Scienziati sono credenti tanto quanto la popolazione, nuovo studio

I sondaggi più recenti indicano un’alta percentuale di religiosità tra gli scienziati moderni, ma secondo alcuni crederebbero in Dio meno della popolazione in generale. Lo studio di Elaine Howard Ecklund smentisce anche questa obiezione.

 
 
 

Diversi studi in questi ultimi anni hanno dimostrato che la maggioranza degli scienziati vive una fede religiosa.

Alcuni preferiscono una forma di deismo, similmente a Albert Einstein, altri esprimono convinzioni più profonde, altri ancora sono pienamente coinvolti nella comunità cristiana e cattolica.

Nulla di strano, ma è un tema che sta particolarmente a cuore a chi ha interesse a denigrare la fede in Dio equiparandola ad un atto irrazionale, buono solo per chi non ha una formazione culturale elevata.

Così, si afferma, è impossibile che uno scienziato -classico esempio popolare di persona razionalmente strutturata- possa credere in Dio.

 

Gli scienziati credenti e le statistiche recenti.

Eppure, le statistiche dicono il contrario.

Un paio di esempi: nel 2010, uno studio della Rice University ha rilevato che su 1.700 scienziati d’élite, il 70% credevano in Dio (di cui il 20% deisti) mentre gli atei o gli agnostici dichiarati arrivavano al 30%.

Nel 2009 un sondaggio tra i membri dell’American Association for the Advancement of Science ha invece rilevato che il 51% di questi scienziati credeva in Dio o in qualcosa di soprannaturale.

L’obiezione più comune, una volta preso atto di questi dati, è che la percentuale degli scienziati credenti sarebbe comunque inferiore a quella della popolazione generale, continuando a sosterene che l’essere scienziati allontanerebbe in qualche modo la possibilità di credere in Dio.

 

Gli scienziati religiosi quanto la popolazione (non di meno)

La sociologa Elaine Howard Ecklund della Rice University, dov’è anche direttrice del Rice’s Religion and Public Life Program, ha permesso di respingere questa obiezione attraverso uno studio su 10.000 scienziati americani, presentato in questi giorni a Chicago durante l’annuale conferenza della American Association for the Advancement of Science (AAAS).

La ricercatrice ha infatti scoperto che il 18% degli scienziati frequenta servizi religiosi settimanalmente, rispetto al 20% della popolazione generale degli Stati Uniti; il 15% si considera molto religioso, contro il 19% della popolazione generale degli Stati Uniti; il 13,5% legge settimanalmente testi religiosi, contro il 17% della popolazione degli Stati Uniti e il 19% degli scienziati prega più volte al giorno, contro il 26% della popolazione degli Stati Uniti.

Come si evince, le percentuali di credenti e del loro impegno religioso sono piuttosto simili tra gli scienziati americani e la popolazione generale.

Altri risultati ottenuti: il 38% degli scienziati intervistati ritiene che “gli scienziati dovrebbero essere aperti a considerare i miracoli nelle loro teorie o spiegazioni” e quasi il 36% degli scienziati non ha alcun dubbio sull’esistenza di Dio.

La redazione

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Pisapia discrimina i genitori, una mamma si ribella

PisapiaLa lobby gay ha deciso che tutti i padri e le madri non devono più essere chiamati così ma genitore 1 e genitore 2, “mamma” è una parola discriminante per chi non potrà mai esserlo in quanto si avventura in discutibili e naturalmente sterili comportamenti sessuali, per questo va abolita.

Il sindaco arancione di Milano, Giuliano Pisapia, è noto per la sua sottomissione alla pretese Lgbt e per questo ha preferito discriminare migliaia di padri e madri che, se decidono di iscrivere i loro figli alle scuole milanesi, saranno obbligati ad essere identificati con una gerarchia ingiusta (1 e 2) e tutta al maschile (genitore). Un bel regalo del rosso Pisapia alle donne milanesi in vista dell’8 marzo.

