La Spagna limita l’aborto. E fa bene

Bambino spagnoloLa notizia, anche se è riduttivo definirla così, è il dietrofront del Governo spagnolo sull’aborto procurato  rispetto alla precedente legislazione varata nel 2010 da Zapatero.

Nello specifico, la proposta avanzata dal ministro della Giustizia Alberto Ruiz-Gallardón e approvata lo scorso 20 dicembre dal Parlamento, assicurando l’obiezione di coscienza a tutti i professionisti sanitari interessati, prevede l’aborto volontario nelle prime 12 settimane solo in caso di stupro ed entro le prime 22 settimane di gestazione nell’esclusiva eventualità di rilevante e duraturo rischio della salute materna, da accertarsi da due differenti medici.

Ora, dei possibili atteggiamenti del legislatore in materia, quello assunto dall’esecutivo di Mariano Rajoy non rientra nella tipologia più restrittiva – vale a dire quella che sancisce il divieto assoluto di aborto con tanto di sanzione penale -, ma costituisce egualmente una svolta significativa nel panorama europeo ed occidentale, come del resto suffragato dal vespaio di polemiche che questa decisione sta scatenando. Non solo ha riacceso i riflettori sul tema eticamente sensibile per eccellenza, ma di fatto costringe noi tutti a tornare a considerare quale fondamento possa avere l’idea dell’aborto legale.

In altre parole, quello che sta succedendo in Spagna si traduce, per noi osservatori esterni, in un interrogativo: perché – noi come Italia, come Europa e come Occidente – dovremmo continuare a mantenere l’aborto legale? Di certo, diversamente da quanto sentiamo spesso affermare, non per sconfiggere la piaga dell’aborto dato che se da un lato un Paese come l’Italia effettivamente registra un calo di aborti che però riesce difficile non leggere quale riflesso di un generale calo di nascite (e dunque di concepimenti), d’altro lato – come brillantemente osservato dal dottor Puccetti –  «le donne abortiscono in maggiore misura se l’aborto è legale in una percentuale che gli» stessi «autori pro-choice stimano tra il 10 ed il 30%» (Puccetti R., Aborto e salute della donna: stato dell’arte. «Bollettino di Dottrina Sociale della Chiesa» 2013, 1, IX; 14-20:19).

L’aborto legale, dunque, non serve a contrastare l’aborto. E neppure – per venire ad una seconda ipotesi di legittimazione della pratica – a sconfiggere l’aborto clandestino dal momento che, per stare all’Italia, lo stesso Ministero della Salute, nella sua ultima relazione, ribadisce una stima «pari a 15.000 aborti clandestini». A questo punto, si potrebbe ribattere che l’aborto legale, anche se non diminuisce il fenomeno in generale e neppure ne sconfigge la dimensione clandestina, quanto meno tutela la salute delle donne; ma pure questa è una falsa ragione giacchè, se ci atteniamo alla letteratura scientifica, risulta accertato come il divieto di aborto non risulti correlato alla mortalità materna e men che meno ad un suo peggioramento.

Anzi, a dirla tutta la pratica abortiva – anche sorvolando sui non trascurabili ed anzi altissimi rischi di cancro al seno, depressione ed ansia che comporta – risulta associata ad un maggiore tasso di mortalità, per le donne che vi ricorrono, sia rispetto all’aborto spontaneo che alla gravidanza portata a termine. Riepilogando, non esiste una – dicasi una – buona ragione, neppure considerando la sola salute femminile e tralasciando totalmente l’ambito morale, per cui il legislatore farebbe bene a mantenere l’aborto legale; al contrario, ne esiste una ma solidissima che va nella direzione esattamente opposta. Di quale ragione stiamo parlando?

Semplice: della ragione, ma sarebbe meglio dire del fatto, per cui il bambino non ancora nato è una persona e come tale merita di essere incondizionatamente tutelato. Perché nel momento in cui siamo informati dell’esistenza di qualcuno col cuore battente, con già una sua vita relazionale, fatta di ritmi giorno-notte ed in grado a suo modo di rispondere alla voce materna, di memorizzarla fra le altre e di avvertire un senso di dolore, abbiamo solo una possibilità per negare che quel qualcuno sia uno di noi: chiudere gli occhi. Ma chi inizia col chiudere gli occhi, molto presto, si ritroverà chiusi non solo quelli, ma anche il cuore, col rischio – reale e gravissimo – di perdere la propria umanità. Ne vale la pena?

Giuliano Guzzo

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Si può credere alla concezione verginale di Gesù?

Maria con BambinoPer alcuni, il miracolo della concezione verginale di Gesù squalifica i racconti evangelici come storie inaffidabili. Occasionalmente, inoltre, i polemisti anticristiani usano il concepimento di Gesù da una vergine per dimostrare a prescindere l’illogicità e l’irragionevolezza di coloro che considerano dei nemici.

