Il fisico Burov: «il Fine tuning porta ad una mente trascendente»

Alexay BurovDavvero interessante la riflessione cosmologica pubblicata da “IlSussidiario” di Alexey Burov (e da Lev Burov), fisico matematico del Fermi National Accelerator Laboratory

Il fisico ha affrontato l’interessante questione del Principio antropico, ovvero l’evidenza che l’Universo è per molti aspetti “finemente sintonizzato” per la vita e che tali valori sembrano essere stati finemente accordati per questo scopo. Tale scoperta evidentemente riporta a galla una domanda volutamente affossata da molti: chi o che cosa ha accordato l’universo così bene?

«L’unico modo di risolvere il problema in un contesto scientifico è di mostrare una possibilità di far emergere l’essere dal nulla, di far emergere l’ordine dal caos, di una caos genesi», ha spiegato Burov. «Finora, c’è solo un concetto ampiamente riconosciuto come in grado di fare ciò: la teoria darwiniana dell’evoluzione». La quale dice questo (si chiama anche Principio antropico debole): l’Universo è formato da molteplici universi, generati l’uno dall’altro, dove uno eredita la maggior parte della sua struttura logica dall’universo madre, con qualche mutazione iniziale.

Attraverso un ragionamento che è utile leggere nell’articolo originale, per chi è interessato, il fisico del Fermi National Accelerator Laboratory ha confutato l’approccio darwinista alla cosmologia il quale, ha spiegato, «sarebbe indiscutibile prima del 1687, l’anno in cui fu pubblicato il libro di Newton, “Principia”», cioè un fortissimo argomento razionale contro l’origine puramente caotica del mondo.

Il fisico russo ha anche negato che la sintonizzazione fine dell’universo possa essere un’illusione della nostra mente che cerca di organizzare in forme semplici ciò che osserva, rispondendo a qualche obiezione di questo tipo, spiegando che «considerando che i più stringenti requisiti di un universo finemente sintonizzato sono di almeno 3 digit (come per il rapporto tra protone e neutrone), questa estrema precisione delle leggi fondamentali mostra chiaramente che l’universo è effettivamente strutturato secondo perfette forme razionali, dato che l’eventualità che si tratti di un’illusione o di una aberrazione è di 10-12/10-3, cioè uno su un miliardo».

Molto suggestiva la conclusione di questa riflessione puramente scientifica, che non si preclude pregiudizialmente una necessaria apertura ultima al metafisico: «Perché sono proprio queste leggi e non altre a strutturare l’Universo? Se si esclude una selezione naturale e se qualsiasi teoria ci lascia con lo stesso interrogativo, non dobbiamo riconoscere che ci resta un’unica spiegazione, cioè l’idea che il nostro universo è stato concepito e realizzato da una mente trascendente?». 

La redazione

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Un ringraziamento e un consiglio a suor Cristina

Suor cristinaOrmai è impossibile non sapere chi è suor Cristina Scuccia, attualmente la religiosa più famosa al mondo. Settimana scorsa ha incantato il pubblico del programma televisivo italiano The Voice of Italy cantando il brano “No one” di Alicia Keys, mostrando oltre ad un gran talento musicale anche una semplicità e una povertà di spirito incredibile, che ha letteralmente sconvolto prima i presenti (il rapper J-Ax, Raffaella Carrà ecc.), poi i telespettatori, poi il web e ora il mondo intero (il video più sotto).

Il magazine “Time” l’ha definita un “fenomeno” ed è attualmente in prima pagina sulla stampa internazionale. Il video della performance su Youtube sta avendo un successo più veloce del “Gangnam Style” di Psy, cioè il video più visto nella storia di YouTube, arrivando a quota 13 milioni di spettatori in soli 3 giorni (oggi a 24 milioni). Della religiosa italiana parlano Alicia Keys e Whoopi Goldberg e tante altre star internazionali.

Suor Cristina ha 25 anni ed è siciliana, in un’intervista ha raccontato il suo percorso fino alla vocazione: «Dopo la Cresima mi ero allontanata dalla Chiesa ed ero arrabbiata con il Signore», ha spiegato. Dopo aver coltivato la sua passione per il canto ha incontrato Claudia Koll, la quale cercava la protagonista del musical su Suor Rosa, la fondatrice delle Orsoline della Sacra Famiglia. Cristina, allora, si è trasferita a Roma dove ha iniziato a frequentare una scuola fondata dalle Orsoline e diretta dall’attrice, un’esperienza che le ha cambiato la vita facendole emergere la vocazione. «Ha trasformato la mia vita», ha spiegato. «Attraverso le sue parole che invitano a donare la vita a Cristo mi sentivo provocata. Spente le luci dei riflettori e fuori dal palco mi tornavano alla mente queste domande. Ho riscoperto il canto come un modo per lodare il Signore, come esigenza della mia anima e strumento per toccare i cuori». Lo scorso anno ha rinnovato i voti di castità, povertà e obbedienza.