Ma è bastato l’orgoglio di una mamma per denunciare la violenta commistione tra politica “arancione” e ideologia omosessuale: «Io ho fatto la mia foto, pensavo di raccogliere solo un po’ di “mi piace” su Facebook dei soliti amici», ha spiegato la signora Bianchi. «Cosa ho provato? Un grande fastidio. Prima ho cancellato quel “genitore 1″, poi ho scritto mamma e fatto la foto», pubblicandola sul noto social network. La foto è diventata virale e ha raccolto migliaia di consensi e di condivisioni.

genitore1

Lei è Barbara Bianchi, mamma poco più che quarantenne di due gemelli di otto anni e con orgoglio ha reagito allo sfregio di essere definita burocraticamente “genitore 1” anziché mamma. «Io sono la mamma non il genitore uno. Capito sindaco #Pisapia?», ha scritto la donna. Anche i bambini che sfortunatamente crescono orfani di un genitore, senza fare esperienza della diversità sessuale e in una situazione di forte disagio -come quelli adottati dalle coppie omosessuali- hanno il diritto, almeno, di andare a scuola. Ma non c’è bisogno di calpestare i diritti di chi è madre e padre, con grande gioia e con tanta fatica.

«Io aspetto serenamente quel giorno e quella firma per fare la mia piccola strage», promette un’altra mamma sotto la foto della Bianchi. “Dissenso” viene espresso dall’Associazione Matrimonialisti per «la scelta del Comune di Milano di modificare i moduli di iscrizione scolastica, sostituendo le parole ‘padre’ e ‘madre’ con ‘genitore 1′ e ‘genitore 2′. Si tratta di una evidente forzatura ideologica», spiega in una nota Gian Ettore Gassani, presidente dell’AMI. «Visto che nel nostro Paese non solo non sono regolamentate le coppie di fatto, ma soprattutto non sono consentite forme di bigenitorialità per le coppie omosessuali. Ergo non si capisce per quale motivo il modulo di iscrizione sia stato modificato, quando per legge l’iscrizione scolastica di un minore deve essere sottoscritta dai genitori riconosciuti in quanto tali dalla legge (biologici o adottivi)».

Per inviare la propria opinione al sindaco Giuliano Pisapia scrivere a sindaco.pisapia@comune.milano.it

La redazione

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Jerry Coyne: «purtroppo è legale educare i figli alla fede»

Coyne e DawkinsJerry Coyne è un biologo americano, noto per essere tra gli attivisti atei più famosi del mondo assieme all’amico Richard Dawkins.

Purtroppo, come spesso viene loro rimproverano, il loro approccio è decisamente violento, come se vivessero un costante rancore interno. Non sono certo un buon esempio per chi cerca di vivere in modo sereno dopo aver allontanato Dio dalla propria vita.

«E’ tempo per la Gran Bretagna di sbarazzarsi delle sue scuole religiose supportate dallo Stato. Dato che i genitori possono (purtroppo) legalmente fare proselitismo verso i loro figli a casa, non vi è alcuna giustificazione per sostenere pubblicamente l’educazione religiosa fuori casa». Queste le recenti dichiarazioni di Jerry Coyne che stanno facendo il giro della rete.

Se fosse per lui, da quanto si capisce, ai genitori dovrebbe essere vietato educare i propri figli alla fede, presumibilmente la polizia di religione nell’utopia di Coyne dovrebbe monitorare le discussioni private nelle case tra genitori e figli, al fine di individuare e perseguire ogni “proselitismo” illegale. Uno scenario che non è molto lontano da quanto accaduto nella Russia sovietica, nella Cina di Mao e nella Cambogia di Pol Pot.

Le affermazioni di Coyne non sono nemmeno così lontane da quelle più famose di Richard Dawkins, per il quale essere educati al cattolicesimo da piccoli è peggio che subire abusi sessuali. O da quelle di Bill Maher secondo cui «noi atei pensiamo che la gente che crede in Dio ha un disturbo neurologico e ha bisogno di aiuto».

Il sito web “Religion en Libertad” ha raccolto tutti gli attacchi, fisici e non, subiti dai cattolici e dai cristiani durante le recenti feste natalizie in Spagna, Francia e Usa, da parte di militanti laicisti.

La buona notizia è che la maggior parte di coloro che non condivide con noi la grazia della fede non si comporta in questo modo.

La redazione

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Un ringraziamento al rabbino Riccardo Di Segni

Riccardo Di SegniSiamo felici di ringraziare pubblicamente il capo della Comunità ebraica di Roma Riccardo Di Segni, per la lettera che ha pubblicato recentemente su “Repubblica” indirizzata ad Eugenio Scalfari.

Con poche parole è riuscito a chiarire benissimo la nota strumentalizzazione delle parole di Papa Francesco nata in ambiente laicista e cavalcata irrispettosamente da Scalfari, che vorrebbe passare invece come nuovo amicone del Pontefice. Facciamo prima a citare direttamente le parole di Di Segni quando parla dell’innovazione di Papa Francesco: «Sull’immagine proposta di una Chiesa povera, sulla volontà del papa di lotta alla corruzione, sul suo richiamo all’onestà non ci sono dubbi. Ma cosa c’è di sostanza nella sua apertura al tema del peccato? Perché, per fare degli esempi, un conto è dire che c’è accoglienza per i divorziati, un altro riconoscere il divorzio; un conto è esaltare il ruolo della donna, un altro ammetterla al sacerdozio; un conto è essere comprensivi dell’omosessualità, un altro riconoscere legalmente le unioni».

