discorsi e dimostrazioni sopra due nuove scienze. Morì ad Arcetri l’8 gennaio del 1642, assistito da discepoli come Vincenzo Viviani ed Evangelista Torricelli; morì con i conforti religiosi e finanche con l’indulgenza plenaria e la benedizione del Papa.

 

4) IL “CASO GALILEI” VA CONTESTUALIZZATO NEL CLIMA DEL XVII SECOLO.

Il processo a Galilei si può capire solo collocandolo all’interno del XVII secolo, se egli fosse vissuto in pieno XIII secolo non avrebbe avuto i problemi che ebbe. Nel XVII secolo, infatti, non ci si riferiva ad Aristotele in modo critico, selezionando e discendendo (come invece riuscì a fare la Scolastica e in particolar modo san Tommaso), bensì pedissequo: Aristotele doveva essere accettato integralmente, anche per quanto riguardava la sua visione cosmica. Inoltre, c’era stato da poco (meno di un secolo) lo scoppio del Protestantesimo, imperversavano le guerre di religione e il mondo protestante accusava quello cattolico di non amare la Bibbia, di leggerla poco, di non rispettarla. Tutto questo portò, per reazione, anche alcuni ambienti cattolici ad un atteggiamento di protezione letteralistica della Bibbia stessa.

 

5) GALILEI NON DISSE MAI “EPPUR SI MUOVE”

La famosa frase che campeggia su buona parte dei libri scolastici, e cioè che Galilei avrebbe detto “eppur si muove”, in realtà non fu mai pronunciata. Fu inventata da un giornalista italiano, Giuseppe Baretti, a Londra nel 1757. Una frase ad effetto, che doveva servire per creare il mito di una chiesa arroccata nel suo oscurantismo e quindi incapace ad aprirsi al progresso delle conoscenze scientifiche.

 

E’ giusto mantenere uno sguardo critico verso il comportamento generale di molti uomini di Chiesa nel “caso Galilei”, ma occorre guardare alla vicenda con uno sguardo onesto e non strumentale. Solo in questo caso si riescono a contestualizzare gli eventi e, di conseguenza, a ridimensionarli alla loro giusta importanza.

La redazione

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Chi firmò contro Calabresi oggi dispensa consigli etici

Luigi CalabresiIl caso di Luigi Calabresi è un’ombra nera onnipresente per molti attuali dispensatori di etica e moralità, rigorosamente laica, sui principali quotidiani e canali televisivi italiani. Si cerca di non parlarne più, ma una fiction televisiva su Rai Due sta riportando alla luce un passato che si voleva dimenticato.

Il commissario Calabresi, addetto alla squadra politica della questura di Milano e spesso incaricato di controllare le manifestazioni dell’estrema sinistra, convocò nel 1969 il ferroviere Giuseppe Pinelli in quanto indagato per la strage di piazza Fontana. Il 15 dicembre Pinelli morì dopo essere precipitato dalla finestra dell’ufficio del commissario. Luigi Calabresi si dichiarò estraneo ai fatti, aggiungendo di non essere stato nemmeno presente nella stanza. Cinque poliziotti confermarono la loro presenza e l’assenza del commissario, chiamato a rapporto dal suo superiore. Nell’ottobre del 1975 la sentenza sulla morte di Pinelli, dopo l’inchiesta, escluse sia l’ipotesi del suicidio e definì la morte come accidentale, a causa di un malore. Venne anche confermata l’assenza di Calabresi al momento della morte di Pinelli.

Tuttavia diversi quotidiani, in particolare “L’Espresso” “L’Unità”, imbastirono, senza alcuna prova, una campagna diffamatoria contro Calabresi, accusandolo di omicidio e di torture. 800 intellettuali, ben prima della sentenza definitiva  (il 13, 20 e 27 giugno 1971 sull’Espresso) sull’accaduto, firmarono una lettera di accusa contro Calabresi in cui lo identificarono come il responsabile della morte di Pinelli, definendolo «commissario torturatore». In seguito a tale lettera il clima si infiammò ulteriormente, comparvero minacce sui muri e intimidazioni via lettera, fino a che il 17 maggio 1972 fu assassinato da due sicari. Anni dopo si scoprì che i mandati furono Giorgio Pietrostefani e Adriano Sofri, allora leader del movimento e oggi, quest’ultimo, collaboratore di “Repubblica”.

Molti degli 800 intellettuali che firmarono la famosa e calunniosa lettera aperta, oggi tengono banco sui quotidiani, spesso pontificando moralismi contro la Chiesa (molti dei quali sono oggi collaboratori attivi e responsabili di “Repubblica”). Alcuni di essi: Marco Bellocchio, Tinto Brass, Furio Colombo, Roberto D’Agostino, Margherita Hack, Dario Fo, Umberto Eco, Dacia Maraini, Massimo Teodori, Eugenio Scalfari e Franca Rame (e tanti altri). Nomi dall’altissimo tasso di anticlericalità, come si può notare. Dario Fo addirittura mise in scena (per ben 750 volte) Morte accidentale di un anarchico, laddove Calabresi era un “dottor Cavalcioni” che imponeva all’’interrogato di porsi, appunto, a cavalcioni di una finestra, quando ha saputo la verità, però ha ammesso: «Sono andato in crisi, per questo». Un gruppo oggi ben affiatato, vittima di una “sbornia ideologica”, come la definì Montanelli. «Ciucca che a quanto pare la società civile, allergica alle crisi di coscienza, ancora non ha smaltito. E così, sempre alticcia, seguita a tenere banco e lezione. Facendo un po’ schifo, per la verità», si legge su “IlGiornale”. Luciano Garibaldi, storico, giornalista e autore delle opere da cui è tratta la fiction in onda in questi giorni, parla di “mandanti morali“, la cui «stragrande maggioranza ricopre tutt’ora incarichi strapagati e percepisce pensioni dorate».