Siamo davvero grati a suor Cristina per questa testimonianza, non è esibizionismo il suo ma è una messa in opera delle parole di Papa Francesco. Lo ha detto lei stesso durante la famosa puntata: «Ho un dono e ve lo dono. Francesco ci dice sempre di uscire ad evangelizzare, a dire che Dio non toglie niente anzi ci dona ancora di più, allora sono qui per questo». Bellissimo! Altro che l’ideologia triste di don Gallo, altro che l’odio invidioso di Vito Mancuso. Finalmente il vero volto della Chiesa.

Ma non solo, suor Cristina dev’essere l’esempio per tutti noi cattolici ad andare incontro al mondo, senza scandalizzarsi, senza paura. «Non aver paura di andare con Lui nelle periferie» del mondo, ci ha insegnato Francesco. «Ripartire da Cristo significa imitarlo nell’uscire da sé e andare incontro all’altro […]. Quando un cristiano è chiuso nel suo gruppo, nella sua parrocchia, nel suo movimento, è chiuso, si ammala. Se un cristiano esce per le strade, nelle periferie, può succedergli quello che succede a qualche persona che va per la strada: un incidente. Tante volte abbiamo visto incidenti stradali. Ma io vi dico: preferisco mille volte una Chiesa incidentata, e non una Chiesa ammalata!».

Suor Cristina ci ha mostrato cosa vogliono dire queste parole, ci permettiamo però di darle un consiglio: molti cercheranno di usarti contro la Chiesa stessa, come stanno facendo con Papa Francesco (il “Papa relativista”, il “Papa che ha abolito il peccato” ecc.), cercheranno di strumentalizzarti in chiave femminista, cercheranno di farti dire qualcosa contro la Chiesa per poterti chiamare “suora ribelle” o “suora scomoda alle alte gerarchie”. Le proveranno tutte, non sarà facile non perdere la bussola, chiedi a Dio di mantenerti vicino a Lui, di non farti inebriare dal successo, di restare fedele alle motivazioni per cui hai scelto questa apparizione pubblica. Continua la tua incredibile testimonianza senza lasciarti tentare, senza deragliare. Noi preghiamo per te. Grazie!!

 

Qui sotto il video dell’esibizione di suor Cristina

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Medico abortista: «il feto umano? Come il condannato a morte»

Feto 11 settimaneContinua il nostro stupore nell’apprendere che anche i medici che praticano l’aborto sono tranquillamente consapevoli di stare sopprimendo una vita umana. Da una parte apprezziamo la volontà di non voler più negare l’evidenza scientifica sul fatto che l’embrione è uno di noi” e non un grumo di cellule, dall’altra si aggrava enormemente la loro responsabilità morale.

E’ toccato a Javier Valdés, ginecologo presso il Centro de Orientación Familiar del Complejo Hospitalario Famiglia Guidance Center dell’Ospedale di Vigo (Spagna) e presidente della Galizia Society of Contraception, il quale, alla domanda dell’intervistatore se il feto è un essere umano, ha risposto: «Sì, lo sono anche quelli che si trovano sulla sedia elettrica, ma sono casi molto specifici (569 in un’area di mezzo milione di abitanti [a Vigo]) e si deve pensare alla vita della madre». Aggiungendo anche che «il vero problema sono le ragioni economiche o familiari», un maggior aiuto finanziario da parte dello Stato diminuirebbe il numero di aborti.

Addirittura il paragone tra il feto umano e i condannati alla pena di morte. Un paragone certamente azzeccato, lo ha fatto anche Papa Francesco: «Ogni bambino non nato, ma condannato ingiustamente ad essere abortito ha il volto di Gesù Cristo, ha il volto del Signore, che prima ancora di nascere, e poi appena nato ha sperimentato il rifiuto del mondo». Ma si rimane sbalorditi che a dirlo sia un ginecologo abortista. Esattamente come quando si leggono le parole di Alessandra Kustermann, storica ginecologa abortista della Mangiagalli di Milano: «In quel momento so benissimo che sto sopprimendo una vita». O quelle dell’obiettore di coscienza Nicola Surico, presidente uscente della Società italiana di ginecologia e ostetricia (Sigo), secondo cui l’interruzione di gravidanza «si tratta pur sempre di interrompere una vita» ma «da cattolico non accetto che una legge non venga applicata», cioè non è sacra la vita, ma è sacro applicare la legge che interrompe la vita.

