Francia, la sinistra progressista umiliava donne e neri

sinistra progressistaIl razzismo a sinistra. I caporedattori dei principali quotidiani della sinistra progressista francese, come “Liberation”, “Vice France” e l'”Huffington Post”, organizzavano campagne di cyberbullismo contro donne, omosessuali e persone di colore. Contemporaneamente si ergevano a paladini dei diritti delle minoranze. La maschera dei falsi moralisti.

 

Quasi nessuno sta parlando dello scandalo in corso in Francia, dove si è scoperto che molte delle principali firme della sinistra progressista partecipavano attivamente ad un gruppo Facebook -chiamato “Ligue du LOL”– in cui si organizzavano attacchi di cyberbullismo ai danni di giornaliste, omosessuali e persone di colore.

Gli insulti e le molestie erano orchestrate in particolare dai giornalisti Vincent Glad e Alexandre Hervaud del quotidiano Liberation, il sosia francese del giornale italiano Repubblica. Non è certo un caso che il maggior azionista è stato fino al 2008 l’imprenditore italiano Carlo Caracciolo, fondatore proprio di Repubblica e de L’Espresso. Nei giorni scorsi è emerso che altre due redazioni sono coinvolte nel cyberbullismo: l’Huffington Post e Vice France.

 

Stagiste umiliate e “quota scimmie” nella redazione della rivista “Vice”.

In particolare, all’interno di Vice esisteva un gruppo di una ventina di giornalisti chiamato “Les Darons” che, nella redazione di Vice France -tra una scrivania e l’altra- umiliavano le stagiste e le giornaliste più giovani con epiteti irripetibili (arrivando fino ad approcci fisici molesti). Ma non è finita, tre ex dipendenti hanno rivelato -facendo aprire un’indagine interna- che i caporedattori della rivista hanno introdotto una “quota scimmie” per indicare tutti i dipendenti neri della filiale francese. La nota inviata alle risorse umane di Vice, continua così: «Fondato sul cameratismo maschile, il gruppo, con parole degradanti e emoticon esplicite, insulta le donne, gli omosessuali e i neri dell’ufficio».

La giornalista Berenice ha trascorso diversi anni presso Vice e ha raccontato come fino a poco tempo fa venivano assunte donne soltanto in base alle caratteristiche fisiche, le quali erano sfruttate e malpagate. Gli uomini godevano di «una sorta di impunità», mentre le donne venivano puntualmente umiliate.

 

Lo scandalo a “Liberation”: cyberbullismo contro le minoranze.

Gran parte dello scandalo è stato svelato da una campagna di Liberation, almeno fino a quando -come accennavamo- si è scoperto che anche i giornalisti del quotidiano della sinistra progressista francese erano implicati nella vicenda. Il giornale è stato costretto a sua volta ad aprire un’indagine interna, scoprendo che i propri giornalisti erano coinvolti nelle umiliazioni verso donne e persone di colore tramite il gruppo Facebook già citato. Nella sua lettera di scuse, il direttore editoriale di Liberation, Laurent Joffrin, ha espresso “vergogna”, annunciato il licenziamento di due giornalisti e promesso che «avvierà una riflessione sulle regole che devono governare l’espressione dei giornalisti sui social network quando non parlano a nome del giornale.

 

Si ergono ogni giorno a paladini dei “diritti”, ma il progresso ha perso la maschera.

Ogni giorno questi quotidiani, per mano dei propri giornalisti, si ergono a paladini del politicamente corretto, fanno gli arbitri della morale e bollano come “medioevali” tutti coloro che non la pensano come loro. Liberation e, in particolare, Vice si sono distinti per una campagna a senso unico a favore del mariage pour tous, la legalizzazione delle nozze gay in nome dei “diritti” verso le minoranze. Addirittura -anche nella versione italiana- esiste una vera e propria sezione “LGBTQ” a fianco delle classiche “Politica”, “Attualità”, “Cultura” ecc. Per non parlare dello schieramento a favore di liberalizzazione delle droghe, eutanasia, pornografia, “diritti riproduttivi” e tutti i vari gli idoli del progresso.

Come si immaginava, è tutta apparenza. Una maschera da falsi moralisti che si indossa nelle redazioni dei quotidiani per apparire in linea con i tempi, almeno quando si battono le dita sulla tastiera vergando l’ennesimo articolo in difesa dei “diritti”. Mentre contemporaneamente -come è stato svelato-, nell’altra finestra del monitor, si umiliano senza vergogna neri, donne e omosessuali.

La redazione

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California legalizza eutanasia e spende 200 milioni per prevenire il suicidio

diritto eutanasia In California l’eutanasia è stata legalizzata, ma nello stesso anno sono stati anche investiti $200 milioni per coprire ponti e monumenti con reti anti-suicidio. Una enorme contraddizione: se il suicidio è un diritto, perché bisogna prevenirlo? La schizofrenia di chi tenta di trasformare in diritto ciò che considera un illecito morale.

 

Quanto è ironico che la California abbia deciso di spendere 200 milioni di dollari per la prevenzione del suicidio nello stesso anno in cui ha legalizzato il suicidio? E’ semplicemente assurdo.

 

Ma il suicidio va prevenuto o liberalizzato?

Una contraddizione che pochi hanno notato e che svela la schizofrenia di chi tenta di trasformare in diritto umano ciò che contemporaneamente considera un delitto umano e un crimine morale, tanto da cercare di prevenirlo in qualunque modo. Ma il suicidio è cosa buona o cattiva? Una semplice domanda a cui i promotori della “dolce morte” non sanno rispondere.

Se Marco Cappato incontrasse in cima ad un ponte un uomo intenzionato a buttarsi di sotto, cercherebbe di farlo desistere o gli darebbe una spinta per aiutarlo? Nel primo caso, secondo le convinzioni espresse più volte dai Radicali, starebbe violando il diritto di autodeterminazione degli individui, influenzando una coscienza altrui con i propri personali convincimenti.

 

Molto meno costoso costruire una cultura della vita.

«220$ milioni per salvare circa quaranta vite all’anno non è irragionevole, ma se ordinassimo meglio le nostre vite non avremmo bisogno di costruire reti intorno ai nostri monumenti pubblici», ha riflettuto nel suo blog mons. Joseph Illo, parroco della diocesi di San Francisco. «Sarebbe molto meglio, molto meno costoso e molto più bello, spendere le nostre energie costruendo una cultura che incoraggia la vita piuttosto che la morte. Se ogni film deve incantare con la morte violenta, se la morte è la soluzione migliore alle gravidanze indesiderate, se e si celebra la morte per mano propria (come hanno fatto i media trasmettendo in diretta il suicidio assistito di Brittany Maynard), allora perché costruire reti anti-suicidio? Se siamo innamorati della morte, troveremo sempre altri modi per ucciderci».

