Il vizietto laicista di deridere i valori e giustificarsi con la satira

Vignetta charlie«Il senso è che Charlie Hebdo è un giornale ateo e che Dio non esiste. Non c’è nessuna prova: se Dio esiste spero abbia una scusa buona», ha detto il ventiduenne caporedattore di “Charlie Hebdo”, Gérard Biard. Il senso di quel settimanale, recentemente vittima di un terribile attentato terroristico, è dunque diffondere la derisione delle religioni, dei credenti, di chi ha dei valori a cui tiene. In nome del “Dio non esiste”.

Il ministro della giustizia francese, Christiane Taubiria ha affermato«siamo in grado di disegnare tutto, compreso un profeta, perché in Francia, il Paese di Voltaire e dell’irriverenza, abbiamo il diritto di prendere in giro tutte le religioni». A seguito di queste parole e delle nuove vignette di Charlie Hebdo contro musulmani e cattolici, il fanatismo religioso si è vendicato contro i cristiani del Medio Oriente bruciando diverse chiese e provocando dei morti. Voltaire, infatti, nel 1760 scriveva a D’Alembert che il cristianesimo è «un infame da schiacciare», sarà dunque contenta il ministro francese della vendetta sui cristiani a causa dell’irriverenza del settimanale laicista ispirato a Voltaire. Tutto torna, effettivamente.

Dopo aver solidarizzato con i vignettisti e i poliziotti in loro difesa, uccisi dal fanatismo religioso, occorre riflettere se esiste una illimitata libertà di stampa, oppure se tale libertà termina quando inizia la libertà e il diritto altrui a non essere offesi. Molti lo stanno facendo, ma la vera domanda da farse è: perché, per sussistere, il laicismo ha l’esigenza dell’irriverenza, dell’insultare e deridere chi ha una posizione di vita differente, chi ha fatto un incontro che lo ha aperto a nuovi valori e gli ha dato fondamenta su cui costruire la propria vita, la propria famiglia, la propria felicità? La religione crea valori, i valori sono divisivi, allora bisogna teorizzare una società priva di elementi divisivi e dunque vanno eliminate le religioni: questo è il ragionamento malato di “Charlie Hebdo”, del comico Daniele Luttazzi (secondo cui il credente «finché non dimostra Dio non ha il diritto di sentirsi offeso», ricevendo il commento di Giorgio Liverani: «i comici restano tali anche quando fanno pena») e del laicismo occidentale costituitosi nei secoli bui della ghigliottina illuminista. Ma siamo davvero sicuri che la soluzione sia lo Stato Ateocratico, come invoca Paolo Flores D’arcais, dimenticando che è già stato sperimentato, con risultati non proprio eccellenti per la libertà, nell’Unione Sovietica di Stalin e in tante altre dittature comuniste?

Anche Papa Francesco è intervenuto in merito in questi giorni: «Ognuno non solo ha la libertà, il diritto, ha anche l’obbligo di dire quello che pensa per aiutare il bene comune […]. Abbiamo l’obbligo di dire apertamente, avere questa libertà, ma senza offendere […]. Non si può provocare, non si può insultare la fede degli altri, non si può prendere in giro la fede. Papa Benedetto in un discorso – non ricordo bene dove – aveva parlato di questa mentalità post-positivista, della metafisica post-positivista, che portava alla fine a credere che le religioni o le espressioni religiose sono una sorta di sottocultura, che sono tollerate, ma sono poca cosa, non fanno parte della cultura illuminata. E questa è un’eredità dell’illuminismo. Tanta gente che sparla delle religioni, le prende in giro, diciamo “giocattolizza” la religione degli altri […]. C’è un limite. Ogni religione ha dignità, ogni religione che rispetti la vita umana, la persona umana. E io non posso prenderla in giro. E questo è un limite».

Parole chiare, decise contro questo vizietto laicista di esprimere il proprio odio giustificandosi con la satira. Anche perché poi, se un comico musulmano, Dieudonné, osa fare satira sui fatti di Parigi proclamando “Je suis Charlie Coulibaly” (mescolando il nome che sta sulla testata del giornale vittima con il cognome di uno dei carnefici), viene subito arrestato dalle autorità francesi per “apologia di terrorismo”. Libertà per tutti, dunque, a patto che tutti la pensino allo stesso modo: «la libertà di espressione è totale per quelle idee e opinioni che riflettono il pensiero dominante di una società nazionale in un determinato momento storico, più limitata quando offende lo stesso pensiero dominante»ha scritto il laico Sergio Romano. Ma Chalie Hebdo forse non istiga alla violenza, all’odio religioso e verso la religione? Certo, non bisogna giustificare l’attentato, ma certamente presentare l’Islam come una “merda” (si veda la vignetta qui sotto) non è certo un’espressione di tolleranza, non fa ridere e non è nemmeno satira. Come ha scritto il direttore francese de “La Croix”«Che cosa facciamo noi con i nostri scritti, con le nostre parole, con i nostri atti, per promuovere i valori di rispetto, di dignità, di fraternità? Contribuiamo alla pace sociale, alla serenità dei dibattiti, alla loro profondità? Riapriamo vecchie ferite o le curiamo? La libertà di stampa, che è anche un potere, impegna. E si merita».