Renato Farina ha scritto: «Nessuno dei firmatari ha pagato con un minimo rallentamento della sua corsa questa infamia di uccidere con le parole un uomo il cui destino ne risultò segnato. Come mai nessuno, salvo scuse private o tenui di quei quattro gatti, ha pagato o almeno rende conto di questo scivolamento paraterroristico?». Parla di «manifesto assassino» che «firma la condanna a morte di Calabresi». Giampaolo Pansa ha invece parlato di «un veleno cucinato e diffuso dalle teste d’uovo della sinistra italiana: il meglio del meglio della cultura, dell’accademia, del giornalismo, del cinema. Signore e signori che per anni ci hanno spacciato un mare di bugie. Forti di un’arroganza che quanti di loro sono ancora in vita seguitano a scagliarci addosso». Rispetto alla lettera di accusa su “L’Espresso”: «Rileggere oggi quell’elenco mi provoca un disgusto profondo per chi l’ha sottoscritto. Scorrere le firme una per una, ti induce a pensare che la “meglio gioventù” partorita dal Sessantotto aveva alle spalle il peggio del vippume di sinistra. Molte di quelle eccellenze sono scomparse, a cominciare da Norberto Bobbio per finire a Giorgio Bocca. Ma tanti big sono ancora in vita. E da ben poco venerati maestri seguitano a impartirci lezioni burbanzose. Qualche nome? Eugenio Scalfari, Umberto Eco, Dario Fo, Furio Colombo, Lucio Villari, Bernardo Bertolucci, Toni Negri, Dacia Maraini… Basta, mi fermo qui. Forse è vero che stiamo diventando un paese per vecchi, a cominciare da me. Ma un po’ di pudore non farebbe male a nessuno».

Ricordiamo che per la Chiesa cattolica, Luigi Calabresi è considerato un servo di Dio, martire per la giustizia. Nei suoi confronti è iniziato anche un processo di beatificazione, la fede cristiana del commissario fu di conforto nel periodo in cui era sotto accusa mediatica, tanto che ebbe a dichiarare a Giampaolo Pansa: «Da due anni sto sotto questa tempesta e lei non può immaginare cosa ho passato e cosa sto passando. Se non fossi cristiano, se non credessi in Dio non so come potrei resistere». Al suo amico Enzo Tortora, stupito della sua resistenza al linciaggio mediatico, rivelò: «È semplice. Credo in Dio. E credo nella mia buona fede. Non ho mai fatto nulla di cui possa vergognarmi. E non odio nemmeno i miei nemici; ho angoscia per loro, non odio. È una parola – odio – che proprio non conosco”».

La redazione

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L’11 gennaio a Roma per difendere famiglia e libertà

Manif pour tous italiaE’ un momento storico molto particolare e siamo chiamati responsabilmente a rispondere a questo tempo. Come ha spiegato recentemente Papa Francesco, «le situazioni che viviamo oggi pongono sfide nuove che per noi a volte sono persino difficili da comprendere. Come annunciare Cristo a questi ragazzi e e ragazze? Come annunciare Cristo a una generazione che cambia?».

Tutto è messo in discussione e permettersi di ricordare che non tutto è un’opinione, che esistono dei dati antropologici da riconoscere significa passare per intolleranti, per bigotti. Per questo la sfida che l’omosessualità pone alla società è un richiamo altissimo a fare i conti con la realtà. Sopratutto a valutare se la libertà d’opinione è ancora un diritto valido per tutti. Nella “Lumen fidei”, ha fatto notare Ettore Gotti Tedeschi, Francesco spiega che l’uomo ha bisogno di verità di riferimento per dar senso alla vita e al suo agire. La valorizzare la società e della famiglia sono alla base degli equilibri socio-economici.

E’ con questa consapevolezza che invitiamo tutti a partecipare alla manifestazione organizzata da “La Manif Pour Tous Italia” SABATO 11 GENNAIO 2014 A ROMA. L’appuntamento è alle 15.30 in Piazza santi Apostoli. Lo scopo è tutelare la libertà di pensiero e di opinione (art. 21 della Costituzione) e la famiglia naturale, quella di cui parla la nostra Costituzione agli articoli 29, 30, 31, basata sul matrimonio tra uomo e donna. «Un evento pubblico, per dire NO alla legge bavaglio Scalfarotto (la quale, come ha spiegato lui stesso, «precede», la legge sul matrimonio gay, «l’una viene logicamente prima dell’altra»), per ribadire che la libertà di espressione è sacrosanta, per difendere la fapmiglia e il futuro della nostra società», si legge ancora nella nota.

All’iniziativa saranno presenti associazioni familiari, associazioni di cittadini e di giuristi, esponenti del mondo cristiano, ebraico e musulmano, e movimenti homosex contrari alla legge. Anche molti parlamentari, tra cui Laura Bianconi, Maurizio Gasparri, Carlo Giovanardi, Lucio Malan, Massimiliano Fedriga, Giorgia Meloni, Nicola Molteni, Alessandro Pagano, Eugenia Roccella, Maurizio Sacconi, Mario Sberna.

Volantino Manifestazione Roma

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Il Vangelo di Marco si basa sulla testimonianza di Pietro

Vangelo di MarcoAll’estero, sopratutto in America, tantissimi studiosi del cristianesimo primitivo hanno un loro blog personale in cui pubblicano documenti, riflessioni, rispondono a domande e dialogano tra loro. Storici, teologi, biblisti, studiosi del Nuovo Testamento di diverso orientamento: cattolici, agnostici, protestanti, ebrei.

