Psicologia evoluzionista? Telmo Pievani ha (quasi) ragione

PsicologiaArriva dal più noto sostenitore della filosofia neo-darwinista l’ultima stoccata, in ordine cronologico, alla “psicologia evoluzionista”, ovvero il tentativo di spiegare il nostro comportamento estendendo la teoria di Darwin sull’evoluzione delle specie alla società e alla cultura umana.

Se il processo evolutivo dell’uomo è certamente un indiscusso dato di fatto -seppur la controversia divida tra finalisti e casualisti- la psicologia evoluzionista è frutto della filosofia neodarwinista, cioè della strumentalizzazione puramente naturalista e scientista dell’evoluzione biologica, nel tentativo di imporre alla biologia un approccio esclusivamente meccanicistico.

E’ perciò doppiamente significativo, dunque, che sia stato proprio il filosofo della scienza Telmo Pievani, legato all’UAAR (l’Unione degli Atei italiani) nell’organizzazione dei “Darwin Day”, a screditare la psicologia evoluzionista nel suo ultimo libro “Evoluti e abbandonati. Sesso, politica, morale: Darwin spiega proprio tutto?” (Einaudi 2014). Tale approccio, come dicevamo, vorrebbe spiegare ogni comportamento umano (perdono, tradimento, infedeltà, amore ecc.) tirando in ballo Darwin, ovvero tramite un istinto “selezionato” dall’ambiente preistorico. «Per i guru di questa materia», ha spiegato Pievani, «la nostra mente sarebbe una collezione di moduli evolutisi per risolvere problemi specifici: una specie di “coltellino svizzero». Eppure «per giustificare l’utilità di meccanismi adattativi così rigidi e immutabili da essere al tempo stesso preistorici e attivi ancor oggi, l’ambiente avrebbe dovuto essere uniforme e duraturo», ed invece «abbiamo vissuto in ambienti instabili e imprevedibili, dove, più che moduli di comportamento innati e rigidi, servivano al contrario flessibilità e innovazione comportamentale». Pievani parla giustamente di «imbarazzanti spiegazioni evolutive» quando si cerca di spiegare chiamando in causa la selezione naturale il perché, ad esempio, gli uomini temono i tradimenti sentimentali e le donne quelli sessuali. «Sono narrazioni affascinanti».

Ad un certo punto, tuttavia, ci pare che Pievani cada nello stesso errore che ha appena condannato. Sostenitore dell’inconciliabilità tra scienza e fede, ha spesso negato ogni finalismo e anche in questa intervista ha voluto ribadirlo: «Tutto sembra avere un senso perché c’è un’intenzione, un cattivo punito, un lieto fine. Tendiamo, fin dall’infanzia, a individuare nel mondo esterno, “progetti”, “intenzioni”. Ed è comprensibile: siamo stati per quasi tutta la nostra storia evolutiva prede in fuga da predatori più forti e cacciatori di animali più veloci di noi. Così abbiamo imparato a interpretare il comportamento degli altri esseri viventi in termini teleologici, ossia di intenzioni e progetti, per prevederli e sopravvivere». Pievani parla dell’interpretazione del comportamento degli altri esseri viventi ma sembra estendere il discorso anche in generale, cioè alla teleologia nell’evoluzione della natura, al guardare l’uomo come essere creato per uno scopo superiore, al dare un senso ultimo alla nostra vita. Ci comporteremmo così per motivi di selezione naturale, per motivi di sopravvivenza. Lo aveva già fatto Marx quando liquidava la religione definendola “oppio dei popoli”.

Ma non è anche questa psicologia evoluzionista? Questa riflessione di Pievani non è a sua volta una “narrazione affascinante” ma priva di fondamenta? Anche perché, la direzionalità e la teleologia dell’evoluzione sono considerate da numerosi scienziati non tanto un’interpretazione, ma addirittura un’evidenza. Ad esempio il più importante antropologo statunitense degli ultimi anni, George Gaylord Simpson ha affermato che «la storia della vita è decisamente non casuale» ed è evidente la «direzione nel mutamento nella morfologia» dei viventi, da cui viene la conferma dell’esistenza di «forze direzionali» nell’evoluzione (G.G. Simpson, “L’evoluzione. Una visione del mondo”, Sansoni 1972, p.154). Il celebre Theodosius Dobzhansky, teorizzatore della sintesi moderna, sempre si dimostrò aperto ad un “evoluzionismo teistico”, riconoscendo che «l’evoluzione dell’Universo è direzionale, se non necessariamente diretta» (T. Dobzhansky, “Teilhard de Chardin and the Orientation of Evolution”, “Zygon” 1976, p. 242-258).

Come ha spiegato il celebre antropologo italiano Fiorenzo Facchini, la teleologia e la direzionalità dell’evoluzione non sono un’illusione. Anzi, «l’idea di un disegno superiore, che emerge dalla razionalità della natura ed è da ricollegare al rapporto con una mente ordinatrice, con il Creatore, è certamente sostenibile, e la fede cristiana l’insegna, ma si colloca su un piano filosofico e più ancora su un piano teologico […]. Ma è ragionevole pensare che Dio si sia servito e si serva nei suoi disegni delle cause seconde, dei fattori della natura» (F. Facchini, “Complessità, evoluzione, uomo”, Jaca Book 2011, p.13). Insomma, la nostra risposta a Telmo Pievani è che il sostegno di un “progetto” è ambito della ragione, non dell’illusione. Al contrario delle spiegazioni della psicologia evolutiva, criticata giustamente anche da lui stesso.

Alla fine della sua intervista il filosofo della scienza ha, inoltre, correttamente spiegato come l’uomo non sia affatto determinato dall’istinto, al contrario degli animali. Secondo lui possediamo piuttosto un “precursore naturale”, e «questo precursore non è un tiranno come l’istinto. Può farci preferire alcune spiegazioni, come l’idea intuitiva che il Sole si muova nel cielo. Ma, se ne ascoltiamo altre più convincenti, come la teoria copernicana, possiamo cambiare idea». L’uomo è libero, cioè, e né lui né i suoi comportamenti possono essere spiegati tramite il riduzionismo e il materialismo ottocentesco.

