In difesa dell’uomo, il “risveglio” di molte vite

VeilleursIl preoccupante attacco all’uomo, a cominciare dai legami familiari, incrementatosi particolarmente negli ultimi anni, ha ricevuto come risposta un “risveglio” da parte di molte persone, di molte vite, di molti liberi pensatori riluttanti a farsi dominare, soggiogare e manipolare dalle lobby, dagli organi di comunicazione e dai fantomatici “nuovi diritti” inventati a tavolino.

In Francia oltre un milione di persone si sono riversate nelle piazze contro l’imposizione dei matrimoni gay decisi dal presidente Hollande, il quale, non solo ha usato violenza e repressione verso i pacifici manifestanti, ma ha anche ignorato la richiesta di un referendum popolare su tematiche tanto sensibili. Il consenso popolare rasente allo zero che si ritrova oggi era inevitabile.

Proprio in Francia è nata la “Manif pour Tous”, un’aggregazione spontanea di migliaia di cittadini in difesa della famiglia naturale. Un successo talmente ampio che da diversi mesi è sbarcata anche in Italia (www.lamanifpourtous.it e su Facebook) e, come riportato dall’agenzia Itar-Tass, i responsabili francesi sono stati inviati a Mosca per alcuni giorni di discussione ed approfondimento sulle strategie da adottare in difesa della famiglia tradizionale e dei diritti dei bambini.

Nel frattempo, sempre in Italia, sono nate altre iniziative: le già famose “Sentinelle in Piedi” (www.sentinelleinpiedi.it e su Facebook) e la recente associazione “Voglio la mamma”, originatasi attorno al libro di Mario Adinolfi, tra i fondatori del Partito Democratico (www.marioadinolfi.ilcannocchiale.it e su Facebook).

Su “Le Figaro” è comparsa nel frattempo un’intervista ad uno dei fondatori di un’ennesima iniziativa francese, da cui poi hanno preso spunto le “Sentinelle” italiane, i “Veilleurs” (www.les-veilleurs.eu), che compiono un anno di vita: «Non siamo un gruppo di preghiera e neanche un’assemblea partigiana, non abbiamo una morale o un programma da propagandare. Non siamo guardiani di museo, conservatori dei tempi andati e neanche semplicemente indignati. Noi siamo amanti della vita», ha spiegato Axel Noorgard Rokvam. Il quale ha aggiunto «gli avvenimenti politici hanno suscitato o resuscitato in molte persone la presa di coscienza di una responsabilità personale. Noi siamo aperti a tutti, il nostro è un movimento gratuito, non confessionale e non partigiano». Le riunioni dei Veilleurs sono «una cinquantina a settimana» in tutta la Francia e si svolgono da centinaia di persone che si riuniscono nelle piazze di sera, seduti, per ascoltare letture e cantare, sono degli «incontri» che vanno oltre il semplice trovarsi e «raggiungono il profondo di ogni persona».

In un anno si sono svolte circa 3 mila veglie e dai partecipanti sono nati esponenti politici che hanno assunto impegni pubblici, creato associazioni al servizio del bene comune. «Non ci limitiamo al tema della filiazione ma che ci allarghiamo a una riflessione più vasta sull’uomo, la libertà, la giustizia, la vita e la morte».

Gli eventi precipitano, invitiamo tutti i nostri lettori ad aderire almeno ad una delle iniziative italiane in difesa, non tanto della famiglia, ma propriamente dell’uomo. Come ci insegnano gli amici francesi “Veilleurs”, serve una responsabilità personale.

La redazione

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«La sinistra italiana? Preferisce Luxuria a Norberto Bobbio»

Voglio la mamma adinolfiVoglio la mamma – da sinistra, contro i falsi miti di progresso è il nuovo libro di Mario Adinolfi, scrittore, giornalista e uno dei fondatori del Partito Democratico italiano, che ha inaugurato una battaglia, da sinistra, in difesa dei più deboli e indifesi.

«Sono stato a sinistra tutta la vita per difendere il grido dei deboli», ha spiegato in un’intervista. «Credo che la sinistra si debba fermare e chiedersi chi è il povero che vuole difendere. Io penso che oggi il più debole e indifeso sia il bambino. Io sono un peccatore, sbaglio, ma tra il desiderio dei più forti e il diritto dei più deboli continuo a battermi per il secondo. Tra il desiderio della mamma di abortire un figlio, malato o meno, sto con il figlio. Tra due coniugi che comprano un bambino, sfruttando l’utero di una madre, sto dalla parte di quello del piccolo a non essere strappato dal seno della madre e di quest’ultima a non essere usata. E davanti all’anziano che chiede l’eutanasia sto con lui e con chi lo accetta e lo ama, non con chi lo ammazza».

Sul suo blog, Adinolfi ha elencato 20 punti “non negoziabili”, che sintetizzano il contenuto del suo lavoro. «Dire “voglio la mamma”, come il titolo del mio libro, significa dire che voglio la donna. Bisogna che la donna ritorni se stessa, ossia una madre che accoglie e vuole proteggere il figlio a costo della sua vita. E invece le mie amiche di sinistra non si indignano nemmeno più per le donne sfruttate dal mercato dell’utero in affitto». Da intellettuale di sinistra critica anche il ddl Scalfarotto: «Non è giusto che stia per passare una legge, il ddl Scalfarotto, che introdurrà il reato di opinione, facendo passare il mio libro o un’intervista come questa come istigazione alla violenza o all’odio».