E’ da queste riflessioni che nasce lo slogan “Io non sono Charlie”«tutti noi “liberi occidentali” ci censuriamo quotidianamente e spesso senza neppure pensarci, per ragioni di prudenza e di buon senso», ha spiegato Alfonso Berardinelli. «Un’imprudente coglioneria può provocare tragedie e non per questo diventa in sé tragica, né più accettabile, più seria e sacrosanta. A ridere sempre, come vorrebbero i satirici di professione, si diventa noiosi. E non si può ridere di tutto». Non esiste alcuna libertà di offendere: «La libertà di stampa è inviolabile, ma l’aggressività, il dileggio e lo sputtanamento dei valori degli altri è cosa inammissibile», ha commentato Gianfranco Morra. «Criticare, ironizzare, demitizzare sono certo cose lecite. Ma quando l’umorismo esce dai binari e diviene oltraggio e denigrazione dei valori più alti dell’uomo, l’apparente libertà di espressione diventa libertà di offendere. Di certo questo confine era toccato e anche oltrepassato da “Charlie Hebdo”. Si dirà che un giornale satirico non può fare altro. È vero, ma solo sino a un certo punto, oltre il quale la satira diviene contumelia».

Tanto che le più prestigiose testate internazionali, dal “Financial Times” al “New York Times”, non hanno pubblicato le vignette per rispetto ai credenti. Il docente emerito all’Ecole des hautes études, Franco Cardini, ha commentato: «C’è un attacco ai valori occidentali, ma mi domando: i valori occidentali erano quelli rappresentati da Charlie Hebdo? Il sottotitolo del Charlie era: journal (istes) irresponsable, giornale irresponsabile. Io non sono d’accordo, la libertà per me è responsabile, finisce quando iniziano i diritti altrui. Se certe vignette sono blasfeme e offendono chi non considera la libertà come una questione prioritaria, se me la prendo con tutte le religioni, sbeffeggio i santi, la Madonna, beh, questa non è libertà, mi devo firmare un passo prima».

Delfeil de Ton, uno dei fondatori di Charlie Hebdo, ha rivelato che gli stessi vignettisti capivano che la loro non era satira ma pura provocazione violenta, incolpando Charb di essere il responsabile della morte sua e del resto della redazione. Occorre ricordare che metà dei francesi è contro alla pubblicazione delle vignette e che, prima dell’attentato, Charlie Hebdo era un giornaletto-spazzatura che nessuno si filava, le copie vendute bastavano a malapena a coprire i costi, l’immensa reazione internazionale è spiegabile non perché è stato violato il diritto di satira ma quello della vita. Come ha spiegato il sociologo Salvatore Abruzzese, «il problema non è affatto politico (la libertà di stampa) ma morale (il ricorso all’assassinio come espressione del proprio sdegno). La posta in gioco non è affatto quella della legittimità del diritto a ridicolizzare e spesso ad offendere pesantemente tutto e tutti, ma quella dell’intolleranza omicida. La nostra civilizzazione ha il suo cuore nel rispetto della persona, della sua integrità e dei suoi diritti, per la quale il valore della vita è un valore assoluto, uno dei pochi valori assoluti che, in epoca di relativismo culturale, può pretendere il rispetto, l’osservanza dogmatica, il rifiuto di qualsiasi distinguo». Per questo le vignette di Charlie Hebdo sono contro la nostra stessa civiltà europea e occidentale.

La satira è utile se fa riflettere, ma se è usata come canale di sfogo verso chi ha valori che non si condivide, allora è pura violenza che genera altra violenza. E, almeno noi crediamo, questo odio verso i credenti è motivato dall’insopprimibile invidia verso chi ha una roccia su cui appoggiarsi e costruire, una serenità, un orizzonte di senso verso cui incanalare la propria vita.

 

Qui sotto la vignetta in risposta alla derisione dell’Islam: “Charlie Hebdo è una merda. Non riesce nemmeno a fermare le pallottole”.
Un esempio della violenza che genera violenza.

Vignetta charlie

La redazione

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Il Vaticano e l’aiuto agli ebrei: trovato l’ordine scritto?

Pio XII scrive Come ribadito da numerosi storici, cattolici e non, che hanno studiato in profondità la vicenda dei cosiddetti “silenzi di Pio XII” sullo sterminio degli ebrei – mettendo in luce come questi silenzi fossero funzionali all’attività di salvataggio degli ebrei stessi – non c’è alcun bisogno di trovare la prova scritta di un ordine diretto del Papa per comprendere che il Vaticano avviò un’enorme macchina di salvataggio sotterraneo per nascondere gli ebrei nei monasteri, conventi, chiese salvandoli dalla deportazione e dalla morte. Il celebre storico ebreo Martin Gilbert ha affermato: «Grazie a queste iniziative, meno di un quarto di tutti gli ebrei romani furono imprigionati o deportati. La Chiesa cattolica è stata al centro di questa grande operazione di salvataggio. Io la definisco un’opera sacra».

La tesi dello spontaneismo dal basso -che sostiene che superiori, priori e badesse aprirono le loro a totale insaputa del Papa- non regge alle prove della storia e della logica. E’ stato infatti spiegato che basterebbe citare, tra le centinaia di fatti, l’opera continua di sostegno agli ebrei nascosti nei conventi di monsignor Montini, sostituto alla Segreteria di Stato e diretto collaboratore di Pio XII. Non avrebbe potuto, in coscienza e negli atti concreti, celare il suo impegno al Papa, per non parlare di tutti gli ebrei che lasciarono in eredità alla Chiesa cattolica, e direttamente a Pio XII, i propri beni e le proprie abitazioni in segno di riconoscenza per l’aiuto ricevuto.