 

“Contagio da suicidio”, conseguenza della banalizzazione della morte.

E’ stato dimostrato che più il tema del suicidio è presente nella società tramite la sponsorizzazione da parte dei media, e più si riscontrano tentativi di suicidio, sopratutto tra i giovani (12-17 anni). In termine tecnico viene definito fenomeno del “contagio da suicidio” (“suicide contagion” effect). Nel 2015 il Southern Medical Journal ha pubblicato uno studio che ha dimostrato come la legalizzazione del suicidio assistito è associata ad un incremento del 6,3% dei suicidi totali, ovvero: «L’introduzione del suicidio assistito induce più morti auto-inflitte di quante dovrebbe inibire». Esattamente quel che ha scritto mons. Illo: banalizzando la morte si genera e si diffonde una cultura della morte e dello scarto.

 

Eutanasia: un valore irrinunciabile nella società secolarizzata.

Il tema, a nostro avviso, è prettamente esistenziale. Non è certo un caso che l’ossessione dell’eutanasia e del suicidio cresca al procedere della secolarizzazione, della perdita dei valori cristiani. Più la società è laica, più Dio viene cacciato dalla sfera pubblica e più si diffonde una solitudine materiale e metafisica. Siamo soli, il nulla ci circonda. L’individualismo e l’egoismo diventano i padroni, la famiglia è ormai disgregata: pochi figli, pochi matrimoni, tanti funerali. La vita non è più sacra, non è più un dono ma diventa una proprietà del singolo che ne dispone come crede, qualunque minimo dolore è percepito come un’ingiustizia insopportabile e la morte, inevitabilmente, è sempre più considerata come una liberazione. Prima per i malati terminali, poi per i disabili, poi per i depressi e le persone sole. La Royal Dutch Medical Association (KNMG) ha considerato criteri validi per accettare la richiesta di eutanasia condizioni come la solitudine e la perdita di autonomia.

«Ogni suicida che sopravvive dice che il suicidio è un errore», ha concluso mons. Joseph Illo. «C’è molto più bene nella vita di quanto male si pensi. Forse le reti anti-suicidio daranno alle persone una seconda possibilità. Ma sarebbe molto meglio aiutare le persone prima che raggiungano quel livello di disperazione».

La redazione

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Illusione di essere liberi? Le neuroscienze dicono il contrario

neurocienze libero arbitrioNeuroscienze e libertà. Esce il libro del chimico spagnolo Javier Pérez Castells, intitolato “Neuroni e libero arbitrio”. Una descrizione dell’attuale panorama scientifico sul tema del libero arbitrio e una conclusione: “Nessun esperimento ha mai fatto sparire la volontà e la paternità cosciente delle nostre decisioni”.

 

Insegna Chimica organica all’Università San Pablo di Madrid e il suo ultimo libro si intitola Neuroni e libero arbitrio (Digital Reasons 2019). Si chiama Javier Pérez Castells e attraverso il suo lavoro ha voluto spiegare anche alle persone meno competenti perché è falso affermare che le neuroscienze stiano minacciando il concetto popolare di libertà.

 

Decisioni semplici ed il “veto cosciente”.

Nessun esperimento ha mai fatto sparire la volontà e la paternità cosciente delle nostre decisioni, soprattutto quelle più importanti ovvero quelle complesse, prese in anticipo e strutturate all’interno di una programmazione. Anche gli esperimenti di cui si sente parlare spesso, che indagano decisioni semplici ed istantanee (come quelli di Benjamin Libet), possono avere interpretazioni differenti da quelle abitualmente date, notoriamente limitanti all’esercizio del libero arbitrio.

Ad esempio uno studio pubblicato sugli Atti dell’Accademia Nazionale delle Scienze degli Stati Uniti d’America ha ampliato ancora di più poteri del cosiddetto “veto cosciente”, ovvero la nostra capacità di intervenire sul potenziale di preparazione di un’azione. «Le decisioni di una persona non sono in balia dell’inconscio e delle onde cerebrali», si legge. «Siamo in grado di intervenire attivamente nel processo decisionale ed interrompere un movimento. In precedenza sono stati utilizzati i segnali preparatori del cervello per argomentare contro il libero arbitrio, ma il nostro studio dimostra che la libertà è molto meno limitata di quanto si pensasse».

 

Il libero arbitrio è condizionato, ma impossibile che sia un’illusione.

Il grande errore, ha spiegato il chimico spagnolo, è partire dal fatto che «tutti i nostri processi mentali, i nostri sentimenti, i nostri ricordi e i nostri pensieri, hanno una base fisica, e una buona parte dell’attività cerebrale è inconscia» e, preso atto di questo, concludere che allora «non c’è nulla oltre la meccanica delle sinapsi e che ogni decisione è sempre un processo automatico, derivato da una serie di fattori condizionanti. Avremmo così solo un’illusione di libertà».

Questa affermazione è la vera illusione. Certamente le componenti bio-personali e bio-sociali influenzano il nostro comportamento, affermare il libero arbitrio non significa sostenere che non sia in qualche modo condizionato. Parlare di “libertà assoluta” è controverso, tutte le nostre decisioni sono condizionate dalla genetica, dall’ambiente, da chi ci circonda, dall’ambiente, dal nostro stato mentale, dalla nostra educazione. Ma condizionamento non significa non essere padroni delle nostre decisioni.

Infatti, ha proseguito il prof. Pérez Castells, «vi sono segni molto chiari che supportano l’esistenza di un forte libero arbitrio. Il semplice fatto che ci sia questa “presunta illusione” che tutti noi abbiamo è uno di loro. Perché dovremmo sviluppare un meccanismo, così costoso dal punto di vista evolutivo, che ci fa illudere che siamo liberi, se non fosse reale?». Quale scopo ha, evolutivamente parlando, un meccanismo che ci illude a tal punto da farci decidere, ad esempio, di non far proseguire la nostra specie oppure di toglierci l’esistenza. Sarebbe controproducente. La migliore spiegazione è che tale libertà sia autentica.

 

“Il nostro senso intuitivo sul libero arbitrio è in sintonia con le neuroscienze”.

Il divulgatore scientifico Christian Jarrett ha spiegato che sempre più specialisti, oggi, sostengono che ciò che il panorama scientifico che proviene dalle neuroscienze «è molto più in sintonia con il nostro senso intuitivo del libero arbitrio. Tutto ciò lascia la nostra immagine di libertà in gran parte intatta».