«Ho scritto questo libro», ha quindi spiegato, «proprio per la sinistra a cui appartengo. Occorre che si liberi da un tic mentale per cui la legge 194 non si tocca, la legge 40 è da scardinare e ora bisogna sostenere per forza la legge sull’omofobia, senza pensare nemmeno a cosa si stia facendo. Che la nostra cultura si sia ridotta ad accettare a scatola chiusa quello che dicono Grillini o Luxuria all’Isola dei famosi è deprimente. Il mio libro vuole liberare da questo tic con l’arma della ragione, seguendo Pasolini, Bobbio e i grandi pensatori di sinistra. Io parto da dati di fatto per avviare una riflessione seria».

Adinolfi (che trovate anche su Facebook) ha partecipato alla manifestazione di Roma delle “Sentinelle in piedi” e parla di “resistenza”, tanto che dato il successo della sua battaglia, il 25 aprile ha costituito ufficialmente un’associazione, «con l’ambizione di ramificarci in tutti gli ottomila comuni italiani: un circolo in ogni borgo, quartiere, città». Per far parte della neo-associazione basta scrivere a adinolfivogliolamamma@gmail.com.  

In bocca al lupo Mario, noi siamo con te!

 

Qui sotto il video del recente convegno “Contro i falsi miti di progresso”

 

La redazione

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L’opportunismo “religioso” di Benito Mussolini

BENITO MUSSOLINI, ANNEES 1930Una delle caratteristiche peculiari di Benito Mussolini è stato il suo “trasformismo” politico che lo ha portato ad assumere per calcolo e opportunismo provvedimenti che non sempre coincidevano con le sue opinioni private.  Questo atteggiamento lo si può notare per esempio nei confronti delle sue convinzioni religiose.

È noto infatti che prima di salire al governo Mussolini manifestò un atteggiamento ferocemente anticlericale: il rivoluzionario aveva dipinto da giovane la Chiesa con diversi epiteti come  “grande cadavere”, “lupa cruenta”,  “covo di intolleranza” e i sacerdoti come “pipistrelli”, “sanguisughe” o “sudici cani rognosi”. A volte negava l’esistenza storica di Gesù asserendo che i Vangeli non potevano essere considerati documenti degni di fede, mentre altre invece raffigurava Cristo come il primo “socialista ante litteram” accusando i papi di aver tradito il suo messaggio. In Svizzera ebbe un dibattito con il pastore evangelico Alfredo Tagliatella dove, togliendosi platealmente l’orologio, sfidò Dio dicendogli di fulminarlo entro cinque minuti se esisteva. In una serie di articoli pubblicati con lo pseudonimo di “Vero Eretico” accusò la religione d’aver prodotto secoli di guerre e i terrori dell’inquisizione e attacchi virulenti li utilizzò anche nei suo romanzi come “Claudia Particella, l’amante del cardinale” o “Giovanni Hus il veridico”.

L’atteggiamento di Mussolini non mutò neppure quando il capo del fascismo fu espulso dai socialisti e fondò i fasci di combattimento: tra i vari punti del programma di San Sepolcro c’era anche la proposta di confiscare “tutti i beni delle Congregazioni Religiose”. Di fronte però all’insuccesso elettorale ottenuto nelle elezioni politiche del novembre del ’19 mutò decisamente posizione intuendo che per raccogliere consensi era necessario non attaccare frontalmente la religione professata dalla stragrande maggioranza della popolazione:  «Qualcuno può dirvi che il fascismo è nemico della religione, che vuole scristianizzare l’Italia. Questa è una ridicola e ignobile calunnia» dichiarò in un discorso del 1921. Una volta salito al governo il futuro dittatore continuò a cercare l’appoggio dei cattolici per rafforzare la sua posizione all’estero e all’interno del paese seguendo una tattica binaria che prevedeva di blandire la Chiesa attraverso dei provvedimenti a suo favore come dei sussidi governativi a favore delle scuole religiose o l’affissione dei crocifissi e nel contempo di attaccare il clero di dichiarato comportamento antifascista o filopopolare.

Per consolidare ulteriormente le basi di massa del regime Mussolini decise di rivestire un accordo con la Chiesa risolvendo definitivamente la Questione Romana (idea che il duce aveva già coltivato fin dal ’23) e, dopo tre anni di negoziato, si giunse l’11 febbraio del 1929 alla firma dei Patti Lateranensi. Mussolini cercò anche di fare passare al popolo l’immagine di essere un devoto cattolico (a tal fine fece regolarizzare la sua relazione con Rachele sposandosi in chiesa), ma nel suo intimo restava un anticlericale convinto come è dimostrato da alcune sue disposizioni (ad esempio i giornali ricevevano spesso l’ordine di ignorare il papa). Paradossalmente, l’odio del duce verso i preti spuntò fuori chiaramente dopo la firma dei Patti Lateranensi: «Come avete udito, abbiamo fatto pace con la Chiesa… Ora che la pace è stata fatta, si può riprendere la guerra!» dichiarò di fronte al Gran Consiglio del Fascismo. A solo due mesi dalla firma del concordato il capo del fascismo fece infuriare il papa con delle dichiarazioni alla Camera nella quale affermò che in conseguenza del Trattato la Chiesa non era più libera ma subordinata allo stato e che la religione cristiana «molto probabilmente non avrebbe lasciato traccia di sé» se fosse rimasta in Palestina e non si fosse trapiantata a Roma.