Chi chiede questa “prova scritta” dell’ordine di Pio XII non si rende conto mettere queste indicazioni nero su bianco, con i tedeschi a Roma, avrebbe esposto la Chiesa e i cattolici a conseguenze enormi. Anche i negazionisti della Shoah si sono spesso attaccati al pretesto della mancanza di un ordine diretto di Hitler per portare a termine lo sterminio degli ebrei, e tuttavia questo non ha fatto venire il minimo dubbio sul fatto che il Führer fosse ispiratore e partecipe del progetto di distruzione degli ebrei europei. Tuttavia, forse una prova di questo tanto richiesto ordine scritto di Pio XII la si è trovata

Lo studioso Antonello Carvigiani ha infatti pubblicato sulla rivista “Nuova Storia Contemporanea” (numero 5 del 2014) una tesi solida: si tratta delle tracce evidenti di «un ordine scritto o orale, consistente in una formula standard, fatto arrivare a tutte le case dei religiosi e delle religiose, alle parrocchie e ad ogni struttura ecclesiale presente a Roma affinché aprano le porte per dare rifugio ai ricercati». Comparando i documenti dei monasteri di clausura romani del 1943-1944, Carvigiani ha rilevato una straordinaria somiglianza da un punto contenutistico e perfino lessicale nelle pagine dedicate all’ospitalità di ebrei, questo rivela «molte consonanze, tanto da far pensare che quei brani derivino da una fonte comune, autorevolissima, che chiede di aprire la clausura e di nascondere tutti i ricercati dai nazisti, soprattutto gli ebrei. Analizzando i testi, si può supporre che questa disposizione venga impartita dal Papa. Si può ipotizzare, dunque, che un biglietto scritto, preparato in centinaia di copie, venga distribuito in tutte le istituzioni religiose di Roma». E’ lo stesso concetto delle fonti presinottiche per quanto riguarda le comunanze tra i Vangeli.

Carvigiani cita anche una nota pubblicata dall’Osservatore Romano del 25-26 ottobre 1943: «con l’accrescersi di tanti mali è divenuta, si direbbe, quasi più operosa la carità universalmente paterna del Sommo Pontefice, la quale non si arresta davanti ad alcun confine né di nazionalità, né di religione, né di stirpe. Questa multiforme ed incessante azione di Pio XII in questi ultimi tempi si è anche maggiormente intensificata per le aumentate sofferenze di tanti infelici». A parte quella significativa sottolineatura – «né di religione, né di stirpe» –, che è un segnale inequivocabile della volontà papale, il corsivo dell’Osservatore, secondo la tesi di Carvigiani, è anch’esso molto simile per contenuto e forma ai diari dei monasteri romani. Potrebbero dunque essere modellati su una sorta di bozza originaria – una disposizione orale o anche una “velina” scritta – partita dal Vaticano.

Per ora esiste questa tesi, ma anche numerose testimonianze: il canonico di Assisi, monsignor Aldo Brunacci, riconosciuto come “Giusto tra le Nazioni” dallo Yad Vashem, ha sostenuto di aver visto la lettera inviata dalla Segreteria di Stato vaticana nel settembre 1943 in cui si chiedeva di prestare aiuto ai perseguitati e soprattutto agli ebrei. Suor Ferdinanda dell’Istituto delle Suore di San Giuseppe di Chambéry, a Roma, anch’essa nominata “Giusto tra le Nazioni”, ha a sua volta spiegato che «fu il Pontefice Pio XII che ci ordinò di aprire le porte a tutti i perseguitati. Se non ci fosse stato l’ordine del Papa sarebbe stato impossibile mettere in salvo tanta gente». A conferma delle sue parole, nel marzo 1988 mostrò una lettera del Cardinale Segretario di Stato, Luigi Maglione, inviata alla reverenda Madre Superiora il 17 gennaio 1944, in piena occupazione nazista, in cui si riferiva agli ebrei nascosti nell’Istituto, implorando «su cotesti così diletti figli le ineffabili ricompense della divina Misericordia, affinché, abbreviati i giorni di tanto dolore, conceda ad essi il Signore un sereno, tranquillo e prospero avvenire».

 

Qui sotto l’intervista alla storica ebrea Limorè Yagil, dell’Università di Parigi, sul contributo diretto di Pio XII

 

La redazione

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Il pugno di Antonio Socci a Papa Francesco e a Medjugorje

Francesco FIlippinePapa Francesco ha appena terminato il bellissimo viaggio in Sri Lanka e Filippine, al centro dell’attenzione ha ovviamente messo la povertà, la centralità dei poveri. Durante la messa conclusiva hanno partecipato 7 milioni di persone, un record storico. Per molti che lo hanno seguito è stato commovente osservare quanto è avvenuto.

Purtroppo, però, il pontificato di Francesco è perseguitato da un gruppetto di «cristiani con la faccia amareggiata, con quella faccia inquieta dell’amarezza, che non è in pace. Mai, mai un santo o una santa ha avuto la faccia funebre, mai! I santi hanno sempre la faccia della gioia. O almeno, nelle sofferenze, la faccia della pace», come ha spiegato Francesco. Spiace dirlo, ma tra questi campioni della lamentela sembra esserci anche Antonio Socci, che, ad ogni intervento pubblico di Francesco, spulcia i discorsi e sottolinea i presunti aspetti anticristiani, scomunicando pubblicamente il Pontefice.