Di Segni ha capito perfettamente: si tratta di piani diversi, cosa che non riesce a capire -o finge di non capire per “creare la notizia anche dove non c’è”- la maggior parte dei media.

Il rabbino ha voluto ricordare che anche nell’ebraismo la misericordia è una virtù importante e misericordioso è anche il Dio dell’Antico Testamento. Importante questo secondo riconoscimento, completamente opposto al politicamente corretto: «Che poi Gesù di Nazareth sia solo amore e non giustizia, in una melensa rappresentazione di comodo buonismo imperante, è tutto da dimostrare». Mentre la risposta di Scalfari è il solito illeggibile minestrone, ci ha fatto piacere leggere questa lettera di Riccardo Di Segni, il cui contenuto mostra che il messaggio di Papa Francesco è assolutamente chiaro e privo di equivoci, tanto che viene correttamente compreso anche dai leader di altre religioni.

Ci auguriamo che Di Segni sia altrettanto attento anche per quanto riguarda il giudizio storico su Pio XII, accettando tutti i responsi storici (la maggior parte ormai a favore di Pacelli) e ricordando che il suo predecessore Eugenio Zolli, rabbino capo di Roma proprio durante l’occupazione tedesca, oltre a presiedere una solenne celebrazione nel Tempio Maggiore ebraico di Roma nel luglio 1944 per esprimere pubblicamente la riconoscenza della comunità ebraica a Pio XII, per l’aiuto dato loro durante la persecuzione nazista, si convertì al cattolicesimo facendosi battezzare con il nome “Pio” in segno di riconoscenza verso l’aiuto di Papa Pacelli al popolo ebraico.

La redazione

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Sergio Romano “dimentica” il genocidio vandeano

VandeaIl prof. Sergio Romano è un importante storico italiano, sempre diviso tra il suo anticlericalismo pregiudiziale e l’oggettività del ricercatore. A volte il pregiudizio prevale sull’oggettività, a volte il contrario.

Pochi giorni fa Romano si è incredibilmente “dimenticato” di citare il genocidio vandeano realizzato dagli illuminati rivoluzionari francesi. Per molti tale crimine, assieme all’uso frenetico della ghigliottina, è il vero volto della laicissima Rivoluzione francese e forse proprio per questo motivo il prof. Romano ha preferito non parlarne.

Una lettrice gli ha infatti domandato cosa fosse la “Costituzione civile del clero”, ovvero le norme approvate dall’Assemblea costituente francese nel giugno del 1790 per organizzare la Chiesa di Francia con criteri di utilità pubblica. Romano ha parlato degli abusi subiti dalla Chiesa cattolica francese con una delicatezza estrema, quasi giustificando i rivoluzionari francesi. Non ha accennato al fatto che i sacerdoti che si rifiutavano di staccarsi dal Pontefice per diventare zimbelli in mano allo Stato furono costretti a vivere clandestinamente, ma ha scritto semplicemente che i sacerdoti refrattari, in particolare in regioni come l’Alsazia e la Vandea, «constatarono di avere la simpatia e il sostegno di una larga parte della società francese». Tutto qui.

Ma può uno storico, seppur profondamente anticlericale, evitare di ricordare anche che il governo francese in risposta al sostegno dei vandeani a questi coraggiosi sacerdoti fece migliaia di vittime in soli tre anni? E’ come spiegare che a Hitler non stavano simpatici gli ebrei senza nemmeno citare l’Olocausto. Il numero esatto dei martiri vandeani è molto discusso, in tanti parlano di genocidio. Papa Pio XI nel 1926 beatificò 191 delle vittime, quasi tutti sacerdoti, dei massacri avvenuti tra il 2 ed il 6 settembre del 1792, Giovanni Paolo II ne ha beatificati altri 60 nel 1995.