E’ molto interessante seguire il dibattito, in particolare recentemente sul blog di Larry W. Hurtado, noto docente di Nuovo Testamento presso l’Università di Edimburgo, è apparso uno scambio epistolare tra lui e Richard Bauckham, tra i maggiori biblisti americani, docente all’University of St Andrews e membro della British Academy e della Royal Society of Edinburgh. Bauckham, discutendo con Hurtado sul ruolo dei testimoni oculari nella formazione dei Vangeli, ha spiegato di stare lavorando ad un sequel del suo fortunato libro “Jesus and the Eyewitnesses: The Gospels as Eyewitness Testimony” (2008) (“Gesù e i testimoni oculari: i Vangeli come testimonianze oculari”), e che, in questo nuovo volume, presenterà nuove prove sul fatto che il Vangelo di Marco è basato in gran parte sulla testimonianza oculare dell’apostolo Pietro (come d’altra parte affermava già Papia).

Diciamo che non è proprio una novità, da tempo la comunità scientifica ha accertato questo dato. Secondo un’ampia parte degli studiosi, Marco avrebbe composto il suo vangelo attorno al 70 d.C., seppur utilizzando materiale redatto molti anni prima, trascrivendo fonti pre-sinottiche diffuse fin dagli anni immediatamente successivi alla morte di Gesù: ad esempio secondo Barth Ehrman tutto quello che riguarda la Passione. Rudolp Pesch le chiama fonti “pre-marciane”, scritte uno-due anni dopo la morte di Gesù. Willibald Bosen, ad esempio, ha fatto notare che Marco non cita il sommo sacerdote Caifa, come se esso fosse ancora in attività (vi restò fino al 37 d.C.).

Altri studiosi, invece, ritengono che tutto il Vangelo di Marco vada anticipato al 44 d.C., quando l’evangelista accompagnò Pietro a Roma. Ad affermarlo è anche la scuola dei sostenitori del papirologo José O’Callaghan, il quale ha attribuito il frammento 7Q5 dei rotoli di Qumran (trovati in grotte chiuse nel 68 d.c.) al VI capitolo del Vangelo di Marco (Mc 6, 52-53), comparazione confermata da successivi studi e sostenuta da innumerevoli studiosi (in Italia, ad esempio, Orsolina Montevecchi, presidente dell’Associazione Internazionale Papirologi: «è praticamente impossibile che possa trattarsi di un altro testo, magari sconosciuto. Mi pare giunto il tempo di inserire il frammento 7Q5 nella lista ufficiale dei papiri del Nuovo Testamento», “Aegyptus” 1994, p. 206-207), compresi molti iniziali critici, come J.M. Vernet che nel Simposio a Roma nel 2002 intitolato “Contributo delle scienze storiche allo studio del Nuovo Testamento”, ha pubblicamente decretato, assieme ad altri studiosi, che «è divenuta praticamente unanime l’idea che l’identificazione del gesuita catalano sul 7Q5 è la più sicura e la più chiara, comparata alle numerose altre presentate come alternative. Lo studio e il metodo scientifico di O’Callaghan e di altri autori favorevoli all’identificazione di 7Q5 con Mc 6, 52-53 sono corretti, seri e scientifici» (firmato da P.Parker, C. Roberts, C. Hemer, P. Gamet, V. Spottorno ecc). Le conclusioni di Vernet corrispondono a quelle del Simposio internazionale sul frammento 7Q5 dell’ottobre 1991 a Eichstätt, dove quasi tutti gli studiosi che vi hanno partecipato si sono detti d’accordo con la attribuzione di O’Callaghan (gli atti del Simposio sono pubblicati in M. Bernhard, “Christen und Christliches in Qumran?, Eichstätt Studien XXXII, Regensburg, Verlag Friedrich Prustet 1992).

In ogni caso l’autore del Vangelo di Marco è da ritenersi un testimone oculare, secondo Bauckham. Il quale ha anche aggiunto: «Penso anche che il “discepolo amato” scrisse lui stesso il Vangelo di Giovanni, e che anche lui è stato quindi un testimone oculare. Naturalmente il suo Vangelo è il prodotto della sua riflessione, su ciò che aveva visto durante la sua vita». Per quanto riguarda Luca, così come ha fatto Marco, «ha preso ogni occasione per incontrare i testimoni oculari e li ha intervistati. Ha raccolto materiale probabilmente da un certo numero di testimoni oculari minori dai quali ha ricevuto storie o detti individuali».

La redazione

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“Il Fatto Quotidiano” chiede scusa a Papa Francesco

Lista di BergoglioRicordate cosa accadde poche ore dopo l’elezione di Papa Francesco al soglio pontificio? Diversi quotidiani hanno subito ripreso la macchina del fango anticattolica, da qualche settimana interrotta nei confronti di Benedetto XVI, anche contro il nuovo Pontefice.

Così si diffuse la notizia che Bergoglio era stato connivente con la dittatura argentina, circolarono sue presunte frasi contro le donne e molti parlarono di un suo presunto rapporto con il dittatore Videla. Puntualmente UCCR ha smentito tutte le accuse: nessuna connivenza, nessuna frase misogina e nessun rapporto con Videla.

Scatenati a diffondere queste calunnie alcuni quotidiani principali, su tutti il “New York Times” e “Página 12” di Buenos Aires. In Italia il “Manifesto” e il “Fatto Quotidiano”. In particolare quest’ultimo vantava (e vanta) nel marzo scorso la collaborazione con il principale accusatore di Bergoglio, Horacio Verbitsky, ex guerrigliere marxista (il suo blog è ancora attivo), responsabile di un attacco armato all’edificio Libertador (marzo 1976), nel quale persero la vita diversi civili innocenti.

E’ ancora disponibile sul “Il Fatto” l’articolo calunniatorio di Daniela Padoan che parla di Bergoglio come «sprezzante di tutte le figure che sono state vittime della dittatura argentina», della sua «vicinanza a un regime che torturava gli oppositori», di un Bergoglio che «si è schierato dalla parte dei persecutori», un uomo «che non ha fatto mistero della propria collocazione ideale: Dio, patria, famiglia. Gli ideali della dittatura argentina. Di tutte le dittature».

