Dacia Maraini, una femminista con tanti pregiudizi

Dacia MarainiAbbiamo parlato recentemente della scrittrice Dacia Maraini in occasione della pubblicazione del suo ultimo libro, dove si è inventata una Santa Chiara femminista e anticlericale.

Torniamo a parlarne a causa di un articolo sul “Corriere della Sera”. Nel solito pippone tardo-femminista sull’anacronistica festa dell’8 marzo, la 77enne femminista –definita da alcuni media “icona della sinistra più becera e fanatica”- ha spiegato che negli USA nessuno si fila questa data, considerata un’ossessione europea. Si lamenta del fatto che nell’America di Barack Obama sta «avanzando una nuova e preoccupante misoginia», fatta di «rutilanti e anonimi insulti verso chi chiede maggiore uguaglianza». Dopo aver sorprendentemente celebrato le «università private» -la maggior parte, suo malgrado, di tipo confessionale– come isole di vero progresso, non poteva risparmiarsi un attacco all’odiata Chiesa cattolica, definendola «immobilista e misogina per tradizione».

La Maraini è una scrittrice non certo una studiosa, altrimenti conoscerebbe gli studi del Henry Chadwick, storico della Chiesa dell’Università di Cambridge, secondo cui «il cristianesimo sembra aver riscosso un successo speciale fra le donne. E’ stato spesso attraverso le mogli che esso ha raggiuntole classi elevate nei primi tempi» (H. Chadwkic, “The Early Church”, Penguin Books 1967, p. 56). Ma perché questa sproporzione numerica di donne rispetto agli uomini, che permane ancora oggi nel mondo cattolico? Rodney Stark, tra i più celebri sociologi della religione viventi, lo ha spiegato così: «Perché il cristianesimo offriva loro una vita enormemente superiore a quella che avrebbero altrimenti condotto» (R. Stark, “Il trionfo del cristianesimo”, Lindau 2012, p. 162)

La Chiesa cattolica (la Chiesa stessa ha un articolo femminile perché –come spiegato da Papa Francesco- «la Chiesa è donna, è madre», è la sposa di Cristo) contribuì infatti a redimere il valore della donna rispetto al passato, ad esempio grazie alla nuova e radicale posizione su alcuni aspetti della vita sociale: perché il matrimonio fosse valido davanti a Dio il volere della donna doveva essere sincero. Il laicissimo storico del medioevo, Jacques Le Goff, ha ricordato: «Credo che tale rispetto della donna sia una delle grandi innovazioni del cristianesimo; pensiamo alla riflessione che la Chiesa ha condotto sulla coppia e sul matrimonio, fino a giungere alla creazione di tale istituzione, ora tipicamente cristiana e, cosa fondamentale, un atto che non può realizzarsi se non con il pieno accordo dei due adulti coinvolti […] Il matrimonio diventa impossibile senza l’accordo dello sposo e della sposa, dell’uomo e della donna: la donna non può essere data in matrimonio senza il suo consenso, essa deve dire sì».

Non solo, ricordiamo la proibizione dell’adulterio anche per il marito, il rispetto della vedovanza delle donne e della loro eventuale infertilità, non più vista come malattia. Proprio recentemente il prof. Miguel Gotor, docente di Storia moderna presso l’Università di Torino, ha spiegato che i cristiani «hanno prevalentemente costruito un modello cognatizio che consente il trasferimento della parentela e della relativa eredità in ugual misura sia ai maschi sia alle femmine». Tali relazioni «proprie del cristianesimo hanno favorito una progressiva parità tra uomo e donna».

Per chi volesse approfondire è possibile consultare il nostro dossier storico su questo tema. La Chiesa cattolica tradizionalmente ha favorito la parità tra gli uomini e tra l’uomo e la donna, le femministe dovrebbero iniziare a studiare, non è mai tardi anche ad una certa età, e mettere da parte i pregiudizi sessisti.

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La propaganda laica del dittatore Stalin

Unione sovieticaE’ davvero un peccato continuare a leggere sul web attacchi alla religione, in particolare quella cristiana, basati sulla sofferenza che essa avrebbe prodotto nella storia. Certo molti uomini cristiani hanno commesso gravissimi errori ma, come ha spiegato Benedetto XVI, «è assolutamente chiaro che questo è stato un utilizzo abusivo della fede cristiana, in evidente contrasto con la sua vera natura».