La redazione

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Il rabbino Kronish: «basta puntare il dito contro Pio XII, è un’ossessione»

shoah silenzioPio XII e il silenzio durante l’Olocausto. Oltre al giudizio di diversi storici, riprendiamo l’intervento recente del rabbino Ron Kronish che ha invitato ad ampliare lo sguardo, a superare i pregiudizi e a riconoscere che nessuno fece abbastanza, nemmeno la comunità ebraica americana.

 

Saranno aperti l’anno prossimo gli Archivi vaticani per il pontificato di Pio XII, «la Chiesa non ha paura della storia». L’ha annunciato recentemente Papa Francesco e si è riaperta la discussione sulla prudenza o la complicità di Pacelli verso la persecuzione dei nazisti agli ebrei.

Nessun commentatore tra i tanti intervenuti ha fortunatamente ripresentato la leggenda nera e ha espressamente parlato di silenzio complice di Pio XII verso il nazismo. E’ ormai piuttosto noto che tale leggenda nacque dopo il dramma teatrale del 1963 realizzato dallo scrittore socialista (ed ex nazista) Rolf Hochhuth, intitolato Il Vicario. Il generale Ion Mihai Paceba, responsabile dei servizi segreti della Romania comunista, ha testimoniato che fu il Kgb (in particolare il generale Ivan Ivanovich Agayants) ad aver commissionato e pagato l’opera di Hochhuth per screditare le prese di posizione anticomunista di Pio XII. La campagna contro Pacelli fu poi ripresa da ex preti ed ex seminaristi avvelenati, come John Cornwell, Garry Wills e James Carroll.

Tuttavia sono ormai pubblici i tanti documenti trovati negli archivi diocesani, di conventi e monasteri con gli ordini diretti di Papa Pacelli. Come quello risalente al 1943 e rinvenuto nell’archivio della Società San Vincenzo, in cui si elencano le attività richieste dal Papa in persona: «Sollecitare i belligeranti a preservare incolume questa nostra Roma, porre i mezzi di trasporto della Santa Sede a disposizione delle autorità pubbliche per rifornire meglio Roma degli alimenti, difendere e sottrarre i perseguitati politici e anche gli israeliti dalle ricerche dei loro avversari, la carità nella cura agli sfollati e sinistrati».

 

Il giudizio degli storici su Pio XII: “Silenzio per proteggere ebrei e cattolici”.

Il professore ordinario di Storia contemporanea, Andrea Riccardi, ha spiegato che i testi più attesi negli Archivi sono proprio quelli dei nove mesi di occupazione tedesca a Roma, «perché in quel tempo il Vaticano e Pio XII ricoprirono un grande ruolo, nel senso che aiutarono migliaia di persone, ebree e non, a nascondersi, e questo fatto fu decisivo nella storia di Roma. In un certo senso fecero un “gioco” con il comando tedesco, tranquillizzandolo, e dall’altro trasformando tutti gli spazi religiosi in luogo d’asilo. E fu un gioco non solo generoso ma anche intelligente». Un giudizio simile a quello di un altro storico italiano, Franco Cardini, professore emerito alla Scuola Normale Superiore di Pisa.

Lo storico svizzero Philippe Chenaux, ordinario di Storia della Chiesa moderna e contemporanea presso l’Università Lateranense, ha spiegato: «era un silenzio doloroso e tormentato, assunto nell’interesse delle vittime – non per ragioni politiche o per antisemitismo. È chiaro che questo papa ha fatto la scelta della prudenza: ha rifiutato di denunciare esplicitamente la politica di sterminio contro gli ebrei, sperando così di non metterli ancora più in pericolo». Non solo a tutela degli ebrei, ma anche degli stessi cattolici. Lo ha spiegato David Kertzer, eminente storico della Brown University e specialista del periodo fascista italiano: Pio XII era riluttante a condannare i nazisti, non «perché era filo-nazista ma perché era ansioso di non mettere in pericolo la posizione dei cattolici nei paesi dell’Asse, che sarebbero stati discriminati dai governi nazisti».

 

Gli ebrei e i rabbini su Pio XII: “Salvò migliaia di perseguitati”.

Non sono solo gli storici ad avere un giudizio più che favorevole verso Pio XII ma anche i rabbini ebrei. Il diplomatico ebreo Pinchas Lapide, già console di Milano, ha scritto: «Pio XII fu lo strumento di salvezza di almeno 700.000, ma forse anche 860.000, ebrei che dovevano morire per mano nazista» (P. Lapide, Roma e gli ebrei, 1967). Il primo presidente di Israele, Chaim Weizmann, il rabbino capo Yitzhak HaLevi Herzog, il quarto premier d’Israele, Golda Meir: tutti ringraziarono pubblicamente Pio XII per aver salvato un gran numero di loro correligionari. Sapevano bene che una pubblica denuncia del nazismo da parte del Vaticano avrebbe reso difficile, se non impossibile, l’opera discreta di aiuto agli ebrei italiani. Il rabbino capo di Roma, Eugenio Zolli, si convertì al cattolicesimo alla fine della guerra, scegliendo il nome di battesimo “Eugenio Pio” in onore a Papa Pacelli.

 

Il rabbino: “Nemmeno gli ebrei americani fecero abbastanza, superiamo i pregiudizi”.

Nei giorni scorsi è intervenuto anche il rabbino Ron Kronish, direttore fondatore del Consiglio di Coordinamento interreligioso in Israele (ICCI). Citando il vaticanista John Allen, ha convenuto sul fatto che «il dibattito è controfattuale perché non si basa su quello che Pio XII ha fatto o non ha fatto, ma piuttosto su ciò che avrebbe dovuto fare». Il rabbino ha anche riportato il giudizio del prof. Michael Marrus, un illustre storico del’Olocausto all’Università di Toronto, ecco le sue parole: «La verità è che durante l’Olocausto nessuno ha fatto abbastanza, anche se non so cosa sia abbastanza. Penso che sia compito di tutti ora, cattolici ed ebrei, capire di più sul periodo dell’Olocausto, capire perché nessuno è stato davvero in grado di affrontare adeguatamente questa catastrofe».

A non aver fatto abbastanza, ha proseguito il rabbino Kronish è stato anche «l’ebraismo americano, e la leadership sionista dello Yishuv (stato pre-israeliano). Né Franklin Roosevelt né il governo americano dell’epoca. Neanche molti altri». Chi punta il dito contro Pio XII dovrebbe, per coerenza, accusare di “silenzio” anche tutti gli altri protagonisti dell’epoca, non escludendo la stessa comunità ebraica. Lo dice proprio il rabbino: «E’ giunto il momento per noi ebrei di andare oltre i nostri pregiudizi sui i cattolici. con i quali siamo impegnati in un dialogo serio, sostanziale e sostenuto da quasi 60 anni dalla proclamazione del Vaticano chiamata Nostra Aetate. In particolare, è ora di superare la nostra ossessione di puntare il dito contro il Papa della Seconda Guerra Mondiale come se una sua dichiarazione avrebbe impedito l’Olocausto, quando noi ebrei non abbiamo fatto altrettanto per evitare questa grande catastrofe che beffare il nostro popolo».