Il mito della Rivoluzione francese non si può toccare, lo storico Reynald Sécher venne duramente perseguitato quando osò pubblicare i risultati dei suoi studi su quello che ritenne essere il primo genocidio di Stato della storia occidentale. Molti altri storici, come si spiega in questo articolo, paragonano la Vandea alla persecuzione ebrea da parte del nazismo. Il premio Nobel Aleksandr Isaevič Solženicyn ha scritto: «Già due terzi di secolo fa, da ragazzo, leggevo con ammirazione i libri che evocavano la sollevazione della Vandea, così coraggiosa e così disperata, ma non avrei mai potuto immaginare, neppure in sogno, che nei miei tardi giorni avrei avuto l’onore di partecipare all’inaugurazione di un monumento agli eroi e alle vittime di questa sollevazione. […] Per molto tempo ci si è rifiutati di capire di accettare quel che gridavano coloro che morivano, che venivano bruciati vivi: i contadini di una contea laboriosa, per i quali la rivoluzione sembrava essere fatta apposta, ma che la stessa rivoluzione oppresse e umiliò fino alle estreme conseguenze: e proprio contro essa si rivoltarono. […]. È stato il ventesimo secolo ad appannare, agli occhi dell’umanità, quell’aureola romantica che circondava la rivoluzione del XVIII secolo» («Famiglia Cristiana», n. 41/1993, pp.80-81). 

Niente di tutto questo, Sergio Romano si è casualmente dimenticato anche soltanto di citare cosa accadde ai protagonisti della sua risposta data alla lettrice. La memoria fa brutti scherzi a volte, fortunatamente non a Solženicyn e agli storici senza pregiudizi anticlericali.

La redazione

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Stati africani contro i gay, ma per il laicismo è vietato giudicare

La Chiesa tra le prime istituzioni a condannare la legislazione africana contro le persone omosessuali. Ma chi aderisce alla “morale laica”, cioè al relativismo etico, come può fondare razionalmente l’idea che un’altra società stia sbagliando? Se è sbagliato giudicare, con quale autorità giudicare gli africani?

 
 
 

Il Vaticano, attraverso il card. Peter Turkson, presidente del Consiglio per la Giustizia e la Pace, ha subito condannato, giustamente, le leggi anti-gay varate in Uganda, facendo appello alla comunità internazionale affinché intervenga.

Molti altri lo hanno fatto ma su quale base razionale fondare l’idea di leggi sbagliate in assoluto a prescindere dal contesto culturale in cui vengono varate?

 

La morale laica ed il relativismo etico vanno in tilt.

La situazione si presta bene a riflettere sulla consistenza razionale della cosiddetta “morale laica”, incentrata necessariamente sul relativismo etico.

Se è sbagliato giudicare, se la morale è il costume del proprio paese, se non esiste alcun comportamento giusto o sbagliato, allora con quale autorità morale gli attivisti occidentali pretendono far pressione sul continente africano perché cambi la sua morale di cui pare soddisfatto, e si converta alla morale attualmente in voga (da poco tempo, oltretutto) in Europa e America?

Forse allora esiste un bene precedente all’uomo verso il quale è giusto (e doveroso) orientarsi?

Notizie come queste mandano costantemente in tilt il laicismo relativista, mentre la Chiesa, avvalendosi concetto di bene e di male assoluti, precedenti all’uomo (legge naturale) e non relativi, può fondare razionalmente la propria posizione contraria alle leggi che discriminano.

 

“Non c’è Dio, quindi niente valori assoluti”.

Michel de Montagne ha a lungo scritto sull’assenza di una verità assoluta, di un bene superiore, spiegando che i principi e i modelli in cui si deve identificare una civiltà, e lo stesso giudizio su di essi, dipendono dall’angolo visuale da cui li si guarda. In parole più semplici, la morale (la differenza tra bene e male) è semplicemente il costume del proprio paese e l’attuale sensazione dei propri coetanei: gli uomini aderiscono a norme o leggi “culturali” che si fabbricano con la loro cultura (i costumi).

Joel Marks, professore emerito di filosofia presso l’University of New Haven ha spiegato: «Anche se parole come “peccato” e “male” vengono usate abitualmente nel descrivere per esempio le molestie su bambini, esse però non dicono nulla in realtà. Non ci sono “peccati” letterali nel mondo perché letteralmente non c’è Dio e, quindi, tutta la sovrastruttura religiosa che dovrebbe includere categorie come peccato e il male. Niente è letteralmente giusto o sbagliato perché non c’è nessuna moralità».

Il filosofo laico Peter Singer ha commentato a proposito della pedofilia: «Se a te piacciono le conseguenze allora è etico, se a te non piacciono le conseguenze allora è immorale. Così, se ti piace la pornografia infantile e fare sesso con i bambini, allora è etico, se non ti piace la pornografia infantile e fare sesso con i bambini, allora è immorale». I due celebri studiosi stanno applicando la morale laica in modo assolutamente coerente.