La redazione

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Se il feto non è una persona perché occorre salvaguardarlo?

Feto 11 settimaneDa quando, per la prima volta nella storia, il partito nazista ha reso legale abortire i figli, di fatto è divenuto legale l’omicidio. Non lo dice solo Papa Francesco («Ma voi pensate che oggi non si facciano i sacrifici umani? Se ne fanno tanti, e ci sono delle leggi che li proteggono»), ma anche il papa laico Norberto Bobbio: «mi stupisco a mia volta che i laici lascino ai credenti il privilegio e l’onore di affermare che non si deve uccidere». Il laicissimo intellettuale Pierpaolo Pasolini fu ancora più chiaro in un durissimo articolo sul “Corriere della Sera” nel 1975: «Sono traumatizzato dalla legalizzazione dell’aborto, perché la considero, come molti, una legalizzazione dell’omicidio».

Chi sostiene l’aborto sostiene l’omicidio legale, ed è dunque costretto ad arrampicarsi sugli specchi, con frequente rischio di contraddirsi platealmente, per cercare di sostenere la sua posizione senza riconoscere di essere a favore dell’omicidio di altre persone innocenti. Più volte abbiamo sottolineato questi autogol citando le riflessioni di noti ginecologi abortisti e più volte abbiamo rilevato come sia inconciliabile il tentativo di affermare che embrione/feto non siano esseri umani, giustificando così l’interruzione di gravidanza, e nello stesso tempo parlare di “dramma” dell’aborto o di “scelta sofferente”.

Nessun abortista (o anche solo contrario all’aborto ma favorevole alla legge 194) è in grado di rispondere onestamente a questa semplice domanda: se l’embrione non è un essere umano, non è “uno di noi”, perché sarebbe un dramma abortire? Se l’embrione è un grumo di cellule, perché non si abortisce con facilità e naturalezza come si dovrebbe giustamente fare per estirpare un eccesso di cellule dal proprio corpo? Se invece l’embrione è un essere umano, con quale diritto etico e morale una legge permette il suo omicidio, violando così il suo diritto alla vita? O, per dirla con Norberto Bobbio: «una volta avvenuto il concepimento, il diritto del concepito può essere soddisfatto soltanto lasciandolo nascere».

Non riesce (o non vuole) a rispondere nemmeno il prestigioso comitato etico dell’American Congress of Obstetricians and Gynecologists (ACOG) che da diversi anni sta cercando di difendere due principi in evidente competizione: l’obbligo morale dei medici e delle madri nel promuovere il benessere del feto; e il sostegno all’aborto (per sostenere l’autonomia del paziente, cioè della donna, e il suo senso di benessere).

Nei suoi documenti, infatti, l’ACOG presenta l’aborto come una procedura etica, il che comporta la presunzione che il feto non è una persona e non vi è pertanto alcun obbligo di proteggere la sua vita. Eppure in diversi altri pareri, l’ACOG contraddice, guarda caso, questa posizione. Ad esempio nella relazione sui rischi dell’uso di alcool e droga, il comitato afferma che «una donna incinta ha l’obbligo morale di evitare l’uso di droghe illegali e alcol al fine di salvaguardare il benessere del feto». Nella relazione del Comitato 397 sulla maternità surrogata si parla dell’«obbligo professionale del ginecologo a sostenere il benessere della donna incinta ». Nella relazione del Comitato 501 sulla diagnosi prenatale si afferma che «l’obiettivo prioritario degli interventi fetali è migliorare la salute dei bambini, intervenendo prima della nascita per correggere o trattare le anomalie prenatali diagnosticate. Ciò deriva da un obbligo verso il benessere del feto». E così via…

Ma qual è la natura di questo obbligo morale nel promuovere il benessere del feto? Perché il medico e la donna incinta avrebbero questo obbligo? Esiste un obbligo morale verso il benessere di altre persone, non certo verso le non persone. Eppure il comitato etico dell’American Congress of Obstetricians and Gynecologists non crede che il feto sia una persona. Ma le contraddizioni non sono finite: se esiste un obbligo di natura etica nel promuovere il benessere del feto, perché tale obbligo non viene tenuto in considerazione proprio quando si tratta di porre direttamente fine alla vita del feto, tramite l’aborto?

Se l’obbligo morale di promuovere il benessere del feto deriva dal fatto che il feto è una persona, allora perché il comitato ritiene lecita l’uccisione delle persone in fase fetale? Se il feto non è una persona, allora perché esiste l’obbligo di promuovere il suo benessere? Chissà se i preparatissimi medici e filosofi del comitato etico dell’American Congress of Obstetricians and Gynecologists saranno in grado di rispondere.

La redazione

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La leader antirazzista francese contro l’educazione Lgbt

Farida BelghoulImportantissimo appello di Farida Belghoul -portavoce principale della seconda marcia per l’uguaglianza e contro il razzismo che ha avuto luogo in tutta la Francia nel 1984-, contro l’educazione Lgbt nelle scuole attraverso la cosiddetta “teoria del gender”, l’ideologia moderna per cui un bambino dovrebbe scegliere il suo genere sessuale indipendentemente dal dato naturale nel quale è nato.

«Mi sono resa conto», ha spiegato in una video-intervista (qui sotto il video) a “Il Foglio”, «che in Francia stava succedendo qualcosa di ancora più grave» del razzismo. Ovvero «l’introduzione della teoria del gender nelle scuole, alle spalle dei genitori. L’ideologia del gender è mortifera, si tratta di un progetto mondiale il cui obiettivo è fare in modo che i bambini perdano tutti i punti di riferimento». Oltre ad aver perso quelli sociali, culturali e religiosi, «questo progetto tende a far perdere ai bambini anche l’ultimo caposaldo che permetteva loro di identificarsi in qualcosa di radicato e solido: la loro identità sessuale». Nelle scuole francesi avviene da anni, in maniera mascherata, questa «destrutturazione dell’identità sessuale» dei bambini.