La redazione

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Evidenza di consapevolezza negli stati vegetativi

Stanza d'ospedaleUn paziente in stato vegetativo, incapace cioè di muoversi e parlare, ha mostrato segni evidenti di “consapevolezza” mai rilevati prima. Il sorprendente risultato è stato raggiunto da un gruppo di scienziati del Medical Research Council Cognition and Brain Sciences Unit (MRC CBSU), guidati dal dottor Srivas Chennu dell’Università di Cambridge.

La ricerca – pubblicata il 31 ottobre scorso sulla rivista NeuroImage: Clinical, Vol. 3, 2013, pag. 450-461 – aveva lo scopo di indagare la capacità attentiva di pazienti diagnosticati “vegetativi” o “di coscienza minima” nei riguardi di determinati stimoli uditivi (parole-target), inseriti casualmente in una serie di distrattori (parole irrilevanti).

Sono state analizzate le “risposte” elettroencefalografiche di 21 pazienti cerebrolesi, 9 con diagnosi di stato vegetativo e 12 con diagnosi di coscienza minima. Solo uno dei 21 pazienti è stato in grado di filtrare le informazioni rilevanti da quelle irrilevanti. Inoltre, alla risonanza magnetica funzionale (fMRI, Functional Magnetic Resonance Imaging) lo stesso paziente – “comportamentalmente vegetativo” – mostrava una “consapevolezza” volitiva nell’eseguire semplici comandi di immaginazione motoria nel gioco del tennis. Gli scienziati hanno anche scoperto che, nonostante la mancanza di discriminazione degli stimoli-target, altri tre pazienti in stato di coscienza minima reagivano a parole nuove, seppur irrilevanti.

“Non solo abbiamo trovato il paziente che ha avuto la capacità di prestare attenzione – ha dichiarato Chennu – ma abbiamo ottenuto prove indipendenti per lo sviluppo di una tecnologia del futuro che possa aiutare i pazienti in stato vegetativo a comunicare con il mondo esterno.” Nonostante il contributo notevole e straordinario della ricerca di Chennu & coll., il livello di consapevolezza reale nei pazienti con danni cerebrali gravi rimane un campo di indagine complesso e difficilissimo, oltre che palesemente tragico per la vita – e la qualità di vita – di questi malati. Senza alcuna ambizione di valutare o discutere lo sforzo assolutamente titanico della ricerca diagnostica nei disturbi cronici di coscienza, la rilevanza – anche etica – di questo genere di studi invita comunque ad alcune considerazioni di fondo, in parte ignorate nel dibattito pubblico.

Praticamente sconosciuto fino a qualche tempo fa in quanto prodotto della rianimazione e della terapia intensiva, lo stato vegetativo (Vegetative State, VS) è una condizione clinica di veglia senza alcun segno apparente di consapevolezza di sé o dell’ambiente circostante. Benché gli occhi siano aperti nella veglia e chiusi nel sonno, il respiro spontaneo e la funzione autonomica preservata, nessun tipo di espressione o comprensione linguistica, nessuna risposta volontaria o intenzionale, riproducibile e continua viene data a stimoli uditivi, visivi, tattili o dolorosi. Diversamente, lo stato di coscienza minima (Minimally Conscious State, MCS) riguarda quei pazienti che scarsamente reattivi agli stimoli e con danno neuronale globale mostrano segni distinguibili di consapevolezza, seppur intermittenti e limitati.

La diagnosi di VS e MCS è effettuata solo dopo un’attenta valutazione del livello di consapevolezza del paziente; tale valutazione è necessariamente inferenziale data l’oggettiva impossibilità di valutare in modo diretto la coscienza di una persona. I limiti di tali stime sono noti e frequentemente sottolineati dal mondo scientifico. Si calcola ad esempio che il 40 per cento circa delle diagnosi di stato vegetativo sia inattendibile. Inoltre, “anche in una corretta diagnosi differenziale tra VS e MCS, sembra plausibile ipotizzare che vi siano persone in grado di ‘fare qualcosa’ e altre che non lo sono”: John Whyte, primo ricercatore presso il Neuro-Cognitive Rehabilitation Research Network, e il suo team hanno infatti dimostrato la grande individualità che caratterizza ciascun paziente, anche nelle risposte farmacologiche. La ricerca di Chennu & coll., pocanzi illustrata, ne è peraltro un’autorevole conferma.