Anche Papa Francesco ha polemizzato contro questo approccio ideologico alla storia cristiana, spiegando che purtroppo sui giornali non appaiono «le notizie di quello che fanno tanti sacerdoti, tanti preti in tante parrocchie di città e di campagna, tanta carità che fanno, tanto lavoro che fanno per portare avanti il loro popolo. Fa più rumore un albero che cade, che una foresta che cresce». La storia cristiana è costellata di opere di carità, di missionarità, di aiuto e di fraternità. Non volerla vedere è un’operazione demagogica e scorretta.

Inoltre, certi organi ateo-anticlericali, prima di accusare il cristianesimo dovrebbero ripensare a quanto è avvenuto nel Novecento, il cosiddetto “secolo ateo” in quanto quasi tutte le dittature comuniste che hanno tiranneggiato in quel periodo hanno adottato l’ateismo come religione ufficiali di Stato. L’esempio più classico è l’Unione Sovietica. Dagli archivi sovietici è emerso che «l’Unione Sovietica fu il primo stato ad avere come obiettivo ideologico l’eliminazione della religione. A questo scopo, il regime comunista confiscò i beni della Chiesa, mise in ridicolo la religione, molestò i credenti e propagò l’ateismo nelle scuole. Negli anni 1920 e 1930 quasi tutti i sacerdoti ortodossi e molti fedeli furono fucilati o inviati nei campi di lavoro, le scuole teologiche vennero chiuse e rimasero aperte solo 500 su oltre 50.000».

Uno studio peer-reviewed pubblicato da Crispin Paine della University College di Londra, ha a sua volta concluso che «la propaganda atea e la lotta contro la religione è cominciato appena i bolscevichi presero il potere nel 1917. Il 1920 ha visto la chiusura di innumerevoli chiese e sinagoghe (e moschee, in misura minore) e la persecuzione attiva del clero e vessazioni nei confronti dei credenti».

In un articolo del sito web comunista “In defence of Marxism” si legge: «A partire dal 1929 le chiese sono state forzatamente chiuse e i sacerdoti arrestati ed esiliati in tutta l’Unione Sovietica. Stalin e il suo governo non avevano paura di rafforzare il fanatismo religioso ferendo i sentimenti dei credenti, così come fecero Lenin e Trotsky. La società di atei militanti, sotto gli ordini di Stalin, emise il 15 maggio 1932, il “Piano quinquennale di ateismo” in cui si progettava che “non una sola casa di preghiera avrebbe dovuto rimanere nel territorio di l’URSS e il concetto stesso di Dio avrebbe dovuto essere bandito dall’Unione Sovietica come una sopravvivenza del Medioevo e uno strumento per l’oppressione delle masse lavoratrici».

Forse è per questo che il compianto cardinale Carlo Maria Martini, sempre celebrato per la sua “apertura” verso i non credenti, ha affermato durante una visita a Leningrado: «Ogni volta che si è rifiutato Dio, se ne è perso o sminuito il senso o lo si è presentato in modo scorretto, ci si è incamminati verso forme più o meno larvate di decadenza dell’uomo e della stessa convivenza sociale» (citato in U. Folena, «Russi, l’Europa vi aspetta», Avvenire, 17 giugno 1988, p. 8).

La redazione

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La figura del padre è essenziale e non sostituibile

famigliaOggi è la festa del papà perché è la festa di san Giuseppe, il padre di Gesù. Auguri a tutti i papà e a tutti coloro che portano questo nome tanto importante (tra cui il caro Joseph Ratzinger). Una festa che a breve sarà certamente vietata in quanto, secondo la nuova ideologia del genitore 1 e 2, discrimina chi non è papà o non potrà mai esserlo.

L’abolizione della festa è sostenuta affermando che privare un bambino del padre (o della madre), magari affidandolo ad una coppia dello stesso sesso, sarebbe totalmente ininfluente per lui. Il padre non serve a nulla, è semplicemente un incidente sociale, una necessità iniziale come ci hanno insegnato le femministe dal ’68 in poi, e può benissimo essere sostituito da una donna (anch’essa, dicono, non ha nulla di speciale e può benissimo essere sostituita da un uomo che finge di essere la mamma).

Se questa è la teoria, fortunatamente la ricerca medico-scientifica continua a dimostrare il contrario. Su Psychological Medicine è stato infatti rilevato qualche tempo fa che, su un campione di 5631 soggetti, le ragazze i cui padri erano assenti durante i primi cinque anni di vita avevano più probabilità, rispetto alle ragazze i cui padri erano stati presenti, di sviluppare sintomi depressivi. Altri studi, invece, hanno sottolineato che i bambini cresciuti senza padre hanno cinque volte più probabilità di: essere poveri (US Census Bureau, Children’s Living Arrangements and Characteristics: March 2002, P20-547, Table C8); avere un rischio fortemente maggiore di assumere droghe e alcol (“The relationship Between Family Variables and Adolescent Substance Abuse: A literature Review”, Adolescence 114 (1994): 475-495); avere problemi di salute fisica e mentale (Hong, Gong-Soog and Shelly L. White-Means. “Do Working Mothers Have Healthy Children?” Journal of Family and Economic Issues 14 (Summer 1993): 163-186), avere minore capacità di apprendimento, eccetera.