E’ possibile rispondere molto semplicemente a questa obiezione, anche senza entrare nel dibattito degli storici del cristianesimo sul perché Luca e Matteo, basandosi su due fonti indipendenti (fonte “L” e fonte “Q”, datate secondo B. Ehrman come minimo negli anni Trenta ma quasi certamente diffuse mentre Gesù era ancora in vita), abbiano scelto di parlarne mentre Marco e Giovanni abbiano preferito iniziare il loro vangelo dalla vita pubblica di Gesù. E’ necessario sottolineare però che, come ha spiegato, Bart Ehrman, autorevole studioso del Nuovo Testamento all’Università del North Carolina, «gli storici non hanno mezzi a disposizione per esprimere giudizi sulla verginità della madre di Gesù, se non la generica improbabilità di un evento simile» (“Did Jesus Exist?”, HarperCollins Publishers 2012). Invece, secondo Frank Tipler, docente di fisica matematica alla Tulane University di New Orleans, «il miracolo della concezione verginale di Gesù, è plausibile alla luce della moderna conoscenza del modo specifico in cui il Dna codifica per il genere, possibile se Gesù era un maschio XX» (“La fisica del cristianesimo”, Mondadori 2007, p. 5). Posizione, quella di Tipler, da prendere con le pinze.

Ma non è questo il criterio con cui vogliamo affrontare il dilemma, che, occorre subito dire si ripresenta non soltanto per la nascita di Gesù ma per ogni miracolo da Lui compiuto e da ogni evento miracoloso o apparizione che la Chiesa riconosce come autentico/a. Gli scettici e i razionalisti rifiutano infatti la sola possibilità della concezione verginale, così come di ogni miracolo, perché il loro naturalismo filosofico (cioè l’atto di fede sul fatto che il mondo naturale sia tutto ciò che esiste e che si può misurare) esclude per principio la possibilità di un intervento miracoloso di un Essere soprannaturale. Il cuore del problema è dunque il naturalismo, come spiegato da J. Warner Wallace.

Ma la questione è ancora più profonda: il solo momento iniziale dell’Universo come atto creativo e la sola esistenza di Dio, ovvero di una realtà al di fuori del mondo naturale, è in contrasto con il naturalismo filosofico. Dunque il problema non è tanto se Gesù può essere stato concepito dalla Vergine Maria, ma ancor più dal principio, cioè se Dio esiste oppure no. Se Dio non esiste, allora, va rifiutata tutta la storia di Gesù e non solo i miracoli. Ma se Dio esiste, chi sostiene che non può fare miracoli? Perfino un pensatore non certo indulgente verso la Chiesa, Jean-Jacques Rousseau si domandava: «Può Dio fare miracoli, ovvero derogare alle leggi da lui stabilite? Tale questione trattata seriamente sarebbe empia, se non assurda. A chi dicesse che Dio non può operare miracoli si farebbe troppo onore punendolo, basterebbe rinchiuderlo in un manicomio. Ma chi ha mai negato che Dio possa fare miracoli?» (da “Lettres de la Montagne”, Troisième). In modo simile l’arcivescovo Giuseppe Siri: «è bellissimo vedere i puritani che si scandalizzano davanti a un asserito miracolo o a qualsiasi manifestazione del soprannaturale. Che ci si scandalizzi prima di ogni esame, ossia a priori, come se il Creatore non avesse la libertà di comunicare con la sua creatura, per dargli certezze e grazia, non è possibile ammetterlo».

Ma la posizione razionalista-naturalista andrebbe sempre respinta da un libero pensatore in quanto pregiudizievole. Leggiamo, ad esempio, cosa scrisse l’anticristiano Ernest Havet: «il primo dovere che ci ha imposto il principio razionalista, che è il fondamento di ogni critica, è di scartare dalla vita di Gesù il soprannaturale. Ciò porta via di colpo tutti i miracoli del vangelo. Quando la critica rifiuta di credere alle narrazioni miracolose, essa non ha bisogno di addurre delle prove per suffragare la sua negazione: ciò che si racconta è falso, per la semplice ragione che ciò che si racconta non è potuto accadere» (citato in V. Messori, “Ipotesi su Gesù”, pag. 136).

Dunque, in poche parole: i miracoli non esistono perché sono impossibili. Ed è evidentemente una tautologia. Molto più razionale la posizione di Antonio Ambrosetti, ordinario di Analisi matematica presso la Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste: «i miracoli sono eventi straordinari, non impossibili ma non spiegabili» (A. Ambrosetti, “La matematica e l’esistenza di Dio”, Lindau 2009, pag 73). La concezione verginale di Gesù, dunque, sfida la spiegazione naturalistica tanto quanto l’esistenza di Dio e qualsiasi altro Suo miracolo. Ma la posizione naturalistica, come abbiamo visto, è inaffidabile in quanto viziata dal dogma e dal pregiudizio.

Chi volesse approfondire il rapporto tra miracoli e ragione, può farlo leggendo queste due riflessioni: prima e seconda. Spesso le risate scomposte degli scettici somigliano alla sguaiata risata di Voltaire, il quale di fronte al ritrovamento di un pesce fossile sulle Dolomiti scoppiò a ridere dicendo che evidentemente qualche monaco o pellegrino lo aveva messo lì per sostenere il diluvio universale. Purtroppo, come ha detto il filosofo Theodor W. Adorno, «chi ha con sé il pubblico che ride, non ha bisogno di fornire spiegazioni».

La redazione

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I buoni risultati con le cellule staminali adulte

Cellule staminaliCome più volte abbiamo ricordato dalle pagine di questo sito, le cellule staminali, per le quali si intravedono nel futuro tante utili applicazioni cliniche, possono essere tratte da embrioni umani (uccidendoli), oppure dai tessuti del paziente stesso.