La redazione

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Lo studio che una femminista non ti farebbe leggere mai

figli femminismoFemministe e figli. L’età giusta per avere un figlio è attorno ai 32 anni, ancora prima se se ne vogliono di più. Rimandare , per la carriera o per altri motivi significa perdere la possibilità di essere madre, troppe donne sono state ingannate dal femminismo. La testimonianza di Lea Melandri.

 

La ricerca è di qualche anno fa ma è comunque utile come opportunità di riflessione per tutte le giovani femministe alle quali viene ancora oggi insegnato che il matrimonio andrebbe rimandato, che i figli bisogna averli dopo la carriera e in quel fantomatico momento in cui “ci si sente pronte” (ma quando ci si sente davvero pronte?), tanto si può rimanere incinte in qualunque momento.

 

Dopo i 32 anni si dimezzano le probabilità di avere figli.

Eppure New Scientist ha reso pubblico uno studio dell’Università di Rotterdam che ha calcolato che il momento migliore per iniziare ad avere un figlio è 32 anni, quando si ha il 90% di possibilità di rimanere incinte. Se si desidera più di un figlio, è meglio iniziare a 23 anni. A 35 anni, invece, le probabilità si saranno già ridotte al 50%. Si ritiene che la fertilità femminile inizi a diminuire a 30 anni, con una caduta più significativa dopo i 35 anni.

 

La diversità tra maschi e femmine, al contrario delle teorie gender.

In barba agli studi gender che sostengono l’uguaglianza e l’intercambiabilità tra maschi e femmine, anche dal punto di vista della fertilità vi sono enormi differenze tra uomini e donne. I primi, infatti, non hanno una crisi di fertilità se non dopo i 40 anni, ha spiegato Allan Pacey, professore di Andrologia all’Università di Sheffield (Regno Unito).

 

Donne ingannate dal femminismo: da Lea Melandri a Emma Bonino.

Quante donne sono state ingannate dall’ideologia femminista! Quante promesse di felicità non mantenute! Quanti rimpianti! La storica femminista Lea Melandri lo ha confessato con un po’ di amarezza: «Col femminismo l’idea di fare figli non si poneva. Non ho mai avuto l’idea della coppia, della famiglia, del matrimonio, della convivenza. Non c’era nemmeno l’idea del “faccio un figlio”, non si poneva nei termini di scelta». Al centro del pensiero femminista c’è solo l’io, il proprio ombelico, i propri diritti, le proprie rivendicazioni, le proprie battaglie, il proprio lavoro, il proprio benessere.

La scelta, prosegue Melandri, era tra «l’essere madre o l’essere donna, la madre e la donna non si integravano. Il femminismo è stato una generazione di figlie che si ribellavano alle madri, e in questo io mi sono ritrovata perfettamente, pensavo che si sarebbe aperto un cammino che sarebbe potuto durare una vita, che questo interrogativo e questa costruzione di sé come persona, come individuo, sarebbero continuati a crescere». Ancora oggi i rimasugli del femminismo, esemplificati da esempi come la bioeticista Chiara Lalli, disquisiscono sull’inesistenza di «un istinto materno, una innata e naturale competenza femminile all’accudimento». Tutte leggende, sarebbero.

Eppure è palese la tristezza di chi davvero ha creduto alle bugie femministe, come quella ben espressa da Rossana Rossanda, storica femminista e fondatrice de Il Manifesto: «Aver avuto figli? Adesso mi sentirei meno sola e sopratutto avrei la percezione di avere tramandato qualcosa di me». Purtroppo, «avevo troppo da fare», l’ideologia ha preteso tutto. «Non sono mai stata moglie, mai madre. Sola lo sono sempre. Sola intimamente, politicamente», si è lamentata invece Emma Bonino. «Piango moltissimo, da sola. Su questo divano. Mi appallottolo qui e piango».

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N.T. Wright, 7 motivi a favore della risurrezione di Cristo

risurrezione falso L’eminente specialista N.T. Wright esprime ragioni ed argomenti a favore della storicità della risurrezione di Cristo, spiegando perché non può essere stata un’invenzione nata nella società ebraica, per la quale erano totalmente inconcepibili i fatti avvenuti. Non è così che si inventa.

 

Gesù era interamente ebreo. Molti critici del cristianesimo storico sottolineano spesso questo dato, certamente corretto, pensando in qualche modo di smentire la “cristianità” di Gesù o la sua intenzione di creare altro al di fuori di un ebraismo rinnovato.

Eppure, è proprio amplificando la stretta appartenenza di Gesù e dei suoi discepoli all’ebraismo che diventa ancora più impossibile che un evento come la risurrezione possa essere stato inventato. E’ questo il tema di una interessante conferenza tenuta nel 2007 da uno dei principali studiosi del Nuovo Testamento del mondo anglosassone: N.T. Wright. Vescovo anglicano, già docente all’Università di Cambridge e Oxford, è autore di oltre 40 testi specialistici.

 

La concezione dell’antico ebraismo su morte e risurrezione.

Il prof. Wright sostiene sinteticamente che la risurrezione non può essere stata un mito inventato dalla prima comunità cristiana perché l’idea del Messia che muore e risorge fisicamente alla vita eterna era completamente inaspettata nella teologia ebraica. E’ un fatto accertato nella comunità scientifica, come attestato dall’eminente Joachim Jeremias (Università di Gottinga): «Nell’antico ebraismo non esisteva l’attesa di una risurrezione come un evento della storia. Certamente erano conosciute le risurrezioni dei morti, ma queste erano semplicemente rianimazioni per il ritorno alla vita terrena. Da nessuna parte nella letteratura giudaica si trova qualcosa di paragonabile alla risurrezione di Gesù» (J. Jeremias, Die älteste Schicht der Osterüberlieferungen, in Resurrexit, Libreria Editrice Vaticana 1974, p. 194).

Nell’antico giudaismo era inconcepibile, allora, il concetto di una singola risurrezione corporea, definitiva, prima della risurrezione generale di tutti i giusti nel giorno del giudizio. Eppure, se si osserva l’evoluzione della teologia nella società ebraica si scoprirà la sua radicale mutazione riguardo alla possibilità di risorgere dai morti, proprio in seguito ai fatti avvenuti all’ebreo Gesù nel I° secolo. «Queste mutazioni» nell’ebraismo, ha spiegato Wright, «sono così straordinarie, in un’area teologico-politica in cui le società tendono ad essere molto conservatrici, tanto che costringono lo storico a chiedersi: perché si sono verificate?».