Nonostante ciò il regime fascista godette negli anni ’30 di un sostanziale appoggio da parte delle gerarchie ecclesiastiche anche se non mancarono scontri che lasciarono intravedere che la collaborazione era solamente opportunistica e precaria. Nel 1931, ad esempio, vi fu un aspro conflitto tra la Chiesa e il regime riguardante l’educazione dei giovani: i fascisti avevano avviato una violenta campagna contro l’Azione Cattolica per tentare di monopolizzare la formazione della gioventù. Pio XI era molto infuriato per questo: “Gli vada a dire (al Duce) che con i metodi che usa e i fini che si propone, mi fa schifo, nausea, vomito…” disse ad un diplomatico italiano. Il papa giunse persino a meditare di rompere i rapporti con lo stato italiano, ma alla fine rinunciò ascoltando il parere di Pacelli che considerava il gesto controproducente. La risposta del pontefice fu comunque molto energica e si riversò nell’enciclica «Non abbiamo bisogno» che denunciava le pretese totalitarie dello stato fascista. «Intanto io darò un giro di vite alla situazione per quanto riguarda le scuole cattoliche condotte dai religiosi. Tutto questo sul piano tattico, mentre sul piano strategico manterremo la nostra linea di perfetta osservanza religiosa e di rispetto nei confronti del papa» dichiarò macchialevicamente Mussolini dopo l’uscita del documento papale.

Se lo scontro riguardante sull’Azione Cattolica trovò infine un compromesso tra le due parti, non fu invece così per quanto riguarda un altro dissidio: le leggi razziali. Pio XI guardava con sfavore all’alleanza tra il duce e il dittatore tedesco a causa delle vessazioni operate contro i cattolici in Germania e fu enormemente contrariato quando Mussolini emanò anch’esso nel ’38 una legislazione antiebraica di stampo razziale. È stato sostenuto da alcuni che all’epoca la Santa Sede manifestò un riservato silenzio finendo per accettare la legislazione antisemita, eppure fu proprio quest’ultimo atto che provocò un dissidio insanabile tra il papa e il regime fascista in quanto veniva considerato un vulnus inferto al concordato (erano infatti vietati i matrimoni misti anche se il coniuge ebreo era convertito al cattolicesimo). Pio XI si esprimete in maniera profondamente negativa riguardo ai razzismo fascista:  «Ci si può chiedere come mai, disgraziatamente l’Italia abbia avuto bisogno di andare a imitare la Germania!»,  «Il razzismo è un errore che raggiunge i gradini alti degli altari perché intacca la dottrine cattoliche» dichiarò, ma Mussolini fece sapere di essere ormai intenzionato a tirare dritto con la questione razziale e lanciò strali furibondi contro Pio XI: «Io non sottovaluto la forza del papa; ma lui non deve sottovalutare la mia. Basterebbe un mio cenno per scatenare tutto l’anticlericalismo di questo popolo, il quale ha dovuto faticare non poco per ingurgitare un Dio ebreo» disse a Galeazzo Ciano. Al genero confidò anche di essere intenzionato a lanciare un ultimatum alla Chiesa: «Contrariamente a quanto si crede, io sono un uomo paziente. Bisogna però che questa pazienza non mi venga fatta perdere, altrimenti agisco facendo il deserto. Se il Papa continua a parlare, io grato la crosta agli italiani e in men che non si dica li faccio tornare anticlericali. Al Vaticano sono uomini insensibili e mummificati. La fede religiosa è in ribasso: nessuno crede a un Dio che si occupa delle vicende personali dell’agente di polizia fermo nell’angolo del Corso» (citazioni prese da A. Spinosa, Mussolini, Milano 1992 p. 343).

Il papa era intenzionato a compiere due azioni che avrebbero forse potuto modificare enormemente il rapporto tra la Chiesa e i regimi nazifascisti: la redazione dell’enciclica contro il razzismo «Humani Generi Hunitas» e un discorso severo contro il fascismo e il nazismo da pronunciare il giorno del decennale dei Patti Lateranensi. Entrambe queste iniziative non furono però infine attuate a causa della prematura morte del papa avvenuta il 10 febbraio 1939. Su questo fatto è nata anche la leggenda che Pio XI fosse stato in realtà ucciso dal suo medico Francesco Petacci (padre dell’amante di Mussolini) su ordine del duce proprio per evitare che il papa pronunciasse quel discorso. La tesi è sicuramente da scartare, ma come in ogni leggenda anche questa contiene un barlume di verità dato che il duce accolse con sollievo la notizia della scomparsa del pontefice al punto che commentò: «Finalmente è morto quest’uomo dal collo rigido» (sull’ipotesi dell’assassinio di Pio XI cfr. Guseppe Di Leo, Pio XI ucciso da Mussolini?, Il Riformista 16 luglio 2005).

Nonostante il successore di Achille Ratti, Pio XII, fosse ben più “diplomatico” rispetto al suo predecessore, non mancarono però anche con esso dei dissidi avvenuti con il regime riguardanti stavolta l’entrata nella seconda guerra mondiale. Pacelli operò affinché l’Italia restasse estranea al conflitto, ma il capo del fascismo era fermamente intenzionato ad entrare in guerra per spartirsi il bottino convinto dalle rapide vittorie tedesche che il conflitto si sarebbe presto concluso e fu notevolmente irritato dagli appelli per la pace del papa: «C’è un campo di concentramento anche per il vecchio del Vaticano, se non la smette di piatire per la pace» giunse ad affermare. Anche negli anni seguenti il duce si lasciò andare a commenti anticlericali virulenti come quelli pronunciati negli anni giovanili: ad esempio, Galeazzo Ciano annotava il 22 dicembre 1941 sul suo diario che Mussolini “si era scagliato contro il Natale. Si sorprende che i tedeschi non abbiamo ancora abolito questa festa che «ricorda soltanto la nascita di un ebreo che regalò al mondo teorie debilitanti e svirilizzatrici e che ha particolarmente fregato l’Italia con l’opera disgregatrice del papato»” (G. Zagheni, La croce e il fascio, Torino 2006 pp. 260-261).