Sempre sul quotidiano di Travaglio e Padellaro, questa volta tramite la giornalista Silvia Truzzi, si è ironizzato sul portavoce del Pontefice, padre Lombardi, quando ha preso le sue difese. «Sarebbe bello che papa Francesco spiegasse perché quelle accuse sono infondate», ha scritto maliziosa la Truzzi, «con la stessa semplicità con cui ha salutato i fedeli in San Pietro». Aggiungendo: «E sarebbe bello che spiegasse anche la infelice e presunta frase del cardinal Bergoglio» contro le donne. Eppure quando la verità è emersa, sia per quanto riguarda le accuse di connivenza che per la frase misogina, la “giornalista” non ha mai voluto pubblicare un articolo per chiarire l’equivoco da lei creato nei suoi lettori. Ha invece preferito difendere Barack Obama dalle accuse di sessismo, senza chiedere all’accusato di chiarire il suo pensiero. Sempre sul “Fatto” è toccato alla femminista Lidia Ravera attaccare Bergoglio sulle frasi misogine che avrebbe pronunciato, anche lei senza verificare le fonti e senza mai chiedere scusa quando la verità è emersa. Anzi chiudendo con sarcasmo: «Risponda, la prego, visto che è un tipo alla mano».

Erano tutte calunnie come si è dimostrato in seguito (e come approfondiremo in un dossier pronto tra pochissimo tempo), nulla di vero. Anzi, pochi mesi dopo è uscito il libro La lista di Bergoglio. I salvati da papa Francesco. Le storie mai raccontate (EMi 2013) di Nello Scavo, nel quale si raccontano le vicende di quanti – dissidenti, sindacalisti, preti, studenti, intellettuali, credenti e no – l’allora padre Jorge Mario Bergoglio riuscì a mettere in salvo perché perseguitati dalla giunta militare.

Seppur con incredibile ritardo (il libro è uscito a settembre!), anche “Il Fatto Quotidiano”, tramite Maurizio Chierici (e non Marco Politi, che dovrebbe essere il vaticanista del quotidiano), ne ha dato stranamente notizia nel dicembre scorso. L’articolo si conclude con un elogio all’autore, giornalista di “Avvenire”: «è bastato un giornalista curioso come Scavo perché ogni malignità si sciogliesse e la verità venisse a galla». Malignità, si dimentica di ricordare Chierici, che è provenuta per la maggior parte dai suoi colleghi di redazione. Tuttavia potevano non riportare la notizia ed invece lo hanno fatto, prendiamo questa scelta de “Il Fatto” come una richiesta di scuse.

La redazione

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Tre grandi motivi contro le unioni civili

Pisapia, Renzi, MarinoIl nuovo leader del Partito Democratico, Matteo Renzi, ha apertamente spinto verso l’apertura di un registro per le unioni civili in modo da «garantire la parità dei diritti», inserendo anche ciò che lui ripete spesso in inglese: “stepchild adoption”, ovvero l’adozione per le coppie omosessuali nei casi in cui ci sia un genitore biologico nella coppia.

Occorre innanzitutto rilevare come i media hanno dato ampio risalto alle posizioni di Renzi, evitando però di citarlo quando risulta scomodo all’immagine che intendono dargli. Qualche mese fa ha difeso, ad esempio, l’iniziativa del Comune di Firenze di dare la possibilità ai genitori di bimbi nati morti di seppellire i propri figli, rispondendo alle critiche e agli insulti ricevuti. Un’altra frase di Renzi, coraggiosa, passata nascosta è quando ha detto che «nessuna legge antiomofobia – pur buona e positiva – risolverà il problema educativo, lo sappiamo». Non illudiamoci, però, Renzi, seppur cattolico praticante (partecipa annualmente agli esercizi spirituali), è lontano dalla posizione della Chiesa su molte tematiche, in particolare in campo bioetico.

 

Una di queste sono appunto le unioni civili, i cui sostenitori sui media ripetono come unica motivazione che sarebbe doveroso legittimarle in quanto il resto del mondo le ha approvate. Un argomento incompatibile con chi ritiene di essere un “libero pensatore” e sopratutto storicamente privo di autorità: nel secolo scorso l’eugenetica era ritenuta “il progresso” in America e in tutta l’Europa occidentale (insegnata ad Oxford e Princeton), mentre oggi le scuole private/paritarie sono completamente finanziate dallo Stato in buona parte dei Paesi occidentali. Se l’argomento usato a favore delle unioni civili fosse valido, allora l’Italia avrebbe sbagliato a non aprire all’eugenetica e l’Italia sbaglierebbe, oggi, a non finanziare completamente le scuole paritarie. Ma quanti sostenitori delle unioni civili avrebbero il coraggio di essere coerenti? Da parte nostra, sottolineiamo in tre punti i motivi per cui siamo ad esse contrari.

1) INUTILI. Secondo i renziani istituire un registro delle unioni civili servirebbe per equiparare «i diritti economici, ivi compresa la reversibilità delle pensioni, l’assistenza sanitaria e penitenziaria, nonché la possibilità di subentrare nei contratti di locazione». Eppure proprio recentemente Bruno Ferraro, Presidente aggiunto onorario della Corte di Cassazione, ha riflettuto su questo concludendo: «non riesco ad intravedere lacune suscettibili di essere colmate con norme di nuova emanazione». Non esiste alcun problema successorio, di subentro nel contratto di locazione, nel diritto di visitare in carcere o in ospedale il partner: è tutto già possibile oggi e non c’è bisogno di cambiare la situazione «per dare ad omosex e transex i diritti di cui sono già oggi titolari». Le coppie omosessuali hanno già oggi tutti i diritti che invece pensano di poter acquisire con una legge sulle unioni civili, lo abbiamo a lungo mostrato anche noi entrando nello specifico di ogni legge già presente: 15/10/12; 17/04/13; 11/06/13.

