Secolarizzazione e creduloneria crescono di pari passo

Vitello d'oroSecondo molti pensatori il termine secolarizzazione è l’opposto di creduloneria, leggenda, magia e sinonimo di scientificità e razionalismo.

A guastare le feste un recente sondaggio della “Harris Interactive”, il quale ha rilevato un calo di religiosità cristiana negli Stati Uniti, in particolare nei giovani (18-25 anni). Tuttavia ha rilevato una contemporanea crescita, dal 2005 al 2013, nella la fede nei fantasmi, negli UFO e nella reincarnazione. E’ rimasta invece stabile la fede nell’astrologia, la quale secondo un altro sondaggio viene ritenuta “scientifica” addirittura dal 70% degli studenti universitari. Proprio i giovani, è stato rilevato dal sondaggio Harris, sono i più superstiziosi e anche i meno credenti in Dio.

Nel maggio scorso abbiamo fatto notare che lo stesso fenomeno si è verificato in Germania, la quale si trova al di sotto della media europea di “religiosità”, con solamente il 47% della popolazione che afferma di credere in Dio ma contemporaneamente è diventata la “repubblica dell’occulto”. Il giro d’affari legato all’esoterismo (quest’anno ha toccato quota 20 miliardi) è cresciuto infatti parallelamente alla scristianizzazione: un tedesco su quattro crede a guaritori, terapie alternative e cure spirituali, oltre il 40% ha un’opinione positiva su astrologia e new age, oltre la metà ha simpatia per l’antroposofia e la teosofia.

Una spiegazione di questo fenomeno può essere trovata in una dettagliata indagine intrapresa nel 2008 dalla Baylor University, la quale ha rilevato che il cristianesimo tradizionale diminuisce drasticamente credulità nei sogni, Bigfoot, UFO, case infestate, comunicazione con i morti e l’astrologia.

“Quando il cielo si svuota di Dio, la terra si popola di idoli”, diceva profetico il teologo K. Barth.

La redazione

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Le contraddizioni di “Lucignolo” sulla prostituzione

ProstituzioneIl programma televisivo “Lucignolo” parla ogni domenica di ciò di cui sono culturalmente ossessionati i suoi telespettatori: sesso, droga, prostituzione, alcool, omosessuali, denaro ecc. La filosofia che si trova sotto è sempre lo stesso relativismo: tutto è bene, l’importante è che sia una libera scelta.

Una filosofia fallimentare e contraddittoria, come si dimostra da questo esempio: qualche domenica fa “Lucignolo” si è scandalizzato (giustamente) per le baby-squillo, ragazzine di 16 e 17 anni che hanno liberamente scelto di prostituirsi per poter essere economicamente più autonome. Nel servizio immediatamente successivo, invece, il protagonista era Efe Bal, un transessuale italiano diventato famoso per la battaglia nel veder riconosciuta la prostituzione come un “lavoro come un altro”. Ovviamente “Lucignolo” ha sposato la sua iniziativa, ripetendo che si tratta di un lavoro normale, da regolarizzare perché sia davvero una libera scelta e non una forzatura da parte di terzi.

C’è qualcosa che non torna. Se la prostituzione fosse davvero un “lavoro normale, come tutti gli altri”, perché scandalizzarsi se questo lavoro viene svolto da minorenni? Forse ci si scandalizza allo stesso modo se un/una sedicenne lavora in una pizzeria facendo le consegne a domicilio con il motorino? O se svolge qualsiasi altro lavoro permesso loro dalla legge? Ovviamente no. Perché? Perché la prostituzione, anche se liberamente scelta, non è un “lavoro come gli altri”. Lo dimostra proprio “Lucignolo” quando si scandalizza per le baby-squillo e non per i baby-pizzaioli.

Noi cattolici riteniamo che la prostituzione sia una violenza su di sé, un male anche se liberamente scelta. Per questo riteniamo che uno Stato giusto non debba regolamentare né depenalizzare, dunque ultimamente valorizzare e promuovere, ciò che è un male per i suoi cittadini. La Chiesa cattolica insegna che la prostituzione «offende la dignità della persona che si prostituisce, ridotta al piacere venereo che procura. La prostituzione costituisce una piaga sociale […]. Il darsi alla prostituzione è sempre gravemente peccaminoso, tuttavia l’imputabilità della colpa può essere attenuata dalla miseria, dal ricatto e dalla pressione sociale».

Da una parte “Lucignolo” e il suo transessuale preferito, dall’altra la Comunità Papa Giovanni XXIII che da anni aiuta, sostiene e protegge centinaia di prostitute che desiderano cambiare mestiere e trovare una vita dignitosa per loro stesse. La soluzione che riteniamo giusta è uscire dall’indottrinamento laicista dell’autodeterminazione assoluta, rendere reato l’acquisto del corpo di un’altra persona per servizi sessuali (modello nordico) e aiutare le prostitute a cambiare vita.

Proprio in questi giorni l’associazione fondata dal neo-beatificato don Oreste Benzi si è congratulata con il Parlamento Europeo che con larga maggioranza ha approvato la Risoluzione su “sfruttamento sessuale e prostituzione e sulle loro conseguenze per la parità di genere”, proposta dall’eurodeputata inglese Mary Honeyball, la quale ritiene che “il modo più efficace per combattere la tratta di donne e ragazze minorenni a fini di sfruttamento sessuale e per rafforzare la parità di genere segua il modello attuato in Svezia, Islanda e Norvegia (il cosiddetto modello nordico), e attualmente in corso di esame in diversi paesi europei, dove il reato è costituito dall’acquisto di servizi sessuali e non dai servizi resi da chi si prostituisce”, aggiungendo che “considerare la prostituzione un ‘lavoro sessuale’ legale, depenalizzare l’industria del sesso in generale e rendere legale lo sfruttamento della prostituzione non sia una soluzione per proteggere donne e ragazze minorenni vulnerabili dalla violenza e dallo sfruttamento, ma che sortisca l’effetto contrario esponendole al pericolo di subire un livello più elevato di violenza, promuovendo al contempo i mercati della prostituzione e, di conseguenza, accrescendo il numero di donne e ragazze minorenni oggetto di abusi”.

La redazione

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Associazione disoccupati: «solo in chiesa troviamo ascolto»

DisoccupatiIl maggior problema di coloro che cercano un lavoro oggi non è soltanto la scarsità dell’offerta, ma sopratutto il poco interesse da parte degli altri per la propria situazione. L’individualismo radicale della nostra società occidentale è preso di mira quasi esclusivamente da Papa Francesco e da poche altre autorità morali.