Tuttavia, c’è chi ha parlato di una sua conversione religiosa al cattolicesimo negli ultimi anni della sua vita dopo il suo arresto nel 1943. Effettivamente, la caduta ha probabilmente fatto emergere nel fondatore del fascismo dubbi e domande sul destino ultimo dell’anima, ma storici come Renzo De Felice e Denis Mack Smith hanno escluso l’ipotesi di una sua conversione e del resto, non va dimenticato che negli anni della Repubblica di Salò Mussolini appoggiò l’opera di don Tullio Calcagno, sacerdote che minacciava uno scisma dalla Santa Sede a causa del mancato appoggio del Vaticano alla Repubblica Sociale Italiana.

Ha  scritto giustamente Armando Carlini sulla politica religiosa di Mussolini: «è vero che con lui il nome di Dio risuonò , forse per la prima volta, solenne e ammonitore nella grigia aula del parlamento. E’ vero che si deve a lui la distruzione in Italia della Massoneria e la Conciliazione con il Vaticano. Ma queste imprese non furono da lui eseguite, e di fatto giustificate, con ragioni che non fossero essenzialmente politiche e sociali». Un approccio dunque materialista e calcolatore che a lungo andare però sarebbe andato a cozzare, come infatti è successo, con la vera anima del fascismo fondata sul nazionalismo esasperato e sul controllo totalitario della società.

Mattia Ferrari

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La teologia atea: il caso Vito Mancuso

Lo strano caso di Vito Mancuso, teologo ateo. Da anni professa su “Repubblica” una teologia new-age, negando la morale cattolica e i miracoli di Gesù, dimenticandosi di Lui perfino il venerdì santo.

 
 

Nella storia della Chiesa è curioso il fenomeno per cui molti dei più feroci anticlericali siano stati ex-seminaristi.

Due esempi curiosi su tutti: il dittatore Stalin ed il quasi matematico Odifreddi (ma l’elenco è molto lungo). Il teologo Vito Mancuso è invece un caso a sé stante

Dopo essersi spretato, Mancuso ha cominciato anche lui a combattere la teologia cattolica, professando contemporaneamente una forma di spiritualismo cristiano-buddhista-vegano-ecologista, un moralismo laico e sincretista basato su termini new-age come “empatia”, “armonia”, “energia” ecc.

Mentre un anticlericalismo violento e dichiaratamente ateo viene respinto dalla maggior parte delle persone, il potere di persuasione di Mancuso, grazie al suo approccio “soft”, è al contrario estremamente elevato. Per questo il furbo e laicissimo Eugenio Scalfari lo ha premiato, donandogli il ruolo di editorialista di Repubblica.

 

Mancuso e la rivoluzione della morale cattolica.

E’ da queste colonne che -consapevole della crisi d’identità del protestantesimo europeo- da anni Mancuso spinge per una riforma in chiave protestante dell’etica cattolica, sapendo così di indebolirne le fondamenta.

E’ proprio di oggi un suo articolo-sermone, non certo sui cristiani massacrati in Medioriente, ma sul “diritto dei preti di sposarsi”, ovviamente tutto «per il bene della Chiesa».

L’ossessione di Mancuso, tra citazioni evangeliche e bibliche, è la rivoluzione della morale cattolica ed il modus operandi è insidioso: «Che ne sarebbe della Chiesa, se fallisse Francesco?» si domandò tempo fa. Se Papa Francesco non farà una rivoluzione -è la minaccia di Mancuso-, cioè se non aprirà a: matrimoni gay, fecondazione artificiale, sperimentazione su embrioni, eutanasia/testamento biologico, sacerdozio femminile, adozione gay, preti sposati ecc., allora «sarebbe la fine della luce che si è accesa nell’esistenza di tutti gli esseri umani non ancora rassegnati al cinismo e alla crudeltà della lotta per l’esistenza». Il ricatto è evidente.

 

Vito Mancuso ateo? Il venerdì santo dimentica Gesù.

In un altro recente editoriale, altrettanto significativo, è stato quello del Venerdì Santo. Mentre nel mondo si svolgeva la Via Crucis per ricordare la passione di Gesù Cristo, il teologo Mancuso rifletteva anche lui di Via Crucis ma senza mai citare Gesù, preferendo parlare -non si sa con quale autorità o competenza- di economia, dell’accumulo di denaro, del consumismo, dell’antropocentrismo cristiano ecc.

Un fatto significativo, per un teologo “cattolico”, ignorare il senso della Pasqua e non prendere mai posizione sulla morte di migliaia di cristiani nel mondo, preferendo qualsiasi altra tematica.

 

Mancuso nega i miracoli di Gesù.

I dubbi sulla vera identità di Mancuso sono sorti perfino ad un intellettuale laico come Angiolo Bandinelli. Il teologo di Carate Brianza ha infatti partecipato –ne avevamo già parlato– ad un’intervista in cui ha apertamente negato Dio e l’intervento divino, spiegando che i miracoli «sorgono dal basso, dall’energia della mente umana».