Vi è poi la questione cruciale della prognosi, ovvero della possibilità di recupero di consapevolezza da parte del paziente. L’impegno per le risorse logistiche, del personale (assistenza riabilitativa, paramedica, e medica) e dei costi necessari per la gestione di questi pazienti è imponente. Se si considera che la mortalità è dell’ordine del 3-50% a seconda dell’eziologia e il recupero di coscienza è del 50-60% nei primi 3-4 mesi per diventare sempre più raro con il passare del tempo, la necessità di una prognosi precoce è pertanto obbligatoria sia per gli approcci terapeutici necessari che per la qualità di vita del paziente e dei famigliari. Tuttavia, ancora nessun modello prognostico risulta idoneo ad una corrispondente generalizzazione.

In tutto questo i metodi del brain imaging sembrano rappresentare una delle soluzioni più promettenti e dunque praticate nella valutazione del grado di consapevolezza VS e MCS. Secondo l’ipotesi che l’attività cerebrale sia direttamente legata alle variazioni di parametri fisiologici come ad esempio il flusso sanguigno, la tecnologia del neuroimaging permetterebbe di “visualizzare” il cervello in vivo sia strutturalmente (anatomia) che funzionalmente (fisiologia). E, nel nostro caso, di individuare quelle attività cognitive altrimenti latenti nei test VS e MCS tradizionali.

Nonostante ciò e nonostante il successo letteralmente esplosivo (e per alcuni sospetto, si veda V. Biasi, ECPS Journal – 1/2010) nel campo delle neuroscienze, le tecniche del brain imaging sollevano rischi e criticità epistemologici tutt’altro che secondari. Problematiche come il “riduzionismo materialistico” (l’imaging è un’inferenza e non il cervello, né tantomeno la coscienza; cfr., Legrenzi & Umiltà, Neuro-mania, Il cervello non spiega chi siamo) o la “deviazione frenologica” dell’organizzazione cerebrale (l’errata correlazione area cerebrale/funzione conduce ad identificare locus lesionato a deficit funzionale; cfr., Kosslyn, If Neuroimaging is the Answer, what is the Question?) costituiscono costanti esempi di semplificazioni o sottovalutazioni della varietà e complessità della vita psichica. Scrive infatti Biasi: “Gli studi correlazionali ci possono dire, per fare un esempio, che alcuni neuroni si attivano in corrispondenza di un comportamento, come un semplice gesto o l’azione più complessa del risolvere un problema matematico, ma non abbiamo facoltà di concludere che quel neurone produce in modo deterministico la soluzione.”

A questo punto, i rilievi svolti sinora circa lo stato della ricerca nei pazienti “vegetativi” o di “coscienza minima” provocano domande e perplessità consistenti.  Ad esempio, su quale base alcuni Paesi possono revocare la nutrizione artificiale a persone in VS anche senza una direttiva anticipata di trattamento, o testamento biologico? sulla base del neuroimaging? sulla diagnosi? sulla prognosi, o sul livello di coscienza “misurato” al capezzale del malato? Come mai diversi studi raccomandano la cautela nell’utilizzo clinico di PET (Positron Emission Tomography/Tomografia a emissione di positroni) o fMRI – in quanto meri strumenti di ricerca – mentre la gran parte dei pazienti irreversibilmente vegetativi viene a tutt’oggi classificata (anche da PET o fMRI) priva di coscienza, e per questo incapace di provare dolore o sofferenza, piacere e desiderio? Se sono giustamente considerate “strumentali” le risposte corticali a stimoli verbali nei pazienti con gravi disturbi di coscienza, perché non dovrebbero esserlo anche nella prognosi di irreversibilità dello stato vegetativo? Per di più, è plausibile la standardizzazione di test e scale di misura data l’evidente individualità delle risposte corticali e non? È così azzardata l’idea che, benché consapevoli, i pazienti VS non sono in grado di comprendere o rispondere (come nei casi di afasia o di depressione catatonica, o di diffuse lesioni dopaminergiche) a test, forse inadeguati?

Nell’incertissimo – e a questo punto trasversale – ex informata conscientia, qualsiasi ricorso prudenziale e di tutela delle persone in stato vegetativo dovrebbe costituire uno dei più praticati ed immutabili doveri etici fondamentali.

Valentina Fanton

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L’Arcigay e le sue contro-manifestazioni poco mature

Sentinelle in piediSono passati sei anni da quando l’Arcigay dichiarava di voler bloccare Sanremo per poter impedire al cantante Povia di cantare la famosa canzone “Luca era gay ma adesso sta con lei”. Nonostante questo non sono migliorate le sue manifestazioni -lo si è visto anche nella recente campagna di boicottaggio dei prodotti Barilla-, confermando purtroppo il diffuso pregiudizio sugli omosessuali come persone poco mature. «I nemici più pericolosi dei gay italiani, spesso, sono i gay stessi», ha scritto il blogger Domenico Naso sul “Il Fatto Quotidiano”.