I problemi dei bambini cresciuti in famiglie monoparentali sono un dato di fatto ormai, grazie alla mole di letteratura scientifica presente. Tuttavia, si sostiene che le coppie di sole donne colmerebbero l’assenza del padre e queste problematiche non sarebbero da riferirsi a chi cresce con due genitori (ovviamente almeno uno non biologico) dello stesso sesso. Eppure la posizione della psicoanalisi e del laico Sigmund Freud è nota a tutti, come ha avuto modo di ricordare Silvia Vegetti Finzi. Solo attraverso la rivalità con il padre, infatti, il bambino riesce ad interrompere il complesso di Edipo ed assumer «il posto che gli compete nella geometria della famiglia, assume una identità maschile e si orienta ad amare, a suo tempo, una partner femminile». La nota psicologa ha quindi spiegato: «non è irrilevante che il figlio di una coppia omosessuale non possa confrontarsi, nella definizione di sé, con il problema della differenza sessuale»

E’ infatti accertato che mamme e papà contribuiscono allo sviluppo del bambino in modo unico e insostituibile. La figura del padre, in quanto uomo, è vitale per la crescita del bambino e la madre non potrà mai sopperire a ciò, viceversa il padre non potrà essere una madre. Nel 1999 sul Journal of Marriage and Family Paul R. Amato e Fernando Rivera hanno verificato che i padri riescono a offrire un un contributo unico per il comportamento dei propri figli. Shmuel Shulman e Moshe M. Klein su “New Directions for Child and Adolescent Development” hanno concluso allo stesso modo spiegando: «i padri, più delle madri, trasmettono la sensazione agli adolescenti di poter contare su se stessi, così essi possono fornire un “ambiente facilitante” per il conseguimento, da parte dell’adolescente, della differenziazione dalla famiglia e del consolidamento dell’indipendenza» (pp. 41-53). David Popenoe, professore emerito di Sociologia presso la Rutgers University, ha invece spiegato: «Entrambe le dimensioni, quella materna e quella paterna, sono fondamentali per una efficiente, equilibrata educazione dei figli, in tre decenni di attività come scienziato sociale sono a conoscenza di dati in cui il peso delle prove è così decisamente schiacciante: nel complesso, per i bambini, le famiglie con due genitori eterosessuali sono preferibili alle altre forme di relazioni» (“Life without Father”, Harvard University Press 1999, p. 176). Su Families and Society, Erik Erikson, uno dei più apprezzati psicologi dello sviluppo in tutto il mondo, ha anch’egli osservato che le madri e i padri amano in modo diverso i propri figli e non sono affatto intercambiabili.

Il prof. Kyle Pruett, docente di psichiatria infantile presso l’Università di Yale, ha scritto un intero libro su questo intitolato: “Perché per il tuo bambino le cure del padre sono essenziali tanto quelle della madre”. Nel 2012 su “Psychology Today” è stato spiegato che «fortunatamente una nuova ondata di ricerca degli ultimi dieci anni ha delineato la psicologia del padre nei confronti del bambino, dettagliando come funziona e come si differenzia – a volte sensibilmente – dal legame tra madre e figlio. Ciò che emerge è l’inizio di un concetto veramente moderno della paternità, quello in cui vecchi presupposti si ribaltano. Lungi dall’essere un “incidente sociale”, la paternità risulta essere un fenomeno complesso e unico, con enormi conseguenze per la crescita emotiva e intellettuale dei bambini: il genitore padre è diverso rispetto al genitore madre». E attenzione, «non è semplicemente una questione di comportamento paterno diverso dai metodi materni. E’ il tessuto del legame padre-figlio ad essere diverso». Molto interessante a questo proposito l’ultimo lavoro degli studiosi W. Bradford Wilcox e Kathleen Kovner Kline.