Aggiunse, inoltre, l’assurdità che «una carezza, una parola dolce hanno lo stesso potere curativo di un farmaco».

Bandinelli, perplesso perfino lui, ha commentato: «Vi è tutta una letteratura di stampo libertino-illuministico che tende a spiegare in termini naturalistici gli eventi o le situazioni proprie della religiosità. Ora, con Mancuso, siamo al miracolo come “prodigio dell’energia della mente umana”. Non innova di molto, il suo è solo positivismo aggiornato e sofisticato».

La redazione

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Scoperto l’ennesimo caso di finta omofobia

Richard KennedyIl giovane omosessuale Richard Kennedy si è fatto male da solo, ma prima di essere scoperto attaccava la “società omofoba”, con il sostegno dei media. E’ l’ultimo caso di finta omofobia balzato alle cronache.

Ma prima facciamo un passo indietro: ovviamente non esiste alcun fenomeno omofobia, ormai è chiaro più o meno a tutti. Anche a coloro che hanno interesse ad introdurre il reato d’opinione per mettere a tacere chi si ostina a pensarla diversamente. Esiste certamente qualche episodio sporadico, ovviamente da condannare come tutti gli atti di bullismo.

Oltre al nostro dossier, in cui appunto dimostriamo la menzogna del presunto “fenomeno omofobia”, è proprio una ennesima coppia omosessuale, italiana, ad ostacolare le invenzioni e i progetti della lobby Lgbt. Dopo aver raccontato di aver avuto un figlio in regalo da una madre generosa, «un atto di generosità, un po’ come donare il sangue» (questi sono i paragoni di chi nega ai bambini l’equilibrio del padre e della madre per folle egoismo), hanno spiegato che «nel nostro Paese più che altro ci sono pregiudizi e tabù più sul fronte giuridico che sociale. Non mi sento giudicato da chi mi circonda e i miei figli vivono in condizioni di grande serenità e benessere». Serenità e benessere, questo è il clima in cui vivono gli omosessuali in Italia, per il dispiacere dell’Arcigay.

D’altra parte l’Oscad, l’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori, ha certificato che in Italia ci sono soltanto 28 segnalazioni all’anno (segnalazioni non certificate, ovviamente). L’Agapo (“Associazione Genitori e amici di Persone Omosessuali”) ha confermato che «l’odio nei confronti dei “gay” rappresenta un fenomeno complessivamente marginale», esattamente come sostenuto da tanti omosessuali, come il calciatore Thomas Hitzlsperger. Il prestigioso Pew Research Center ha mostrato che l’Italia si colloca tra i Paesi del globo aventi i maggiori tassi di accettazione dell’omosessualità, appena sotto la Francia.

Insomma, nemmeno in Italia esiste l’omofobia, così come nella maggioranza dei Paesi europei. Per questo occorre inventarsela, sperando nella legge del compenso: se gli omosessuali passano come minoranza discriminata allora si approfitterà per educare “all’accettazione” i retrogradi italiani con tutti i noti pipponi sulla diversità, sulla normalizzazione e sul “che male c’è?”, portando transessuali e libri omo-pornografici (vedi “Sei come sei”) nelle scuole per indottrinare, fin dalla tenera età, “alla diversità”. Questo spiega gli innumerevoli casi di “finta omofobia”, ovvero attacchi ad omosessuali sapientemente orchestrati dagli stessi per poter poi aggredire la società intollerante.

Non solo in Italia: l’ultimo in ordine di tempo è stato il giovane omosessuale Richard Kennedy. Il 4 marzo ha guadagnato le prime pagine dei quotidiani internazionali e sui social network mostrando terribili ferite e denti rotti e accusato l’aggressione da parte della fantomatica “banda omofoba” che «urlando insulti omofobi lo ha spinto a terra, picchiandolo in testa». Più o meno la descrizione è sempre la stessa. «Sono stato violentemente aggredito a causa della mia sessualità», ha spiegato il ragazzo. «Voglio che la gente mi usi come esempio, voglio che la gente veda che cosa può succedere» se un omosessuale esce di casa da solo. Un esempio del perché l’omofobia è sbagliata ed è disgustoso che ci sia ancora nel 2014».

Già, peccato che pochi giorni dopo la polizia inglese ha trovato un filmato a circuito chiuso in cui si vede Kennedy inciampare da solo cadendo con la faccia sul marciapiede. Ovviamente il ragazzo ha dovuto fare “coming out”, ammettendo di essersi inventato tutto.

Un caso isolato? Non proprio, più volte ne abbiamo segnalati altri, almeno quelli che sono stati scoperti come bufale. Ad esempio il caso di Roberto, omosessuale suicidatosi e usato come martire dell’omofobia, prima che la polizia archiviasse il caso ed escludesse atti di bullismo nei suoi confronti. Il caso del 15enne di Roma suicidatosi, che poi si è scoperto non essere nemmeno gay, o il caso del giovane Andrea. Il caso di Joseph Baken, quello di Alexandra Pennell, la coppia di lesbiche del Colorado, il caso di Charlie Rogers, ecc..

La redazione

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Il libro del matematico Aczel: “La scienza non smentisce Dio”

Why science does not disprove godAmir D. Aczel è un noto matematico e divulgatore scientifico israeliano naturalizzato americano, docente in varie università, dalla dalla California all’Alaska, dalla Grecia all’Italia, prima di approdare come docente di Matematica alla Bentley University del Massachusetts, con un visiting scholar in Storia della Scienza presso l’Università di Harvard.