I nuovi nemici dell’Arcigay si chiamano “Sentinelle in piedi” (www.sentinelleinpiedi.it), ovvero un movimento spontaneo di cittadini che da mesi mette in atto una serie di proteste silenziose (leggono un libro in piedi) in numerose piazze italiane, con grande seguito sui social network (un video delle loro manifestazioni più sotto). E’ possibile manifestare silenziosamente e rispettosamente contro l’ideologia Lgbt? Ovviamente no, infatti militanti dell’Arcigay hanno preso l’abitudine di disturbare la pacifica manifestazione con scherni, grida, slogan e spesso insulti.

E’ successo recentemente a Cremona, dove sono scese in piazza 400 “Sentinelle” (pagina Facebook), in piedi, silenziosamente con un libro in mano, intenzionati a difendere la famiglia. A pochi passi il presidente nazionale dell’Arcigay, Flavio Romani, ha radunato un centinaio di persone che hanno contro-manifestato sdraiandosi a terra e facendo rumore. Romani si è scagliato contro le «decine e decine di manichini che manifestano a favore del disprezzo e della discriminazione». Quelle stesse, secondo Romani, «che sono pappa e ciccia con la destra più fanatica». Non sono mancati insulti al vescovo di Cremona, Dante Lafranconi, e al presidente della Provincia, Massimiliano Salini, reo di aver revocato -dopo un voto all’unanimità del consiglio provinciale- l’adesione dell’ente alla “Re.a.dy”, la rete di Pubbliche amministrazioni impegnate a diffondere la cultura Lgbt.

Anche a Trento, il 28 febbraio, le “Sentinelle” erano scese in piazza in duecento. Anche in quel caso hanno dovuto subire l’immatura contro-manifestazione degli attivisti dell’Arcigay che si sono buttati a terra davanti a loro. Ognuno manifesta come riesce. Intanto dall’ultimo resoconto disponibile del 5×1000 è emerso che soltanto 350 persone in Italia hanno destinato all’associazione gay diretta da Flavio Romani le loro firme, perdendo oltretutto quasi la metà dei sostenitori del 2011.

 

Qui sotto una delle tante manifestazioni delle “Sentinelle in piedi”

La redazione

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La morale è innata, ora lo dice anche la scienza

Legge morale«Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me e la legge morale in me». A scriverlo fu il celebre razionalista Immanuel Kant, che mostrò quanto il suo pensiero fosse in questo caso vicino alla teologia cristiana.

La morale è innata non è una costruzione dell’uomo, non è il costume della società ma è uguale in ognuno di noi. E’ una legge (la Chiesa parla di legge morale naturale), per l’appunto, che ogni uomo trova dentro di sé, un dono del Creatore che può usare chi ne è cosciente e chi guarda se stesso con onestà, libero da pregiudizi riduzionisti. Essa, dice il Catechismo cattolico, «è iscritta e scolpita nell’anima di tutti i singoli uomini, esprime il senso morale originale che permette all’uomo di discernere, per mezzo della ragione, il bene e il male, la verità e la menzogna. Questa prescrizione dell’umana ragione, però, non è in grado di avere forza di legge, se non è la voce e l’interprete di una ragione più alta, alla quale il nostro spirito e la nostra libertà devono essere sottomessi».

L’obiezione più antica a questa visione è che la morale sia un frutto dell’evoluzione e dunque, ultimamente, un’illusione. Posizione che oggi è stata prevalentemente abbandonata dal mondo scientifico, sostenuta soltanto dai reduci del naturalismo positivista (vedi Telmo Pievani): «secondo la pretesa naturalistica», ha spiegato Mario De Caro, celebre filosofo morale italiano, «la spiegazione biologica sarebbe in grado di dare conto delle origini evolutive della moralità e spiegare il contenuto stesso: confutazione. Le spiegazioni sono di tipo culturale non biologico. La morale non va rintracciata nel mondo animale, come ha detto infatti Darwin» (Siamo davvero liberi? Codice 2010). Per l’appunto, la tesi naturalista è stata sostituita con quella citata da De Caro: la morale è frutto di condizionamenti ambientali, culturali, sociali o religiosi.

Eppure nemmeno questa tesi/obiezione è convincente. Lo ha spiegato e mostrato recentemente Paul Bloom, celebre psicologo dell’Università di Yale che, assieme ad altri due psicologi del laboratorio di cognizione infantile (Karen Wynn e Kiley Hamlin) hanno studiato la capacità di valutazione morale nei bimbi dai sei ai 10 mesi di età, concludendo che, già in quell’età i bambini manifestano un senso morale, una conoscenza del male e del bene, ben prima che la società/cultura abbia il tempo di “forgiarli”.