Togliere appositamente il padre (o una madre) ad un bambino, obbligandolo a crescere senza di esso o con un suo sostituto del sesso opposto, significa renderlo orfano e privarlo di un contributo unico ed essenziale per il suo sviluppo equilibrato. Non a caso i teorici dell’omosessualità, fateci caso, si basano sempre sul presunto “diritto di essere genitori”, dimenticando puntualmente di concentrarsi sui “diritti dei bambini” e su ciò che sarebbe bene per loro. Al contrario, oggi Papa Francesco ha fatto gli auguri a tutti i papà, dicendo: «Chiedo per voi la grazia di essere sempre molto vicini ai vostri figli, lasciandoli crescere, ma vicini, vicini! Loro hanno bisogno di voi, della vostra presenza, della vostra vicinanza, del vostro amore».

La redazione

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Le benedizioni pasquali sono più che legittime

Benedizioni pasqualiC’è sempre chi si affanna per cancellare ogni traccia di religiosità dallo spazio pubblico. In Sicilia, ad esempio, i Cobas hanno inviato una lettera a tutte le istituzioni scolastiche, minacciando persino di ricorrere all’autorità giudiziaria per interruzione di pubblico servizio, «in caso di conoscenza o notizia di violazione» delle leggi, ovvero se si organizzino attività «di natura religiosa». In poche parole si vogliono vietare le annuali benedizioni pasquali nelle scuole da parte di vescovi o sacerdoti.

Peccato che Nicola Incampo, esperto per l’Insegnamento della religione cattolica della Conferenza episcopale italiana e attivo nel sito www.culturacattolica.it, ha spiegato: «Per sostenere che nelle scuole non si possono promuovere attività di “natura religiosa”, come, per esempio, le tradizionali benedizioni pasquali, i Cobas citano una sentenza del Tar dell’Emilia Romagna del 1993. Un pronunciamento ribaltato da ben due ordinanze del Consiglio di Stato, la 391 e la 392 del 26 marzo 1993 e dalla sentenza 3635 del 2007 del Tar del Veneto».

Proprio quest’ultima ha messo un punto fermo circa la possibilità, per i vescovi diocesani, di effettuare visite pastorali nelle scuole, confermando la «piena legittimità di queste manifestazioni». Inoltre, a dimostrazione della «malafede» dei promotori dell’iniziativa siciliana, viene «spacciata per circolare ministeriale, un semplice parere dell’Avvocatura dello Stato, che il Ministero non ha mai per altro recepito».

E’ utile ricordare a genitori e tutti coloro che lavorano nelle scuole che «da oltre vent’anni è in vigore la circolare ministeriale 13 febbraio 1992, che stabilisce che “il Consiglio di circolo o di istituto possa deliberare di far rientrare la partecipazione a riti e cerimonie religiose tra le manifestazioni o attività extrascolastiche previste. Analogamente si ritiene possa operarsi per quanto attiene alle visite pastorali del vescovo”. L’unica condizione posta è che la partecipazione degli alunni e dei docenti dovrà essere libera. Ma non credo che nessuno nelle scuole italiane abbia mai pensato di imporre con la forza la partecipazione a queste attività», ha spiegato ancora l’esperto.

«Dirigenti e insegnanti possono stare tranquilli – conclude Incampo–: nessuno li potrà denunciare nel caso volessero promuovere, con il via libera del Consiglio d’istituto, iniziative per la Quaresima o la Pasqua con i propri studenti». Anche perché, quando ad esempio ci ha provato l’associazione fondamentalista UAAR, non solo il Consiglio di Stato ha respinto il tutto ma ha anche colmato un vuoto legislativo importante, affermando che la visita dei vescovi alle scuole non è «in contrasto con le garanzie di autonomia culturale e libertà di culto» sancite dalla Costituzione, anzi, è una «testimonianza sui valori» che fondano «l’esperienza religiosa e sociale di una comunità».

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Carl Friedrich Gauss e la sua “ferma fede in Dio”

Carl Friedrich Gauss 
 
di Francesco Agnoli,
da Il Foglio, 07/03/14

 

Tra Ottocento e  Novecento l’università di Göttingen, in Germania, è la Mecca della matematica, e, in parte anche della fisica. Passano di qui, infatti, come alunni o come insegnanti, Carl Friedrich Gauss, Bernhard Riemann, Felix Klein, Arnold Sommerfeld, David Hilbert, Hermann Minkowski, Kurt Godel, ma anche Albert Einstein, Max Planck, Max Born…Una serie incredibile di geni, che hanno spesso qualcosa da dire anche al pensiero filosoficoteologico.