Il suo nuovo libro ha già fatto il giro del mondo perché tocca una corda che per molti intellettuali laici è decisamente tesa. Il titolo è chiaro: ““Why Science Does Not Disprove God, ovvero “Perché la scienza non smentisce Dio”. Una sfida diretta al principale cavallo di battaglia dei fondamentalisti atei -da Dawkins a Odifreddi, da Lawrence Krauss a Dennett-, contenuto in tutti i loro libri degli ultimi dieci anni.

Una recensione dell’“intelligente e stimolante” libro è stata pubblicata sul “Washington Post” in cui si spiega che è frequente la presa di mira degli autori ateo-scandalistici che abbiamo citato poco sopra, i quali «usano la scienza moderna per sostenere che Dio non è solo inutile, ma può difficilmente esistere. C’è un certo fervore religioso in tutti questi libri». Aczel «tenta di dimostrare che le analisi dei “nuovi atei” sono ben lungi dal confutare l’esistenza di Dio. Egli accusa queste persone di macchiare l’impresa scientifica piegandola alla loro scura missione. “Lo scopo di questo libro è quello di difendere l’integrità della scienza”, scrive nella sua introduzione».

La missione di Aczel, invece, è quella non solo di sfatare gli argomenti dei “nuovi atei”, ma anche di suggerire che i risultati della scienza in realtà indicano l’esistenza di Dio, anche attraverso diverse interviste a dozzine di eminenti scienziati, undici premi Nobel e teologi. Un capitolo riguarda la cosmologia, un altro l’archeologia, un altro la biologia e l’evoluzionismo e così via.

Insomma, una lettura che certamente Piergiorgio Odifreddi consiglia a tutti, anche perché in passato ha sempre valorizzato e recensito i libri del matematico Aczel, che stima molto riconoscendogli l’ottima competenza nel campo in cui lui, al contrario, non ha granché brillato. Non a caso, l’ex divulgatore torinese si è oggi ridotto all’attività di blogger, accusando Papa Francesco di essere miliardario perché possiede tutti i beni della Chiesa e invitandolo a tacere “per pudore e decenza”. Rispediamo il consiglio allo stesso Odifreddi il quale, come ha rivelato Francesco Agnoli, è solito chiedere -senza vergognarsi-, 2000€ più spese quando viene invitato come relatore a qualche serata a scopo culturale.

La redazione

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L’eutanasia legale? Poi è impossibile limitarla

CampbellL’eutanasia è stata legalizzata la prima volta spingendo sui “casi estremi”, i malati terminali. Una volta inclinato il piano, inevitabilmente è destinato ad aumentare la pendenza: si è infatti passati ad accettarla per i malati non terminali, poi per gli anziani, poi per i bambini malati, poi per le sofferenze solo psicologiche (come solitudine, noia di vivere).

Fino ad arrivare ad oggi dove nella clinica svizzera “Dignitas” è stato concesso il suicidio assistito ad un’insegnante inglese, single e senza figli, che non riusciva ad adattarsi alla tecnologia e non comprendeva i tempi moderni. Interessante il commento de “Il Sussidario”, che ha parlato di una società disumana, che di fronte ad un chiaro grido di aiuto, come quello di questa donna, che dice “vorrei morire”, risponde “ti aiuto ad ucciderti”, anziché domandarsi dove ha fallito.

La soluzione non è ucciderci tra noi, ma ««ai malati serve che qualcuno li ami, non che li uccida». A dirlo è Jane Campbell, vittima di atrofia muscolare spinale diagnosticata quando aveva 11 mesi di vita. Perché «la pena peggiore per un malato è la mancanza di qualcuno che ti vuole al mondo così come sei, non la malattia». Se si è circondati da nessuno o da persone per le quali sei un peso, è ovvio il pensiero di toglierti da parte. Il quale aumenterebbe di potenza con una legge che facilitasse il suicidio assistito. Questa cultura «istiga i deboli al suicidio. Arriveranno a sentirsi in colpa per il fatto di esistere, di costare tempo e denaro. Ma noi vogliamo davvero vivere in un mondo di solitudine e disperazione, un mondo privo di compassione?».

«La bugia», ha spiegato in un’intervista, «sta nell’idea che dipendere sia una cosa terribile. Le persone spesso si fermano all’apparenza e per esempio quando guardano me non vedono quello che io sono. Mi riducono a una donna in carrozzina che scrive con un dito e che si nutre con la peg. Se solo avessero il coraggio di guardare oltre vedrebbero che sono una donna felice». Grazie soprattutto al suo intervento, nel 2009 la legge intesa a sostenere i viaggi dei malati terminali verso paesi che praticano l’eutanasia è stata respinta con 194 voti a 141.

La redazione

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Anche chi ha la sindrome di Down può essere felice

Bambini down«Cara futura mamma, non avere paura. Tuo figlio potrà fare un sacco di cose». La rassicurazione arriva da una serie di bambini e adolescenti con sindrome di Down, che hanno voluto così rispondere alla lettera preoccupata di una mamma che ha appena scoperto di avere nel grembo un bambino affetto da questo handicap.

La video-lettera è stata messa on line dal CoorDown, il coordinamento nazionale delle associazioni delle persone con sindrome di Down, che l’ha realizzato in collaborazione con otto associazioni internazionali, in occasione della recente Giornata mondiale delle persone con sindrome di Down, celebrata il 21 marzo scorso.