In un paradigma privo di Dio, Marks e Singer hanno ragione: come si fa a sostenere razionalmente che la pedofilia è e sarà sempre un male assoluto? Affermarlo significherebbe implicare un male e un bene predeterminati, superiori e precedenti all’uomo stesso, una posizione assai pericolosa per chi non crede a Dio. Per questo tutto è relativo, il giudizio è bandito e odiato perché implica la conoscenza della verità (Verità o “verità in tasca”, come si usa dire).

«Tutti dovremmo rispettare le decisioni altrui, non giudicare, poiché non esiste il comportamento giusto in senso assoluto. Più procedo nella vita e nella professione, più comprendo l’importanza della sospensione del giudizio sulle scelte fatte dal nostro prossimo», si legge su www.psiconline.it (articolo cancellato).

 

Come fa un relativista a giudicare le leggi africane?

Se le cose stanno così, se non può esistere un bene e un male assoluto, se è sbagliato giudicare, se non esiste un comportamento ultimamente giusto o sbagliato, se tutte le decisioni altrui vanno rispettate allora questi giudizi morali (che pretendono di descrivere un comportamento giusto e dunque si auto-contraddicono) varranno ancora di più se a decidere di comportarsi in un certo modo -ad esempio per proteggere e salvaguardare le proprie tradizioni, i propri valori, la propria cultura, i propri costumi- non è una singola persona ma un intero Stato, anzi un intero Continente.

E’ il triste e drammatico caso dell’Africa, dove 38 Stati su 54 (soprattutto a maggioranza animista-islamica) hanno promulgato una legislazione per perseguitare le persone omosessuali (vietati gli incontri in gruppo di due o più, criminalizzati i club e gli eventi gay ecc.).

Recentemente è toccato alla Nigeria e Reuben Abati, il portavoce presidenziale, ha affermato che «questa è una legge che è in linea con l’inclinazione culturale e religiosa della gente. Quindi è una legge che riflette le convinzioni e l’orientamento del popolo nigeriano».

Ora, la questione è chiaramente tragica e non a caso la Chiesa cattolica è una delle poche voci presenti sul territorio ad opporsi drasticamente.

 

La conclusione ci pare una soltanto: se Dio esiste allora è un bene assoluto rispettare gli omosessuali (in quanto nostri fratelli), se Dio non esiste rispettare gli omosessuali è una scelta come un’altra e va rispettato chi la pensa diversamente e, a maggior ragione, se a pensarla diversamente è un Continente intero. Ovvero quasi 1 miliardo di persone con una morale diversa dalla nostra.

La redazione

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La decrescita demografica è un male per l’economia

Famiglia numerosaL’utilità del controllo demografico è una delle più grandi bufale in circolazione da diverso tempo, la quale ieri giustificava sterilizzazioni forzate e oggi l’aborto come metodo contraccettivo, utile per ridurre l’aumento demografico.

E’ una tesi tanto popolare che è quasi impossibile confutarla, anche perché fa comodo a radicali, femministe e abortisti di prima linea. Eppure studiosi, economisti, ambientalisti e ricercatori continuano a provarci, pronunciandosi ufficialmente. Molti studi scientifici, per chi vuole davvero capire la situazione, sono stati raccolti nel nostro dossier specifico.

Segnaliamo il recente intervento di Kenneth Rogoff, celebre professore di Public Policy e di Economics alla Harvard University, nonché ex collaboratore del Fondo Monetario Internazionale (FMI), il quale ha subito chiarito la situazione: ogni generazione starà meglio di quella precedente e «anche nel mondo in via di sviluppo la maggioranza della popolazione ha cominciato a vivere un miglioramento degli standard di vita e le aspettative di crescita sono in aumento». Dunque il forte aumento della popolazione (bomba demografica) ha portato ad un miglioramento dello standard di vita anche nei Paesi del Terzo mondo.

Infatti, ha spiegato Rogoff, «ogni previsione nefasta dell’era moderna sulla sorte dell’umanità, da Thomas Malthus a Karl Marx, si è rivelata errata. Il progresso tecnologico ha superato gli ostacoli alla crescita». Vari problemi citati dai catastrofisti, come quello della mancanza di cibo, «hanno una soluzione, almeno nel breve e medio termine», ad esempio «serve una maggiore ridistribuzione attraverso i sistemi fiscali nazionali, oltre a programmi di formazione per adulti, con ricorso alle nuove tecnologie».