Non stupisce, anche se dovrebbe, che l’associazione “Progetto disoccupati Roma”, che riunisce 50 persone, al momento senza lavoro, abbia smesso di cercare un’occupazione sul web e sui social network o tramite i volantini appesi nei negozi. «Lasciando i volantini nelle cassette delle lettere o dandoli di fronte ai supermercato, ottenevamo ben poco», ha spiegato Antonio Siddi, presidente dell’associazione, al “Corriere della Sera”. Così si sono rivolti alle chiese.

«Abbiamo iniziato circa un anno fa, ma è da settembre che abbiamo deciso di provare a cercare lavoro tramite le chiese. All’interno delle chiese è diverso. Contattiamo i parroci delle varie parrocchie, chiediamo loro il consenso e ogni sabato e domenica andiamo a “visitarne” una diversa. Prendiamo la parola subito dopo la comunione e gli avvisi, raccontando chi siamo, cosa sappiamo fare e cosa possiamo offrire dal punto di vista professionale».

Perché proprio la “Casa del Signore?”. «La gente è più bendisposta nei nostri confronti, ci ascolta, ci dice che è una bella idea e alcuni ci propongono dei lavori. In chiesa, ad esempio abbiamo incontrato una signora che è alla ricerca di un cuoco da assumere e che ancora non abbiamo trovato e un imprenditore che ci ha chiesto di conoscere 5 di noi per dare loro lavoro. Al momento, siamo in attesa di alcune risposte, nel frattempo andiamo avanti con i nostri giri, d’altra parte le chiese romane sono 400».

Le parrocchie come ultimo baluardo di comunità, di solidarietà, di attenzione e non importa se chi cerca lavoro sia cristiano o no, l’aiuto sembra non mancare mai da quanto viene raccontato. Per saperne di più e per chi volesse aiutare queste persone si può visitare il blog www.progettodisoccupati.wordpress.com.

La redazione

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Una scienziata atea certifica un miracolo

Jacalyn DuffinL’articolo apparso recentemente sul sito internet della “BBC” è davvero interessante. L’autrice è la dott.ssa Jacalyn Duffin, prestigiosa ematologa e storica della medicina canadese, già presidente della Association for the History of Medicine and Canadian Society for the History of Medicine.

Nell’articolo ha parlato della canonizzazione di Marie-Marguerite d’Youville (1701-1771), una religiosa canadese, fondatrice della congregazione delle Suore della Carità, che ha dedicato la sua vita ai poveri e agli ammalati. La dott.ssa Duffin è stata determinate nell’appurare un miracolo avvenuto ad una giovane donna canadese, molto devota a Marie-Marguerite, affetta da leucemia mieloide acuta, la forma di leucemia più aggressiva che esista, che permette una sopravvivenza al massimo di due anni.

Il Vaticano si avvale sempre dei cosiddetti “testimoni ciechi“, ovvero medici e scienziati chiamati a formare un rapporto senza sapere che il materiale che stanno analizzando è parte di un processo di canonizzazione. Infatti nel 1986 la Duffin ha osservato al microscopio un campione di sangue di questa paziente, trovando una cellula di leucemia mortale e concludendo che la paziente doveva essere morta. Invece, «ho scoperto che lei era ancora viva, circa sette anni dopo il suo calvario», incredibilmente senza alcun sintomo o trattamento. La paziente aveva avuto una remissione dei sintomi, poi una ricaduta durante la quale ha fatto appello a d’Youville per la sua guarigione, ed in seguito una seconda remissione. Un evento mai verificatosi.

Dopo aver saputo che il suo rapporto sarebbe finito in Vaticano, «sono stata invitata a dare testimonianza della mia relazione a un tribunale ecclesiastico. Preoccupata per questa importante richiesta ho presentato alcuni articoli della letteratura medica sulla sopravvivenza nella leucemia». Papa Giovanni Paolo II ha canonizzato d’Youville il 9 dicembre 1990 e la scienziata è stata invitata a partecipare alla cerimonia. «In un primo momento», ha raccontato, «ho esitato non volendo offendere nessuno, io sono atea e mio marito è un ebreo. Ma in Vaticano si sono mostrati felici di includere entrambi alla cerimonia. Un momento indimenticabile».

Nel fascicolo completo del miracolo, la studiosa ha trovato i registri ospedalieri, le trascrizioni delle testimonianze dei medici e della paziente, compresa la sua relazione e gli articoli che aveva lasciato al tribunale ecclesiastico. Venti anni dopo, in seguito a molti viaggi nell’Archivio Vaticano, Jacalyn Duffin ha pubblicato due libri su medicina e religione, analizzando 1400 miracoli, la cui maggior parte «ha visto coinvolta la scienza e la testimonianza dei medici. Ho mostrato che la Chiesa non ha mai ignorato la scienza nelle sue deliberazioni sopra il miracoloso». Anche la conclusione dell’articolo è molto bella e vale la pena riprenderla interamente: «Sebbene io sia ancora atea, credo nei miracoli, nelle cose meravigliose che accadono per le quali non possiamo trovare alcuna spiegazione scientifica. Quel primo paziente è ancora vivo circa 30 anni dopo il suo attacco di leucemia mieloide acuta e non posso spiegare perché. Lei può».

In un articolo del 2011 Jacalyn Duffin ha affermato che «gli atei onesti devono ammettere che nei miracoli accade un fatto scientificamente inspiegabile». Un’affermazione molto simile a quella del Premio Nobel per la Medicina Luc Montagnier il quale, dopo aver analizzato i miracoli avvenuti a Lourdes, ha affermato: «Io non mi spiego questi miracoli, ma riconosco che vi sono guarigioni non comprese allo stato attuale della scienza. Quando un fenomeno è inspiegabile, se esso esiste veramente, non serve nulla negarlo». La testimonianza della Duffin è un omaggio al rigore e all’oggettività della Chiesa nell’esaminare i casi miracolosi, tanto da avvalersi del contributo di scienziati non cattolici e addirittura atei.

La redazione

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Una Chiesa povera? I media non hanno capito nulla

Chiesa poveraDopo un mese di pausa per importanti impegni personali, torniamo a dare il nostro piccolo contributo nella difesa della ragionevolezza della fede e della posizione cattolica.