 

Qui sotto il video realizzato da Coordown

 

Protagonisti dello spot dell’agenzia di pubblicità Saatchi & Saatchi diretto da Luca Lucini, sono giovanissimi (e adulti) di tutte le nazionalità, che nelle diverse lingue raccontano cosa può fare un bambino che, oggi, nasca con un handicap attorno al quale esistono ancora troppi pregiudizi. «Tuo figlio potrà essere felice», come lo sono loro.

Il Coordown sul suo sito internet scrive che «per una persona con sindrome di Down essere felice può voler dire tante cose, anche quelle apparentemente più scontate per chiunque: andare a scuola e imparare a scrivere, poter viaggiare e conoscere il mondo, avere la possibilità di lavorare, guadagnare i propri soldi e poter andare, in alcuni casi, anche a vivere da solo, magari con la persona amata».

Un anno fa abbiamo parlato di Cristina Acquistapace, anche lei affetta da sindrome di Down, che ha affermato: «L’aborto è una decisione infelice, ci sono madri che non se la sentono di portare avanti dei bambini, non ce la fanno. Si perdono una grande gioia, secondo me, perché tutti i figlio, in qualsiasi modo nasca, è un dono del cielo, e ha tutto il diritto di venire al mondo per mostrare quello che è capace di fare. Anche se sa fare poco, deve far vedere che lo sa fare. Sono stata fortunata ad essere nata nel ’72, perché se nascevo oggi, nel 2000, l’amniocentesi mi fregava».

 

Non ha invece bisogno di presentazioni questo bellissimo video.

La redazione

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I politici cattolici sono un pericolo per la democrazia?

LaicitàVerso fine novembre Emanuele Trevi, scrittore e critico letterario, ha commentato la decisione dell’Osservatorio francese per la laicità di modificare il calendario delle festività nobilitando la Festa della Laicità del 9 dicembre, che ha sostituito quella “della Ragione”, troppo vicina al ricordo della ghigliottina illuminista di Danton.

Trevi l’ha definita «la personificazione di una virtù astratta, e dunque la creazione di una nuova divinità. Un vero laico non può che storcere il naso. A sostituire una religione con un’altra si rischia solo di far rimpiangere amaramente quella che è stata spodestata».

Vero, tuttavia lo stesso opinionista de “Il Corriere” ha mostrato di avere un’idea distorta di laicità, che addirittura censurerebbe i richiami della Chiesa cattolica all’agire politico. Ha infatti aggiunto: «Non devono esistere suggeritori esterni, di nessun genere, perché il potere che si fonda sull’invisibile, tenendo un piede in un Parlamento e un altro chissà dove, è sempre una specie di tirannia», ha spiegato. La Chiesa non deve opporsi all’eutanasia, ad esempio, perché si basa su «concezioni metafisiche del tutto opinabili». Eppure «noi devoti della laicità a questo punto facciamo il solito errore, che è quello di prendercela con il Vaticano. Ma i preti fanno solo il loro mestiere. Sarebbe molto difficile convincerli a presentarsi alle elezioni, invece di lavorare dietro le quinte. Non farebbero nessun danno se non ci fossero sempre stati quei politici così ignoranti da non capire che i poteri ufficiali non possono convivere con quelli non ufficiali».

La colpa è dunque dei politici cattolici, i quali dovrebbero abbandonare le loro convinzioni religiose ed ogni convinzione etica, appena varcata la soglia del Parlamento. «Un regime apertamente teocratico, come quello degli ayatollah, appare addirittura preferibile a questa sordida confusione di prerogative», afferma addirittura Trevi. «La stessa idea di un politico cattolico, o di un politico buddhista, o shintoista, mi sembra tremendamente nociva all’idea stessa di una vita democratica». Il politico e il cittadino possono solo essere atei, dunque, se vogliono partecipare alla vita democratica.

Domandiamo a Trevi: come non rischiare che le convinzioni dei politici siano influenzate e sostenute dalle varie associazioni atee/omosessuali/pro eutanasia al di fuori del Parlamento? Non sarebbero anch’esse l’ingerenza di un potere non ufficiale? Papa Francesco ha rifettuto proprio in maniera opposta: «A volte abbiamo sentito dire: un buon cattolico non si interessa di politica. Ma non è vero: un buon cattolico si immischia in politica offrendo il meglio di sé perché il governante possa governare». Anche il card. Carlo Maria Martini condivideva: «È perciò ovvio che movimenti di opinione e quindi anche confessioni religiose possano cercare di influire democraticamente sul tenore delle leggi che non ritengono corrispondenti a un ideale etico che a loro appare non semplice-mente come confessionale ma condivisibile da tutti i cittadini» (“In cosa crede chi non crede”, Liberal 1996).

Come contrappasso, il “Corriere” ha ospitato contemporaneamente all’articolo di Trevi anche la riflessione di Giovanni Belardelli, ordinario di Storia delle dottrine politiche all’Università d Perugia, il quale ha spiegato che l’iniziativa del governo francese «sembra poco laica e poco liberale. Poco laica, almeno per chi ritenga che la laicità non implica l’assenza o il divieto di manifestare la propria fede religiosa. La laicità del ministro francese è invece fondata su un principio di esclusione, giustificato dall’idea che la religione sia incompatibile con la libertà umana. Si tratta dunque di una concezione attivamente antireligiosa della laicità, che ha profonde radici nella storia francese degli ultimi due secoli e mezzo. In ogni caso è un’idea che contiene un concreto rischio di discriminazione. È altrettanto evidente che si tratta di un progetto ben poco liberale, perché animato da un’idea troppo vasta dei poteri dello Stato, certamente invasiva della libertà di individui e famiglie».