La decrescita demografica è un male per l’economia e per il benessere sociale: «gli effetti negativi della decrescita demografica possono essere mitigati allentando le restrizioni sull’immigrazione internazionale e incoraggiando sempre più donne o pensionati a entrare o restare nella forza lavoro». E noi aggiungiamo anche politiche sociali più vicine sopratutto alle giovani famiglie e alle famiglie numerose.

Visita il sito web dell’Associazione Nazionale Famiglie Numerose.

La redazione

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Difendere la famiglia significa difendere le donne

Violenza donneDagli anni ’60 in poi la famiglia è sotto attacco: il matrimonio è roba antica (a parte quello tra persone dello stesso sesso, che è sinonimo di progresso) ed è meglio non avere figli o per lo meno averne pochi.

Questo è quello che ci viene insegnato da parecchi anni su televisioni, quotidiani e intellettuali. Noi cattolici siamo liberi pensatori e la pensiamo in modo completamente opposto: difendiamo e sosteniamo la famiglia e ci dispiaciamo molto che i politici cattolici non siano mai stati davvero capaci di farlo anche politicamente. Non sosteniamo la “famiglia tradizionale” perché non esiste e non sosteniamo le cosiddette “nuove famiglie” perché non esistono, questi termini servono semplicemente per annacquare il senso della famiglia. La famiglia è sempre stata una sola, lo ribadisce la Costituzione italiana: una società naturale fondata sul matrimonio. Ovvero: è famiglia solo quando c’è la fecondità del matrimonio tra un uomo e una donna (altri tipi di matrimoni non sono legali in Italia, dunque non sono famiglie).

Il dramma della violenza sulla donna è spesso usato per attaccare la famiglia, luogo indicato come epicentro del fenomeno. Eppure un’indagine dell’Agenzia europea per i diritti fondamentali (Fra) su 42mila donne di età compresa tra i 18 e 74 anni, 1550 per ognuno dei 28 stati membri dell’Europa, ha rilevato dati interessanti. Il tasso di violenza si impenna nel Nord Europa, dove la famiglia è ormai un lontano ricordo: Danimarca (52% di abusi subiti), Finlandia (47%) e Svezia (46%). L’Olanda è al quarto posto con il 45%, seguita da Francia e Gran Bretagna, entrambe al 44%. L’Italia invece, dove permane nonostante tutto una solidità delle famiglie, è al 27% cioè nel settore medio-basso della classifica delle violenze. La maggior parte degli abusi, inoltre, avviene nei luoghi di lavoro (55%) mentre minore è il tasso di abuso da parte del partner (22%), non si specifica se coniugato o convivente.

Il dato ha infastidito molto e le femministe italiane, come Sonia Renzini dell’“Unità”, al posto di prenderne atto hanno giustificato i risultati dando la colpa alle donne italiane, dicendo che non saprebbero riconoscere quando vengono abusate e per questo le denunce non sono così alte come nel Nord Europa. Ci sembra una spiegazione non convincente oltre che offensiva verso le stesse donne che si vorrebbero difendere.

Noi invece spieghiamo questi dati in un altro modo, come già abbiamo fatto: esiste una consolidata letteratura scientifica che certifica come le donne sposate corrano minori rischi di subire violenze rispetto alle donne  non sposate (o conviventi) (cfr. “American Journal of Public Health  2013; “BMC Public Health” , 2011; “Bureau of Justice Statistics”, 2011). Il matrimonio inoltre, come abbiamo mostrato nel nostro dossier specifico, non soltanto riduce i casi di violenza sulla donna, ma porta a numerosi benefici per entrambi i partner e, sopratutto, ai figli.

Difendere la famiglia significa anche difendere le donne. Sarebbe ora che lo capissero anche le amiche femministe, sempre impegnate nelle loro piccole guerre controproducenti. Papa Francesco ha parlato spesso della famiglia, spiegando perché occorre sostenerla, difenderla e valorizzarla: «La famiglia oggi è disprezzata, è maltrattata, e quello che ci è chiesto è di riconoscere quanto è bello, vero e buono formare una famiglia, essere famiglia oggi; quanto è indispensabile questo per la vita del mondo, per il futuro dell’umanità. Fin dal principio il Creatore ha posto la sua benedizione sull’uomo e sulla donna affinché fossero fecondi e si moltiplicassero sulla terra; e così la famiglia rappresenta nel mondo come il riflesso di Dio, Uno e Trino». La famiglia è la vocazione cristiana dell’uomo, assieme al sacerdozio.