Lo ha fatto anche in questa circostanza, replicando alle parole del Pontefice nella conferenza stampa finale. Nel suo ennesimo articolo (ormai scrive solo se c’è da punire il Papa) e nella sua prima accusa, ha infatti sostenuto che Francesco ha nientemeno colpito le famiglie numerose che «si sono sentite paragonare ai “conigli”, già sono tartassate dallo stato e dai sarcasmi della mentalità dominante. Si aspettavano, almeno dal Papa, comprensione e incoraggiamento, e hanno avuto randellate», citando ovviamente l’onnipresente suo “caro amico” che si è offeso alle parole del Papa.  Innanzitutto occorre ricordare che pochi giorni prima di partire per le Filippine, il 29 dicembre 2014, Francesco ha proprio incontrato l’Associazione nazionale delle Famiglie numerose affermando: «Giustamente voi ricordate che la Costituzione Italiana, all’articolo 31, chiede un particolare riguardo per le famiglie numerose; ma questo non trova adeguato riscontro nei fatti. Resta nelle parole. Auspico quindi, anche pensando alla bassa natalità che da tempo si registra in Italia, una maggiore attenzione della politica e degli amministratori pubblici, ad ogni livello, al fine di dare il sostegno previsto a queste famiglie. Ogni famiglia è cellula della società, ma la famiglia numerosa è una cellula più ricca, più vitale, e lo Stato ha tutto l’interesse a investire su di esse.

In secondo luogo, Francesco durante la conferenza stampa ha usato come esempio una donna che «era incinta dell’ottavo dopo sette cesarei. “Ma lei vuole lasciare orfani sette?”. Questo è tentare Dio». Per questo ha detto: «ma questa è una irresponsabilità. “No, io confido in Dio”. “Ma guarda, Dio ti da i mezzi, sii responsabile”. Alcuni credono che – scusatemi la parola, eh? – per essere buoni cattolici dobbiamo essere come conigli, no? No. Paternità responsabile. Questo è chiaro e per questo nella Chiesa ci sono i gruppi matrimoniali, ci sono gli esperti in questo, ci sono i pastori, e si cerca. E io conosco tante e tante vie d’uscita lecite che hanno aiutato a questo». Socci ha evitato anche di citare le parole del presidente delle Famiglie numerose, Giuseppe Butturini, che ha elogiato l’intervento del Papa, concordando con lui sull’irresponsabilità del comportamento di questa madre.

Per chi è in buona fede è evidente che Francesco stia smontando il vecchio luogo comune anticattolico sul sesso solo per procreazione, dimenticando gli insegnamenti sui metodi naturali (nel Sinodo sulla Famiglia si è parlato di «maternità e paternità responsabile» nel capitolo contro la contraccezione e a favore dei metodi naturali). Parla di “vie d’uscita lecite” e invece molti opinionisti anticlericali (Massimo Gramellini, Carlo Tecce ecc. stanno affermando che il Papa avrebbe aperto alla contraccezione, incredibilmente lo ha scritto anche la vaticanista Franca Giansoldati). Lo aveva già detto Giovanni Paolo II: «il pensiero cattolico è sovente equivocato, come se la Chiesa sostenesse un’ideologia della fecondità ad oltranza, spingendo i coniugi a procreare senza alcun discernimento e alcuna progettualità. Ma basta un’attenta lettura dei pronunciamenti del Magistero per constatare che non è così». Peccato che in quell’occasione Socci non criticò Wojtyla di accusare le famiglie numerose di “procreare senza alcun discernimento”. Due pesi e due misure, come sempre accade a chi tradisce il buon senso.

Nella sua seconda accusa, lo scrittore ha sostenuto che Francesco si sia «rimangiato lo scivolone sul “pugno” e mi viene da ridere a pensare come faranno ora a fare marcia indietro tutti quegli zuavi pontifici che – col solito zelo – si erano messi a giustificare la reazione violenta all’insulto verbale». Facendolo, ha sostenuto Socci, avrebbe fatto «la toppa peggio del buco perché – per rimangiarsi la gaffe – ha detto che “in teoria” il Vangelo dice che non si deve rispondere con la violenza. E così il Vangelo diventa una “teoria” di un sognatore». Francesco non ha rimangiato nulla, gli è stato chiesto di chiarire meglio il suo discorso a causa di alcune strumentalizzazioni mediatiche e lui lo ha fatto, riproponendo lo stesso identico concetto: «Questo volevo dire: che in teoria siamo tutti d’accordo. C’è libertà di espressione, una reazione violenta non è buona, è cattiva sempre. Tutti d’accordo. Ma nella pratica fermiamoci un po’, perché siamo umani e rischiamo di provocare gli altri e per questo la libertà deve essere accompagnata dalla prudenza. Quello volevo dire». Francesco sta chiaramente invitando gli uomini, cristiani e non, alla prudenza nell’uso della libertà d’espressione: è vero che il Vangelo chiede di porgere l’altra guancia ma non si può confidare sul fatto che tutti ascoltino il Vangelo, e c’è il rischio serio di provocare reazioni violente. Il discorso è talmente chiaro e cristallino che ci si stupisce di come possa essere manipolato ancora, a meno che si sia pregiudizialmente contro il Papa. Esattamente come coloro che affermano che Gesù istighi alla violenza quando disse: “Non sono venuto a portare pace, ma una spada” (Mt 10,34). Basta contestualizzare le parole e si capisce il vero senso della frase.