Ognuno saprà paragonare i due interventi e giudicare la posizione più moderata, matura e democratica. Segnaliamo un ulteriore articolo del prof. Belardelli, pubblicato vicino al 25 dicembre scorso, nel quale ha criticato la scelta di alcune scuole di vietare riferimenti cristiani alla festa natalizia in nome di un presunto “rispetto” per le altre religioni. Siamo sempre lì, ha spiegato: «Un’idea di laicità come assenza di riferimenti religiosi» e «non come incontro e confronto nello spazio pubblico tra religioni e culture, nel rispetto dei principi e delle leggi su cui si fonda la democrazia». Inoltre, ha concluso il docente di Storia delle dottrine politiche, «il messaggio che per i cattolici si lega alla nascita di Cristo rappresenta comunque uno dei sedimenti profondi della nostra identità collettiva. Benché in una società secolarizzata possiamo non averne più una chiara percezione, la democrazia vive di valori che sono per una gran parte di derivazione cristiana, a cominciare dal concetto di eguaglianza tra tutti gli esseri umani, che rimanda all’idea di una loro comune natura in quanto figli di Dio».

La redazione

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Maurizio Mori dimostra che l’obiezione di coscienza è un dovere

Maurizio MoriSe Maurizio Mori, presidente della laica “Consulta di Bioetica”, avesse pubblicamente sostenuto il matrimonio tra uomo e donna sarebbe stato censurato a vita da qualunque organo di informazione. Invece, ha semplicemente incoraggiato, difeso e pubblicamente elogiato due membri del direttivo nazionale della Consulta di Bioetica, Minerva e Giubilini, che nel 2012 sono divenuti internazionalmente noti, in senso negativo, per aver sostenuto l’infanticidio: «uccidere un neonato dovrebbe essere permesso in tutti i casi in cui lo è l’aborto, inclusi quei casi in cui il neonato non è disabile», hanno detto.

Riportando le tesi dei due italiani “The Algemeiner” ha titolato “Il dottor Mengele sarebbe stato orgoglioso”, ma veramente orgoglioso sembra essere stato proprio Maurizio Mori, l’unico che li ha difesi, scrivendo: «non si può dire che la tesi sia di per sé tanto assurda e balzana da essere scartata a priori solo perché scuote sentimenti profondi o tocca corde molto sensibili». In seguito, durante una conferenza pubblica, dopo che Minerva e Giubilini hanno ribadito la loro tesi, spiegando di aver “solamente” ricordato che «non occorra che il neonato sia disabile per poterlo uccidere», Mori ha fatto loro anche i complimenti: «Siete troppo modesti. Non avete aggiunto solo un pezzetto, avete anche inventato un nome: aborto post-nascita».

Il presidente della “Consulta di Bioetica” ha continuato ad essere un opinionista molto richiesto. Recentemente ha cercato di spiegare perché i medici dovrebbero essere costretti, contro la loro volontà, a praticare aborti. Per sostenere tale tesi Mori ha espresso tutta la sua capacità filosofica partendo da un “assunto pro-life” per poi confutarlo. Peccato che tale assunto, ovvero l’equiparazione tra la professione del medico e quella del soldato, non sia sostenuto da nessuno anche perché, come ha fatto giustamente notare Enzo Pennetta, l’analogia è errata dato che «si ferma davanti al fatto che lo scopo per cui si fa il medico è curare i malati, quello per cui di fa il solato è uccidere il nemico. Questo significa che l’atto di uccidere è l’essenza del mestiere delle armi mentre nella professione medica la morte è quello che si deve evitare con il proprio operato». La gravidanza, inoltre, non è una patologia da curare e l’aborto dunque non è una pratica sanitaria (tranne nei rarissimi casi clinici in cui è a rischio la vita della madre, per molti addirittura inesistenti).

Dunque, se un soldato di mestiere non può sottrarsi all’ordine di uccidere un nemico perché ha dato l’assenso a tale eventualità nel momento dell’arruolamento, il medico tale assenso non solo non l’ha mai dato, ma ha invece manifestato l’intenzione esattamente opposta. Ma non è finita qui, Pennetta fa notare anche che secondo i Principi di diritto internazionale riconosciuti dallo Statuto e dalla sentenza del Tribunale di Norimberga, un soldato ha il dovere di sottrarsi dall’eseguire ordini riguardanti atti criminali (come una rappresaglia su civili). Quindi, prendendo sul serio l’analogia proposta da Maurizio Mori, anche un medico ha il dovere di sottrarsi dall’eseguire pratiche criminali. Dato che lo stesso prof. Mori non riesce a dimostrare che l’aborto non è un atto criminale (rifugiandosi nella definizione di “omicidio anticipato”), l’opinione del professionista che non vuole uccidere quel che ritiene essere vita umana va rispettata e il suo è un dovere, non soltanto un diritto, com’è oggi giustamente definito. Un diritto di cui si avvale oltre il 70% dei ginecologi, un motivo ci sarà.

Il prof. Mori torni a difendere i suoi ricercatori che sostengono l’infanticidio, paradossalmente aveva più speranze di convincere qualcuno.

La redazione

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