Vorrei parlare del primo, il celeberrimo Gauss, il “principe dei matematici”, considerato spesso il più grande matematico della modernità. Buona parte della sua vita la trascorre proprio a Gottinga, come studente, dal 1795 al 1798, e poi come docente (sino alla morte, sempre a Gottinga, nel 1855). La carriera del già brillantissimo alunno comincia molto presto, con una serie di contributi alle ricerche matematiche.

Il primo giorno del nuovo secolo, il I gennaio 180, l’astronomo italiano don Giuseppe Piazzi (“il Colombo dei piccoli pianeti”) scopre il primo asteroide, Cerere, ma ne perde in breve le tracce. Gauss predice il punto esatto in cui riapparirà, facendo uso del metodo dei minimi quadrati. Cerere riappare proprio nel punto indicato da Gauss il 1 gennaio 1802. Inizia così il ruolo del grande matematico anche in campo astronomico, tanto che nel 1807 viene nominato direttore dell’osservatorio e professore di astronomia proprio a Gottinga. In onore del sacerdote astronomo italiano, Gauss chiamerà un figlio Giuseppe. Con il tempo Gauss darà contributi nei campi più svariati: oltre alla matematica e all’astronomia, alla geodesia, all’ottica, al magnetismo…

Quanto al pensiero filosofico e religioso di Gauss, è possibile ricostruirlo soprattutto grazie alla biografia di Wolfgang Sartorius von Waltershausen, direttore del museo di mineralogia e paleontologia dell’università di Gottinga e grande amico di Gauss. Scrive il Sartorius, in un testo stampato a Lipsia nel 1856: “La idea inconcussa di una vita personale dopo la morte, la ferma fede in un Ordine ultimo, in un Dio eterno, giusto, onnipotente, onnisciente furono le basi della sua vita religiosa, in perfetta armonia con le sue ricerche scientifiche”.

Riporta anche alcuni pensieri espressi dal grande matematico: «c’è in questo mondo una gioia della mente che trova soddisfazione nella scienza, e una gioia del cuore che si esprime soprattutto negli sforzi dell’uomo per illuminare le preoccupazioni e i pesi l’uno dell’altro. Ma se il piano dell’Essere Supremo è quello di creare esseri su pianeti diversi e assegnare per loro godimento ottanta o novant’anni di esistenza, sarebbe in verità un piano crudele. Se l’anima vive 80 anni o 80 milioni di anni e poi deve un certo giorno perire, allora questa durata della vita è una mera dilazione del patibolo. Non conterebbe nulla. Uno è perciò portato alla conclusione che in aggiunta a questo mondo materiale ne esiste ancora un altro, puramente spirituale…». “Questa convinzione divina –chiosa Sartorius- fu cibo e bevanda per il suo spirito fino a quella mezzanotte silenziosa in cui  i suoi occhi si chiusero. ..”.

Sappiamo infatti che Gauss vedeva nella matematica un tentativo di leggere nel piano divino della Creazione, ma sapeva molto bene, d’altro canto, quali fossero i limiti del sapere umano. Narra sempre il Sartorius che in un’occasione lo sentì affermare: “è lo stesso per me se Saturno ha 5 o 7 lune. C’è qualcosa di più alto nel mondo”. Un altro biografo, il Dunnigton, riporta un’altra frase di Gauss: «Ci sono domande le cui risposte io porrei ad un valore infinitamente più alto che quello della matematica, per esempio quelle riguardanti l’etica, o il nostro rapporto con Dio, il nostro destino ed il nostro futuro; ma la loro soluzione resta irraggiungibile sopra di noi, fuori dall’area di competenza della scienza». Per questo leggeva, ogni sera, il Vangelo.

Altre notizie importanti sul credo di Gauss le troviamo nel suo epistolario con un caro ed intimo amico ungherese, il matematico Volfang Bolyai. Una lettera di Gauss, datata 3 dicembre 1802, si chiude così: «Ora mio caro, addio! Possa questo sogno che si chiama vita esserti soave, preludio alla vita vera nella propria patria nostra, dove i ceppi del corpo greve, le barriere dello spazio, i flagelli dei dolori terreni, il languore delle nostre misere e trepide brame non angustiano più lo spirito ridesto. Coraggio, e senza brontolii portiamo sino alla fine il nostro fardello; ma non perdiamo mai di vista la meta più alta. E, quando suona la nostra ora, rallegriamoci di deporre il carico e di vedere cadere il denso velame”. Quando Bolyai annuncia all’amico la nascita di un figlio, questi, dimostrando ancora una volta di possedere una visione religiosa dell’esistenza, dichiara: «Tu hai ora in mano i primi anelli della catena del destino di una esistenza eterna che si prolunga all’infinito. Grave e seria, ma dolce vocazione!».