 

7 mutazioni teologiche nella società ebraica.

Vi si possono contare ben 7 mutazioni fondamentali nella società antica in seguito alla risurrezione di Cristo.

1) La teologia sull’aldilà si trasforma da più punti di vista (giudaismo) ad un’unica visione: la risurrezione (cristianesimo). Nel giorno del giudizio, i giusti riceveranno nuovi corpi di risurrezione, identici al corpo di risurrezione di Gesù.

2) L’importanza relativa della dottrina della risurrezione passa dall’essere periferica (teologia ebraica) all’essere centrale (teologia cristiana).

3) L’idea di come avviene la risurrezione passa da avere più punti di vista (giudaismo) ad un’unica visione: un corpo incorruttibile, orientato spiritualmente, composto nella forma del precedente corpo corruttibile (cristianesimo).

4) I tempi della risurrezione cambiano: dal giorno del Giudizio universale (giudaismo) ad una divisione tra la risurrezione del Messia in questo momento e la risurrezione del resto dei giusti nel giorno del giudizio (cristianesimo)

5) Compare una nuova visione dell’escatologia come collaborazione con Dio per trasformare il mondo.

6) Compare un nuovo concetto metaforico di resurrezione, indicato come “rinascita”.

7) Viene all’esistenza una nuova concezione di resurrezione del Messia, così tanto atteso nel mondo dell’Antico Testamento. Il Messia, nella convinzione ebraica antica, non avrebbe mai dovuto morire e certamente mai avrebbe dovuto risorgere dai morti in un corpo risorto! Sebbene vi fossero molti pretendenti Messia in scena in quel momento storico, ogni volta che uno di loro veniva ucciso i loro seguaci lo abbandonavano perché era il momento in cui si comprendeva chiaramente che non poteva essere il vero Messia. In un primo momento accadde anche con Gesù, poi però qualcosa convinse i discepoli a non abbandonarlo e a morire per affermare quel che videro.

 

Non è così che si inventa: chi si aspettavano di convincere i discepoli?

Occorre anche tenere in considerazione che se la prima comunità cristiana avesse voluto comunicare che Gesù era speciale, nonostante la sua vergognosa morte sulla croce, avrebbe inventato una storia teologicamente comprensibile ai loro contemporanei, usando l’esistente concetto ebraico di esaltazione. Applicare il concetto di resurrezione fisica ad un Messia morto sarebbe stata una scelta folle per convincere la teologia e la società ebraica che Gesù era realmente il Messia da sempre atteso.

Nella sua lezione, N.T. Wright indica anche che nel Vangelo più antico, quello di Marco, non appare nessun abbellimento e nessuna “teologia storicizzata” nel raccontare gli eventi finali della vita di Gesù. Un’invenzione avrebbe necessariamente incluso connessioni con noti concetti teologici -come avviene in qualche teofania descritta nel Vangelo di Giovanni-, invece la narrazione è cruda: Gesù muore di morte pubblica, le persone lo incontrano nuovamente vivo. Se invece si leggono i vangeli apocrifi e gli scritti gnostici, si noterà immediatamente come i racconti siano pieni di abbellimenti leggendari ed evidentemente fantasiosi (croci che parlano, gruppi di angeli che cantano ecc.).

 

Non c’è migliore spiegazione alternativa a quanto scrivono i Vangeli.

E’ per questi (e altri elementi) che l’eminente studioso arriva a concludere che la migliore spiegazione di tutto questo e di tutti i cambiamenti teologici più sopra elencati, è che i Vangeli vanno presi sul serio. Dio ha realmente resuscitato Gesù (corporalmente) dai morti. Semplicemente non c’è una spiegazione alternativa migliore, nessuno è mai riuscito a spiegare come la prima comunità cristiana possa aver inventato qualcosa di incomprensibile anche per loro stessi -come una singola resurrezione e, per di più, di un Messia che non avrebbe mai dovuto morire- e poi riuscire con enorme successo a convincere se stessi e i loro contemporanei. «Affermare che il Messia era tornato in vita, semplicemente non era un’opzione ragionevole. A meno che, naturalmente, fosse accaduto davvero così».

 

Qui sotto la lezione (in lingua inglese) tenuta da N.T. Wright il 16/03/07.

La redazione

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Boom di vocazioni, le domenicane aprono un nuovo convento

boom vocazioniAumento costante delle vocazioni, così le suore domenicane di An Arbor (Michigan) si trasferiscono in Texas. Anche in Inghilterra, secondo un’indagine, vi sono varie e fiorenti congregazioni di religiose. Una positiva eccezione rispetto ai dati emersi nel recente Annuario Pontificio.

 

Secondo l’Annuario Pontificio 2019 appena pubblicato, continua la crescita dei cattolici nel mondo. Attualmente sono 1 miliardo e 313 milioni, pari al 17,7% della popolazione mondiale. Tuttavia, dal 2010 si è verificata per la prima volta una diminuzione del numero dei sacerdoti, passati da 414.969 nel 2016 a 414.582 nel 2017.

 

140 religiose, serve un nuovo convento.

Vi sono però alcune realtà che rappresentano una positiva eccezione. Ad esempio, le suore domenicane statunitensi, che in questi mesi stanno affrontando un problema. In seguito ad un boom di vocazioni giovanili la comunità è infatti arrivata a contare 140 religiose, così hanno dovuto lasciare il loro storico convento di Ann Arbor, nel Michigan, dove si erano stabilite nel 1997.

Dopo una ponderata scelta, avendo già due conventi in California e in Texas, le sorelle hanno scelto di aprire un nuovo convento a Georgetown, a venticinque miglia a nord di Austin (Texas). Si impegneranno, come sempre, nell’insegnamento delle scuole cattoliche.

«Man mano che la nostra presenza è cresciuta costantemente», hanno riferito le suore domenicane, «il nostro apostolato è fiorito, permettendoci di espandere il lavoro a cui Dio ci ha chiamato, lodare, benedire e predicare attraverso la catechesi, l’evangelizzazione e la testimonianza».

 

Comunità fiorenti in Inghilterra: “Hanno preso sul serio il Vaticano II”.

Secondo un’inchiesta del Catholic Herald, principale settimanale cattolico britannico, sono molti gli ordini religiosi femminili che stanno a loro volta letteralmente “esplodendo” di nuove vocazioni. Anche le religiose appartenenti alla comunità di Nostra Signora di Walsingham, ad esempio, hanno recentemente dovuto acquistare un nuovo noviziato per far fronte ai nuovi ingressi. Altre comunità fiorenti in Inghilterra sono le suore domenicane di San Giuseppe a Lymington (Hampshire), le sorelle di Maria Stella del Mattino a Grayshott (Hampshire) e le Suore Francescane del Rinnovamento a Leeds (Yorkshire).