 

Qui sotto il video-appello (tradotto in italiano) di Farida Belghoul

 

Per questo motivo Farida si è fatta promotrice del movimento di boicottaggio Journée de Retrait de l’Ecole (“un giorno al mese senza scuola”), un movimento (www.jre2014.fr)composto già da più di settanta comitati di sostegno locali, formato in gran parte da giovani coordinati da Mériem, studentessa di ventiquattro anni. «Col pretesto ingannevole della ‘lotta per l’uguaglianza e contro l’omofobia’», ha spiegato la militante anti-razzista francese, «centinaia di scuole, dove i nostri figli sono trattati come cavie, sono già coinvolte nel progetto, che ha come scopo dichiarato quello di “decostruire gli stereotipi di genere”», ovvero omologare maschi e femmine verso il genere “neutro”.

L’iniziativa ha riscontrato un successo inaspettato, tanto che l’esecutivo francese è stato costretto a correre ai ripari per tentare di arginare la valanga di adesioni giunte da ogni angolo di Francia. Il ministro dell’Istruzione Peillon ha voluto incontrare i responsabili spiegando che la penetrazione della gender theory negli istituti francesi è un «folle rumor, inventato e alimentato dai reazionari». Ovviamente nessuno gli ha creduto. La stampa si è scatenata contro Farida, con la stessa operazione di stravolgimento della realtà e calunnia usati in Italia da “Repubblica”, “Il Fatto” e l’“Unità”.

«I nostri bambini sono in pericolo, lo sono gravemente in Francia, ma anche nel resto d’Europa. E’ necessario che tutte le famiglia d’Europa, tutte le mamme e tutti i papà, prendano coscienza della gravità di ciò che sta accadendo ai nostri bambini, perché li stanno distruggendo. La teoria del genere porta alla barbarie».

Invitiamo i nostri lettori a condividere e diffondere questo appello, pubblicato anche nel nostro canale Youtube. Per chi conosce il francese, è possibile sostenere Farida sul suo account Twitter.

La redazione

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Cercare la Storia anche leggendo la Bibbia

Papa francescoTorniamo a parlare della storicità della Bibbia. Lo abbiamo fatto recentemente quando la femminista Vanna Vannuccini, su “Repubblica”, ha pensato di intervistare l’archeologo Zeev Herzog, professore alla Facoltà di archeologia di Tel Aviv, secondo il quale l’archeologia smentirebbe la veridicità storica della Bibbia.

Innanzitutto occorre osservare che quando “Repubblica” parla di Bibbia in realtà intende l’Antico Testamento, il quale -lo abbiamo già scritto- non ha alcuna pretesa di essere un documento storico o scientifico, ma solamente morale. Tuttavia, gli studiosi hanno rilevato che i profeti si sono sempre serviti di un contesto, a volte immaginario e altre volte storicamente attendibile. In ogni caso il prof. Herzog si è concentrato esclusivamente nel tentare di negare le mura di Gerico, i fatti dell’Esodo e il regno di Davide e Salomone, anche se avesse ragione sarebbe lontano dall’aver “smentito l’Antico Testamento”. La sua, comunque, è una posizione certamente minoritaria nel mondo scientifico, oltre che smentita dalle recenti scoperte. Abbiamo risposto a tutto , citando queste scoperte, nel nostro articolo già pubblicato.

Dopo un mese esatto, “Repubblica” è tornata all’attacco. Questa volta non più attraverso la femminista Vannuccini, ma tramite un altro inesperto del tema: il noto scrittore Guido Ceronetti, che ringraziamo per essersi interessato improvvisamente a questi argomenti. Solitamente non si occupa di questo, recentemente ha ad esempio invocato una battaglia contro “la barbarie della vecchiaia senza sesso”, chiedendo il servizio erotico volontario per gli over 70 (con un quasi auto-plagio di un suo pezzo del 1998). Negli anni ’80, da ecologista e vegetariano convinto, nel suo “Il silenzio del corpo” si scagliava invece contro l’essere umano in quanto tale, parlando di “immoralità della procreazione”, di “atto più crudele di tutti: generare”, di aborto come “legittima difesa”, di “se sei amico della vita devi essere nemico della riproduzione umana” (“Insetti senza frontiere”, 2009).

Per parlare di storicità dell’Antico Testamento, Ceronetti si è totalmente basato sull’articolo della Vannuccini citato all’inizio. «Sul versante archeologico, a quanto pare, il deserto si è allargato molto», ha commentato Ceronetti, parlando di «decostruzione veterotestamentaria, come la chiama Vanna Vannuccini». Ma Vannuccini ha qualche competenza in merito? Certo, ha intervistato uno studioso su mille, ovviamente quello che la pensa come piace agli editori di “Repubblica”, negando oltretutto l’esistenza di un dibattito accademico. Lo scrittore ha poi trasformato la singola intervista in un giudizio globale della comunità degli archeologi: «Mentre gli archeologi israeliani concludono con la negazione radicale della storia biblica, in specie dell’Esodo e del regno davidico (spero non tutti, a Gerusalemme, concordino col negazionismo dell’intervistato), la verità simbolica di quelle storie mute agli scavatori vola aldisopra di tutte le storie del mondo, marcando a fuoco la vicenda di Israele». Se la cantano e se la suonano, insomma: negare l’Esodo, il regno di Davide e le mura di Gerico diventa una “negazione radicale della storia biblica”, e il giudizio di uno studioso si trasforma nella posizione degli “archeologi israeliani”.