Dispiace per l’ex seminarista Odifreddi, ma anche in questo caso è verificabile la famosa frase di Bacone, Boyle e Pasteur: “Poca scienza allontana da Dio, ma molta scienza riconduce a Lui”.

Diversi pensieri religiosi dei principali scienziati esistiti è possibile trovarli nel nostro apposito dossier.

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Le redazioni maschili di “Repubblica” e de “Il Fatto”

Fatto quotidianoLa grande ipocrisia dei grandi quotidiani emerge anche sul tema delle donne e della parità di condizioni nei confronti degli uomini.

Furio Colombo negli anni ’50 diffondeva la parola del Vangelo con i responsabili dell’Azione Cattolica, oggi diffonde l’odio verso i cattolici con i responsabili de “Il Fatto Quotidiano”, e lo ha fatto proprio recentemente prendendo per vero il racconto della donna che quattro anni fa avrebbe abortito da sola nel bagno dell’ospedale perché non c’erano medici non obiettori, anche se l’ASL di Roma e l’ospedale stesso hanno smentito le affermazioni, assicurando che la donna era seguita da ben due medici abortisti. Lo stesso ha fatto il suo amico Corrado Augias dalle colonne di “Repubblica”, anche lui ignorando volontariamente le precisazioni di coloro che hanno fatto le verifiche sul caso.

Troviamo sempre “Il Fatto” e “Repubblica” a parlare di parità di genere (genere de che??) in prima pagina, rispetto per le donne e tutte queste belle cose. Poi però, se si va vedere la composizione della loro redazione si scopre la grande ipocrisia: la grande maggioranza dei ruoli di comando dei due quotidiani è formata da uomini, mentre alle poche donne assunte toccano ruoli di secondo piano.

“Il Fatto Quotidiano”, di cui Furio Colombo è l’intellettuale di punta (e questo dice già tutto) è guidato da tre maschi: Padellaro, Travaglio e Gomez. Ma nemmeno nel Desk Centrale figura una donna: Fabio Amato, Simone Ceriotti, Mario Portanova e Davide Milosa. Solo la redazione centrale ha quattro donne, su otto giornalisti. Concludendo: la direzione de “Il Fatto” è formata da 11 uomini e 4 donne, alla faccia delle loro prediche tardo-femministe.

A “Repubblica” va ancora peggio: Eugenio Scalfari e Ezio Mauro sono i responsabili ultimi. Nei vicedirettori nemmeno una donna: Angelo Aquaro, Gregorio Botta, Dario Cresto-Dina, Massimo Giannini, Angelo Rinaldi. Anche i due caporedattori sono uomini: Fabio Bogo ed Enzo D’Antona (vicario). Nel Consiglio di Amministratore siedono solo tre donne su sedici posti. E nel Desk centrale le figure femminili sono 3 su 9. In totale il quotidiano “Repubblica”, punto di riferimento delle femministe italiane, è diretto da 28 uomini e 6 donne.

La redazione

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Eutanasia: la cultura dello scarto perde in America e Québec

EutanasiaLa «cultura dello scarto», come la chiama Papa Francesco, che «richiede di eliminare esseri umani soprattutto se fisicamente o socialmente più deboli», non riesce fortunatamente (ancora?) a prevalere quando si tratta di eutanasia. Probabilmente anche perché tutte le associazioni mediche principali si oppongono ad essa duramente.

Eppure proprio oggi il capo di Stato, Giorgio Napolitano, ha invitato il Parlamento a «non ignorare il problema del fine vita», scrivendo all’Associazione Luca Coscioni, la lobby pro-death o, italianizzando, pro-scarto, del mondo radicale.

Contemporaneamente dall’estero arrivano tre notizie molto positive. Lo stato americano del New Hampshire ha sconfitto la proposta di legge (HB 1325) sul suicidio assistito per 219 voti contro 66.

Anche in Québec è stato eutanasizzato il disegno di legge che avrebbe legalizzato l’eutanasia, ma gli attivisti canadesi spiegano che non c’è tempo per festeggiare e mettersi a proprio agio, ma occorre riorganizzarsi perché il disegno di legge potrebbe essere reintrodotto nella prossima legislatura.

In Arizona è invece passato alla Camera (ora toccherà al Senato) un disegno di legge (House Bill 2565) che rende più facile per gli avvocati perseguire per omicidio colposo coloro che indurranno o aiuteranno al suicidio. La proposta è scaturita da un caso di suicidio assistito. La pietà non c’entra nulla, anzi è l’opposto dell’eliminazione fisica del malato o dell’anziano.