La redazione

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I Pontefici non si sono mai contraddetti tra loro

Basilica san PietroNel primo anniversario di pontificato di Papa Francesco, a cui facciamo i nostri più sentiti ringraziamenti per tutto quello che ci sta donando, desideriamo mettere a tema un argomento spesso usato in questo anno di presenza in Vaticano di due Pontefici, uno in carica e l’altro emerito.

Esiste infatti un’obiezione abbastanza diffusa nei critici della Chiesa e sarebbe quella che i Papi, nelle loro dichiarazioni lungo i secoli, si sarebbero contraddetti tra loro relativizzando, di conseguenza, il magistero della Chiesa e l’insegnamento della verità così come ispirata da Dio al successore di Pietro. Ovviamente l’obiezione è indimostrata, nessun Pontefice ha mai ribaltato un dogma, come ha spiegato di recente padre Angelo Bellon, docente di teologia morale. L’onere della prova spetta a chi afferma l’opposto.

Ma la risposta va ampliata: nessun Pontefice ha mai contraddetto un altro quando quest’ultimo ha parlato “ex cathedra”, ovvero quando ha esercitato la cosiddetta infallibilità papale, sancito dal Concilio Vaticano I nel 1870 (e non dal Papa stesso) rifacendosi ad una lunga tradizione che risaliva alla cristianità primitiva. Il Concilio Vaticano I ha voluto parlare solo di una forma particolare di infallibilità: quella del Papa quando esprime sentenze dogmatiche (gli altri due casi in cui il magistero è infallibile sono stati stabiliti dal Concilio Vaticano II nella Lumen gentium al punto n. 25: i documenti del Magistero in cui il Papa presenta la dottrina cattolica in cui impegna la propria autorità di successore di Pietro e quando i vescovi sono radunati in Concilio ecumenico).

Non tutte le omelie o dichiarazioni del Papa sono verità infallibili e mai lo potranno essere quando esulano dall’ambito della fede e della morale, ad esempio i libri di Papa Ratzinger su Gesù sono volutamente firmati “Joseph Ratzinger”, proponendo esplicitamente il suo pensiero e la sua ricerca di teologo. Sinteticamente, il Concilio Vaticano I ha stabilito che occorrono una serie di condizioni da realizzarsi contemporaneamente perché si tratti di un dogma di fede e dunque non modificabile più da nessuno:
1) Il Papa deve parlare come maestro di tutta la cristianità, rivolgersi a tutta la Chiesa;
2) Deve affrontare una dottrina o verità rivelata concernente la fede o i costumi;
3) Dev’esserci la volontà di dare una decisione dogmatica e non un semplice avvertimento o solo una istruzione generale;
4) La ragione della sua infallibilità risiede nella assistenza particolare dello Spirito Santo, che preserva da ogni errore, e non nell’ispirazione o rivelazione da parte di Dio; tanto meno risiede nelle sue capacità e lumi naturali o alla sua personale virtù;
5) Le proposizioni del Papa sono irreformabili per se stesse e non per l’adesione dell’episcopato.

Occorre inoltre precisare che l’infallibilità non deve essere confusa con l’impeccabilità, quest’ultima riguarda la vita delle persone, così come quella del Pontefice. Un Papa peccatore (anche tanto peccatore, come lo sono stati alcuni), che come tutti gli uomini deve confessare i suoi peccati, può essere infallibile in alcune sue dichiarazioni (abbiamo visto quali). «In determinate circostanze e a determinate condizioni, il Papa può prendere decisioni in ultimo vincolanti grazie alle quali diviene chiaro cosa è la fede della Chiesa, e cosa non è», ha spiegato Benedetto XVI nel libro-intervista “Luce del mondo” (2010), «il che non significa che il Papa possa di continuo produrre “infallibilità”. Normalmente, il Vescovo di Roma si comporta come qualsiasi altro vescovo che professa la propria fede, la annuncia ed è fedele alla Chiesa. Solo in determinate condizioni, quando la tradizione è chiara ed egli sa che in quel momento non agisce arbitrariamente, allora il Papa può dire: “Questa determinata cosa è fede della Chiesa e la negazione di essa non è fede della Chiesa”. Ovviamente il Papa può avere opinioni personali sbagliate. Ma come detto: quando parla come Pastore Supremo della Chiesa, nella consapevolezza della sua responsabilità, allora non esprime più la sua opinione, quello che gli passa per la mente in quel momento».