 

2) NON URGENTI. Il secondo motivo è legato al primo: nessuno ne sente il bisogno, anche perché sono appunto completamente inutili. Lo dimostra chiaramente il fatto che nei comuni italiani in cui sono stati simbolicamente istituiti essi sono rimasti deserti, come ha riconosciuto anche “Repubblica” (rilevando anche che chi si iscrive perde delle tutele, come il diritto all’assegno per le ragazze madri), dimenticando però di ricordare che essi sono stati creati con lo scopo di far sentire alla politica la necessità da parte della popolazione di un riconoscimento delle coppie di fatto e il loro fallimento invia, dunque, un messaggio contrario ed opposto al motivo per cui sono nati.

 

3) DISCRIMINATORIE. C’è un terzo motivo per cui riteniamo sbagliato equiparare le coppie sposate a quelle conviventi, ed è lo stesso ribadito dal card. Bergoglio -futuro Papa Francesco- nel 2010: «Le situazioni giuridiche di reciproco interesse tra le persone dello stesso sesso possono essere sufficientemente tutelate attraverso il diritto comune», scriveva Bergoglio (confermando il nostro punto 1). «Di conseguenza, sarebbe una discriminazione ingiusta nei confronti del matrimonio e della famiglia attribuire al fatto privato dell’unione tra persone dello stesso sesso uno status di diritto pubblico». Perfino la femminista Emma Fattorini lo ha riconosciuto sull’“Unità”, spiegando che le libere convivenze non vanno equiparate al «matrimonio che implica un investimento oggettivo e oggettivo che va riconosciuto, in nome di quella stessa idea di responsabilità che invochiamo per chiedere maggiori diritti».

In linea con le affermazioni del card. Bergoglio, l’Unione Giuristi Cattolici italiani ha approfondito rilevando «l’ingiusta sottrazione di diritti e di risorse alle famiglie fondate sul matrimonio» a vantaggio «di quelle unioni che non intendono assumersi alcun impegno e dovere davanti alla società e allo Stato e che hanno nella loro precarietà la caratteristica principale», come ha spiegato il vicepresidente Giancarlo Cerelli, oltre al rischio della creazione, da parte di approfittatori, delle cosiddette «unioni di comodo». Ed infine: «Quale coppia sceglierà ancora di contrarre matrimonio e così formare una famiglia, se basterà iscriversi al registro comunale, che non richiede l’assunzione di alcun dovere, per ottenere dal Comune i medesimi diritti e vantaggi riservati alle coppie coniugate?».

La redazione

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Qual è il senso e lo scopo della preghiera?

a cosa serve pregare onnicienza dioA cosa serve pregare? Che senso ha la preghiera? Perché sembra che a volte Dio non risponda? Perché pregare se Dio conosce già ciò di cui abbiamo bisogno? Rispondiamo a queste domande in modo semplice.

 

E’ importante per un cattolico saper rispondere al senso della preghiera, innanzitutto perché lui stesso può avere dei dubbi e, in secondo luogo, per rendere ragione a chi gli pone domande per nulla fuori luogo. Perché domandare a Dio, se Lui conosce già ciò di cui abbiamo bisogno? Perché a volte (o sempre) sembra che Dio non risponda alle nostre preghiere? Rispondiamo in modo semplice e schematico, così che tutti possano capire, vicini e lontani dalla preghiera.

 

Perché a volte Dio sembra non rispondere alle nostre preghiere?

La risposta si divide in due, innanzitutto occorre comprendere che la risposta di Dio può avvenire ma non secondo le nostre aspettative. In secondo luogo, Dio non è una bacchetta magica che esaudisce i nostri desideri e la preghiera è un dialogo, non una pretesa.

a) E’ probabile che Dio risponda, ma non secondo le nostre aspettative limitate. E’ Lui stesso che ce lo ricorda tramite il profeta Isaia: «I miei pensieri non sono i vostri pensieri, né le vostre vie sono le mie vie […]. Come i cieli sono alti al di sopra della terra, così sono le mie vie più alte delle vostre vie, e i miei pensieri più alti dei vostri pensieri» (Is, 55, 1-11). Quel che pensiamo essere “bene” per noi spesso non coincide con quel che è davvero “bene” per noi agli occhi di Dio.

b) Dio sembra non rispondere? E’ possibile anche che il nostro modo di pregare sia sbagliato, cioè arrogante, poco cosciente, forse credendo che la preghiera sia una bacchetta magica che esaudisca i nostri desideri. Niente di tutto questo, non si può chiedere veramente a Dio qualcosa se non si entra in un dialogo personale con Lui. Lo stesso Gesù ci insegna nei Vangeli come pregare: «Quando pregate, dite: ‘Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno. Dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano; perdona a noi i nostri peccati, perché anche noi perdoniamo ad ogni nostro debitore, e non farci entrare nella tentazione» (Lc 11:2-4).

Come vediamo, Cristo invita l’uomo che prega a riconoscere innanzitutto la santità di Dio, a porci nei suoi confronti come Padre e ci invita a concentrarsi più sui nostri bisogni che sui nostri desideri, chiedendo non più di quanto si necessità (il pane quotidiano). Fondamentale poi domandare di essere perdonati per poter perdonare gli altri, dunque un atto di umiltà sulla nostra condizione limitata di peccatori, per evitare ogni arroganza e egoismo nella richiesta.

 

Pregare significa modificare la volontà di Dio? A cosa serve se Lui è onnisciente?

2) Se dunque è importante capire che la risposta di Dio può essere diversa dalle nostre attese e che ci è stato insegnato da Gesù Cristo un modo adeguato di rivolgersi a Lui, fondamentale è comprendere davvero cosa sia la preghiera e la sua vera utilità. Comprendendolo si riesce allora a rispondere anche ad una seconda domanda fondamentale: perché domandare a Dio, se Lui conosce ciò di cui abbiamo bisogno.