 

Parlando di questa campagna antipapista di Antonio Socci bisogna comunque riflettere su una cosa. Conosciamo tutti la sua devozione verso la Madonna di Medjugorje, è anche l’autore di un bellissimo libro su questo. Bene, il 17 agosto 2014 durante l’apparizione a Ivan, uno dei veggenti di Medjugorje, la Madonna ha chiesto: «in modo particolare, cari figli in questo tempo pregate per il mio amatissimo Santo Padre, pregate per la sua missione, la missione della pace», un’indicazione decisamente rara nei messaggi di Medjugorje. Nessuno si aspettava questa richiesta, Francesco è molto amato…eppure, misteriosamente, Antonio Socci non solo ha evitato di riportare le parole di Maria sul suo “amatissimo Santo Padre”, ma, per una strana coincidenza, proprio verso la fine dell’estate scorsa ha intensificato la sua opposizione al Santo Padre. Poche settimane dopo la richiesta della Madonna di pregare per la missione di Francesco, Socci ha infatti pubblicato il suo libro intitolato “Non è Francesco” dove, addirittura ha messo in dubbio l’elezione complottando un conclave farlocco (tesi completamente smontata, tanto che lui non ne parla più evitando altre gaffe). Non solo, esattamente due mesi dopo la richiesta di Maria di intensificare le preghiere per “il mio amatissimo Santo Padre”, Socci ha definito il Papa «la bandiera e il simbolo del cattoprogressismo», profetizzando «la spaccatura della Chiesa».

Antonio Socci pare davvero non ascoltare più nemmeno i messaggi e le richieste delle apparizioni (e non chiede ai suoi lettori di farlo, come faceva un tempo), anzi ne ha contrastato i contenuti. Inoltre, a causa del diffuso fenomeno di antipapismo che ha generato, molti stanno davvero iniziando a sospettare che sia lui stesso -e l’armata tradizionalista dalla faccia funebre che lo segue- uno dei motivi (non certo l’unico) per cui la Madonna quest’estate -poche settimane prima l’uscita del suo libro contro il Papa- ha chiesto di pregare per «il mio amatissimo Santo Padre». E’ un’ipotesi, ovviamente, ma chi ha orecchie per intendere, intenda.

maria3

La redazione

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La soluzione per fermare la violenza sulle donne? Il matrimonio

MatrimonioMigliaia di ragazze e donne vengono ogni anno abusate, aggredite o violentate. Questo chiarisce ovviamente che alcuni uomini rappresentano una vera e propria minaccia per il benessere fisico e psichico delle donne e delle ragazze.

Ma, hanno spiegato sul “Washington Post” il prof. W. Bradford Wilcox, professore associato di sociologia presso l’Università della Virginia, e Robin Fretwell Wilson, prof.ssa di diritto alla Washington and Lee University, il dibattito pubblico su questo non tiene conto che «tanti altri uomini sono più propensi a proteggere le donne, direttamente e indirettamente, dalla minaccia della violenza maschile: sono i padri biologici sposati. La linea di fondo è questa: le donne sposate sono notevolmente più sicure rispetto alle loro coetanee non sposate, e le ragazze/bambine che vivono in una casa con un padre sposato hanno nettamente meno probabilità di essere vittime di abusi o aggressioni rispetto alle ragazze/bambine che vivono senza il loro padre».

Entrando nel merito dei dati scientifici, lo studio più completo sugli abusi sessuali verso ragazze e bambine (e ragazzi) mostra infatti che esse hanno maggiori probabilità di essere vittime di abusi quando non vivono in casa con il padre sposato. Ma c’è di più: le ragazze hanno significativamente più probabilità di essere vittime di abusi quando vivono in un nucleo familiare in cui è presente un convivente della madre. In effetti, il rapporto osserva che «solo lo 0,7 per 1.000 dei bambini che vivono con due genitori biologici sposati sono sessualmente abusati, rispetto al 12,1 per 1.000 dei bambini che vivono con un solo genitore e un partner non sposato». I risultati di questo studio, commentano gli studiosi, «sono coerenti con la ricerca accademica» (si veda qui e qui, per esempio) la quale «indica che “le ragazze vittime hanno maggiori probabilità di aver vissuto senza i loro padri naturali”» (e lo stesso dicono gli studi per i bambini maschi).

bambine abusate

Per quanto riguarda le donne adulte, la situazione è ancora più chiara: gli studi mostrano che le donne sposate hanno meno probabilità di essere vittime del partner e di essere vittime di crimini violenti in generale. Nel complesso, una ricerca del Dipartimento di Giustizia americano ha rilevato che le donne non sposate hanno quasi quattro volte più probabilità di essere vittime di crimini violenti rispetto alle donne sposate.

donne abusate

Come spiegare allora questi dati? I due studiosi affermano: «per le ragazze, la ricerca ci dice che il matrimonio offre una certa stabilità e i padri biologici sposati hanno maggiori probabilità di essere attenti e impegnati verso i loro figli perché sono coinvolti in una relazione duratura. Invece, i maschi non imparentati hanno meno probabilità di avere un’interazione permanente con i bambini della famiglia». Più in generale, il «sostegno emotivo e la supervisione» che i padri biologici sposati forniscono ai loro figli «possono limitare la loro vulnerabilità a i potenziali predatori», come ha affermato David Finkelhor, direttore della University of New Hampshire Crimes Against Children Research Center.

Per le donne, la spiegazione degli scienziati sociali è che «il matrimonio sembra invitare gli uomini a comportarsi meglio. Ecco perché gli uomini tendono a stabilizzarsi dopo il matrimonio, ad essere più attenti alle aspettative di amici e parenti, ad essere più fedeli, e più impegnati con le loro partners, tutti fattori che riducono al minimo il rischio di violenza. Inoltre, le donne sposate hanno più probabilità di vivere in quartieri più sicuri, avere un partner che le protegge fisicamente e -per ovvie ragioni- trascorrono meno tempo in ambienti che aumentano il rischio di stupro, rapina e aggressioni».