Secondo l’equipe di Bloom, dai tre mesi di vita i bambini restano ad esempio più colpiti di fronte a scene di un comportamento ingiusto che da quelle dove tutti si comportano bene. Non sono moralmente indifferenti, ma tendono a sorridere e a battere le manine davanti a cose buone e belle, mentre tendono a fare grinze e girare la testa davanti a cose cattive o brutte. Bloom dice di poter provare che i neonati avvertono anche un forte stress quando vedono un individuo provare dolore. Secondo i tre docenti, quindi, i bambini nascono con un senso che gli permette di distinguere istintivamente il bene dal male, è qualcosa che deriva dalla stessa natura umana.

«Non si può ridurre l’essere umano a una macchina che funziona solo secondo le leggi dell’ereditarietà biologica», ha spiegato Bloom, attaccando «l’attuale trend in psicologia e neuroscienza che sminuisce la scelta razionale a favore di motivazioni inconsce». In un articolo sull’Atlantic, Bloom ha anche attaccato i riduzionisti e i relativisti delle neuroscienze che considerano gli esseri umani come “marionette biochimiche“. «La natura deterministica dell’universo è pienamente compatibile con l’esistenza di deliberazione cosciente e del pensiero razionale con sistemi neurali che analizzano diverse opzioni, costruiscono catene logiche del ragionamento, ragionano attraverso esempi e analogie, e rispondono alle conseguenze previste delle azioni, comprese le conseguenze morali. Questi processi sono alla base di ciò che significa dire che le persone fanno delle scelte, e in questo senso, l’idea che noi siamo responsabili dei nostri destini rimane intatta».

La redazione

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I corsi prematrimoniali cattolici? Un risparmio per lo Stato

Corsi prematrimonialiLa disgregazione del nucleo familiare genera costi sociali e impoverisce lo stato e la società, tanto che il primo ministro inglese David Cameron ha deciso di investire 30 milioni di sterline a sostegno di una ricerca sulle relazioni di coppia.

Il risultato di tale studio è stato pubblicato recentemente e ha mostrato che i corsi pre-matrimoniali, sopratutto quelli gestiti da enti cattolici, sono il modo migliore ed efficace per risparmiare costi per la società e per il contribuente. In particolare, 1€ investito in uno di questi corsi preparatori al matrimonio permette un risparmio di 11,5€ allo Stato.

Il rapporto è stato pubblicato sul sito del governo britannico e alla ricerca commissionata dal Ministero della Pubblica Istruzione hanno partecipato gli esperti del Tavistock Institute. Grazie ai corsi pre-matrimoniali, hanno rilevato, è possibile cambiare il proprio comportamento di coppia, imparare ad affrontare i conflitti e comunicare meglio. Ma, ha riportato il “Telegraph”, «i ricercatori hanno rilevato che gli effetti statisticamente più significativi potrebbero essere trovati tra coloro che hanno frequentato i corsi di preparazione al matrimonio gestiti dai “Catholic charity Marriage Care”», ovvero i corsi tenuti dai vescovi inglesi.

In questi corsi si insegna il valore del matrimonio e il suo significato vero. Lo stesso che è stato delineato sull’Harvard Journal of Law and Public Policy da tre prestigiosi studiosi: «Il matrimonio esiste per unire un uomo e una donna come marito e moglie per poi essere pronti a diventare padre e madre dei bambini che tale unione produce. Si basa sulla verità antropologica che uomini e donne sono distinti e complementari. Si basa sul fatto che la riproduzione biologica richiede un uomo e una donna. Si basa sulla realtà sociologica che i bambini meritano una madre e un padre.

Come spiegato recentemente dal Professore Emerito di Sociologia della Rutgers University, David Popenoe, «dobbiamo sconfessare l’idea che le mamme possano fare buoni papà, proprio come i papà non possono essere buone mamme. I due sessi sono essenzialmente differenti e ciascuno è culturalmente e biologicamente necessario per lo sviluppo ottimale di un essere umano».

In questi corsi pre-matrimoniali si educa al vero senso del matrimonio, si insegna l’equiparazione dell’uomo alla donna e la valorizzazione della loro diversità. Per questo risultano efficaci in termini di felicità di coppia e chi partecipa ha meno probabilità di divorziare, come ha mostrato recentemente il governo inglese.

La redazione

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Nuovo studio: l’eutanasia richiesta da chi è solo

Eutanasia Solitudine, divorzio e lontananza da Dio. Sono queste le caratteristiche principali di coloro che scelgono di finire la propria vita come suicidi nelle apposite cliniche svizzere. Il suicidio assistito è più comune, inoltre, nelle persone ben istruite, nelle aree urbane e nei quartieri con una maggiore posizione socio-economica.