La giornalista e storica Joanna Bogle ha visitato queste ed altre comunità, sottolineando alcune caratteristiche comuni. Ad esempio la comunione dei beni, l’unità nella quotidianità, la Messa come fulcro della giornata, l’assenza della televisione, la volontà di concentrarsi nell’aiuto alle famiglie e all’evangelizzazione dei giovani (piuttosto che l’insegnamento nelle scuole), attraverso ritiri spirituali ed attività extrascolastiche. Tutte queste fiorenti congregazioni, si legge, «prendono sul serio la richiesta del Concilio Vaticano II di un autentico rinnovamento che risponda ai bisogni specifici del nostro tempo».

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Triptorelina: fake news de la NBQ, che tace su responsabilità del governo

la nbq cascioli“Il Vaticano apre a farmaco blocca-pubertà”. E’ l’ultima fake news de “La Nuova Bussola Quotidiana”. Il tentativo del Comitato Nazionale di Bioetica di frenare l’uso del farmaco liberalizzato dall’Aifa è fatto passare in una sponsorizzazione della Triptorelina da parte della Santa Sede. Un’operazione che la bioeticista Laura Palazzani ha definito «strumentalizzazione e manipolazione indebita».

 

Meglio colpire la Chiesa che criticare l’attuale governo a trazione leghista. Sembra questa la linea editoriale del sito web tradizionalista La Nuova Bussola Quotidiana. Tra antievoluzionismo e libertà vaccinale, il portale si è trasformato in una fonte controversa di notizie.

L’ultima è aver attribuito nientemeno che al Vaticano la volontà di introdurre in Italia la Triptorelina, un farmaco che blocca la pubertà ai minori affetti da distrofia di genere. Già il titolo dice tutto: “Vaticano apre a farmaco blocca-pubertà. Così tradisce la Chiesa”. Al centro della questione è la strumentalizzazione di un’intervista apparsa su Vatican News alla bioeticista Laura Palazzani, vicepresidente del Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB) e membro corrispondente della Pontificia Accademia per la Vita.

 

Il tentativo di frenare l’uso del farmaco della bioeticista Laura Palazzani.

La bioeticista ha commentato la decisione dell’Agenzia del Farmaco (Aifa) di introdurre in Italia, a carico del servizio sanitario nazionale, la Triptorelina. Parlando a nome del CNB, ha spiegato che «in verità il problema rilevante sul piano etico non è la rimborsabilità», cioè il fatto che il farmaco sarà spesato dal servizio sanitario, e data «la gravità della questione» il CNB ha formulato alcune raccomandazioni all’Aifa. Innanzitutto, ha spiegato, si è suggerito «di consentire l’uso di questo farmaco solo in casi molto circoscritti, con prudenza, con una valutazione caso per caso». Il trattamento dovrebbe essere somministrato solo per il tempo necessario utile a «impedire ai ragazzi, che vedono il loro corpo svilupparsi nella direzione da loro non desiderata – a causa della disforia di genere – di evitare atti irreversibili», come autolesionismo o tentativi di suicidio, così da «aprire una finestra temporale, aiutare la diagnosi e trovare le forme più opportune di accompagnamento del minore».

E’ evidente come il CNB, di fronte alla liberalizzazione del farmaco da parte dell’Aifa, abbia tentato di frenarne l’utilizzo consigliandone un uso molto limitato e solo per il tempo utile a trovare la disponibilità nel minore a farsi aiutare in altri modi, magari a livello psicologico. Certamente avrebbero dovuto a sconsigliarne del tutto l’utilizzo (come richiesto da Assuntina Morresi, membro del CNB), ma è una decisione interna del Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB) e andrebbe eventualmente criticata come tale come giustamente è stato fatto da Scienza e Vita e dal Centro Studi Livatino.

 

La strumentalizzazione de “La Nuova Bussola Quotidiana”.

La Nuova Bussola Quotidiana ha però incredibilmente pensato di strumentalizzare l’intervista al vicepresidente del CNB per sostenere che sia stato il Vaticano a sponsorizzare il farmaco blocca-pubertà. Censurando completamente il fatto che la bioeticista Palazzani è vicepresidente del Comitato Nazionale per la Bioetica, che la Pontificia Accademia per la Vita (il Vaticano o la Chiesa cattolica) non si pronuncia pubblicamente o ufficialmente tramite un membro corrispondente che dice di parlare a nome del Comitato Nazionale di Bioetica, che il quotidiano dei vescovi italiani, Avvenire, è intervenuto più volte contro tale farmaco. Si è invece sottolineato ampiamente che è membro corrispondente della Pontificia Accademia per la Vita, che insegna in università cattoliche (e quindi avrebbe «autorevolezza ecclesiastica») e che la sua intervista è apparsa su Vatican News, ecco fatto facilmente il collegamento! Il Vaticano -da leggere: Papa Francesco- avvalla il farmaco che blocca la pubertà ai minori!

L’articolista ha magicamente trasformato un tentativo della biotecista del CNB di frenare l’utilizzo del farmaco liberalizzato dall’Aifa in una sponsorizzazione della Triptorelina da parte della Santa Sede, così da poterla condannare di aver «rovesciato l’antropologia cattolica». Oltretutto, non citando quasi per nulla le dichiarazioni della Palazzani. Da noi contattata, la bioeticista ha definito l’operazione diffamatoria de la NBQ come «strumentalizzazione e manipolazione indebita e non informata». Ha inoltre rimandato al comunicato stampa comparso sul sito web del Comitato Nazionale per la Bioetica. Non sono escluse conseguenze legali.

 

Le colpe anche del governo giallo-verde, meglio però gettare fango sulla Chiesa.

La scelta della Nuova Bussola Quotidiana di trovare il colpevole nella Chiesa è ancora più maliziosa se si ragiona sul fatto che chi aveva davvero la possibilità di impedire l’apertura alla Triptorelina da parte dell’Agenzia del farmaco -ente governativo-, era l’attuale governo giallo-verde. Lo ha spiegato Eugenia Roccella, già sottosegretario al Ministero della salute: «Si dirà, ma non si poteva fare nulla, governo e parlamento non c’entrano, l’Aifa (ente governativo di autorizzazione e regolazione dei farmaci) è autonoma. Non è così. Ministero e parlamento potevano fare molto per impedire quello che è avvenuto». Anche Gaetano Quagliarello ha giustamente osservato che negli anni passati «il governo di centrodestra riuscì ad arginare il dilagare della pillola abortiva RU486», sponsorizzata sempre dall’Aifa. «Oggi, evidentemente si è ritenuto che il gender dispensato dalla Asl fosse cosa buona e giusta. La Lega e il Movimento 5 Stelle hanno provato ad anestetizzare la distanza che li separa su questo terreno inserendo nel contratto di governo una sorta di “moratoria” in materia. Fin dall’inizio, tuttavia, facemmo sommessamente notare che l’anestesia sarebbe servita a poco. La già debolissima diga ha ceduto fino al punto di lasciar andare in gazzetta ufficiale il gender di Stato».