Nel marzo dell’anno scorso ci siamo chiesti: cosa se ne fanno le migliaia di poveri che affollano quotidianamente le mense della Caritas di una Chiesa povera? Cosa se ne fanno gli anziani ospitati in un ricovero di religiosi che non hanno i soldi per il riscaldamento perché sono poveri?

La Chiesa ha il compito di proseguire quel che Gesù ha iniziato, testimoniare la vicinanza di Dio agli uomini, e lo fa anche concretamente aiutando, anche economicamente, coloro che sono più in difficoltà. Lo può fare anche perché possiede capacità economiche, ad esempio grazie all’8×1000.

Chi invece vorrebbe far sparire la Chiesa dal suolo pubblico ha interesse a parlare di una Chiesa povera, incapace quindi di aiutare materialmente, di essere una presenza culturale. Da un anno a questa parte alcuni media e alcuni intellettuali (vedi Celentano e altri predicatori) proseguono in questo intento strumentalizzando le parole di Papa Francesco che, secondo loro, da buon marxista amante del pauperismo starebbe combattendo la ricchezza in sé.

Invece, lo abbiamo già ricordato, il Papa sta richiamando tutti alla povertà in senso cristiano, cioè la libertà da quel che si possiede (non necessariamente il denaro), il non porre la speranza in quel che si ha. Economicamente parlando equivale all’uso corretto dei soldi, così come fanno i missionari nel mondo: non donano il loro piccolo stipendio ai poveri che incontrano, ma usano questo denaro per investire, ad esempio, in centri di formazione per insegnare loro un mestiere. Questa è la povertà cristiana: un povero che fosse avido di quel che ha non sarebbe povero in senso cristiano, lo sarebbe invece un ricco che usa intelligentemente suoi beni per aiutare gli altri.

Proprio Papa Francesco ha chiarito per l’ennesima volta tutto questo nella prefazione al libro del cardinale Müller, pubblicata pochi giorni fa sul “Corriere della Sera”: «Il denaro è uno strumento che in qualche modo – come la proprietà – prolunga e accresce le capacità della libertà umana, consentendole di operare nel mondo, di agire, di portare frutto. Di per sé è uno strumento buono, come quasi tutte le cose di cui l’uomo dispone: è un mezzo che allarga le nostre possibilità», ha spiegato Francesco. «Tuttavia, questo mezzo può ritorcersi contro l’uomo. Il denaro e il potere economico, infatti, possono essere un mezzo che allontana l’uomo dall’uomo, confinandolo in un orizzonte egocentrico ed egoistico». E ancora: «quando i beni di cui si dispone sono utilizzati non solo per i propri bisogni, essi diffondendosi si moltiplicano e portano spesso un frutto inatteso […]. Compito dei cristiani è riscoprire, vivere e annunciare a tutti questa preziosa e originaria unità fra profitto e solidarietà».

Speriamo che, una volta per tutte, questo equivoco sia finalmente chiarito.

La redazione

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Ricordiamo anche i preti uccisi nelle foibe

FoibeLe foibe sono state uno degli avvenimenti più drammatici avvenuti nel secondo dopoguerra, non solo per le atrocità accadute in quel periodo, ma anche per il clima di silenzio con cui per decenni è stato fatto passare questo evento. In questa tragedia fu parzialmente colpita anche la Chiesa perché gli autori dei massacri vedevano spesso nei preti dei pericoli avversari da eliminare.

La pulizia etnica degli italiani abitanti nei confini orientali avvenne principalmente in due fasi: nel 1943 in seguito al caos dovuto al cambiamento di fronte dell’Italia e a partire dal 1945 in seguito alla vittoria delle forze jugoslave. I negazionisti delle foibe attribuiscono la causa di questi massacri alla politica fascista che nel ventennio di dominio aveva fortemente penalizzato gli slavi con la sua politica nazionalista e all’invasione della Jugoslavia da parte dell’esercito italiano che aveva commesso parecchi crimini all’interno del paese. Effettivamente le foibe assunsero in alcuni casi aspetti di una feroce reazione contro la criminale politica di Mussolini, ma ciò non basta a spiegare la tragedia. Le cause sono più profonde e non si può ignorare la volontà espansionista jugoslava: le organizzazioni resistenziali slovene e croate incitavano già nel 1941 ad occupare i territori “sottratti” agli sloveni e croati durante la prima guerra mondiale come Trieste e l’Istria.

Il maresciallo Tito perciò era intenzionato ad eliminare tutti i possibili oppositori contrari all’annessione dei territori italiani alla Jugoslavia comunista e a scacciare gli italiani dalle zone della Venezia Giulia (eccezione fatta per la classe operaia disposta a battersi per l’annessione anche se in seguito finì anch’essa per emigrare in massa). Così molte persone che con il fascismo avevano poco o nulla a che fare (o che erano state persino dei fieri oppositori) vennero imprigionate o uccise. Non si conosce il numero esatto delle vittime di questa strage, ma gli storici concordano generalmente che furono circa duecentocinquantamila le persone costrette a fuggire dalle propria terra e diverse migliaia invece quelle che furono uccise (contrariamente al nome, la maggioranza delle persone non morì nelle foibe ma nelle carceri e nei campi di concentramento jugoslavi).

Per costringere alla fuga gli italiani dalle regioni che si volevano annettere come l’Istria, le autorità comuniste si accanirono contro due categorie considerate un punto di riferimento per la popolazione italiana: gli insegnanti e il clero. L’ostilità verso quest’ultimo era dovuta anche al fatto che costituiva una presenza religiosa intollerabile. Vi erano stati infatti nei primissimi tempi del dopoguerra alcuni sacerdoti croati e sloveni che si erano schierati con le autorità popolari perché, pur disprezzando il comunismo, erano favorevoli all’annessione (“gli italiani non sono capaci di risolvere la questione nazionale con spirito cristiano, perché sono per natura portati ad un’assimilazione violenta o artificiosa. Perciò hanno perso il diritto di amministrare queste terre” recitava una dichiarazione di sacerdoti croati e sloveni inviata alla Commissione alleata il 10 febbraio 1946); tuttavia questi si accorsero ben presto che le benemerenze patriottiche non sarebbero bastate a metterli al riparo dalla persecuzione.