MURO OCCIDENTALE DI GERUSALEMME. L’unica obiezione circostanziata di Ceronetti è quella contro la storicità del Muro Occidentale di Gerusalemme, sostenendo che credere che sia un avanzo del Secondo Tempio è una «pia ipotesi senza fondamento». Talmente illusoria che la prestigiosa Encyclopedia Britannica ha scritto: «Il Muro Occidentale, chiamato anche Muro del Pianto, nella Città Vecchia di Gerusalemme, è l’unico resto del Secondo Tempio di Gerusalemme, ritenuto il solo Santo dagli antichi ebrei e distrutto dai Romani nel 70 d.C. L’autenticità del Muro occidentale è stata confermata dalla tradizione, dalla storia e dalla ricerca archeologica; il muro risale a circa il 2° secolo aC, anche se le sue sezioni superiori sono stati aggiunte in un secondo momento». Basterebbe questo, senza ricostruire tutta la ricerca storico-archeologica sul Muro del Pianto. Ricordiamo solo che addirittura nel 2008 alcuni scavi hanno rilevato che l’antica pavimentazione (il cosiddetto “litostrato”) in prossimità del Muro occidentale risale per ampie parti all’epoca della vita terrena di Gesù. Tale convinzione è stata ricavata appunto dalla comparazione del livello della pavimentazione con quelli di camminamenti e strutture varie attigui al Tempio, databili con sicurezza al periodo erodiano.

Un consiglio agli amici di “Repubblica”: rispettiamo il vostro tentativo mensile di attaccare la storicità dell’Antico Testamento, è legittimo. Tuttavia, provate a farlo utilizzando persone preparate e competenti sull’argomento. Se li trovate.

La redazione

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In dieci anni i cattolici nel mondo sono aumentati del 10%

Cristiani in ChiesaDal 2005 al 2012 i fedeli cattolici battezzati nel mondo sono passati da 1.115 a 1.229 milioni, con un aumento del 10,2 per cento. Molto interessante anche il confronto con il dato dell’evoluzione della popolazione mondiale: a fronte di una crescita della popolazione da 6,46 a 7,02 miliardi di persone, la presenza dei cattolici è lievemente aumentata, dal 17,3 per cento al 17,5 per cento.

Anche quest’anno è stato pubblicato l’”Annuario Pontificio” relativo alle cifre ufficiali della Chiesa cattolica nel mondo, raccolte ed elaborate dagli uffici di statistica della Santa Sede.

A livello geografico, l’Europa -anche se ospita il 23% della comunità cattolica mondiale (parliamo sempre del 2012)-, si conferma l’area meno dinamica in assoluto con una crescita del numero dei fedeli battezzati di poco superiore al 2 per cento. La presenza dei cattolici sul territorio si stabilizza attorno al 40%. Mentre in Africa si registra la maggiore crescita con i fedeli che salgono dal 13,8 per cento del 2005 al 16,2 del 2012. Cresce anche l’incidenza del continente asiatico che si mantiene attorno all’11 per cento in tutto il periodo esaminato. Si consolida la posizione dell’America con il 49 per cento dei cattolici battezzati del mondo. Stabile l’incidenza in Oceania.

Nel 2012 i sacerdoti nel mondo erano 414.313 di cui 279.561 membri del clero diocesano e 134.752 del clero religioso; nel 2005 erano invece 406.411 suddivisi in 269.762 diocesani e 136.649 religiosi. Il numero complessivo dei sacerdoti nel 2012, rispetto a quello del 2005, ha subito una crescita di circa il 2 per cento, risultante dall’aumento del 3,6 per cento del clero diocesano e dal calo dell’1,4 per cento di quello religioso.

I religiosi professi non sacerdoti hanno fatto registrare nel periodo sotto esame una lieve crescita numerica. Nel mondo essi contavano 54.708 unità nel 2005 e hanno raggiunto il numero di 55.314 nel 2012. Le religiose professe hanno rappresentato nel 2012 complessivamente un gruppo di 702.529 unità, per il 38 per cento presente in Europa, seguita dall’America che conta oltre 186 mila consacrate e dall’Asia che raggiunge quasi le 170 mila unità. Rispetto al 2005, il gruppo subisce a livello mondiale una flessione del 7,6 per cento.

Il numero di seminaristi è aumentato del 4,9 per cento, passando dai 114.439 del 2005 ai 120.051 del 2012. La crescita maggiore si è avuta in Asia nella quale il numero dei seminaristi nel periodo preso in esame è cresciuto del 18 per cento; all’Asia segue l’Africa con il 17,6 per cento di aumento, seguita a sua volta dal-l’Oceania con il 14,2 per cento; in Europa si è avuto un calo del 13,2 per cento mentre in America si è registrata una diminuzione più contenuta (2,8 per cento). Un’analisi accurata sulla crescita dei seminaristi nel mondo è stata riportata su “Zenit.it”. 

La redazione

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Papa Francesco ha scomunicato “Noi siamo Chiesa”

Noi siamo chiesaUna pesante scure si è abbattuta sui promotori di una Chiesa opinionista, ovvero simile ad un’associazione che si regge sulle opinioni dei propri associati per determinare la strada da seguire. Papa Francesco ha spezzato con un singolo gesto i tentativi maldestri degli appartenenti del partito de “la Chiesa dovrebbe fare”, “la Chiesa dovrebbe dire”, “la Chiesa ha bisogno di”, “la Chiesa si adegui…” ecc.

Cosa è successo? Molto semplice, Papa Francesco ha scomunicato ed escluso dai sacramenti Martha Heizer e il marito Gert, fondatori e presidenti di “Wir sind Kirche” (“Noi siamo Chiesa”), una delle organizzazioni “cattoliche” più critiche verso la Chiesa e il suo magistero.

“Noi siamo Chiesa” esiste anche in Italia, vicina all’agenzia “Adista” e galvanizzata dalle opinioni del teologo Vito Mancuso, spesso presente ai loro incontri come relatore. E’ sopratutto nota ai lettori de “Il Manifesto” dato che il “vatikanista” Luca Kocci ha una particolare attenzione per loro. Infatti, proprio sul giornale comunista, Kocci si è scagliato contro questa decisione parlando di «durissimo provvedimento della Santa sede contro i gruppi cattolici di base». Soltanto nel finale ha citato Papa Francesco, riconoscendo che «la sco­mu­nica alla pre­si­dente è un duro colpo al dia­logo con il mondo cat­to­lico di base, che sem­brava essersi ria­perto con papa Fran­ce­sco, il quale però era sicu­ra­mente infor­mato del provvedimento». Curioso e significativo il fatto che sul suo blog personale, invece, lo stesso articolo appaia privato di questo riconoscimento finale.