Questa perplessità viene solitamente usata da polemisti e provocatori, come Corrado Augias: «Pregare perché dio faccia o non faccia una certa cosa», spiega il giornalista di “Repubblica”, «implica che la sua volontà possa essere influenzata». Dunque, la conclusione ovvia per lui: Dio non è onnipotente, non conosce il nostro bene e quindi non esiste. Eppure, cristiani e anticristiani, dovrebbero davvero capire cosa serva pregare e che essa non modifica affatto la volontà di Dio. Come dice Tommaso d’Aquino, «noi preghiamo non allo scopo di mutare le disposizioni divine: ma per impetrare quanto Dio ha disposto di compiere mediante la preghiera dei santi; e cioè, come dice S. Gregorio, affinché gli uomini, “pregando meritino di ricevere quanto Dio onnipotente aveva loro disposto di donare fin dall’eternità”» (Summa Theologiae, II-II, q. 83, a. 2). È (anche) per questo motivo che Dio, pur conoscendo perfettamente tutti i desideri umani, nondimeno richiede dall’uomo una consapevolezza tale che si attualizzi tramite una richiesta. La preghiera come espressione ed esercizio di libertà, di cosciente affidamento.

Ma la preghiera ha un secondo scopo, forse ancora più importante di quello della richiesta. Ovvero, domandare di essere aiutati a capire che non siamo padroni della nostra vita ed avere la forza di affidarci a Lui: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà» (Lc 22, 42). Così Gesù si è rivolto al Padre prima di finire in croce e questo è l’apice del pregare.

La preghiera (di adorazione, di lode, di ringraziamento e di richiesta) non serve per far comprendere a Dio le nostre necessità, ma per disporre noi ad accogliere il Suo aiuto. Sant’Agostino ricorda che «la creatura ragionevole offre preghiere a Dio… per costruire se stessi, non per istruire Dio» (De gratia Novi Testamenti ad Honoratum liber unus, 29). La preghiera, ha spiegato infatti don Massimo Camisasca, aiuta ad entrare «in una nuova visione di se stessi. Non si è più soli, non si è più abbandonati alle forze del mondo. Sappiamo che la vita è una battaglia, ma anche che la guerra è già stata vinta da Colui che ha sofferto per noi e che ora è risorto e vive. La preghiera cambia la nostra prospettiva di vita e ci fa vivere l’esperienza della vittoria sulle nostre angosce, sui rimorsi del passato, sulle lacerazioni, sulla morte. Se entriamo nella volontà del Padre, concretamente, se chiediamo a Lui di insegnarci che cosa vuole, egli risponde». «Ci dà la forza di aspettare, ci sorregge nelle prove che altrimenti sembrerebbero schiacciarci, ci dona uno sguardo capace di esultare e un animo che sa valorizzare tutto il bene che trova», ha concluso don Camisasca. Paradossalmente questa potenza della preghiera è riconosciuta anche dal mondo scientifico: TM Luhrmann, docente di antropologia all’Università di Stanford (e agnostico o non credente) ha spiegato che «probabilmente il modo più accurato per capire la preghiera è come una capacità di cambiare il modo in cui usiamo le nostre menti».

Papa Francesco ha risposto a sua volta in questa direzione spiegando che la preghiera non è tanto un domandare ma piuttosto un lasciarsi guardare dal Signore: «la preghiera è guardare il volto di Dio, ma soprattutto sentirsi guardati. Noi pensiamo che dobbiamo pregare, parlare, parlare, parlare… No! Làsciati guardare dal Signore. Quando Lui ci guarda, ci dà forza e ci aiuta a testimoniarlo».

 

Concludendo: quando preghiamo, dunque, dobbiamo sapere che 1) Dio può rispondere secondo i Suoi pensieri e non secondo i nostri, 2) che si può domandare soltanto entrando in dialogo con Lui e non fingendo che sia un oracolo alla mercé dei nostri desideri. Infine, ancora più importante, 3) bisogna concepire la preghiera come momento di relazione con Dio, lasciarsi guardare da Lui trovando il coraggio per affidarsi alla Sua volontà. Un esercizio per piegare le nostre effimere idee su noi stessi al destino che Lui ha preparato per noi, accettando liberamente il compito (la vocazione) che ci è stato affidato. Proprio come Gesù ha accettato il suo destino, rivolgendosi così a Dio: «Non sia fatta la mia, ma la tua volontà».

La redazione

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Nel 2014 piccoli cambiamenti di UCCR

Logo UCCR + scrittaAvendo già fatto gli auguri di S. Natale e di felice 2014, desideriamo pubblicare una piccola nota tecnica per spiegare ai nostri sempre più numerosi lettori quali piccoli cambiamenti al nostro sito web avverranno nel 2014.

 
 
 

SITO WEB IN VERSIONE INGLESE
Dato il buon successo avuto da UCCR in versione italiana in questi due anni di vita, la redazione -spronata anche dai lettori non italiani- ha deciso di avviare anche una versione inglese per uscire dai confini italiani e raggiungere il resto del mondo. Se il progetto inglese avrà un ritorno soddisfacente, come è stato per quello italiano, non è esclusa in futuro anche la realizzazione di una versione spagnola, francese e tedesca. La versione inglese è in fase di partenza anche se online da qualche settimana con il nome: “Union of Catholic Christian Rationalists” (qui spieghiamo perché “rationalists” e non “rational”).

Dobbiamo però chiedervi un aiuto: cerchiamo dei traduttori capaci che aiutino gli amici (ringraziamo tantissimo Milena e Francesco!!) che già ci stanno aiutando a tradurre in inglese gli articoli. Chi volesse contribuire, aiutando il suo inglese a restare in allenamento, ci contatti a redazione@uccronline.it. Vi ringraziamo già da ora.

 

ATTIVITA’ SU FACEBOOK
UCCR gestisce su Facebook due pagine (UCCR e AntiUAAR) e un gruppo (UCCR). Da oggi esse rimarranno sempre attive, anche durante le varie feste annuali nelle quali solitamente il sito web prende una pausa.