Certo, esistono tantissime violenze all’interno di matrimoni e delle famiglie. Ma gli studi, anche quelli contenuti nel nostro apposito dossier, dimostrano inequivocabilmente che «i padri sposati sono molto meno propensi a ricorrere alla violenza rispetto agli uomini che non sono legati dal matrimonio o dal rapporto biologico con una figlia».

La redazione

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Ecco perché siamo grati ai «quattro pirla» di “Repubblica”

Convegno famigliaAlla fine il convegno sulla famiglia organizzato dalla Regione Lombardia, “Difendere la famiglia per difendere la comunità”, si è svolto come previsto. L’omofascismo non è riuscito a censurarlo con la sua campagna di disinformazione: “vogliono curare i gay”, “li vogliono sventrare” ecc. Come ha detto in conclusione il presidente della Regione, Roberto Maroni, «figuriamoci se mi faccio condizionare da quattro pirla». Dal 3 gennaio, infatti, “Repubblica” ha organizzato una campagna forsennata contro l’evento, paventando che si sarebbero dette chissà quali mostruosità contro gli omosessuali.

Solamente fuoco di paglia per impedire che la famiglia costituzionalmente intesa fosse al centro del dibattito pubblico. Chi ha partecipato ha visto migliaia di uomini e donne, tanto entusiasmo, facce giovani e meno giovani, volti puliti, tantissime famiglie. E lo stupore di uno dei relatori, Mario Adinolfi: «perché ci esaltiamo quando dico che tutti siamo nati da un uomo e una donna? È un’affermazione banale, ovvia, come siamo arrivati ad esaltarci per l’ovvietà?». Per poterlo dire, infatti, è servito essere protetti da una cinquantina di camionette di poliziotti in tenuta antisommossa, per il rischio di essere aggrediti e malmenati dalle associazioni Lgbt e dagli sbandati che le sostengono. Esattamente come è accaduto nei mesi scorsi per le Sentinelle in piedi. Durante le due ore del convegno si è parlato della crisi della famiglia a causa del fisco («il nemico numero uno della famiglia è il fisco, perché una famiglia italiana paga in media al fisco il 67 per cento del suo reddito, contro il 46 per cento della Germania»), di una politica nemica e ammiccante, invece, verso la ridefinizione del matrimonio. Si è parlato della differenza naturale tra l’uomo e la donna, della necessità di difendere i più deboli, i bambini, e il loro diritto a crescere con un padre e una madre. Tanti applausi, tanti volti sorridenti -nonostante il clima apocalittico- che solamente chi ha partecipato ha potuto gustare.

Il regime mediatico si è dovuto accontentare della reazione del giorno dopo, attraverso la solita e prevedibile rassegna stampa a senso unico. La notizia del giorno non sono stati i 2000 partecipanti al convegno, ma il fatto che 200 militanti dei centri sociali e dell’Arcigay hanno organizzato una “contro-manifestazione all’omofobia”. Di tutto il convegno sono state diffuse foto e video solo di quei dieci secondi nei quali un provocatore è riuscito a raggiungere il palco e prendere possesso del microfono, prima di essere allontanato dal servizio d’ordine (ci ha provato inutilmente anche Enrico Lucci delle “Iene”, si rifarà certamente con il suo prevedibile servizio in cui prenderà in giro i partecipanti grazie agli abili taglia&cuci delle scene che ha filmato).

“Repubblica” ha dedicato la notizia soltanto alle «migliaia contro il forum anti-gay», in realtà poche centinaia di sbandati radunatisi in una pizza vicina attorno ad un furgone adibito a palco, il cui unico momento di eccitazione è stato un carroattrezzi intervenuto per spostare una macchina nel piazzale, togliendo per un attimo l’attenzione da chi tentava inutilmente di scaldare i convenuti, se non fosse stato per il malfunzionamento delle casse acustiche. In un secondo articolo l’attenzione è stata rivolta al provocatore interno, arrivando a concludere il pezzo sostenendo che i partecipanti alla fine «sembravano avere più l’aria delusa che convinta». In un terzo articolo, ancora elogi alla contro-manifestazione, pubblicando per filo e per segno tutte le loro motivazioni. Nessuna parola, invece, sui contenuti del convegno al centro del dibattito. Lo stesso modus operandi è stato emulato da “Il Fatto”, che ha elogiato la piazza “contro” la famiglia: «Le due Milano: omofobia a Palazzo, baci in piazza», così come ha fatto“Il Manifesto” e quasi tutti gli altri quotidiani.

Tutto già previsto, come già detto. Tuttavia vorremmo davvero ringraziare i “quattro pirla” di “Repubblica”: non solo hanno dato un notevole risalto all’evento, attirano la partecipazione di tantissime persone che non si sarebbero coinvolte se non fosse diventato di dibattito nazionale. Ma, proprio grazie a questa campagna mediatica contro la famiglia, è stato evidente come sia ancora più urgente di quanto si pensasse parlarne pubblicamente. Per questo, sempre grazie a “Repubblica”, il presidente lombardo ha invitato gli organizzatori ad organizzare un forum permanente sulla famiglia, «che sia un punto di riferimento per discutere su quanto serve e quanto bisogna fare in Lombardia in questo settore». Ci saranno dunque altri appuntamenti, oltre alla “Festa della famiglia tradizionale” (come già avviene nel Veneto), ma non solo: la seconda proposta di Maroni è stata infatti quella di allestire, proprio durante Expo, un Forum nazionale sulla famiglia per approfondire in chiave valoriale il tema dell’esposizione universale: «non si nutre soltanto attraverso il cibo, oggi ho capito che qui noi vogliamo nutrire i nostri valori». Grazie “Repubblica”!