Ricordiamo che l’associazione “Noi siamo Chiesa” combatte apertamente da anni il magistero della Chiesa chiedendo sopratutto -l’ossessione, alla fine, è sempre nel sesso- l’adeguamento della dottrina cattolica ai costumi sessuali moderni. La Chiesa è indietro di 200 anni, deve adeguarsi al mondo, è il mondo che indica la strada maestra e la Chiesa deve imparare, obbedire ed adeguarsi. Questo per loro si chiama “dialogare”. Papa Francesco li ha scomunicati, assegnando loro la massima sanzione ecclesiastica. Collaboratore di “Noi siamo Chiesa” in Italia è stato anche don Domenico Pezzini, il cosiddetto “prete dei gay”, condannato a dieci anni di carcere per violenza (omo)sessuale su un minorenne, consumata in oltre tre anni. Secondo “La Stampa” il prete è stato “scaricato” dall’associazione al momento dell’arresto.

Il caso Heizer era scoppiato nel 2011, quando la donna, insegnante di religione a Innsbruck, in Austria, decise di sfidare il Vaticano sulla questione del sacerdozio femminile annunciando la sua intenzione (poi attuata) di celebrare l’Eucarestia nella sua casa di Absam, piccolo comune nei pressi del capoluogo tirolese, senza la presenza di un sacerdote. Il portavoce di “Noi Siamo Chiesa” ha aggiunto che «Martha Heizer e il marito Gerd, si riuniscono in casa per celebrare insieme l’Eucaristia con altre poche persone con modalità simili a quelle che da tempo sono praticate dalle comunità di base cioè senza un prete canonicamente accreditato». Lo ritengono più coerente con il Vangelo. Appunto, la propria effimera opinione vince su tutto, dall'”utero è mio” alla “Chiesa è mia e decido io”: frutti marci del ’68.

Concordiamo comunque con il vescovo diocesano di Innsbruk, Manfred Scheuer, il quale ha ricordato che la scomunica non rappresenta «una vittoria, ma sempre una sconfitta per la Chiesa. Con grande rammarico vedo che, finora le persone interessate non ci hanno ripensato». Certamente, aggiungiamo, dovrebbe aiutare nel far desistere dai tentativi di voler modellare una Chiesa a propria immagine e somiglianza, sentirsi padri al posto che figli, voler insegnare al posto che imparare ad obbedire.

Con questa scelta Papa Francesco e la Chiesa hanno chiuso la porta all’arroganza e alla superbia, aprendola alla gioia dell’umiltà, dell’essere e del sentirsi figli. D’altra parte il Pontefice lo ha ripetuto più volte: «è una dicotomia assurda amare Cristo senza la Chiesa; ascoltare Cristo ma non la Chiesa; stare con Cristo al margine della Chiesa. Non si può. E’ una dicotomia assurda. Il messaggio evangelico noi lo riceviamo nella Chiesa e la nostra santità la facciamo nella Chiesa, la nostra strada nella Chiesa. L’altro è una fantasia o una dicotomia assurda».

La redazione

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Un aiuto per cattolici euforici o lamentosi

Computer 
 
di Antonio Righi*
tratto da Libertà e Persona, 27/05/14
 

Il mondo di internet e dei media è fatto per far perdere la testa. Conosco persino sacerdoti che si collegano in rete, ansiosi, per vedere la novità del giorno, anzi dell’ultima ora: aspettano, sospesi ad un filo, la notizia che salva; o la conferma alla lettura dei fatti che hanno già dato (e che magari è leggermente manicheo-catastrofista). Poi verranno a dirti: “Vedi, te lo avevo detto che le cose vanno male. Hai visto il papa cosa ha detto? Hai visto Galantino? Hai sentito in quella diocesi della Germania? E’ proprio la fine”.

E via di questo passo, in una litanie interminabile di lamentele che smarriscono, sconfortano, pietrificano… Così le forze cattoliche più tradizionali si allenano spesso al gioco delle chiacchiere, delle profezie di sventura (“te lo avevo detto, io”, detto quasi con gusto, perché ‘tanto peggio, tanto meglio’…). E’ il gioco del demonio: far credere che la partita è persa; che tutto è finito, che questo papa è proprio quello della visione x o y, della profezia y o z… Che non c’è nulla da fare; che è ora di sedersi per sempre e di darla vinta… a lui, al Nemico…

Oppure c’è il cattolico adulto, che ti chiama con un sorrisetto ironico: “Visto questo papa? Non è mica più come con quell’altro! Finalmente si cambia….”. “Hai letto Repubblica? Hai letto l’intervista a Scalfari?”. E tutti ad aspettare che finalmente questo papa apra al matrimonio gay, all’aborto, ai preti sposati…E’ più di un anno che questo giochetto va avanti, alimentato dai rumors su quello che avverrà, dalla esaltazione strumentale di alcuni gesti e dal silenziamento cosciente di altri; dalla mitizzazione, in bene o in male, di questo papa venuto dai confini del mondo. Per carità, tutto può succedere; possono avere ragione i lamentosi e gli entusiasti, insieme.

Forse però né gli uni né gli altri fanno quello che Cristo vorrebbe: che ognuno pensasse anzitutto ai propri peccati, al proprio compito! Quei preti che in nome della catastrofe primissima ventura abbandonano il gregge, si rifugiano nel vittimismo, si improvvisano Giovanni Battista della contemporaneità, sono, in verità, dei disertori. Mentre accusano il papa di disertare, mentre imbastiscono processi sommari e presuntuosi, buttano a mare fede, speranza e carità; dileggiano la Chiesa, di cui si dicono figli; dimenticano le singole anime, il prossimo che hanno accanto, perché troppo impegnati a capire cosa succede a Roma e nel mondo intero. Perché troppo impegnati a macerarsi nel pessimismo e nell’acidità dei giudizi definitivi e perentori.