A rilevarlo un recente studio pubblicato sull’International Journal of Epidemiology e condotto dall’Università di Berna su 1.301 casi tra il 2003 e il 2008. Un altro dato preoccupante è che, se la maggioranza di chi si è fatto uccidere soffriva di cancro, il 25% sul totale non è affetto da malattie terminali ma è semplicemente «stanco di vivere» e per i ricercatori è «un motivo sempre più comune per le persone che scelgono il suicidio assistito».

Lo studio, si spiega, «è rilevante per il dibattito su un numero forse eccessivo di suicidi assistiti tra i gruppi più vulnerabili», ovvero la richiesta di eutanasia non arriva primariamente da chi vive una sofferenza fisica, come vorrebbe far credere chi propaganda la cultura dello scarto, ma la causa spesso è la fragilità e il disagio sociale. Se le cure palliative e la terapia del dolore possono rispondere pienamente alla sofferenza di chi è affetto da malattie terminali, come ha affermato l’oncologo laico Umberto Veronesi, la solitudine e noia di vivere sono problemi risolvibili con una buona dose di calore e carità umana. Valori che sembrano però scomparsi dalle nostre società secolarizzate.

La redazione

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Caro Maurizio Mori, anche l’infanticidio è “un’idea innovativa”?

Maurizio MoriQualche mese fa il quotidiano “L’Unità” ha ospitato un articolo di Eugenio Mazzarella, ordinario di filosofia teoretica presso l’Università degli Studi di Napoli, nel quale ha invitato a prendere in considerazione, sul “fine vita”, la soluzione che guarda «al dialogo tra familiari, fiduciario e medici, l’interpretazione rispettosa – e non una semplice esecuzioni testamentaria – delle sue volontà espresse, per trovare una soluzione politicamente sostenibile e socialmente condivisa».

Mentre per quanto riguarda le unioni civili, Mazzarella ha invitato a riconoscere «il diritto a una piena tutela giuridica delle coppie omosessuali, senza “stressare” questa sacrosanta esigenza di diritti civili nella pretesa di un’omologazione ideologica all’istituto del matrimonio, per poterne venire a capo senza collidere con ragionevoli riserve a questa equiparazione che non sono solo di ispirazione religiosa». Permane la stima verso il filosofo napoletano anche se non siamo d’accordo con le sue proposte, riconoscendo comunque in lui un interlocutore finalmente rispettoso e ragionevole.

Rispetto al “fine vita”, sappiamo bene quando aleatoria possa essere l’interpretazione delle volontà espresse dal paziente, magari quando era sano e dunque in tutt’altra situazione, considerando che difficilmente quest’ultimo potrebbe lasciare un’indicazione precisa sulle innumerevoli situazioni in cui potrebbe capitare e senza considerare, come avvenuto in molti casi, la possibilità che nel frattempo abbia potuto cambiare idea e non sia nella condizione di esternare i suoi nuovi sentimenti. Rispetto alle unioni civili abbiamo invece già argomentato come siano completamente inutili, non urgenti e perfino discriminatorie (qui per approfondire).

La sorpresa più grande è stata comunque la risposta, qualche tempo dopo, che Mazzarella ha avuto da Maurizio Mori, presidente della Consulta di Bioetica, un’associazione che promuove la visione laicista della bioetica (presidente onorario Peppino Englaro). Nell’articolo si torna a leggere la solita abusata retorica, la cui assenza abbiamo apprezzato nella riflessione di Mazzarella: sessismo, discriminazioni, conservatori, pregiudizio etero-sessista, progresso, arretratezza…tutte le parole chiave del repertorio laicista.  Maurizio Mori afferma che i sessi non sono solo due e la ritiene «un’idea avanzata», domandandosi: «è forse un delitto avere idee innovative», spiegando che «l’etica, quella vera e razionale, ci impone di individuare le regole che favoriscano la dignità e il benessere di tutti».

Al di là della follia della molteplicità dei sessi a piacimento personale (per l’Australian human rights commission, oltre ai classici uomo e donna, ce ne sarebbero addirittura altri ventidue), quella che dà dell’etica ci sembra una definizione condivisibile. Proprio per questo è ancora più strano che sia proprio lui ad affermarla, dato che due anni fa Mori ha difeso due suoi ricercatori, Giubilini e Minerva, a loro volta responsabili della “Consulta di Bioetica”, divenuti internazionalmente famosi per aver proposto l’infanticidio dei neonati: «uccidere un neonato dovrebbe essere permesso in tutti i casi in cui lo è l’aborto, inclusi quei casi in cui il neonato non è disabile», hanno scritto, sollevando un polverone a livello mondiale.