Queste ultime, le cellule staminali adulte, trattate col metodo del professor Yamanaka, sono “totipotenti”, cioè versatili, quasi quanto le staminali embrionali, ma presentano i vantaggi di non dare problemi di istocompatibilità, cioè di rigetto e il loro prelievo non comporta la soppressione di una vita né altri limiti di carattere morale.

Anche le cellule staminali tratte dal cordone ombelicale si stanno rivelando molto interessanti per la cura delle malattie del sangue: esse possono essere “messe in banca” per future eventuali cure al bambino stesso oppure donate ad altri. Purtroppo in molti campi medici l’utilità clinica delle cellule staminali, anche se promettentissima, al momento è futuribile; tuttavia esistono già delle applicazioni concrete e spesso il merito è di ricercatori italiani.

La sclerosi multipla viene curata a livello sperimentale e con successo  tramite cellule staminali del midollo osseo, mentre si studia il modo di utilizzare anche cellule della pelle  assai comode da prelevare. Per rigenerare tessuti lesionati, invece, si stanno ottenendo buoni risultati impiegando una somma di cellule staminali, tessuto grasso e piastrine. Cellule staminali modificate con tecniche di ingegneria genetica permettono di curare la leucodistrofia (malattia congenita del sistema nervoso) e la sindrome di Wiskott-Aldrich (malattia congenita sistemica).

Quella delle cellule staminali è al momento la pista più promettente fra le nuove biotecnologie e, in alcuni specifici settori, già si cominciano a curare concretamente i malati.

Linda Gridelli

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Papa Francesco ci sta riportando sui binari, ascoltiamolo

Francesco battezza GiuliaE’ chiaro, Papa Francesco ci sta educando. Capiamo benissimo, è imbarazzante a volte la zuccherosa riverenza laico-devota che gli viene riservata dai media più anticlericali e da persone che hanno sempre odiato la Chiesa e i cattolici. Un tempo si accusavano gli atei-devoti alla Giuliano Ferrara di essere baciapile, oggi il fenomeno dilaga anche tra gli accusatori di allora, i laici duri e puri. A partire da Eugenio Scalfari.

Ma questo non deve distrarci, sopratutto non deve farci cadere nell’equivoco che Francesco sia un secondo Vito Mancuso, che cerchi a tutti i costi l’applauso del mondo, che sia appositamente ambiguo e reticente. Anche Gesù fu accusato ingiustamente di condividere il suo tempo con peccatori e pubblicani, non dimentichiamolo. L’errore, dicevamo qualche mese fa, è nostro: di Benedetto XVI e di Papa Wojtyla abbiamo forse soltanto trattenuto la loro forte intransigenza sull’etica e sui principi morali inviolabili, che è poi la stessa di Papa Francesco.

Allora era giusto così, bisognava risvegliare le coscienze come occorre fare ancora oggi, occorreva chiarire pubblicamente la posizione della Chiesa su questi argomenti. Il Pontefice argentino si è però accorto che tali posizioni hanno finito per scalzare il compito essenziale del cristiano e vuole rimetterci sul binario, ricordandoci che «l’annuncio di tipo missionario si concentra sull’essenziale, sul necessario, che è anche ciò che appassiona e attira di più, ciò che fa ardere il cuore, come ai discepoli di Emmaus. Dobbiamo quindi trovare un nuovo equilibrio, altrimenti anche l’edificio morale della Chiesa rischia di cadere come un castello di carte, di perdere la freschezza e il profumo del Vangelo». Lo ha detto nel manifesto del suo pontificato, l’intervista a “La Civiltà Cattolica”. «Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi. Questo non è possibile».

Aggiungendo che «la cosa più importante è invece il primo annuncio: “Gesù Cristo ti ha salvato!”». Spesso ci siamo dimenticati di questo, anteponendo le giustissime battaglie in difesa della vita, della libertà religiosa, della famiglia. E invece è l’opposto: «È da questa proposta che poi vengono le conseguenze morali». Ma il compito principale è «curare le ferite e riscaldare il cuore dei fedeli». Da questo deriva anche tutto il resto: quando si prende coscienza di tale annuncio la vita cambia davvero, cambia il modo di pensare e ne conseguirà anche una posizione morale sull’aborto, sull’eutanasia, sul matrimonio omosessuale ecc. Il dibattito pubblico deve andare avanti, ma è qualcosa in più rispetto all’essenziale che non deve mettere in secondo piano la misericordia verso il peccatore e l’annuncio cristiano. Altrimenti il rischio è «somministrare un vaccino contro la fede», ha ricordato recentemente proprio Francesco. 

D’altra parte, pensiamoci, quanti omosessuali hanno interrotto i loro comportamenti sessuali (a volte cambiandoli radicalmente) dopo essersi convertiti? Tantissimi. Il Vangelo lo spiega benissimo attraverso la storia di Zaccheo, il grande peccatore di Gerico. Gesù si auto-invita a casa sua, molti lo criticano per la sua scelta ambigua di giustificare il peccatore, oggi lo avrebbero accusato di relativismo. Eppure Zaccheo non prosegue nel suo comportamento poco nobile, non pensa che Gesù lo stia incoraggiando a proseguire, ma si converte, dona metà dei suoi beni ai poveri e la tradizione dice che diventerà il primo vescovo di Cesarea di Palestina.