Nelle loro prediche si occupano delle dichiarazioni di Galantino, delle performance di Kasper, dell’ultimo pettegolezzo sul cardinal Bertone; oppure degli scandali dello Ior e della villa del vescovo Nevio, e intanto smettono di confessare, di aiutare il fratello che soffre, di dare a chi è stato loro affidato il cibo spirituale di cui abbisogna. Di fare lamentazioni grilline, siamo capaci tutti. Di leggere i giornali, pure. Dei preti che ce li leggono a messa, per parlare di mafia, di Terzo Mondo, di politica, di assistenza sociale… o dei singoli misfatti ed eresie clericali, veri o presunti, ce ne facciamo poco.

Che si aspetti la catastrofe, un po’ come i millenaristi medievali, perché tutto va male, o che si aspetti l’età dello Spirito Santo dove scompariranno i comandamenti, perché con questo papa è la volta buona, in ognuno di questi due casi si dimentica cosa è la fede; si dimentica che Cristo ci ha detto che non conosciamo né il giorno né l’ora, e che soprattutto non ci deve interessare saperlo; che quando la barca vive la tempesta -e quante ne ha vissute la Chiesa, anche in passato!-, non bisogna scoraggiarci, perché Lui è sempre lì, al nostro fianco.

La storia è sua! La Chiesa è sua, questo è il fatto! Al papa ci pensa lui! Scegliendo san Pietro, che lo aveva rinnegato 3 volte, Gesù ci ha già detto che vuole da noi la fede: crediamo alla sua Resurrezione, senza averlo visto; crediamo alla santità della sua Chiesa, anche quando ne vediamo e ne tocchiamo i limiti! Crediamo nel papa, anche se abbiamo avuto Giulio II e Alessandro VI, come crediamo al sacerdozio, nonostante i preti spretati o pedofili o senza carità. E’ il mondo, che non ha la fede, che si paralizza di fronte alla miseria umana, alla miseria, persino, dei pastori. Ma ci è chiesto di non scandalizzarci neppure di fronte a Dio che muore, che scompare sotto terra per tre giorni… e che poi risorge.

Quante volte, “da sinistra”, sentiamo dire che la Chiesa è troppo marcia, per essere la sposa di Cristo; quante volte, sempre di più, sentiamo analoga cantilena da “destra”? Fede, speranza, carità: il male non prevarrà, perché è già stato sconfitto; in ogni circostanza, di bene o di male, l’amore rende ogni cosa sopportabile, perché “tutto crede, tutto spera, tutto sopporta”.  Questo papa non parla a sufficienza dell’aborto, si diceva in principio; ma ne ha parlato mille volte! Questo papa apre al gender, si ripeteva, ed ora sui siti gay si scrive: “ci siamo ingannati” e la responsabile delle famiglie arcobaleno attacca frontalmente “il signor Bergoglio” su una delle più autorevoli voci della sinistra nichilista, prorprio per i suoi discorsi contro l’ideologia gender.

“Ti rendi contro di quello che dice Kasper nell’epoca Bergoglio?”, mi diceva un amico. Gli ho ricordato, e ho ricordato a me stesso, cosa ha detto Kasper sotto gli altri due papi precedenti, quando sminuzzava Vangelo e Resurrezione, facendoli a pezzi; cosa ha detto e fatto il cardinal Martini, per decine di anni; cosa diceva il cardinal Ravasi, promosso cardinale sotto Benedetto XVI…E che? Gli eretici non hanno sempre cercato di rovinare la Chiesa dal di dentro? I Giuda non sono sempre stati il vero problema della Chiesa? Una cosa è riconoscere l’eresia; una cosa combatterla e vigilare… un’altra perdere la certezza che, qualsiasi cosa accada, “le porte dell’inferno non prevarranno”.

Se questo è chiaro, ognuno lavori anzitutto alla sua anima, e a quella del prossimo suo…Anche se è convinto di vivere tempi epocali, apocalittici, tempi di apostasia (chi lo può dire? Chi lo può negare? E, in fondo, cosa importa?). E’ l’unica cosa che possiamo e dobbiamo fare, affinchè “venga il suo regno”. E per salvare la nostra anima. Che non ci capiti di aver capito tutto, o creduto di aver capito, dell’attualità, e di aver dimenticato l’unica cosa che conta: quanto nella nostra vita abbiamo creduto ed amato.

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L’inattendibilità storica degli apocrifi e del Vangelo di Tommaso

Vangeli apocrifiI Vangeli apocrifi hanno sempre catturato l’attenzione di quanti, non soddisfatti del Gesù evangelico, hanno voluto sbizzarrirsi nel trasformare il profilo del Figlio di Dio a proprio piacimento, trovando spunto dalla moltitudine di informazioni bizzarre e storicamente infondate in essi contenuti.

Nascono così, con “legittimazione nelle Scritture” (cioè negli apocrifi) il Gesù femminista, il Gesù comunista, il Gesù omosessuale, il Gesù sobillatore politico, il Gesù sposato con Maria Maddalena ecc. Tutte caratteristiche che non trovano invece alcun sostegno nei Vangeli canonici. In altri casi alcuni dettagli dei racconti apocrifi sono diventati parte integrante della tradizione cristiana, come il bue e l’asino nella mangiatoia di Betlemme.

I Vangeli apocrifi hanno garantito il successo di migliaia di scrittori scandalistici, come Dan Brown, autori di titoli come “Il Gesù segreto”, “La vita segreta di Gesù”, “I Vangeli che la Chiesa ha censurato” e così via. Tra questi autori non poteva mancare “il teologo di Repubblica“, Vito Mancuso, anche lui autore del suo recente “La vita segreta di Gesù” (Garzanti 2014). Dove il termine “segreta” serve ovviamente per catturare la pancia del lettore e per indurre il pensiero che la “verità” su Gesù sia tenuta nascosta, ovviamente dai cattivoni che risiedono in Vaticano. La tesi cospiratoria fa sempre capolino nelle pagine di questi libri, Dan Brown nel suo “Codice da Vinci”, ha chiaramente scritto, ad esempio: «Naturalmente, il Vaticano, per non smentire la sua tradizione di disinformazione, ha cercato di impedire la diffusione di questi testi».