L’altra novità è che la pagina UCCR non pubblicherà più solo link agli articoli che vengono pubblicati su questo sito, ma sarà un contenitore dove appariranno continuamente singole notizie interessanti pubblicate quotidianamente sui vari organi di informazione. Useremo la pagina AntiUAAR, invece, per postare link ad articoli che riguardano esclusivamente il confronto/dialogo con il laicismo, il secondo obiettivo di questo sito web. Il gruppo UCCR, infine, diventerà una sorta di forum, dove potranno pubblicare post (dopo approvazione da parte dell’amministratore) tutti coloro che ne sono membri. Si potranno proporre notizie, riflessioni o dialogare pubblicamente con un amministratore e gli articolisti di UCCR attraverso consigli, suggerimenti e/o critiche. Anche questi cambiamenti, come per la versione inglese, sono un progetto e un esperimento, dunque la situazione potrà subire mutamenti nel corso dell’anno.

 

ATTIVITA’ SU TWITTER
UCCR gestisce anche un profilo su Twitter. Finora non è stato molto utilizzato, ma nel 2014 cercheremo di trasformare anch’esso in una cassa di risonanza delle notizie più importanti e interessanti per i nostri fini, non soltanto link agli articoli pubblicati su questo blog.

 

NEWSLETTER DI UCCR
Dalla homepage di questo sito web è possibile iscriversi (in basso) alla nostra Newsletter inserendo il proprio indirizzo e-mail, aggiungendosi così al migliaio di attuali iscritti. La Newsletter è un’e-mail settimanale inviata dalla Redazione la domenica, nella quale mostriamo il resoconto degli articoli pubblicati durante la settimana (chi non è riuscito a visitare il sito web nei precedenti 7 giorni ha la possibilità di non perdere la lettura di eventuali articoli che avrebbero potuto interessarlo). Oltre a questo servizio, dal 2014 gli iscritti saranno aggiornati anche sull’Udienza del mercoledì e sull’Angelus domenicale di Papa Francesco, nonché su eventuali suoi discorsi/lettere apostoliche/omelie ufficiali pronunciati/e durante la settimana.

 

ATTIVITA’ SU YOUTUBE
UCCR ha anche un canale Youtube su cui pubblichiamo video inediti oppure ripubblichiamo filmati che riteniamo interessanti. L’aggiornamento è saltuario purtroppo, un obiettivo a medio periodo sarà quello di rendere l’account di UCCR attivo più frequentemente anche su questo social network.

 

COLLABORAZIONE E ARTICOLISTI
Come sempre ricordiamo che chi vuole collaborare e diventare un nostro articolista può scrivere e presentarsi a redazione@uccronline.it. Stiamo anche valutando di ampliare il numero di amministratori, per ora però questa proposta sarà rivolta a chi già collabora con noi da tempo come articolista.

 

RICHIESTA DI DONAZIONE
Tutti questi servizi sono un regalo per i lettori, totalmente gratuiti e tali rimarranno. A fronte di una spesa non prevista a cui abbiamo dovuto far fronte recentemente, abbiamo ritenuto giusto chiedere eccezionalmente un contributo economico volontario ai nostri lettori. Il valore della donazione è a discrezione di ognuno (5€, 10€…) e può essere fatta con carta di credito, Paypal e prepagate. Per inserire l’importo scelto e i dati basta cliccare sul pulsante arancione “donazione” qui sotto e seguire le indicazioni. In cambio saremo felici di contraccambiare donandovi un ebook. Un ringraziamento se vorrete contribuire e le nostre scuse per questa richiesta non prevista.



 
 
La redazione

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A Natale festeggiamo l’uomo più importante della storia

Nascita GesùLo scorso anno abbiamo dedicato i nostri auguri di Natale ai lettori del sito web un dossier sulla storicità della data del 25 dicembre come la vera data storica di nascita di Gesù Cristo, la quale non ha un’origine pagana derivata dalla festività del “Sol invictus” e nemmeno un’origine simbolica-cristiana.

Quest’anno vorremmo dare spazio ai risultati di una recente ricerca intitolata “Who’s Bigger: Where Historical Figures Really Rank” (Cambridge University Press, 2013) e realizzata da due ricercatori americani Charles Ward e Steven Skiena che hanno misurato l’indice di notorietà nel presente dei personaggi della storia. Dopo oltre 2000 anni e per soli tre anni di vita pubblica, Gesù Cristo risulta essere il personaggio più noto, la figura più contemporanea e lo stesso primato permane su internet. E’ Lui la maggiore presenza per l’uomo d’oggi, molto più di imperatori, rockstar, icone del passato, politici, artisti, condottieri, scrittori, musicisti, filosofi, profeti.

Il celebre filosofo della scienza Antony Flew, convertitosi nel 2010 dopo anni di militanza anti-cristiana, ha riconosciuto studiando la genetica la traccia di una Intelligenza nascosta: ««Alcuni sostengono di aver stabilito un contatto con questa Mente. Io no. Ma chi lo sa cosa potrebbe accadere in seguito? Certamente la figura carismatica di Gesù è così speciale che è sensato prendere in seria considerazione l’annuncio che lo riguarda. Se Dio si è davvero rivelato è plausibile che lo abbia fatto con quel volto». Ovvero: l’uomo Gesù diceva di essere il Figlio di Dio e noi, a posteriori, possiamo dire che la storia dimostra come effettivamente tutto porta a pensare che aveva ragione. La sua figura risplende nel cuore di tutti gli uomini, credenti o non credenti, il figlio del falegname di Nazareth ha sempre illuminato la storia umana, proprio come se davvero fosse stato il Figlio di Dio.