In tutti i territori jugoslavi il dittatore Josip Broz Tito diede difatti origine ad una feroce persecuzione religiosa e questo accadde anche nei territori italiani occupati nel dopoguerra. Si ebbero così distruzioni di chiese, chiusura di scuole e associazioni cattoliche, interruzione delle funzioni religiose da parte dei miliziani popolari e si contarono tra i preti italiani e slavi numerosi martiri: nel settembre 1946 in Istria fu ucciso in circostanze oscure don Francesco Bonifacio, e nello stesso mese nel goriziano veniva assassinato il parroco di Salona d’Isonzo, don Izidor Zavadlav; nell’anno successivo toccherà a don Miroslav Bulešić ucciso durante la celebrazione della cresima e fu invece gravemente ferito monsignor Jacob Ukmar. Nell’agosto del ’47 verranno processati dei monaci benedettini nei pressi di Cittanova d’Istria accusati di una miriade di reati che andavano dal sabotaggio economico all’aver ospitato riunioni illegali dell’Azione Cattolica.

Grande scalpore suscitò all’epoca l’aggressione al vescovo di Trieste, Monsignor Antonio Santin, che era divenuto il principale punto di riferimento per tutte le forze, non solo cattoliche, ostili alla dominazione jugoslava e al comunismo: nel 1947 a Capodistria il vescovo venne assalito da una folla inferocita davanti allo sguardo indifferente delle guardie popolari che intervennero solamente quando fu chiaro che il prelato rischiava la vita (la sua morte avrebbe avuto ricadute internazionali molto sgradevoli per Belgrado). Non meno grave fu quello che accadde all’amministratore apostolico di Gorizia e Parenzo-Pola, Franc Močnik, costretto a suon di percosse a correre sino al confine. A partire dagli anni ’50 inoltre le autorità comuniste cercarono di separare la diocesi di Capodistria da quella di Trieste per attuare il loro disegno di separazione totale fra le due zone obbligando i sacerdoti a scegliere tra rifiutarsi di obbedire al proprio vescovo o emigrare dai territori passati all’amministrazione jugoslava (a tal proposito venne assalito nel ’51 monsignor Giorgio Bruni, parroco di Capodistria, mentre si recava a impartire la cresima nel villaggio di Carcasse) e ciò portò in larga misura all’eliminazione del clero italiano (cfr. R. Pupo, Il lungo esodo, Milano, 2005 pp. 168-171).

Fortunatamente, le autorità italiane hanno cercato di riparare al vergognoso silenzio che è stato a lungo tramandato sulle foibe al punto da indire per il 10 febbraio il “Giorno del Ricordo” in memoria delle vittime di questa strage. Tuttavia, sono ancora oggi frequenti gruppi di estremisti che continuano a negare questa tragedia dipingendo le foibe come “tombe di criminali di guerra” quando in realtà vi furono invece gettati molti innocenti e anche dei martiri.

Mattia Ferrari

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Il sito web Pikaia e l’evoluzione dello scientismo

ScientismoUno dei fronti più avanzati dello scientismo italiano è certamente rappresentato dal sito web Pikaia, gestito direttamente dal filosofo (e non biologo) Telmo Pievani, coordinatore scientifico milanese del Darwin Day, l’iniziativa nata in casa del fondamentalismo ateo (UAAR) per dimostrare scientificamente l’inesistenza di Dio abusando della teoria del celebre naturalista britannico (nascondendo poi i collegamenti con loro).

Non a caso, proprio sul nostro sito, il prof. Mariano Bizzarri, docente di Biochimica presso l’Università “La Sapienza”, dov’è anche direttore del “Systems Biology Group Lab”, nonché presidente del Consiglio Scientifico dell’Agenzia Spaziale Italiana, ha spiegato che Pievani ha un «modo manicheo di guardare alla ricerca scientifica, accaparrandosi solo i risultati a favore di una tesi precostituita e “rimovendo” tutti gli altri, è invero proprio di coloro che, per la verità, hanno ben poca dimestichezza con la scienza reale. Quella che si fa, concretamente in laboratorio o sul campo. Che insegna molta umiltà e lascia poco spazio al flusso ininterrotto di pubblicazioni che solo un filosofo può permettersi». Non è un caso, infatti, che «i più ardenti difensori della scienza positivista allignassero tra i filosofi progressisti, orfani di Marx, incapaci di concepire la Fede se non come un grumo di superstiziosi, costretti a rivolgere il loro bisogno di pietas verso l’idolo ultimo: la Scienza innalzata a suprema dispensatrice di quelle certezze che sarebbero altrimenti incapaci di costruirsi».

La definizione del modus operandi di Pievani è talmente chiara che non ha bisogno di ulteriori commenti. Proprio in questi giorni sul suo portale è apparso un articolo contro chi non pensa che l’evoluzione biologica faccia rima con ateismo. L’autore è tal Michele Bellone, laureato in bioingegneria e bioinformatica, anche lui dunque un non-biologo. Bellone ha creato un grosso calderone elencando tutti i tipi di nemici che sente di avere: creazionisti, devoti dell’Intelligent Design e altri che non condividono tale approccio ma ugualmente vogliono «ammantare di scientificità l’idea che in natura esista un disegno superiore». C’è spazio anche per una critica a Richard Dawkins e al suo tentativo opposto di condurre all’ateismo tramite l’evoluzione.

L’articolista di Pikaia è giustamente preoccupato che nelle scuole si insegni il creazionismo, ma non vuole nemmeno che si «lasci spazio al concetto di finalità, e quindi all’esistenza di Dio». Bellone attacca Enzo Pennetta definendolo “paladino dell’antidarwinismo”. Esattamente come chi critica la politica di Israele e viene definito “paladino dell’antisemitismo” o chi critica la Boldrini e viene definito “paladino del sessismo”. C’è spazio anche per una calunnia verso UCCR, accusati di essere vicini all’anti-darwinismo e appoggiare «siti anti-omosessuali o che equiparano l’eutanasia al nazismo». E’ sempre lo stesso metodo: chi critica il matrimonio gay allora vuole automaticamente picchiare gli omosessuali, chi critica l’eutanasia allora definisce nazisti i sostenitori, chi critica l’aborto allora odia le donne ecc. E’ la retorica di chi non è capace di formulare pensieri e critiche razionali, che si basino sui contenuti.

L’evoluzione è guidata solo dal caso e dalla necessità, spiega Bellone, chi dice qualcosa di diverso assume una posizione «inconsistente dal punto di vista tanto scientifico quanto epistemologico». Peccato che sia il caso che la necessità siano categorie filosofiche infalsificabili e dunque a loro volta inconsistenti dal punto di vista scientifico. Il darwinismo, insiste, «porta con sé una visione afinalistica del mondo». Ora, mettendo da parte Pievani e Bellone, è utile capire come questa posizione -che chiamiamo scientismonaturalismo o neo-darwinismo filosofico– è una forma di riduzionismo ateista ed è l’unico obiettivo della nostra critica. Come spiegato anche dal prof. Michele Forastiere su“Critica Scientifica”, nessuno nega l’evoluzione biologica e il darwinismo e nessuno intende estrapolare in campo scientifico un concetto teologico, classico errore del creazionismo protestante americano.