La redazione

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Ecco cosa c’è dietro l’antipapismo di Antonio Socci

SKOREA-VATICAN-POPE-RELIGIONIn questi giorni il Santo Padre è impegnato nel suo viaggio pastorale in Sri Lanka e Filippine ed è intervenuto rispondendo alle domande dei giornalisti. Puntualmente il giornalista di “Libero” Antonio Socci, da tempo impegnato in una sfida ideologica contro Francesco, ne ha subito approfittato.

Lo ha fatto con un articolo il quale, però, contiene ben dieci disinformazioni a cui abbiamo risposto:

 

1) La prima accusa di Socci è che Francesco vorrebbe la «legittimazione della violenza fisica». Si riferisce ad una battuta umoristica di Francesco nel dialogo informale con i giornalisti e in risposta ad una domanda sull’esistenza di una illimitata libertà d’espressione, in seguito all’attentato a Charlie Hebdo. Il Papa ha spiegato che invece dev’esserci un limite, «abbiamo l’obbligo di dire apertamente, avere questa libertà, ma senza offendere». Per farlo capire meglio ha quindi fatto una battuta: «Perché è vero che non si può reagire violentemente, ma se il dott. Gasbarri, grande amico, mi dice una parolaccia contro la mia mamma, gli arriva un pugno! E’ normale! Non si può provocare, non si può insultare la fede degli altri, non si può prendere in giro la fede. E questa è un’eredità dell’illuminismo. Tanta gente che sparla delle religioni, le prende in giro, diciamo “giocattolizza” la religione degli altri, questi provocano, e può accadere quello che accade se il dott. Gasbarri dice qualcosa contro la mia mamma. C’è un limite. Ogni religione ha dignità, ogni religione che rispetti la vita umana, la persona umana. E io non posso prenderla in giro. E questo è un limite. Ho preso questo esempio del limite, per dire che nella libertà di espressione ci sono limiti come quello della mia mamma».

Fingendo di non aver capito che si trattava di una metafora ironica, il giornalista di “Libero” ha avviato la ramanzina moralista sul Papa contrario «alla civiltà giuridica e soprattutto cestina il Vangelo», che è tornato alla «legge del taglione», così da oggi «si può rispondere con i pugni». Mentre Francesco si riferiva al limite della libertà d’espressione, la cosa più tragica è che Socci è arrivato a sostenere che il Papa avrebbe in questo modo anche legittimato il fanatismo religioso a uccidere i cristiani in Medio Oriente a suon di pugni, «mentre se si è cristiani bisogna subire e zitti». Ha quindi incolpato Francesco se i gesuiti (come Bergoglio) francesi hanno pubblicato per solidarietà alcune vignette satiriche di Charlie Hebdo, ma non ha onorato il Papa per il fatto che altri gesuiti (come Bergoglio) hanno replicato molto perplessi all’iniziativa.

Oltre a ricordare che Socci non si scandalizza affatto quando Gesù rovescia i tavoli e scaccia violentemente i mercanti davanti al Tempio di Gerusalemme o quando afferma: «È meglio per lui che gli sia messa al collo una pietra da mulino e venga gettato nel mare, piuttosto che scandalizzare uno di questi piccoli» (Lc 17,1-6), tanto meno accusa Gesù di istigazione all’omicidio, di essere contro il Vangelo e di augurare la violenza verso chi si comporta in modo che riteniamo sbagliato, bisogna sottolineare che lo scrittore si dichiara discepolo di don Luigi Giussani, il fondatore di Comunione e Liberazione, anch’egli amante di metafore colorite: «Quando uno mi viene a dire: “Ma io voglio bene a questa ragazza, è un pezzo che siamo insieme, però non sono più innamorato di lei!», gli darei un pugno, perché l’unico modo per rispondere è quello di fargli capire che c’è qualcosa di storto (il naso, per esempio!)». (L. Giussani, “Uomini senza patria, 1982-1983”, Bur 2008, p. 332). Lo disse nel 1983 quando Socci aveva 24 e militava in CL, eppure lo scrittore non accusò il celebre teologo ed educatore di aver legittimato la violenza dei preti contro i fidanzati, come oggi fa contro Bergoglio. Don Giussani si rivolgeva direttamente ai giovani e Papa Francesco era in un informale dialogo con i vaticanisti, tanto da citare l’organizzatore dei voli papali, suo grande amico, come vittima di questo ipotetico pugno. Il senso era di sottolineare un limite alla libertà di satira, non certo una legittimazione alla violenza o al terrorismo religioso.

 

2) La seconda accusa di Socci è che il Papa avrebbe taciuto sui massacri dei cristiani: «in agosto e per giorni Bergoglio tacque» sulla persecuzione, scrive il giornalista. Peccato che invece intervenne il 20 luglio, l’8 agosto,  il 10 agosto, il 18 agosto, il 3 settembre ecc. Ha quindi aggiunto che «le sue sporadiche dichiarazioni evitarono accuratamente di nominare i carnefici e di condannare la loro ideologia islamista». Peccato che Francesco abbia più volte fatto appello ai leader islamici a condannare il terrorismo, operando giustamente una distinzione tra islam e fondamentalismo religioso («sarebbe bello che tutti i leader islamici parlino chiaramente e condannino quegli atti ecc..»). Anche pochi giorni fa lo ha fatto, ovviamente Socci si è ben guardato di parlarne: «Nel sollecitare la comunità internazionale a non essere indifferente davanti a tale situazione, auspico che i leader religiosi, politici e intellettuali specialmente musulmani, condannino qualsiasi interpretazione fondamentalista ed estremista della religione, volta a giustificare tali atti di violenza».