Anche Assuntina Morresi, membro del Comitato Nazionale di Bioetica, ha precisato: «Il Ministero della Salute sicuramente poteva intervenire prima, era a conoscenza di quanto stava succedendo, e comunque potrebbe ancora prendere iniziativa. Con un governo non particolarmente sensibile a certi temi, come quello della scorsa legislatura, quando in Europa è stato tolto l’obbligo di ricetta per la pillola dei cinque giorni dopo, il ministro Lorenzin chiese comunque un parere a riguardo al Consiglio superiore di sanità». Eppure individuare la responsabilità nel governo avrebbe voluto, per la ultra-politicizzata Bussola Quotidiana, macchiare il mantello di Matteo Salvini. Molto meglio, in tale articolo, gettare fango sulla Chiesa, magari con la speranza che qualche schizzo arrivi, perché no, perfino a Papa Francesco.

 

Aggiornamento 12 marzo 2019
In data odierna il direttore de la Nuova Bussola Quotidiana, Riccardo Cascioli, infastidito da questo articolo, ha ribadito la strumentalizzazione della vicenda ai danni del Vaticano. Purtroppo per lui del caso hanno iniziato ad occuparsene anche gli specialisti delle bufale, che hanno scritto: «La news relativa alla Triptorelina, un “farmaco per cambiare sesso” approvato dal Vaticano è naturalmente, un caso da manuale di disinformazione, se non una bufala. Il Vaticano la vuole! Il Papa ci cambia sesso ai bambini!». Ed invece, dopo aver approfondito, «niente di sordido, niente di perverso, e nessun legame tra Triptorelina e Vaticano. Nulla da vedere, nulla da guardare, ancora e sempre disinformazione e bufale».

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Einstein e l’ultima lettera in cui parla di Dio

michele besso einsteinAlbert Einstein e Dio. Cinque anni prima di morire la lettera al suo amico italiano Michele Besso, ebreo convertito al cristianesimo. Per la prima volta si riferì a Dio dandogli del “lui”, un inedito nella sua vita.

 
 
 

Sono 110 le pagine manoscritte svelate per la prima volta dall’Università ebraica di Gerusalemme, in occasione del 140esimo anniversario della nascita di Albert Einstein.

Si tratta di fogli, riflessioni sulla vita, la morte, la religione e studi scientifici rimasti finora inediti nei quali emergono riflessioni anche un po’ ingenue sulla situazione politica della Germania.

Nel 1935 Einstein scrisse, ad esempio, al figlio Hans: «Ritengo che anche in Germania, le cose stanno lentamente cominciando a cambiare. Speriamo solo che non ci sia una guerra in Europa prima». Non immaginava ancora cosa sarebbe accaduto.

«Possiamo dire che Einstein prevedesse assai meglio la scienza della politica», ha commentato il direttore dell’Einstein Archive, Roni Grosz.

Tra le lettere ce n’è anche una indirizzata al suo caro amico Michele Besso, ebreo come Einstein ma convertito al cristianesimo.

Nello scritto, il padre della relatività lo rassicura -con un filo di ironia- sostenendo che non sarebbe «andato all’inferno», anche se non era stato «battezzato».

 

Einstein, il nazismo e l’avvicinamento alla religione.

Poi la guerra arrivò realmente, l’ascesa del comunismo e del Nazismo antiebraico e anticristiano allontaneranno Einstein dal panteismo per avvicinarlo alle sue origini spirituali, come da lui stesso riconosciuto: «L’imbarbarimento dei modi della politica del tempo nostro», è connesso all’indebolimento del «sentimento religioso dei popoli nei tempi moderni»1A. Einstein, Pensieri, idee, opinioni, Newton 2004, p. 22.

Il filosofo della scienza Paolo Musso, docente all’Università dell’Insubria, ha rilevato un «progressivo spostamento del baricentro della spiritualità einsteniana verso le grandi religioni storiche e in particolare verso la tradizione ebraico-cristiana» che giunge, «in alcuni momenti, addirittura a suggerire la necessità di una qualche sorta di rivelazione per fondare i valori morali e religiosi»2P. Musso, La scienza e l’idea di ragione. Scienza, filosofia e religione da Galileo ai buchi neri e oltre, Mimesis 2001, p. 471, 472.

E’ l’inizio della terza fase della vita di Albert Einstein, alla quale abbiamo dedicato un apposito dossier.

Una parte poco divulgata della sua esistenza, eppure reale. Nell’aprile 1938, a circa 60 anni, il fisico tedesco scrive: «Essere ebreo significa anzitutto accettare e seguire nella pratica quei fondamenti di umanità proposti nella Bibbia, fondamenti senza i quali nessuna sana e felice comunità di uomini può esistere»3citato in A. Pais, Einstein è vissuto qui, Bollati Boringhieri 1995, p. 243.

Un anno dopo, il 19 maggio 1939, Einstein ammonisce «un ritorno a una nazione nel senso politico del termine equivarrebbe all’allontanamento della nostra comunità dalla spiritualizzazione di cui siamo debitori al genio dei nostri profeti»4A. Einstein, Pensieri, idee, opinioni, Newton 2004, p. 223. In quegli anni si moltiplicano nei suoi discorsi pubblici i riferimenti biblici ed evangelici.

Sempre nel 1939, in coincidenza con lo scoppio con la seconda guerra, Einstein afferma:

«In passato eravamo perseguitati malgrado fossimo il popolo della Bibbia; oggi, invece, siamo perseguitati proprio perché siamo il popolo del Libro. Lo scopo non è solo sterminare noi, ma insieme a noi distruggere anche quello spirito, espresso nella Bibbia e nel Cristianesimo, che rese possibile l’avvento della civiltà nell’Europa centrale e settentrionale. Se questo obiettivo verrà conseguito, l’Europa diverrà terra desolata. Perché la vita della società umana non può durare a lungo se si fonda sulla forza bruta, sulla violenza, sul terrore e sull’odio»5A. Einstein, Pensieri, idee, opinioni, Newton 2004, p. 26.

 

Einstein e la lettera su Dio poco prima della morte.