Tuttavia, condividendo la preoccupazione del fisico Nicola Cabibbo di una «possibile estensione della teoria dell’evoluzione in una direzione materialistica», sentiamo la necessità di prendere posizione contro chi vuole pregiudizialmente abusare dell’evoluzione e della scienza in generale per negare un principio trascendente. Citando l’epistemologo Evandro Agazzi, attuale presidente della Académie Internationale de Philosophie des Sciences e dell’Institut International de Philosophie, riteniamo legittimo «parlare di un disegno intelligente a livello di interpretazione filosofica del mondo naturale e operare un “conferimento di senso” di natura religiosa a questo disegno», il quale dovrebbe essere «utilizzato sul terreno filosofico e teologico, senza lasciarlo debordare sul terreno scientifico. Il che, d’altro canto, non esclude che anche in campo scientifico si possa tentare di darne una precisazione accurata e scevra da riferimenti espliciti ad interpretazioni filosofiche o ad immagini antropomorfiche».

Uno dei più noti paleoantropologi viventi, Simon Conway Morris dell’Università di Cambridge, ha a sua volta spiegato che «la teologia non è una moda, un passatempo per eccentrici, ma è centrale per la nostra impresa. E voglio convincervi che solo un tale approccio può essere coerente con l’evoluzione. Se si ignora la dimensione teologica allora andiamo verso i guai. Fino a quando vediamo il mondo come una casualità accidentale, trattandolo utilitaristicamente come un oggetto, non solo perdiamo di vista la creazione ma anche noi stessi e il nostro posto in esso». Molto più sinteticamente il prestigioso biologo evoluzionista Kennet R. Miller ha affermato che «la scienza non è in contraddizione con l’ipotesi di Dio. Piuttosto, ci offre una finestra su un universo dinamico e creativo che espande il nostro apprezzamento per l’opera divina che non avrebbe potuto essere così immaginata nei secoli passati. L’ipotesi di Dio non viene da un rifiuto della scienza, ma da una curiosità penetrante che si chiede perché la scienza sia ancora possibile, e perché le leggi della natura esistono per noi da scoprire. Lungi dall’essere in contrasto con essa, l’ipotesi di Dio convalida, non solo la nostra fede nella scienza, ma il nostro vero piacere, soprattutto per i doni di conoscenza, amore e vita».

Questa è la nostra posizione, la “chiesa neodarwinista” –come la chiama il filosofo ateo Giulio Giorello– si metta l’anima in pace.

La redazione

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Hollande, la Francia e la battaglia pansessualista

Thousands of demonstrators gather on the Champ de Mars near the Eiffel Tower in ParisLa sessualità è l’unico infinito rimasto ai cittadini dei Paesi secolarizzati, per molti l’unico motivo per vivere, per altri l’unico istante di euforia di una vita dominata dalla noia. Solo così si può spiegare la deriva pansessualista odierna.

La Francia è l’esempio più palese. Fallita anche l’ideologia illuminista, che ha lasciato tutti più soli e culturalmente asettici, la “guerra del sesso” (o “la battaglia dei sessi”, come dice Repubblica) è il nuovo orizzonte. Oltre alla grande ossessione del matrimonio omosessuale, ovvero il sesso come emancipazione dalla legge naturale riconosciuto e approvato dallo Stato, Hollande ha approvato la de-responsabilizzazione più totale del sesso permettendo l’aborto come diritto da attuare per qualunque motivo, cioè usato come metodo contraccettivo, senza che si debba più giustificare una “situazione di difficoltà”. Proprio Hollande, che passerà alla storia di Francia come il presidente budino che ha umiliato la sua donna tradendola per anni (con un’amante chiamata, con un pizzico di ironia, “GAYet”), non sapendo frenare i suoi appetiti sessuali. Non è certo un caso.

Najat Vallaud-Belkacem, il ministro degli Affari sociali e della Salute francese, ha creato un sito governativo per sponsorizzare l’interruzione di gravidanza e l’Alto consiglio per l’uguaglianza tra uomini e donne (Hcefh) ha decretato l’imminente abolizione all’obiezione di coscienza per i medici. La libertà sarà solo quella di abortire, ha commentato Paola Bonzi del Centro aiuto alla vita della Mangiagalli di Milano.

Ma ancora molti sono coloro che non cadono nell’ennesima ideologia, che riconoscono la miseria degli idoli prodotti dall’uomo e la vacuità di queste sterili battaglie. 50mila sono i francesi, infatti, scesi ancora una volta nelle piazze in queste ore, consapevoli che il giorno dopo il potere mediatico sarebbe sceso a sua volta in campo violentemente. “Tradizionalisti”, “anti-gay”, “conservatori”, “irriducibili anti-matrimonio gay”, “saluti nazisti”…le etichette si sprecano.

Nonostante la ricerca scientifica abbia anche recentemente confermato le naturali inclinazioni dei maschietti e delle femminucce, il governo Hollande -ossessionato dai bambini- vuole entrare nelle scuole per convincere i bambini a giocare con le bambole e le bimbe con spade e carri armati. Ognuno diventa quel che vuole, ognuno è indipendente dal legame con l’autorità naturale, l’autodeterminazione e l’emancipazione dev’essere totale. I genitori francesi si sono ribellati tenendo a casa i figli da scuola (30% di assenteismo), tanto che il ministro Peillon si è spaventato e ha affermato: «Ciò che facciamo non è la teoria del gender, che rifiuto, ma promuovere i valori della Repubblica e l’uguaglianza tra uomini e donne». L’ideologia dell’uguaglianza, ovvero l’omologazione del nuovo comunismo. Le differenze non vanno valorizzate ma combattute, eliminate, violentate.

Uno dei guru del laicismo italiano, il filosofo del PD Michela Marzano (essendo un femminista scatenato usiamo il maschile per rispetto al suo desiderio di uguaglianza con gli uomini), cerca di minimizzare il progetto francese, spiegando che «c’è solo l`idea di introdurre nei programmi scolastici alcune nozioni (sesso, genere, orientamento sessuale), per spiegare l`origine di alcuni stereotipi sessisti e promuovere così, fin dall’infanzia l’uguaglianza». Sesso, genere, orientamento sessuale…l’ossessione del sesso fin dalla tenera età in nome, ovviamente, di valori altissimi. Così è facile accusare di essere a favore del sessismo e del razzismo chi si dichiara contrario all’indottrinamento unisex.