Allo stesso modo Papa Francesco ha recentemente voluto battezzare una bambina nata da due genitori non sposati in Chiesa. I media si sono eccitati a segnare “l’ennesimo strappo” sperando maliziosamente di scandalizzare i cattolici impegnati nella difesa del matrimonio, e tanti di noi ci sono cascati. Eppure, come ha ricordato Andrea Tornielli, è cosa frequente che ciò avvenga nelle parrocchie e non è nemmeno una novità per Papa Bergoglio che, anche da cardinale, ha celebrato il battesimo di bambini di ragazze madri e di genitori non sposati. Il motivo non è un inno al relativismo o il voler promuovere pubblicamente la convivenza di coppia, equiparandola a chi ha fatto la scelta di unirsi nel sacramento del matrimonio, davanti a Dio. Ma, come ha spiegato il card. Bergoglio, «il bambino non ha alcuna responsabilità dello stato del matrimonio dei suoi genitori. E poi, spesso il battesimo dei bambini diventa anche per i genitori un nuovo inizio. Di solito si fa una piccola catechesi prima del battesimo. In seguito, i sacerdoti e i laici vanno a fare le visite a queste famiglie, per continuare con loro la pastorale post-battesimale. E spesso capita che i genitori, che non erano sposati in chiesa, magari chiedono di venire davanti all’altare per celebrare il sacramento del matrimonio».

Si capisce il cambio di prospettiva? E’ affascinante. Gli uomini hanno prevalso nella guerra contro la Chiesa e ora si trovano al tappeto, confusi e con le vite piene di macerie (divorzi, contro-divorzi, aborti, compagni temporanei e amanti). Tuttavia, come una madre premurosa che aveva messo in guardia i suoi figli, la Chiesa si china nuovamente su di loro, non rinfanccia i loro errori ma cerca di riportarli vicino a sé. Papa Francesco è come il padre del figliol prodigo

Papa Francesco è più incompreso di Benedetto XVI: incompreso dai media, che pensano stia scardinano la dottrina cattolica (con le classiche forzature e invenzioni plateali, subite anche dal Pontefice emerito) e incompreso da tantissimi devoti cattolici che abboccano e pensano esattamente quel che i media vogliono. Ribadiamo la domanda fatta nel settembre scorso: diventiamo anche noi “cattolici adulti”, emancipandoci e pensando di sapere cosa il Papa dovrebbe dire e fare, oppure con umiltà e fiducia ci rimettiamo in cammino, dietro al successore di Pietro?

La redazione

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Paolo Bernini: il deputato “ateo-complottista”

Paolo BerniniRicordate il deputato venticinquenne del Movimento 5 Stelle che ha fatto ridere (se non vergognare) gli italiani affermando, davanti alla telecamere che lo stavano intervistando a casa sua, che «in America hanno già cominciato a mettere nei corpi umani dei microchip, per registrare tutto e per controllare la popolazione. Ma per fortuna che c’è la Rete. Che è capace di denunciare queste verità, che noi andremo a portare in parlamento».

Eh già, per fortuna che c’è la Rete che rivela tutto. Infatti, si è scoperto che Paolo Bernini, l’autore di questa affermazione, vegano e karateta, crede anche che il popolo sia  manovrato dai fili di un potere alto: «Ci sono tre capitoli: religione, Undici settembre e massoneria», ha spiegato. Nel novembre scorso, in un intervento in Parlamento, ha invece dubitato della morte di Osama Bin Laden il quale, ha detto sorridendo con sarcasmo e scetticismo, «dovrebbe essere morto due anni fa». A settembre invece, intervenendo sempre nell’Aula della Camera, ha sostenuto -passando per Pearl Harbor, Northwoods, il Tonchino, la guerra del Golfo e l’attentato di Allende, le bombe atomiche e le armi chimiche, la guerra fredda, i petrodollari, le fonti kurde-, che l’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001 fu un altro complotto, precisamente un “inside job”.

Il “cittadino” con il pallino del complotto (come viene definito sui media) è tornato alle cronache poco prima di Natale autodefinendosi «ateo e sbattezzato» e lanciandosi contro il presepe in Parlamento e la spesa pubblica per i cappellani militari attraverso un collegamento ben studiato: «Il simbolo che sta sopra Montecitorio, la croce di Cristo, rappresenta la morte di una persona. Questa morte chi l’ha causata? I militari dell’Impero romano! Secondo voi, se a quel tempo ci fossero stati i cappellani militari, da che parte sarebbero stati?».

Certo, lo stipendio dei cappellani militari è alto poiché vengono inquadrati come ufficiali e percepiscono il trattamento economico corrispondente al grado che rivestono. Un sacerdote normale percepisce uno stipendio tra gli 850 e i 1.200 euro al mese (lavora 365 giorni all’anno, disponibile 24 ore su 24 e solitamente non va in pensione), un vescovo ne prende 1.300 e un Papa (ed ex Capo di stato Vaticano) emerito ha diritto a 2.500€ (l’ex Capo di stato Italiano, Carlo Azeglio Ciampi percepisce 30 mila euro al mese).