Il suo biografo più autorevole, Walter Isaacson, scrisse: «Per tutta la vita respinse l’accusa di essere ateo»6W. Isaacson, Einstein. La sua vita, il suo universo, Mondadori 2008, p. 376.

Occorre tuttavia ricordare che il fisico tedesco rimarrà sempre lontano dall’idea di un Dio personale, come quello ebraico o cristiano. A volte respingendo tale fede con durezza. Anche se, come abbiamo visto, qualcosa cambiò in lui verso la fine della sua vita.

Cinque anni prima di morire, Einstein scrisse qualcosa di inedito proprio al suo amico italiano, cristiano convertito, Michele Besso.

Per la prima volta si riferì a Dio dandogli del “lui”, contornando così una precisa fisionomia e contraddicendo la visione spinoziana ed il suo costante rifiuto ad un Dio antropomorfico.

In una lettera datata 15 aprile 1950, si legge infatti: «C’è una cosa che ho imparato nel corso della lunga vita: è diabolicamente difficile avvicinarsi a “Lui”, se non si vuole rimanere in superficie».

 

Per maggiori dettagli consigliamo il nostro dossier di approfondimento sulla visione metafisica di Albert Einstein.

La redazione

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8 marzo, le donne celebrano la liberazione dal femminismo

festa della donna8 marzo 2019, festa della donna. Ma sempre meno si dichiarano femministe e incitano alla liberazione dal femminismo per riappropriarsi dei diritti delle donne, danneggiati dalle organizzazioni fondamentaliste che incitano alla guerra tra i sessi e combattono la famiglia naturale.

 

«Fiera di essere donna e non femminista». Lo scrive Laura Tecce, giornalista professionista ed esperta di tematiche femminili. Lo fa a conclusione di una critica serrata al manifesto della rete femminista Non Una di Meno che ha proposto uno «sciopero delle donne», a cui non ha aderito praticamente nessuno.

Lo sciopero era accompagnato da un comunicato delirante e sessantottino, nel quale si annunciava la guerra al «capitalismo, al sistema patriarcale, alla lotta contro la libertà di abortire», con la novità -rispetto a cinquant’anni fa- della coalizione tra femministe e «alle soggettività LGBPT*QIA+, per difendere le politiche contro donne, lesbiche, trans* e la difesa della famiglia patriarcale». Insomma, tutto in un unico calderone: «padri, padroni, governi e chiese».

Il commento della Tecce è duro:

«Isterismo, le nuove “streghe” sono gli uomini potenziali stupratori ed esaltazione delle “gender theories” secondo cui l’appartenenza sessuale è una sovrastruttura culturale: non esistono maschi e femmine ma generi “fluidi”, per questo le neo-femministe fanno largo uso dei simboli @ e *. E’ evidente quanto tutto questo ciò sia molto lontano dalle conquiste che si devono (anche) ai movimenti originari. Si autointestano la titolarità di parlare a nome di tutte le donne per avanzare un potpurri di temi slegati tra loro, un delirio senza capo né coda in cui si mescolano slogan, inesattezze, sterili polemiche, odio ad personam e furore ideologico. Fiera di essere donna e non femminista».

 

Meno della metà delle donne europee si dichiara “femminista”.

Qualche settimana fa la BBC si è stupita di quante poche donne, nel 2019 e ai tempi del #MeToo, si riconoscono affatto nella causa femminista. Secondo diversi sondaggi, infatti, solo il 34% delle donne nel Regno Unito si definisce femminista, in Svezia il 40%, in Francia il 33%, in Norvegia il 29%, in Danimarca il 22%, in Finlandia il 17%, in Germania l’8%. La colpa sarebbe di vecchi stereotipi che «associano il termine “femminismo” con l’odio nei confronti degli uomini, l’essere lesbiche e la mancanza di femminilità».

Sicuramente a non essere femminista è Jennifer Christie, colpevole di aver voluto portare a termine la gravidanza in seguito ad uno stupro. Ne avevamo parlato un anno fa. Jennifer ha raccontato la sua drammatica storia in un breve video, visto da oltre 1,4 milioni di persone, nel quale spiega che guardando suo figlio «ricorda come l’amore è sempre più forte dell’odio». Molte persone l’hanno spinta ad abortire, ma ha rifiutato e ha risposto chiedendo di non usare il tema dello stupro «come uno stendardo dietro cui nascondersi per giustificare il genocidio degli innocenti». Parole che l’hanno immediatamente condannata ad una pioggia di insulti da parte di femmniste e attiviste pro-aborto.

Occorre tuttavia spezzare una lancia a favore delle attiviste statunitensi ed europee, in quanto hanno intuito -al contrario delle italiane- che il movimento LGBPT*QIA+ è un danno alla loro causa ed infatti condannano con sempre maggior vigore le pretese “femminili” dei maschi trans. Qualche tempo fa è stata proprio la Women’s Liberation Front, un’organizzazione femminista radicale, a denunciare gli orrori che le donne sperimentano nelle cliniche transgender, oltre a rivelare gli abusi subiti dalle lesbiche quando si oppongono pubblicamente all’ideologia dell’identità di genere.

 

La filosofa Levet: “Io dico di liberarci dal femminismo”.

Ma ha ancora senso, oggi, dirsi femministe? La filosofa francese Bérénice Levet, collaboratrice di Alain Finkielkraut, ritiene che la vera liberazione è da quella «ideologia “infantilizzante”, “puritana”, che sta criminalizzando il desiderio maschile. Il femminismo che trionfa esalta ed esacerba l’identità delle donne e vede le donne come una comunità separata cementata da questa comune appartenenza al sesso, in una sorta di faccia a faccia con gli uomini».

Anche lei, come gran parte delle europee, come Laura Tecce, arriva ad un’unica conclusione: «Un neofemminismo che è allo stesso tempo muto sui diritti delle donne ad esempio nell’islam, per non offendere le minoranze. Questo femminismo è una minaccia perché gode di legittimità ideologica, e lo abbiamo visto con il #MeToo, a livello internazionale: è il piccolo libro rosso dei media, delle élite politiche, culturali in tutto il mondo, è l’ultima grande storia per gli orfani di sinistra, ciò che resta ai progressisti. Io dico di liberarci dal femminismo, perché è una scuola di cecità, nasconde il reale, piuttosto che rivelarlo».

 

Due Femen condannate per profanazione di una chiesa.

Un’altra buona notizia in occasione della Festa della donna arriva dalla Spagna. Il Tribunale Provinciale di Madrid ha condannato due attiviste del gruppo femminista Femen per essersi incatenate nude all’altare di una chiesa in polemica con la visione della Chiesa contraria all’aborto. Le due attiviste dovranno pagare una multa di 2.160 euro per crimine di “profanazione”.

La redazione

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