Anche in Italia alcune scuole hanno cominciato a modificare e riscrivere le favole, in ognuna c’è un divorzio, un aborto, i figli nascono dalla provetta, c’è la Biancaneve lesbica e il Principe gay. La componente sessuale è onnipresente. In queste favole tutto è normale, tutti sono felici e tutto ha lo stesso valore e se poi nella realtà i bambini, reali vittime di queste situazioni, non sono poi entusiasti, la colpa allora è della società che li discrimina. Non c’è più alcun bene a cui tendere crescendo, tutto è indifferente e se poi non si è felici la colpa è sempre degli altri. Il massimo grado della diseducazione.

In questa follia internazionale c’è anche chi vuole far passare Papa Francesco come alleato, d’altra parte come potrebbe esistere una persona così universalmente apprezzata e contemporaneamente contraria a quel che viene definito “progresso”? Eppure ancora una volta il Papa ha voluto smarcarsi da questo gioco: «Ognuno, nel proprio ruolo e nel proprio ambito, si senta chiamato ad amare e servire la vita, ad accoglierla, rispettarla e promuoverla, specialmente quando è fragile e bisognosa di attenzioni e di cure, dal grembo materno fino alla sua fine su questa terra», ha detto ieri in piazza San Pietro. «Rivolgo il mio saluto e il mio incoraggiamento alle associazioni, ai movimenti e ai centri culturali impegnati nella difesa e promozione della vita. Mi unisco ai vescovi italiani nel ribadire che ogni figlio è volto del Signore amante della vita, dono per la famiglia e per la società».

E’ notizia di oggi che, a causa dell’ondata umana di francesi contrari all’educazione iper-sex, il governo francese ha dovuto (temporaneamente?) ritirare il progetto di legge anti-famiglia. Una breve vittoria ma l’ideologia pansessualista è troppo forte e troppo potente. Quando non c’è più nessuno in alto a cui guardare, l’uomo può solo abbassare lo sguardo e concentrarsi su altro. Dall’ombelico in giù.

La redazione

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Anche quest’anno il Mendel Day, ecco il calendario

mendelI Mendel day sono giunti alla seconda edizione, che si terrà tra febbraio e marzo 2014.

In un articolo pubblicato su Il Timone di gennaio, si spiega così il senso dei Mendel day: «Mendel day, dunque, per ricordare che la genetica penetra l’intelligenza del Creatore posta nel creato; per rammentare che la vita non è cosa nostra, ma realtà che obbedisce a leggi e che nello stesso tempo sprofonda nel Mistero; per tornare ad uno sguardo, sulla natura e sull’uomo, religioso, cioè stupito, amorevole, estraneo ad ogni riduzionismo materialista. Dietro il genoma, infatti, c’è un mondo, e, soprattutto, una domanda: di Chi ci parla l’“intelligenza” della vita?».

La squadra dei relatori coinvolti è di notevole riguardo, e comprende storici, filosofi, medici e scienziati che vogliono dare il loro contributo ad una lettura del rapporto tra scienza e fede fondata e non ideologica. Collaborano infatti ai Mendel day di quest’anno tante personalità di rilievo (in ordine alfabetico):
Francesco Agnoli, storico e scrittre;
Andrea Bartelloni, medico e coautore di “Scienziati in tonaca”;
Carla Basili, ricercatrice presso il CNR, membro di Biomedi@;
Carlo Bellieni, membro della European Society of Pediatric Research, della Pontificia Accademia Pro Vita;
Gabriele Bernardi, fisico e sacerdote;
Marco Bersanelli, astrofisico, membro dell’Istituto Nazionale di Astrofisica e dell’Agenzia Spaziale Europea;
Lorenzo Bertocchi, scrittore e saggista;
Antonello Cavallotto, letterato, sociologo, bioeticista, membro Biomedi@;
Gennaro Cera, bioeticista “Casa Sollievo della Sofferenza”;
Domenico Coviello, direttore del Laboratorio di Genetica Umana dell’Ospedale Galliera di Genova;
Paolo de Lisi, fisico e sacerdote;
Giulio Fanti, professore presso il Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università di Padova;
Umberto Fasol, biologo, autore di La creazione della vita;
Massimo Gandolfini, direttore del Dipartimento di Neuroscienze della Fondazione Poliambulanza;
Mario Gargantini, divulgatore scientifico e direttore della rivista di scienze Emmeciquadro;
Paolo Musso, docente di Filosofia della Scienza, membro del SETI Permanent Study Group;
Enzo Pennetta, naturalista, divulgatore scientifico e membro Biomedi@;
Renzo Puccetti, specialista in Medicina Interna, docente di bioetica al Pontificio Ateneo regina Apostolorum;
Lorenzo Schoepflin, ingegnere, collaboratore di Avvenire e del Timone;
Giovanni Strafellini, professore di ingegneria all’Università di Trento;
Roberto Timossi, filosofo.

 

Di seguito il calendario, aggiornabile, dei Mendel day (sarà visualizzato aggiornato sulla nostra home-page):

7 febbraio 2014, Rovereto (Trento). Umberto Fasol (biologo): Da Mendel a Lejeune: scienza, genetica e fede Massimo Gandolfini (neuroscienziato): “Chi è l’uomo perché te ne curi?” Il contributo delle neuroscienze.
Ore 20.30, Auditorium Centro civico Brione, Via S. Pellico 16, Rovereto (Tn).

7 febbraio, Mori (Tn). Francesco Agnoli (storico): Gregor Mendel: genetica, scienza e fede; Giovanni Strafellini (ingnegnere): C’è spazio per Dio, nell’età della scienza?
Ore 20.30, oratorio parrocchiale, via G. Battisti 2, Mori (Trento).

7 febbraio, Riccione. Mario Gargantini: Da Mendel a Lejeune: scienza, genetica e fede
Ore 20.30, auditorium del liceo scientifico A. Volta di Riccione, Via Piacenza n.28, Riccione.