Anche Mancuso dunque vorrebbe svelare il “vero Gesù”, quello tenuto nascosto fino ad oggi. Lo fa, anche lui, appoggiandosi agli Apocrifi, in particolare al Vangelo di Tommaso. Perché «occorre rivalutare gli apocrifi come fonti almeno parzialmente attendibili, all’interno delle quali, insieme a invenzioni degne del migliore romanziere d’appendice, vi sono tradizioni che meritano la più attenta considerazione, non fosse altro che per la loro antichità». In particolare, ha affermato, il Vangelo di Tommaso «va considerato storicamente attendibile». Occorre sottolineare che nel curriculum di Mancuso non c’è traccia di alcuna competenza sulla storicità del cristianesimo e forse è proprio per questo che ha scritto un libro del genere.

Basterebbe aprire un libro di uno dei più importanti studiosi della storia del cristianesimo per capire come stiano davvero le cose. Mancuso -che ringraziamo per averci dato la possibilità di chiarire questo aspetto- parla di “antichità” come criterio di attendibilità, mentre il celebre Raymond E. Brown -uno dei più importanti biblisti americani degli ultimi decenni- ha mostrato (rivolgendosi in particolare ai sostenitori del Vangelo di Pietro e del Vangelo di Tommaso) che «asserzioni stravaganti su tradizioni molto antiche nei vangeli apocrifi spesso hanno in comune tre dubbie tendenze»: 1) Ad un’analisi accurata risultano fondate su prove piuttosto esili e su un ragionamento discutibile. 2) Trascurano che c’era un messaggio evangelico comune sul quale tutti concordavano nella prima generazioni di cristiani (espressa nei Vangeli), assai diversa dallo sregolato sviluppo presente tra certi cristiani nel II secolo. 3) Fin dalla predicazione di Gesù si sviluppò una spinta biografica che formò la tradizione alla base dei vangeli canonici, non ci fu alcun periodo in cui circolavano parti di tradizione diverse tra loro.

Concentrandosi proprio sul Vangelo di Tommaso, che l’incauto Mancuso (sostenuto dal suo amico Mauro Pesce) considera “storicamente attendibile”, Bart Ehrman, importante studioso statunitense del Nuovo Testamento (e, sopratutto agnostico, il che lo rende un personaggio molto interessante) ha scritto: «A Gesù sono state attribuite molte frasi che probabilmente non pronunciò mai, come per esempio tante massime riportate nel Vangelo di Tommaso e nei vangeli successivi» (“Did Jesus Exist?”, p. 219) L’opinione più diffusa tra gli studiosi è che risalga al II° secolo, tra il 110 e il 120 d.c, ma chiunque abbia letto il Vangelo di Tommaso e i suoi 114 detti -spesso oscuri, misteriosi e ambigui– ne coglie da solo la lontananza dalla sobrietà dei sinottici e la sua similitudine ad aforismi zen piuttosto che a detti storici.

Un’altra autorità internazionale nel campo della storicità dei Vangeli, John P. Meier, ha rilevato inoltre che «probabilmente il Vangelo di Tommaso circolava in più di una forma e passò attraverso vari stadi di redazione. La versione copta che possediamo probabilmente non è identica alla forma dell’opera originale greco, qualunque sia stata, ammesso che si possa parlare della forma originale greca» (“Un ebreo marginale”, volume 1, p. 130). Senza contare l’evidente tentativo dell’autore di imitare lo stile dei sinottici i cui detti «sono giustapposti ad altri di evidente timbro gnostico e a volte sembrano essere stati rielaborati per veicolare un messaggio gnostico». Non a caso Bentley Layton, docente alla Yale University, lo considera tra gli scritti correlati nel più ampio corpus di scritture gnostiche (“The Gnostic Scriptures”, Garden City 1987). Meier studia approfonditamente il messaggio gnostico del Vangelo di Tommaso concludendo che «è solo alla luce di questa strana miscela di misticismo, ascetismo, panteismo e politeismo che molti detti di Gesù possono essere compresi». Si tratta di una «rielaborazione gnostica della tradizione sinottica».

Ma la confutazione plateale della sua attendibilità arriva a pagina 133 del celebre volume “Un ebreo marginale”: «L’orientamento complessivo del redattore del Vangelo di Tommaso è gnostico. Dal momento che una visione del mondo gnostica di questo tipo non fu impiegata per “reinterpretare” il cristianesimo in maniera così approfondita prima del II. secolo d.C., il Vangelo di Tommaso nella sua totalità non può certamente essere un riflesso affidabile del Gesù storico o delle più antiche fonti del cristianesimo del I secolo». Allo stesso modo la pensa la quasi totalità degli studiosi, molti dei quali hanno osservato la dipendenza diretta di tale vangelo ai sinottici, la dipendenza indiretta da predicazione e catechesi e la rielaborazione creativa.

Il Vangelo di Tommaso è comunque il più interessante testo della Biblioteca gnostica di Nag Hammadi, scoperta nel 1945. Nel volume 2 di “Un ebreo marginale”, Meier amplia il discorso concludendo in generale che «l’affermazione che i vangeli apocrifi e il materiale di Nag Hammadi siano fonti storiche indipendenti è frutto di fantasia» (p. 13). Se il Vangelo di Tommaso, dal punto di vista dell’attendibilità storica, è quello “messo meno peggio”, il discorso vale ancor di più per tutti gli apocrifi in generale. «Siamo di fronte a prodotti in larga misura delle immaginazioni pie o sfrenate di alcuni cristiani del III secolo» (“Un ebreo marginale”, volume 1, p. 110).

Tutt’altra storia per i vangeli canonici, tema che approfondiremo meglio durante l’estate.

La redazione

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Shoah: domandiamoci dov’era l’uomo, non dov’era Dio

Francesco Yad VashemIl pellegrinaggio di Papa Francesco in Terrasanta è stato commovente, siamo sempre più grati allo Spirito Santo per averci donato quest’uomo, questo riferimento, questa pietra a cui appoggiarci per rendere salda e sicura la nostra fede.