Se ne deve discutere, certamente, ma chi lo fa dovrebbe come minimo essere credibile. Teorizzare complotti e sostenere istanze anticlericali in Parlamento, purtroppo, va in direzione opposta. E i discorsi di Bernini in Parlamento hanno un costo: Marco Bardazzi, digital editor de “La Stampa”, si è infatti chiesto: «Quanto costa agli italiani il tempo consumato alla Camera dal #M5S per raccontare questi polpettoni di stupidaggini?». Si è calcolato, ad esempio, che un discorso ateo-complottista di Bernini della durata di 6 minuti e 43 secondi costa indicativamente agli italiani circa 98mila euro. Dati da verificare, ovviamente, ma che certamente fanno pensare. E’ un complotto anche questo?

La redazione

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La “scandalosa” conversione di Jean-Paul Sartre

Jean Paul SartreJean-Paul Sartre è stato uno degli ultimi intellettuali laici di rilievo, dopo di lui (con l’eccezione di Bobbio e Cioran) solo personaggi di poco spessore e abbastanza superficialità (spesso volgarità), come Singer, Ayer, Onfray Scalfari e A.C. Grayling. Neanche lontanamente paragonabili alla profondità di pensiero del filosofo francese.

Sartre è stato colui che forse più di tutti ha cercato di scorgere i fondamenti di una morale laica (o senza Dio). Ma essa non era affatto trionfante, gloriosa e orgogliosa, come invece cercano di sostengono che sia i suoi promulgatori moderni (si veda in Italia, ad esempio, Umberto Veronesi). Il suo ateismo portava realisticamente all’angoscia, all’insicurezza, perché -diceva- la ragione umana è essenzialmente teologica, cioè funziona come se l’orizzonte umano fosse l’orizzonte divino.

«L’ateismo è la persuasione che l’uomo è un creatore, e che è abbandonato, solo, sul mondo. L’ateismo non è quindi un allegro ottimismo, ma, nel suo senso più profondo, una disperazione», disse nel 1946 durante la famosa intervista per “Il Politecnico” di Elio Vittorini. “L’Être et le Néant” (1943) è il manifesto del suo ateismo filosofico, che comunque, scriverà lui stesso quattro anni dopo in “Cahiers pour une morale”, rimane un atto di fede: «La decisiva assenza di fede è una fede incrollabile».

Proprio in quel periodo, nei primi anni ’50, quando la guerra fredda era al suo picco, si accorse di “vivere una nevrosi”: nonostante la sua fosse una filosofia di azione, finora era stato un semplice scrittore borghese, come Flaubert. Si risvegliò dunque il suo interesse per il marxismo schierandosi con il Partito Comunista. Eppure, come ha spiegato il filosofo americano Jim Holt, in quegli anni i crimini di Stalin iniziavano ad essere platealmente documentati, tanto che altri intellettuali stavano abbandonando il partito. «L’ex filosofo della libertà si trasformò nel Sartre totalitario». Raymond Rosenthal ha parlato di lui come «un solido stalinista».

Inizia qui, infatti, il passato vergognoso del più alto sostenitore e teorizzatore della morale laica. La rottura con Camus avvenne proprio in quanto quest’ultimo decise di denunciare il totalitarismo, mentre Sartre rimase rimase in silenzio verso i gulag francesi (“non era nostro dovere scrivere sui campi di lavoro sovietici”, si giustificò in seguito). Scusò le purghe di Stalin e quelle di Mao, descrisse il disertore Victor Kravchenko, che per primo portò alla luce dall’interno gli orrori dello stalinismo, come una creazione della CIA. Abbracciò il pacifismo e, in opposizione alla guerra in Vietnam, esortò l’Unione Sovietica a combattere gli americani, anche a rischio di una guerra nucleare e nel difendere l’indipendenza algerina, nella prefazione ad un libro di Franz Fanon (“The Wretched of the Earth”) scrisse che per un africano «sparare ad un europeo è come prendere due piccioni con una fava, è distruggere un oppressore e l’uomo che opprime allo stesso tempo». Nel 1977, in occasione dell’arresto di tre uomini per pedofilia, Sartre (assieme a Simone de Beauvoir, Michel Foucaul e tanti altri) firmò una «petizione» per chiedere la liberalizzazione sessuale degli adolescenti.

Eppure, anche per il più alto riferimento laico del ‘900, Dio rimase un interesse costante per tutta la sua vita, come orizzonte, come illusione trascendentale, come errore inconsapevole ma ineliminabile. Non ebbe remore nel dichiarare la permanenza dei residui di quella fede in Dio che è stato il bersaglio forte e qualificante del suo programma intellettuale. In particolare qualcosa cambiò drasticamente gli ultimi anni di vita.

Nel 1980, pochi mesi prima di morire, nel pieno delle sue forze intellettuali (anche se non fisiche) intervistato dal suo amico ex-maoista Pierre Victor (aka Benny Levy), raccontò la sua conversione attraverso un’affermazione scandalosa, per molti una ritrattazione di tutta la sua opera filosofica (lui stesso confermò l’autenticità delle interviste a Levy): «Non sento di essere il prodotto del caso, un granello di polvere nell’universo, ma qualcuno che era aspettato, preparato, prefigurato. In breve, un essere che solo un Creatore potrebbe mettere qui. E questa idea di una mano creatrice si riferisce a Dio» (da “Nouvel Observateur”, 1980). La sua fu una graduale conversione al “giudaismo messianico”.