14 febbraio, Brescia. Umberto Fasol (biologo): Da Mendel a Lejeune: scienza, genetica e fede; Giulio Fanti (ingegnere): La sindone, tra scienza e fede
Ore 20.30, Scuola “V. Chizzolini”: Piazza Caduti della Libertá, 6 – 25168 Sarezzo (Brescia)

21 febbraio, Piacenza. Francesco Agnoli (storico): Da Mendel a Lejeune: scienza, genetica e fede; Massimo Gandolfini (neuroscienziato): “Chi è l’uomo perché te ne curi?” Il contributo delle neuroscienze
Ore 20.45, parrocchia santi Angeli Custodi, Via Trebbia 89, Piacenza

21 febbraio, Vittorio Veneto (TV). Umberto Fasol (biologo): Da Mendel a Lejeune: scienza, genetica e fede; Giulio Fanti (ingegnere ): La sindone, tra scienza e fede
Ore 20.30, ridotto del Teatro Da Ponte, in Via Martiri della Libertà 36, Vittorio Veneto (TV)

28 febbraio, Verona. Francesco Agnoli: Da Mendel a Lejeune: scienza, genetica e fede; Massimo Gandolfini (neuroscienziato): Chi è l’uomo perché te ne curi? Il contributo delle neuroscienze
Ore 20.30, Istituto Alle Stimmate, via Carlo Montanari 1/3, Verona.

1 marzo, Arezzo. Lorenzo Schoepflin: La nascita della scienza nell’Europa Cristiana
Ore 16, parrocchia del Sacro Cuore – Piazza Giotto, Sala Rossa, Arezzo.

7 marzo, Siena. Enzo Pennetta (naturalista): Da Mendel a Lejeune: scienza, genetica e fede; Carlo Bellieni (neonatologo): Sento dunque sono (la scienza e la vita prenatale).
Ore 21, 15, Centro Culturale Benedetto XVI – Via Aretina, 174, Siena

8 marzo, Conegliano Veneto (TV). Lorenzo Bertocchi: Da Mendel a Lejeune: scienza, genetica e fede; Renzo Puccetti (bioeticista): Vero e verosimile, il caso scientifico della contraccezione
Ore 10, auditorium Toniolo, via Galilei, Conegliano Veneto (TV).

21 marzo, Imola (BO). Francesco Agnoli (storico), Da Mendel a Lejeune: scienza, genetica e fedeMassimo Gandolfini (neuroscienziato), Chi è l’uomo perché te ne curi? Il contributo delle neuroscienze.
Ore 18, Oratorio Santa Caterina, via Cavour 2/e, Imola (Bo).

21 Marzo, Milano. Paolo Musso (filosofo) e Marco Bersanelli (astrofisico): La scienza e l’idea di ragione.
Ore 16.45, Università degli Studi: via Festa del Perdono, 7 – Milano (metro fermata Duomo o Missori). Aula 104.

Altri Mendel day in programma: Roma, Brindisi, San Giovanni Rotondo, Cremona, Pontremoli, Genova, La Spezia ecc.
Per info: www.mendelday.org; mendelday@mendelday.org

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Perfino Malthus smentì la bomba demografica

Bomba demograficaEsiste una vastissima parte della letteratura accademica che si è auto-alimentata negli anni di catastrofismo. Badate bene, non sto affatto parlando di qualche discutibile articolo giornalistico, ma mi riferisco a vere e proprie branche della scienza nate ex-novo. Non esiste materia scientifica o umanistica che sia rimasta immune da questo fenomeno.

Si rilevano due caratteristiche ricorrenti sempre (sottolineo sempre) nelle tesi catastrofiste la prima è l’assenza quasi totale di certezza scientifica e la seconda consiste nella sistematica disillusione delle previsioni, ovvero risultano sempre sbagliate. Se si prendesse un foglio e da un lato si mettessero le previsioni proclamate negli ultimi cinquant’anni e dall’altro lato si segnasse con una X quelle poi avveratesi, ebbene il secondo lato del foglio risulterebbe completamente bianco. Nessuna previsione si è verificata. Nessuna. L’appellativo corretto per i catastrofisti sarebbe quello di Cassandre “sfigate” visto che almeno Cassandra aveva ragione.

La metodologia comune di seduzione del catastrofismo sfrutta almeno tre strumenti che si presentano quasi sempre contemporaneamente: 1- Proclamare un pericolo imminente ed inevitabile che è stato trascurato 2- Per risolvere il problema occorre prendere provvedimenti costosi e molto spesso non definitivi 3- In qualsiasi caso bisogna attribuire maggiori poteri al governo o allo stato oppure istituire un nuovo organo di controllo per monitorare il problema. La branca soggetta, a mio avviso, alle maggiori strumentalizzazioni, soprattutto in ambito accademico è stata l’economa in quanto è una scienza sociale utilizzando come strumento di indagine il principio aprioristico-logico-deduttivo, e l’oggetto del campo di studio è l’azione umana suscettibile di mille sfaccettature non sempre identiche. Tra tutti l’esempio più lampante ha radici profonde e nonostante l’evidenza empirica sotto gli occhi di tutti ancora oggi fa ancora proseliti. Sto parlando del mostro demografico.

Il primo ad avere espresso un possibile problema sulla crescita della popolazione e della scarsità delle risorse è Giovanni Botero. Ne faceva una questione di riduzione nel livello di sussistenza in quanto una crescita esponenziale della popolazione avrebbe necessariamente frazionato le risorse disponibili riducendo quindi il livello di sussistenza di tutti. Tuttavia questa argomentazione nella sua epoca non ebbe molto seguito in quanto la esplicitò proprio all’inizio di un periodo storico di grande crescita demografica e contestualmente di prosperità. I mercantilisti suoi contemporanei non avevano sviluppato chissà quali grandi teorie economiche, il problema per loro era a dir poco banale, più figli voleva dire più braccia per lavorare quindi più prodotti e di conseguenza più prosperità per tutti. It’s easy. In effetti questo semplice concetto di più braccia quindi più beni era molto radicato anche tra la gente comune fino a non molto tempo fa. Il secolo successivo ed il XVII proseguirono con studi e sviluppi che riportavano una positività tra crescita della popolazione e prosperità. Anche economisti molto noti come Smith nel suo “Wealth of Nations” esplicita un concetto economico al tempo stesso semplice e rivoluzionario, la prosperità viene generata anche dalla suddivisione del lavoro. Questo concetto fu una vera e propria rivoluzione in ambito economico. In effetti fa un certo effetto scoprire che il filosofo-economista che ebbe maggior successo sul mostro demografico fu un discepolo di Smith, Malthus.