Maurizio Mori, presidente della “Consulta di Bioetica” non solo li ha difesi ricordando che «non si può dire che la tesi sia di per sé tanto assurda e balzana da essere scartata a priori solo perché scuote sentimenti profondi o tocca corde molto sensibili», ma -successivamente- li ha anche elogiati pubblicamente. Un anno fa, infatti, i suoi due ricercatori hanno ribadito il concetto: «non basta provare piacere o dolore, perché ciò avviene anche a un feto, serve uno sviluppo neurologico superiore, cioè avere degli scopi, delle aspettative verso il futuro, provare un interesse per la vita. E un neonato non li ha. Noi abbiamo aggiunto solo un pezzetto: il fatto che non occorra che il neonato sia disabile per poterlo uccidere». E Mori ha aggiunto: «Siete troppo modesti. Non avete aggiunto solo un pezzetto, avete anche inventato un nome: aborto post-nascita». Che bravi, davvero, l’Italia è orgogliosa di voi!

Chissà se Mori ritiene, oltre all’aborto, anche l’infanticidio “un’idea innovativa” e chissà se quando parla di etica come individuazione di regole a favore della dignità e il benessere di tutti, pensi anche alla dignità dei feti e dei neonati. Noi, al contrario, siamo certi di pensare che se queste sono le proposte della “bioetica laica”, siamo davvero orgogliosi di proporre un’etica completamente diversa ed opposta.

La redazione

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Quando Obama diceva: «senza gay la Russia perderà i Giochi»

Olimpiadi SochiLe Olimpiadi russe di Sochi sono state carine, a tratti entusiasmanti grazie alla vittoria delle sei medaglie italiane.

Per mesi ci hanno martellato con il catastrofismo Lgbt di chissà quali retate anti-gay durante i Giochi olimpici, Gian Antonio Stella ha parlato con la sua solita foga da intellettuale mancato addirittura di gulag sovietico, mancando di rispetto a chi davvero ha vissuto la dittatura stalinista. Invece l’unico episodio dubbio accaduto è stato il fermo del transessuale Vladimiro Guadagno, recatosi in Russia per puro spirito di provocazione, il quale ha affermato di essere stato arrestato dalle autorità russe mentre sventolava una originalissima bandiera arcobaleno con scritto “Gay is ok”, ma il Cio (Comitato Olimpico Internazionale) ha puntualmente smentito qualsiasi fermo di un cittadino italiano, tanto meno mascherato da donna.

Il tam tam mediatico anti-Russia è stato avviato nientemeno che dal presidente americano Barack Obama, che ha deciso di disertare l’inaugurazione dei Giochi. E nessuno pare averne sentito la mancanza, anche perché la rivista “Fortune” lo ha buttato fuori dai primi 50 leader più influenti al mondo (al primo posto Papa Francesco). Divertente ricordare che Obama, vincitore di un imbarazzante premio Nobel per la Pace e proprio oggi criticato dal cardinale americano Raymond Burke per la sua crescente ostilità verso la cristianità e la libertà religiosa, nell’agosto 2013 ha addirittura affermato: «se la Russia non avrà atleti gay o lesbiche, il suo team sarà più debole».

Essere gay non penalizza certamente nello sport, ma è curioso a posteriori osservare che la Russia (senza gay) è uscita dalle Olimpiadi con ben 33 medaglie vinte, mentre gli USA ne hanno vinte 28, dietro a Norvegia e Canada. E meno male che il team russo avrebbe dovuto essere più debole!

Obama esce sconfitto dalla sciocca battaglia ideologica che ha voluto iniziare contro la Russia, ed è curioso che uno dei principali collaboratori de “Il Fatto Quotidiano”, l’anticlericale Marco Politi, abbia scelto di elogiare Vladimir Putin affermando che «sarebbe comprensibile metterlo in una hit parade di politici realisti, che difendono gli interessi del proprio Paese e – come è accaduto in Siria – cercano di contemperare i propri interessi geopolitici con l’auspicabile cancellazione di opzioni guerresche», mentre al presidente americano ha preferito ricordare che «sul piano operativo non è riuscito diventare un creatore di pace effettivo».

Ricordiamo infine che fortunatamente la situazione in Russia nei confronti delle persone omosessuali non è come viene descritta dai media occidentali, tanto che Nikolay Alekseyev, il più importante attivista gay russo e presidente di “GayRussia”, ha chiarito che quanto viene detto «non ha nulla a che fare con la realtà» e ironico ha commentato che «la cosiddetta “orribile” legge contro la propaganda gay è in vigore da più di sette anni e la sua applicazione ha portato addirittura a ben due condanne!».

La redazione

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