Tra le altre cose, Sartre respinse anche i suoi amici più intimi, compresa la sua amante femminista Simone de Beauvoir. La quale rimase ancora più scioccata e inorridita da questa vergognosa, per lei, conversione: «Come si potrebbe spiegare questo senile atto di un voltagabbana? Tutti i miei amici, tutte le “Sartreans”, e la redazione di “Les Temps Modernes” mi hanno sostenuto nella mia costernazione» (“National Review”, 11/06/1982, pag. 677).

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Solidarietà a Costanza Miriano

Costanza Miriano papaCostanza Miriano ha ben due colpe imperdonabili: pensa e scrive. E in un’epoca dove se pensi sei pregato di startene in silenzio e se scrivi sei pregato di non pensare, una giornalista e scrittrice come lei, in effetti, costituisce un problema. Su Facebook è stata persino bloccata per frasi intolleranti che non ha mai scandito, ma che le hanno attribuito.

Rimane il fatto che Costanza – che racchiude in sé tre difetti importanti, per il politicamente corretto: è moglie, quattro volte mamma e cattolica – delle opinioni scomode le abbia: è ostile alla venerata la Legge 194 (altare laico per sessantottine ormai sessantottenni, e per neoribelli già conformiste), ritiene che senza marito e moglie non vi sia famiglia e dubita che Putin sia la controfigura di Satana (per il Washington Post è pure l’uomo dell’anno, ma guai a ricordarlo). Di qui, come accade in Spagna e potrebbe accadere altrove, la censura dei suoi libri e una valanga di insulti su internet, dove per scrivere non occorre pensare e le menti illuminate, si sa, pullulano.

Coraggio Costanza, e non arrenderti: continua a pensare e scrivere. Che a scrivere ovvietà, ahinoi, ci pensano già in troppi

Giuliano Guzzo

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Grazie allo IOR la Chiesa aiuta milioni di persone

IorIl passato dello Ior, la cosiddetta “Banca Vaticana” non è certo limpido e passi in avanti fortunatamente se ne stanno facendo molti negli ultimi anni. Il futuro dello IOR, se lasciarlo com’è, chiuderlo o trasformarlo in una “banca etica”, è in mano a Papa Francesco e i suoi collaboratori.

Tuttavia vogliamo segnalare qualcosa che pochi sanno a proposito dell’Istituto Opere di Religione, oggi nei media sinonimo di “sporcizia”, “malaffare” e “corruzione”. Attraverso lo IOR, invece, si aiutano ogni giorno milioni e milioni di persone nel mondo.

E’ stato spiegato recentemente su (nientemeno che) “Repubblica” da Filippo di Giacomo: «Ogni mese la Chiesa cattolica paga circa trenta milioni di stipendi al personale della sua rete scolastica globale (70.544 scuole, 92.847 scuole primarie, 43.591 istituti secondari, 988 università e 211 istituti equivalenti) e a quella della sua rete sanitaria a carattere “umanitario” cioè a favore di tutti (5.305 ospedali, 18.179 dispensari, 547 lebbrosari, 17.223 case per anziani, malati cronici e handicappati, 11.379 giardini d’infanzia, 15.327 consultori matrimoniali, 34.331 centri di educazione o rieducazione sociale e 9.391 istituzioni di altro tipo)».

Anche Giovanni De Censi, presidente dell’Istituto Centrale delle Banche Popolari Italiane e fino a due anni fa membro del board laico dello Ior e oggi ritornato in Vaticano, ha spiegato che sarebbe un errore chiuderlo, come auspicano alcuni cardinali, perché la Chiesa faticherebbe a trasferire sostegni alle Chiese in Paesi governati da dittature. «Finalmente lo Ior è alla vigilia della White List», ha spiegato. «E’ stato compiuto un percorso necessario e la trasparenza è entrata a far parte del percorso di un organismo molto importante per la Chiesa. La trasparenza resta una pietra miliare e la logica deve essere quella di seguire procedure che consentano di aiutare ovunque le missioni nel mondo».

Ha quindi concluso: «La Chiesa ha bisogno di avere questo strumento per intervenire in tutti i Paesi del mondo. A volte la comunità cattolica è presente in zone difficili, dove la trasparenza non sempre è di casa. Di conseguenza c’è la necessità di avere a disposizione strumenti finanziari in grado di colloquiare e gestire al meglio le risorse a disposizione. Perché, non dimentichiamolo, vi è anche una responsabilità nei confronti dei tanti benefattori che mettono a disposizione i fondi».

La redazione

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Il funerale del trans organizzato dalla Chiesa (e non da Luxuria)

Andrea QuinteroA Roma un transessuale colombiano ammazzato a bastonate, come un cane, il suo corpo seppellito dopo 5 mesi perché non richiesto da nessuno. Chi si preoccupa del funerale (civile o religioso) o di una commemorazione? Il sindaco mediaticamente gay-friendly Ignazio Marino? La miriade di associazioni LGBT? I politici omosessuali Grillini e Scalfarotto? Gli onnipresenti Vladimiro Luxuria e Paola Concia? Il Ministero delle Pari Opportunità? No, la Chiesa cattolica attraverso la Caritas.

E’ la storia di Andrea Quintero, trans colombiano, con problemi di tossicodipendenza e senza fissa dimora, trovato morto la notte tra il 28 e il 29 luglio sul binario 10 della stazione Termini. La Caritas ha organizzato il funerale nella Chiesa del Gesù, celebrato da padre Giovanni La Manna, presidente del centro Astalli per i rifugiati ed Enrico Feroci, direttore della Caritas di Roma.