Ecco, riflettendoci quest’anno abbiamo maturato la convinzione che la potenza, l’universalità e la contemporaneità del messaggio di Gesù Cristo, riconosciuta da chiunque, devono necessariamente condurre alla convinzione che Gesù diceva la verità (anche) quando si definiva Figlio di Dio. In caso contrario Egli stava mentendo spudoratamente, ingannando gli uomini che incontrava e prendendosi gioco della loro speranza e della loro vita; oppure, come terza possibilità, era in buona fede ma dunque un disturbato a livello psicologico. Lo aveva già pensato il grande filosofo francese Jean Guitton: «Nel problema riguardante Gesù si è stretti tra due ipotesi: o è davvero un uomo divino o è un pazzo furioso. Non ci sono mezzi termini. Nel problema “Gesù” si giunge a un punto in cui bisogna scegliere: tra zero e infinito» (Guitton, “Ogni giorno che Dio manda in terra”, Mondadori 1997, pag. 159).

Davanti a Gesù non si può stare nel mezzo: o zero o infinito. O niente o tutto. O era un pazzo o era vero quel che diceva di essere. Credere nel messaggio cristiano senza credere in Gesù Cristo significa invece stare a metà: come poter vivere il messaggio di un pazzo o di un bugiardo? E sopratutto, come avrebbe potuto un pazzo o un meschino ingannatore poter aver illuminato la storia umana con il suo amore, i suoi insegnamenti totalmente innovativi e tuttora contemporanei? Come poter far convivere la pazzia o la menzogna consapevole con un’umanità splendente ed eccezionale?

Stando di fronte seriamente a queste domande capiamo meglio le parole di Papa Francesco sul Natale: «Il Natale ci parla della tenerezza e della speranza. Dio incontrandoci ci dice due cose. La prima è: abbiate speranza. Dio apre sempre le porte, mai le chiude. È il papà che ci apre le porte. Secondo: non abbiate paura della tenerezza. Dio che scende e sta con noi. È uno dei misteri di Dio. A Betlemme, nel 2000, Giovanni Paolo II disse che Dio è diventato un bambino totalmente dipendente dalle cure di un papà e di una mamma. Per questo il Natale ci dà tanta gioia. Non ci sentiamo più soli, Dio è sceso per stare con noi. Gesù si è fatto uno di noi e per noi ha patito sulla croce la fine più brutta, quella di un criminale. Quello che leggiamo nei Vangeli è un annuncio di gioia».

Auguriamo un buon S. Natale e un felice 2014 a tutti voi e ai vostri cari. Il sito web prenderà una pausa dal 23 dicembre 2013 al 6 gennaio 2014 compreso. Auguri!

La redazione

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Avere fede migliora la salute

Obama in preghieraSe in tempi meno sospetti era ancora ammesso dubitarne o addirittura non pensarci, ebbene oggi non abbiamo più alibi. Se palese era già il fatto che la spiritualità influenza il comportamento, ebbene ora ci si spinge oltre. Esiste una forte correlazione tra fede e salute. O almeno questo è ciò che cercano di rilevare e dimostrare i numerosi studi scientifici svolti in questo campo. Qui si parla di una fede vissuta, cioè di un percorso profondo che permette al nostro organo centrale, il cervello, di innescare meccanismi che influenzano il nostro stato di salute, come ha spiegato in una recente intervista il noto Enzo Soresi (oncologo, tisiologo, anatomopatologo, tra i maggiori esperti di medicina integrata).

Il medico spiega che il cervello, essendo fortemente interattivo, riesce a rielaborare tutti gli stimoli che riceve; ma le reazioni che innesca dipendono dal tipo di stimoli ricevuti: uno stimolo positivo darà luogo ad una reazione positiva del cervello. Quindi la sua funzione non si limita al pensiero, bensì comprende la produzione di sostanze fondamentali al benessere fisico quali i neurotrasmettitori e le proteine emozionali. Ma come si valuta la positività di uno stimolo? Le azioni che noi compiamo per convinzione influenzano sempre positivamente il cervello?

Secondo Soresi, non siamo noi a determinare la positività di un’azione o una cosa. Seppur noi siamo convinti di agire sempre secondo idee valide e buone, il cervello rielabora gli stimoli che gli inviamo secondo uno schema indipendente dalla nostra volontà. Infatti lo scienziato sostiene che: “l’ideologia su un piano biologico può essere anche inibitoria, quando non consente aperture che invece si traducono in una risposta biologica”, invece per quanto riguarda la fede dice: “può essere un percorso importante, perché mi ci aggancio e mi fa da traino in un momento di difficoltà […] chiaramente quando è un percorso vero”. Inoltre il dottore riporta un breve esempio tratto da un suo libro in cui spiega come il cervello, a causa del suo processo di formazione e degli stimoli ricevuti, può reagire diversamente di fronte a malattie mortali o comunque gravissime. Per fare ciò descrive due casi di pazienti affetti da tumori, i quali reagiscono diversamente ad un evento tragico come il tumore.

Allora è lecito chiedersi: anche la fede può fornire al cervello un sostegno per fronteggiare simili eventi? Certamente, e lo dimostra il caso di una donna spagnola, Immacolata Cobos. Una storia esemplare di una ragazza a cui vengono diagnosticati forti reumatismi a solo due anni di età, la quale crescerà con tante altre e più gravi malattie, ma che grazie alla fede, come lei stessa racconta ad alcuni giornali online spagnoli, ha sempre avuto la forza di andare avanti, superando questi momenti. Questa donna ha avuto una fede così forte da consentirle di arrivare a coronare il suo sogno di un matrimonio, dal quale sono nati ben cinque figli! La donna ha definito i figli: “cinque doni di dio”. Di fronte a questa fenomenale testimonianza di vita crollano tutte le obiezioni laiciste che oggi nel mondo si battono per legalizzare l’eutanasia infantile, e vengono confermate le ricerche che dimostrano una relazione tra fede e salute.

Oggi sono molto numerosi gli studi scientifici che mirano a dimostrare l’influenza della fede sulla salute fisica, tant’è che anche in una ricerca promossa dalla Stanford University si parla di “recenti evidenti prove empiriche”. Per una panoramica degli studi più importanti si può consultare questo nostro dossier che li riporta in ordine cronologico con annessa breve spiegazione e link.

Davide Cappelli

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