Aiutiamo chi è malato, stiamo vicini alle persone sole, pretendiamo le migliori cure palliative per chi vive una malattia sofferente. Ma non uccidiamoci a vicenda, nemmeno se a chiederlo è il presidente della Repubblica.

La redazione

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Il neo ministro Giannini: «scuola paritaria è un punto di forza»

Stefania GianniniAncora ricordiamo la pesante sconfitta del maggio scorso di Stefano Rodotà, del “Fatto Quotidiano”, di Furio Colombo e di Corrado Augias quando, dopo averci messo per settimane la faccia, hanno convinto soltanto pochi abitanti di Bologna a recarsi alle urne per togliere i fondi alle scuole paritarie. Il 70% dei cittadini ha invece mostrato di accettare lo status quo, ovvero la collaborazione tra il Comune e gli istituti paritari. Guarda caso nessuno ne ha più voluto parlare.

Una guerra, quella contro la libertà di educazione, presente solo in Italia dato che nel resto d’Europa le scuole non gestite dallo Stato vengono finanziate totalmente, o quasi, da quest’ultimo (nel 2012 il Consiglio d’Europa ha raccomandato il rispetto di uguaglianza e parità nella scelta educativa, anche se di quel che dicono i burocrati europei importa poco a chiunque). Proprio perché sono fonte di risparmio e un invito ai cittadini a partecipare attivamente alla vita culturale ed educativa del Paese, senza la presenza dello Stato padre-padrone tanto amato dall’ideologia comunista (non è un caso che gli oppositori delle paritarie siano tutti di estrazione rossa).

Ovviamente anche il neo ministro a Istruzione e Università, Stefania Giannini (Scelta Civica, ordinaria di Glottologia e Linguistica e già rettrice dell’Università per stranieri di Perugia), ha già avuto modo di pronunciarsi seduta in mezzo ai bambini di una scuola dell’infanzia parrocchiale di Padova: «Mi pare che la visita di oggi possa essere un segnale molto chiaro. Lo dico da tempi non sospetti: la libertà di scelta educativa deve trovare anche in Italia un suo spazio politico e culturale concreto, occorre darle una visibilità politica. E servono misure perché le scuole paritarie possano essere una delle opzioni per le famiglie». Non solo: «la scuola paritaria è uno dei punti del sistema che funziona meglio quindi si tratta di rafforzarla».

Il messaggio della Giannini segue lo stanziamento di 483 milioni, comunicato dal Miur pochi giorni dopo l’insediamento del governo Renzi, a sostegno della scuola paritaria. E’ proprio il Ministero dell’Istruzione (MIUR) ad aver certificato che la presenza delle scuole paritarie in Italia garantisce un risparmio per lo Stato di oltre 6 miliardi di euro, fondi utili per essere investiti anche nella scuola statale che, assieme a quella paritaria, forma il nostro sistema scolastico pubblico.

La redazione

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I contributi per i neoassunti li paga la parrocchia

Doniamo lavoroPapa Francesco si è recentemente lamentato su come i quotidiani trattano la Chiesa, descrivendo un dialogo con un fedele: «”Ma, padre, io ho letto su un giornale che un vescovo ha fatto tal cosa o che un prete ha fatto tal cosa!”. “Eh sì, anche io l’ho letto, ma, dimmi, sui giornali vengono le notizie di quello che fanno tanti sacerdoti, tanti preti in tante parrocchie di città e di campagna, tanta carità che fanno, tanto lavoro che fanno per portare avanti il loro popolo?”. Ah, no! Questa non è notizia. Fa più rumore un albero che cade, che una foresta che cresce».

Poche volte capita infatti che i giornali parlino del bene di ciò che i sacerdoti fanno ogni giorno, forse perché è qualcosa di scontato, forse per altro, non si sa. Ogni tanto però capita ed è bello divulgare queste notizie date tanto raramente.

“La Stampa” ha recentemente riportato che ad Arosio (Co) don Angelo Perego della parrocchia dei santi Nazaro e Celso ha deciso, come tanti suoi altri “colleghi”, di attivarsi in prima persona in favore delle tante famiglie in difficoltà a causa della crisi economica. Il progetto si chiama “DoniAmo un lavoro”: gli imprenditori che sono disposti ad assumere un under 30 offrono il posto e le spese dei contributi sono a carico della parrocchia. «Tutti quelli che possiamo», dice la parrocchia. «Se avessimo risorse a sufficienza pagheremmo il 100%. Vogliamo dare una mano agli imprenditore e tagliare i costi del lavoro». L’idea, si spiega, è nata con i volontari della Caritas parrocchiale. «Non solo questo», precisa don Angelo. «Siamo anche disposti a contribuire alle spese per i corsi di apprendistato e per le eventuali ore di formazione che i ragazzi avessero bisogno. Noi siamo qui. A disposizione. Basta che gli imprenditori interessati si facciano avanti».