La bella iniziativa è purtroppo passata in secondo piano, molti hanno preferito concentrarsi sulla scelta di mons. Feroci di usare sempre il pronome femminile nei riguardi di Andrea durante l’Omelia. Secondo un moderatore del forum “Cattolici Romani”, fonti interne alla Caritas romana avrebbero riferito che tale scelta è stata fatta perché lo stesso Andrea aveva esplicitamente chiesto agli operatori della Caritas, a cui si era rivolto per un aiuto, di chiamarlo al femminile indicando anche un preciso nome. Mons. Feroci ha dunque voluto rispettare questa precisa richiesta.

Questo non deve però confondere. Benedetto XVI ha sottolineato che «il lemma “gender” viene presentato come nuova filosofia della sessualità […]. L’uomo contesta di avere una natura precostituita dalla sua corporeità, che caratterizza l’essere umano. Nega la propria natura e decide che essa non gli è data come fatto precostituito, ma che è lui stesso a crearsela. […]. Dove la libertà del fare diventa libertà di farsi da sé, si giunge necessariamente a negare il Creatore stesso e con ciò, infine, anche l’uomo quale creatura di Dio, quale immagine di Dio viene avvilito nell’essenza del suo essere». Papa Francesco, ha a sua volta confermato che la visione della Chiesa «è quella del Libro della Genesi, dell’unità nella differenza tra uomo e donna, e della sua fecondità. In questa realtà, inoltre, riconosciamo un bene per tutti, la prima società naturale». Tuttavia, ha aggiunto, «la Chiesa si è già espressa perfettamente su questo […]. Inoltre i giovani sanno perfettamente qual è la posizione della Chiesa! E la mia posizione è la stessa perché sono figlio della Chiesa». Per un vero rispetto ad Andrea e alla sua intima natura, noi abbiamo scelto di parlarne usando il pronome maschile.

Ma torniamo al funerale, osservando che la Chiesa accoglie tutti, ma continua ad indicare la strada giusta e quella sbagliata. E’ sempre stato così, come già nel lontano 1986 spiegava l’omosessuale Gianni Vattimo a Vittorio Messori. Quest’ultimo, che lo ha intervistato ha ricordato: «mi ha detto – e l’intervista è pubblicata in un libro, “Inchiesta sul Cristianesimo” – che la sua omosessualità non c’entra nulla con la sua uscita dalla Chiesa. Anzi, dice che è grato per la comprensione che gli fu dimostrata, perché la Chiesa è severa dal pulpito, ma misericordiosa in confessionale». Lo testimonia oggi l’omosessuale Philippe Ariño quando spiega che «la Chiesa cattolica mi riconosce innanzitutto come persona e non mi chiede di negare l’esistenza del mio desiderio omosessuale, ma piuttosto di valorizzarlo offrendolo pienamente a Dio, che mi ha amato fin dall’inizio per quello che sono, con i miei punti di forza e di debolezza».

Senza dimenticare tanti altri omosessuali cattolici, come il noto Alfonso Signoriniche ha spiegato«Essere cattolici e gay non è facile, non perché la chiesa non accolga i peccatori, Dio è accoglienza, è più mamma che papà. Ma è il fatto che ogni volta devi avere un confronto con il sacerdote che imbarazza sempre un po’». Perfino Nichi Vendola, leader di Sel, ha affermato«E’ stato forse più facile dire la mia omosessualità ai preti che al partito. Ho parlato della mia omosessualità con molti preti, con uomini e anche con donne di Chiesa. Non mi sono mai sentito rifiutato. Sono state anzi interlocuzioni belle, profonde. La Chiesa è un universo ricchissimo e complicato, non riducibile a nessuna delle categorie politiche che usa la cronaca».

La redazione

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Le contraddizioni della “cattolica” Laura Puppato

Laura PuppatoInteressante il fenomeno in voga da alcuni anni di proclamarsi apertamente “cattolici” per poi essere liberi di contrastare la dottrina cattolica, senza il rischio di essere velocemente liquidati come militanti della fazione opposta. Il successo di questa operazione -si pensi alla notorietà mediatica di Vito Mancuso, di Ignazio Marino o Sandro Bondi- ha portato così alla “fase 2”: dichiararsi contrari all’aborto e poi difendere l’aborto, sostenendo la Legge 194.

Lo abbiamo visto recentemente commentando le dichiarazioni del cattolico e obiettore di coscienza dott. Nicola Surico, presidente uscente della Società italiana di ginecologia e ostetricia (Sigo) ed attuale Presidente dei chirurghi italiani, il quale ritiene che l’interruzione di gravidanza «si tratta pur sempre di interrompere una vita» ma «da cattolico non accetto che una legge non venga applicata». Per il cattolico Surico non è sacra la vita, ma è sacro applicare la legge che interrompe la vita.