Sì, andò proprio così, Malthus crebbe a livello accademico sotto l’egida del suo maestro A.Smith. Si rileva tra i suoi testi una forte influenza del pensiero Malthusiano tanto che il povero maestro fu costretto a fare discutibili voli pindarici a volte poco logici per far convivere le due teorie. Malthus ebbe successo per una circostanza storica insolita. Lui assieme al suo padre furono grandi estimatori di Godwin, il primo anarco- marxista della storia, il quale tuttavia a differenza della teoria della lotta tra classi di Marx auspicava un comunismo su base volontaria che avrebbe generato prosperità, questo perché non accettava un sistema coercitivo, ma credeva fermamente nella rinuncia volontaria della proprietà privata. Un suo concetto molto interessante fu “c’è un principio nella natura della società umana, grazie al quale ogni cosa tende al suo equilibrio, e procedere sotto il migliore auspicio, nel momento in cui viene interrotta attraverso la regolamentazione”. Non fu un teorico del mostro demografico, ma era spaventato dalla pressione generata da una popolazione sempre crescente e da risorse scarse che avrebbero reso il livello di sussistenza della popolazione sempre più basso. Il “diretto” oppositore di Godwin fu Condorcet. Personaggio completamente diverso. Era un liberale convinto, figlio putativo della scuola fisiocratica francese. Tra i suoi scritti è rinvenibile una disquisizione sulla popolazione assolutamente geniale e “preveggente”. Non era spaventato dalla crescita demografica in quanto la tecnologia, la scienza ed il libero mercato da una parte avrebbero accresciuto i miglioramenti degli standard di vita a livello generale, mentre dall’altra l’uso della ragione avrebbe persuaso la gente a limitare al numero di persone correttamente sostenibile per la comunità.

Questo concetto era stato già espresso dal primo vero economista d’Europa l’Abate Antonio Genovesi (titolare presso l’Università di Napoli) nel suo Lezione di Economia Civile in cui riprese il concetto di livello “ottimo” di popolazione. Attorno alla diatriba accademica che nacque tra Condorcet e Godwin, Malthus affascinato dal mondo utopico immaginato da quest’ultimo scrisse il libro “Essay on the principle of population a sit affects the future improvement of society” (1798). Un libro che fu un autentico successo per due ragioni: la prima fu che ebbe la brillante idea di abbracciare parte del pessimismo di Godwin sulla crescita della popolazione senza accettare la sua visione comunista-volontarista; inoltre lo scritto si mise in aperta contrapposizione agli ideali liberali francesi, in quel contesto storico nell’ambiente accademico britannico fu una scelta corretta. Il secondo elemento fu l’aurea di scientificità sulla crescita della popolazione. Infatti il passo più famoso fu quello in cui disse che “la specie umana avrebbe avuto un tasso di crescita di 1,2,4,8,16,32,64,128,256,512 etc. mentre la sussistenza avrebbe registrato un tasso di crescita di 1,2,3,4,5,6,7,8,9,10 etc.” Molti avranno sentito questo stralcio, in termini più semplici esprime che mentre la popolazione segue una crescita geometrica il livello di sussistenza segue una crescita aritmetica.

Tuttavia questa legge matematica non si comprende proprio come Malthus avesse potuta tirarla fuori. Sembra avere più i connotati di una percezione piuttosto che di una ricerca scientifica meticolosa dei dati. Oramai la frittata era fatta, il testo poi non si distanziava molto dal lavoro di Giovanni Botero del XVI secolo, eccetto che questa parte “matematica” tirata fuori dal cilindro senza evidenze empiriche. Il successo di questo lavoro ha generato tutta una serie di ricerche in questo ambito che hanno prodotto una vera e propria filosofia della demografia, il malthusianismo. Tuttavia Malthus era un uomo di Chiesa, molto rigido su alcuni aspetti, soprattutto ciò che concerne la sessualità. Non poteva tollerale quanto fu espresso dal neo-malthusianesimo moderno che proponeva un controllo diretto della popolazione attraverso aborto, pratiche contraccettive o sterilizzazioni di massa. In effetti già nella prima edizione del suo libro e poi anche nelle successive (ce ne furono ben cinque) emerse la consapevolezza di averla detta un po’ grossa. Usando le parole di Rothbard, sostanzialmente “il secondo lavoro di Malthus (che si era finalmente deciso a studiare il fenomeno demografico direttamente per l’Europa) contraddice quasi completamente il primo“.

Oramai la branca del mostro demografico era nata con tutte le caratteristiche catastrofiste che abbiamo già descritto: pericolo imminente ed inevitabile, provvedimenti costosi e controproducenti, maggior potere allo stato. L’economista Jacqueline Kasun scrive “La letteratura del giorno del giudizio sui limiti è attraversata dalla presunzione di capacità assoluta, che è aliena all’economia […] Sulla scialuppa di salvataggio gli esseri umani sono semplici fardelli, che compromettono la capacità del gommone”. Al riguardo non mi sembra in questa sede opportuno rievocare tutti quei terribili personaggi che hanno alimentato questa branca fallimentare. Gli eventi e la storia testimoniano che dal XVI secolo ad oggi è andata esattamente come avevano previsto Condorcet e Genovesi. Le teorie catastrofiste hanno la pretesa di giudicare l’uomo come l’unica causa di tutti i mali, solo limitando l’azione umana e controllandola è possibile evitare i problemi. Niente di più sbagliato.

L’uomo forse potrebbe anche essere la causa dei suoi mali, ma è anche al tempo stesso la soluzione. Immaginate questa situazione dopo giorni di intense piogge in un piccolo villaggio, un fiume ha allagato una parte del paese fortunatamente poco abitata. Solo un allevatore è rimasto coinvolto nel disastro subendo un bel po’ di danni a causa dell’allagamento. Tuttavia l’allevatore è molto fortunato perché nel villaggio la gente si prodiga moltissimo per aiutare gli altri della comunità. Allora si riversarono un sacco di persone nella proprietà dell’allevatore che comunque forniva un supporto molto importante. Una divisione del lavoro quasi impeccabile, il falegname risistemava il pollaio e l’ovile, gli ingegneri si occupavano della solidità dell’edificio, poi la gente meno competente si limitava a pulire la casa del fattore togliendo il fango o dipingendo le pareti. Insomma ognuno svolgeva egregiamente il proprio lavoro. Cosa sarebbe successo se il fattore si fosse stabilito in una zona completamente disabitata?

Marco Marinozzi

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