I momenti importanti sono stati moltissimi, forse tra tutti l’invito al presidente Shimon Peres e al presidente palestinese Abu Mazen per «una preghiera di pace» in Vaticano, che ovviamente è il frutto di di una molto discreta operazione diplomatica che la Santa Sede ha compiuto nei giorni immediatamente precedenti la visita del Pontefice in Terrasanta. Fondamentale anche l’incontro con il patriarca Bartolomeo, che ha allargato notevolmente la possibilità di un’unità tra cattolici e ortodossi.

Molto interessanti anche le parole di Francesco durante la visita al Memoriale di Yad Vashem. Come ha osservato giustamente Enzo Bianchi, «con quello stile che ormai abbiamo imparato a conoscere, il Papa ha dato una lezione a tutti dicendo di smetterla di chiedersi dove fosse Dio durante l’Olocausto. Ci si domandi invece con chiarezza dove fosse l’uomo. In quella meditazione-preghiera Francesco domanda: dove sei uomo, dove sei finito? E per rispondere a quanti chiedono dove era Dio in quei momenti terribili, ha usato le parole del profeta Baruc: “A noi umanità la vergogna, a te Dio la giustizia”. Si riferiva a tutte le tragedie dell’uomo contemporaneo».

E’ vero, domandare dove fosse Dio durante il “secolo ateo” del ‘900 è una domanda sbagliata. L’uomo ha voluto negare Dio per essere dio di se stesso, i regimi comunisti erano ufficialmente guidati dall’ateismo di Stato, tentativo di esplicitare proprio questa repulsione da un Creatore-Legislatore ultimo. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. «Uomo, chi sei? Non ti riconosco più. Chi sei, uomo? Chi sei diventato? Di quale orrore sei stato capace? Che cosa ti ha fatto cadere così in basso?», ha domandato Francesco, traducendo il pensiero di Dio. «No, questo abisso non può essere solo opera tua, delle tue mani, del tuo cuore… Chi ti ha corrotto? Chi ti ha sfigurato? Chi ti ha contagiato la presunzione di impadronirti del bene e del male? Chi ti ha convinto che eri dio? Non solo hai torturato e ucciso i tuoi fratelli, ma li hai offerti in sacrificio a te stesso, perché ti sei eretto a dio».

Il Pontefice ha concluso con una preghiera: «Ricordati di noi nella tua misericordia. Dacci la grazia di vergognarci di ciò che, come uomini, siamo stati capaci di fare, di vergognarci di questa massima idolatria, di aver disprezzato e distrutto la nostra carne, quella che tu impastasti dal fango, quella che tu vivificasti col tuo alito di vita. Mai più, Signore, mai più! Eccoci, Signore, con la vergogna di ciò che l’uomo, creato a tua immagine e somiglianza, è stato capace di fare. Ricordati di noi nella tua misericordia».

A te, Signore nostro Dio, la giustizia, a noi il disonore sul volto, la vergogna (Bar 1,15)

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L’uomo è irriducibile, «basta con il determinismo biologico»

UomoSuperati gli anni bui del riduzionismo biologico, oggi anche il sapere scientifico riprende a sottolineare la centralità e l’unicità dell’essere umano. E’ di oggi, ad esempio, l’intervista a Enrico Alleva, prestigioso etologo italiano, dal 2008 al 2012 presidente della Società Italiana di Etologia e direttore del Reparto di Neuroscienze comportamentali all’Istituto Superiore di Sanità di Roma.

«Da etologo», ha spiegato, «rifiuto la parola istinto in generale, e in particolare se riferita all’uomo». Già dal terzo mese, infatti, il feto umano ha una sua cultura individuale: conosce la madre, le sue sensazioni, riconosce le persone intorno a lei e «si prepara a riconoscere il padre». Inoltre, «è programmato per cambiare il suo cervello in funzione di quello che gli accade». «E’ proprio dal confronto tra comportamenti automatici e comportamenti appresi l’unicità della specie “homo sapiens”», ha proseguito il prof. Alleva.

Un’unicità evidente combattuta da attivisti mossi da scopi ideologici, secondo i quali l’uomo non è una Creatura, ma semplicemente un “nient’altro che”, un frutto casuale dell’evoluzione, la sua morale non esiste, la sua coscienza è un banale epifenomeno del cervello. L’uomo, ci viene ricordato dai riduzionisti, è il suo DNA, il quale è condiviso per il 98% con i primati (e per il 50% con la banana). Eppure, ha commentato il prof. Alleva, «nel comportamento delle scimmie qualche primatologo, forse esagerando, ha cercato le basi per la moralità umana. Ma l’interazione più interessante per la specie umana resta quella con il cane, una specie selezionata dall’uomo a propria compagnia esclusiva».

Qualche giorno fa si è espresso negli stessi termini anche il prof. Vittorio Gallese, noto a livello internazionale per il suo contributo alla scoperta dei “neuroni specchio”, docente di Neurofisiologia all’Università di Parma. «Le neuroscienze cognitive non possono ridursi ad una traduzione neurodeterministica della natura umana, ma devono mettere al centro della propria ricerca la pienezza dell’esistenza umana e l’esperienza che ognuno di noi ne trae», ha affermato. «Dovremmo lasciarci alle spalle sia il meccanico determinismo genetico sia l’apparente netta distinzione tra natura e cultura».

Non sarà sfuggita l’importanza di queste dichiarazioni anche in campo bioetico. Mentre il prof. Alleva valorizzava la personalità del feto umano e la sua “ricerca del padre”, il prof. Gallese aggiunge: «Lo sviluppo dell’intersoggettività comincia già prima della nascita, all’interno del grembo materno. Dalle prime ore di vita il neonato svolge un ruolo attivo nel sollecitare e intrattenere un rapporto con la madre». I temi dell’aborto, delle adozioni gay e dell’utero in affitto andrebbero ripensati alla luce di queste conoscenze. Ma emerge anche il tema del gender, ovvero la trascuratezza del “dato biologico” per favorire il “dato psicologico” (si può diventare uomini anche se nati in un corpo di donna, ad esempio…). Attenzione, perché «cervello e corpo formano un sistema inscindibile: non si capisce il cervello se lo si separa dal corpo».

La redazione

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