Un’altra delle tante storie simili a questa è apparsa su “Il Giornale”: la diocesi di Carpi, guidata dal vescovo monsignor Francesco Cavina, è diventata anche una sorta di banca che presta soldi ad un tasso pari allo zero, per poi recuperare il denaro nel tempo e rimetterlo in circolazione per altre iniziative imprenditoriali. L’idea infatti è quella di finanziare progetti imprenditoriali giovanili, ma non solo, che risultano esclusi dal sistema del credito bancario per mancanza di garanzie o situazioni di precarietà. Capitale iniziale: 300mila euro.

«Il prestito», ha spiegato monsignor Cavina, «è un prestito d’onore, fondato sulla fiducia e ovviamente sulla fondatezza del progetto presentato. Vogliamo investire sui giovani, sulla loro creatività, credere nella loro forza e incoraggiarli ma valuteremo anche le altre richieste. Possono usufruire del finanziamento anche quei padri e quelle madri di famiglia, persone di mezza età che hanno perso il lavoro e che, una volta espulsi dal mondo del lavoro, possono arrivare a credere di avere perso, assieme a un’occupazione, la dignità».

La redazione

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Papa Francesco giudica, e fa bene

Papa francescoIl giudizio di Papa Francesco è chiaro, lo ha ripetuto più volte: «Il matrimonio è fra un uomo e una donna». Francesco giudica perché il giudizio della realtà rende liberi pensatori, altrimenti si rimane pecoroni, come lo è Barack Obama che ha preferito cambiare idea in merito per ricevere sostegno, politico ed economico, dalla lobby Lgbt.

La recente intervista del Papa al “Corriere della Sera” rivela molte cose interessanti, come ad esempio la grande incompetenza della maggioranza di vaticanisti, da Marco Politi in giù, che per un anno hanno descritto il Pontefice come superdivo contro gli ostacoli della Curia romana, un Pontefice solo e isolato, che strizza l’occhio al marxismo e lentamente scardina la posizione sulla bioetica della Chiesa.

Nulla di tutto questo: «Il Papa non è solo nel suo lavoro perché è accompagnato e consigliato da tanti. E sarebbe un uomo solo se decidesse senza sentire o facendo finta di sentire», innanzitutto. E poi: «Dipingere il Papa come una sorta di superman, una specie di star, mi pare offensivo. Il Papa è un uomo che ride, piange, dorme tranquillo e ha amici come tutti. Una persona normale». I vaticanisti amano fare gossip sulle diatribe tra cardinali, Francesco spiazza tutti: «Mi sarei preoccupato se nel Concistoro non vi fosse stata una discussione intensa, non sarebbe servito a nulla. I cardinali sapevano che potevano dire quello che volevano, e hanno presentato molti punti di vista distinti, che arricchiscono. I confronti fraterni e aperti fanno crescere il pensiero teologico e pastorale. Di questo non ho timore, anzi lo cerco».

Molto interessante quanto parla dei “valori non negoziabili” spiegando: «Non ho mai compreso l’espressione valori non negoziabili. I valori sono valori e basta, non posso dire che tra le dita di una mano ve ne sia una meno utile di un’altra», che equivale a dire che i valori sono tutti non negoziabili, mostrandosi ben più radicale di Benedetto XVI. Dopo aver nettamente rifiutato il matrimonio omosessuale, Francesco ha anche spiegato che sulle unioni civili «bisogna vedere i diversi casi e valutarli nella loro varietà», anche perché la quasi totalità delle controversie si risolverebbe con aggiustamenti del codice civile.

Il Pontefice non ha nemmeno voluto cedere sulla questione pedofilia, usata a man bassa da laicisti e anticlericali che ora fingono di essere amici di Francesco: «La Chiesa su questa strada ha fatto tanto. Forse più di tutti. Le statistiche sul fenomeno della violenza dei bambini sono impressionanti, ma mostrano anche con chiarezza che la grande maggioranza degli abusi avviene in ambiente familiare e di vicinato. La Chiesa cattolica è forse l’unica istituzione pubblica ad essersi mossa con trasparenza e responsabilità. Nessun altro ha fatto di più. Eppure la Chiesa è la sola ad essere attaccata».

La redazione

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