Vi possono essere, invece, cambiamenti di giudizio nel Magistero della Chiesa su questioni particolari, che per altro non impegnano la fede e per le quali contano molto le circostanze storiche in cui tali giudizi sono stati espressi. E’ doveroso non confondere queste con le dichiarazioni “ex cathedra”, come fa chi invece sostiene la tesi della contraddizioni tra Pontefici. Infine, vi sono altri insegnamenti in materia di fede o morale presentati come veri o almeno come sicuri, anche se non sono stati definiti con giudizio solenne né proposti come definitivi dal magistero ordinario e universale. Tali ad esempio le istruzioni sulla bioetica, che «sono espressione autentica del magistero ordinario del romano pontefice o del collegio episcopale e richiedono, pertanto, l’ossequio religioso della volontà e dell’intelletto». Le proposizioni contrarie a questi insegnamenti «non possono essere affatto insegnate».

Come Gesù Cristo ha “preteso” dire “io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6), così durante l’Ultima cena ha dato a Pietro il compito di “confermare i tuoi fratelli” (Lc 22,31-32) e così gli attuali Pontefici fanno oggi, sicuri della loro autorità data dalla successione apostolica. Per questo Sant’Agostino disse: “Roma locuta est, causa finita est” (Serm. 131, c.10, n.10), ovvero: «Roma, e cioè il Papa, ha parlato, la discussione è finita».

La redazione

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«Sola ad abortire nel bagno dell’ospedale», ma è una bufala

Bufala“Costretta ad abortire in bagno da sola. In ospedale soltanto medici obiettori”. Tiene banco questa storia sui principali quotidiani, promossa dall’Associazione Luca Coscioni, braccio giuridico del Partito Radicale guidato da Filomena Gallo.

Ricordiamo che l’Associazione è già stata accusata di manipolazione da Silvio Garattini, direttore dell’Istituto “Mario Negri” e di «ignoranza, di superficialità o peggio di malafede» quando la lobby radicale ha voluto riportare in maniera «distorta e scorretta» i dati di un’importante ricerca dell’Istituto stesso, per avallare la tesi che nelle rianimazioni italiane si pratichi l’eutanasia clandestina, argomento utile alla sua legalizzazione, ma rivelatosi ovviamente falso.

In questi giorni, dicevamo, l’Associazione Luca Coscioni è tornata alla ribalta. Volendo cavalcare il recente attacco dei burocrati europei al diritto dei medici italiani di essere obiettori di coscienza, ha avuto la brillante idea di rendere pubblica una sofferente esperienza di una donna risalente a ben quattro anni fa, sicuri di essere ascoltati dai quotidiani principali.

La storia è quella di Valentina che, quattro anni fa per l’appunto, «per colpa della legge 40» è stata “costretta” a restare incinta di una bimba malata, poi ha deciso di procedere all’aborto della bimba recandosi all’ospedale Pertini, ma sarebbe stata lasciata sola ad abortire in un bagno a causa della presenza di soli medici obiettori, mentre nei corridoi si muovevano inquietanti figure di «volontari pro life col Vangelo in mano». La ricostruzione è possibile ma ben poco credibile, anche perché si riscontrano tutti gli elementi di cui è ossessionata l’Associazione radicale: odio verso la Legge 40, odio verso la libertà dei medici e odio verso i volontari in difesa della vita.

In ogni caso l’accusa è stata smontata dall’Asl di Roma che, dopo una breve indagine, ha affermato che il Pertini ha medici abortisti e quella sera del 2010 ce n’erano addirittura due in camera con la donna. «La signora», si legge in un comunicato, «è stata assistita, durante la degenza, da due medici non obiettori di coscienza che fanno parte dell’équipe istituzionalmente preposta alla Ivg […]. La signora è stata prontamente assistita e avviata alla sala parto per il “secondamento” e per le successive procedure previste nel post parto». E in camera è avvenuto l’aborto, non in bagno. Tant’è che la donna non ha allora fatto partire alcuna denuncia.

Giustamente la presidente Movimento PER Politica Etica Responsabilità e vicepresidente della Commissione Cultura della Regione Lazio, Olimpia Tarzia, ha parlato di una vicenda «quanto mai singolare» e di «vergognosa strumentalizzazione di un dramma». «Se c’è stata realmente omissione di soccorso, questa va imputata nei confronti dei medici di turno, non tirando in ballo l’obiezione di coscienza, che tra l’altro, vorrei ricordare, oltre ad essere un diritto fondamentale, previsto dalla stessa L.194, permette comunque al medico obiettore di intervenire qualora vi sia pericolo di vita».

La redazione

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