Le stesse contraddizioni si riscontrano nella cattolica Laura Puppato, fenomeno emergente del Partito Democratico ma con già alle spalle una serie infinita di sconfitte elettorali che, ad una persona dotata di buon senso, suggerirebbero di ritirarsi dal mondo politico. Ha iniziato la carriera politica nel 2002 come sindaco di una cittadina veneta (eletta al secondo mandato con il 52,07%). Nel 2009 fallisce il tentativo di candidarsi alle elezioni europee, nel 2010 tenta allora di candidarsi alla presidenza della Regione Veneto ma i cittadini, ancora una volta, preferiscono qualcun altro. Un altro tentativo è stato nel 2012 quando si è candidata per guidare il centrosinistra italiano, ottenendo però il 2,6% dei voti e, ovviamente, piazzandosi ultima tra i candidati (dietro persino a Bruno Tabacci). L’ennesima performance è aver sostenuto con tutte le sue forze, nel 2013, la candidatura di Pippo Civati, il quale prevedibilmente è arrivato ultimo con il 14% di preferenze.

La Puppato ha quindi optato per aprire un suo blog su “Il Fatto Quotidiano” e recentemente ci ha regalato un articolo davvero interessante: «io sono contro l’aborto, per questo difendo la legge 194», ha scritto sfidando, da buon esponente politico, la legge della non contraddizione. Il motivo di tale posizione? La legge avrebbe dimezzato in 30 anni il ricorso all’aborto. Chi lo dice? La Puppato indica come fonte un articolo su “Repubblica” della femminista Maria Novella De Luca che si accanisce contro l’obiezione di coscienza e, tra un catastrofismo e un altro, spiega che nel 2013 si vivrebbe un «clima cupo degli anni antecedenti al 22 maggio 1978, quando finalmente in Italia l’interruzione volontaria di gravidanza diventò legale? E gli aborti iniziarono a diminuire, arrivando oggi ad essere il 53,3% in meno rispetto agli anni Ottanta». Chi sostiene questa correlazione? Nessuno, la De Luca non cita fonti.

Innanzitutto è curioso che la Puppato sia contraria all’aborto. Per quale motivo? Si può essere contrari all’aborto di un grumo di cellule? Ovviamente no, cosa ci sarebbe di moralmente riprovevole? L’unico motivo per essere contrari all’aborto è perché si accetta l’evidenza che l’embrione è un essere umano. Mette i brividi allora leggere che per la Puppato esisterebbe (quale legge lo stabilisce?) «il diritto della donna ad interrompere una gravidanza indesiderata» e dunque esisterebbe il diritto ad uccidere un altro essere umano.

Passiamo alla sua tesi: la 194 avrebbe dimezzato gli aborti. Non solo non esistono fonti a sostengo, ma è dimostrato che la diminuzione del numero di aborti è dovuta ad una serie molteplice di fattori: contraccezione, pillole abortive e del giorno dopo (che in caso di concepimento sono abortive); è diminuita la fertilità generale; aumentata la consapevolezza della drammaticità dell’aborto, permessa dal progresso della medicina ed è cresciuta l’attività dei consultori familiari come certificato recentemente dal Ministero della Salute («il ruolo positivo che tali servizi hanno avuto nella riduzione del rischio di aborto tra le italiane. Forse la riduzione del tasso di abortività tra le cittadine straniere osservato recentemente, come riportato nel capitolo sulla cittadinanza, può essere in parte imputabile al lavoro svolto da questi servizi», pag. 31); infine è anche grazie all’aumento costante del numero di medici obiettori di coscienza (anche questo dato confermato dallo stesso rapporto: «si osserva come l‟esercizio del diritto all‟obiezione di coscienza abbia riguardato elevate percentuali di ginecologi fin dall‟inizio dell‟applicazione della Legge 194, con un aumento percentuale del 17.3% in trenta anni, a fronte di un dimezzamento delle IVG nello stesso periodo», pag. 8). I dati, inoltre, mostrano che le interruzioni di gravidanza sono cresciute notevolmente già subito dopo il 1978: 68.000 aborti nel 1978;187.752 nel 1979; 220.263 nel 1980, 224.377 nel 1981; 234.377 nel 1982. Poi c’è stata una diminuzione del numero ma non è pensabile che sia merito della Legge 194 dato che, proprio tale legge, è stata la causa di un progressivo aumento subito dopo la sua emanazione.

La cattolica Puppato non è solo divorziata ma si è anche risposata, auto-escludendosi dai sacramenti. Forse è per questa lontananza dal cattolicesimo che non conosce la parole chiare di Papa Francesco che se pochi mesi fa ha parlato contro la condanna a morte di bambini attraverso l’aborto, nel 2012, da arcivescovo di Buenos Aires, ha attivamente contrastato la legalizzazione dell’aborto: «Rispetto alla regolamentazione dei casi di aborto non punibili da parte delle autorità amministrative cittadine di Buenos Aires, prendiamo atto una volta di più della deliberata intenzione di perseverare sulla strada della limitazione ed eliminazione del valore supremo della vita, e della volontà di ignorare il diritto dei bimbi a nascere. Nei confronti di una donna in stato di gravidanza dobbiamo sempre parlare di due vite, le quali debbono entrambe essere preservate e rispettate, poiché la vita è un valore assoluto. Il diritto alla vita è un diritto umano fondamentale. L’aborto non è mai una soluzione. Occorre ascolto, vicinanza e comprensione da parte nostra per salvare tutte e due le vite», proteggendo la salute della donna e del bimbo.  

Andrebbe anche ricordato, alla cattolica Puppato, che il card. Bergoglio ha anche presieduto il comitato di redazione della versione conclusiva dell’“Aparecida Document”, il quale non consente l’accesso all’Eucarestia per i cattolici che favoriscono l’aborto. Politici compresi.

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