D’altra parte, nemmeno Benedetto XVI volle mai condannare “l’islamismo”, ovvero creare la generalizzazione equiparando l’islam al terrorismo come vorrebbe il giornalista conservatore, preferendo restare sul generale: il 18/07/05, parlò solo di “orribile attentato”; il 19/04/06, parò di “atto terroristico”; il 9/05/09, parò di “perversione della religione”; il 15/05/09 /parlò di “terrorismo”)l’11/11/10, parlò di “discriminazione e violenza”; il 2/01/11, parlò di “strategia di violenza!; il 25/01/11, parlò di “grave atto di violenza”; il 20/10/12, parlò di “terribile attentato”; il 7/01/13 parlò di “pernicioso fanatismo di matrice religiosa” e di “falsificazione della religione stessa” ecc. Tanto che nel 2009 la Chiesa di Benedetto XVI fu accusata dal rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, di avere “reazioni ammiccanti all’islam”.

 

3) La terza accusa di Socci è che «Bergoglio ha evitato sempre di chiedere l’“ingerenza umanitaria” per salvare la vita a popolazioni inermi». Invece il Pontefice ha rivolto numerosi appelli a «quanti hanno responsabilità politiche a livello locale e internazionale affinché si intraprenda una vasta mobilitazione di coscienze in favore dei cristiani perseguitati», come ad esempio ha detto nel novembre scorso, nell’agosto 2014 ecc.

 

4) La quarta accusa di Socci è che Francesco, solo quando «si sentì “costretto” a dire che la vita di quella povera gente andava difesa, aggiunse che non lo si doveva fare con la forza (e come si fermano gli sgozzatori e gli stupratori dell’Is?)». Un’altra manipolazione del pensiero del Papa il quale, nella conferenza durante il viaggio in Corea, disse un’altra cosa:  «dove c’è un’aggressione ingiusta, posso soltanto dire che è lecito fermare l’aggressore ingiusto. Sottolineo il verbo: fermare. Non dico bombardare, fare la guerra, ma fermarlo. I mezzi con i quali si possono fermare, dovranno essere valutati. Fermare l’aggressore ingiusto è lecito. Ma dobbiamo anche avere memoria! Quante volte, con questa scusa di fermare l’aggressore ingiusto, le potenze si sono impadronite dei popoli e hanno fatto una vera guerra di conquista! Una sola nazione non può giudicare come si ferma un aggressore ingiusto». Parole sagge e prudenti, lontane dall’interventismo violento e armato tanto caro ai conservatori tradizionalisti.

 

5) La quinta accusa di Socci è che Francesco avrebbe detto che «era disposto a dialogare con quelle belve sanguinarie e poi se la prese duramente contro quello che chiamò il “terrorismo di stato”, riferendosi a quei paesi che si difendevano dal terrorismo con le armi, come Israele e Usa». In realtà Francesco in quell’occasione disse ancora una volta una cosa diversa: «Io mai do per persa una cosa, mai. Forse non si può avere un dialogo, ma mai chiudere una porta. E’ difficile, puoi dire ‘quasi impossibile’, ma la porta sempre aperta […]. C’è la minaccia di questi terroristi. Ma anche un’altra minaccia, ed è il terrorismo di Stato. Quando le cose salgono, salgono, salgono e ogni Stato per conto suo si sente di avere il diritto di massacrare i terroristi, e con i terroristi cadono tanti che sono innocenti. E questa è un’anarchia di alto livello che è molto pericolosa. Con il terrorismo si deve lottare, ma ripeto quello che ho detto nel viaggio precedente: quando si deve fermare l’aggressore ingiusto, si deve fare con il consenso internazionale». Francesco non critica affatto chi si difende con le armi dai terroristi, come ha affermato Socci, ma spiega che bisogna lottare ma la strategia di difesa va decisa tra gli Stati, optando per una difesa che coinvolga il meno possibile vittime innocenti.

 

6) La sesta accusa di Socci è un must della sua critica antipapista, ovvero l’ormai famosa intervista a Scalfari in cui avrebbe detto “io credo in Dio. Non in un Dio cattolico, non esiste un Dio cattolico” sostenendo che il Papa stia «declassando i cattolici a dei “senza Dio”» (una frase che, se approfondita meglio, non è affatto in discontinuità con la Tradizione come è stato spiegato dal teologo Gianluigi Pasquale). Come sempre ricordiamo che la Santa Sede è intervenuta in merito a questa intervista -e solo questa- ritenendola «attendibile in senso generale ma non nelle singole formulazioni». Scalfari, oltretutto, ha ammesso di aver manipolato l’intervista. Inoltre, Francesco ha più volte indicato l’esatto opposto di quanto Scalfari gli ha fatto dire nell’intervista, ad esempio ha detto: «Non si capisce un cristiano senza Chiesa. E per questo il grande Paolo VI diceva che è una dicotomia assurda amare Cristo senza la Chiesa; ascoltare Cristo ma non la Chiesa; stare con Cristo al margine della Chiesa. Non si può. E’ una dicotomia assurda. Il messaggio evangelico noi lo riceviamo nella Chiesa e la nostra santità la facciamo nella Chiesa, la nostra strada nella Chiesa. L’altro è una fantasia o, come lui diceva, una dicotomia assurda». Ma l’intervista a Scalfari è una sorta di ossessione del conservatorismo antipapista, la ritroveremo citata migliaia di altre volte.

 

7) La settima accusa di Socci è che Bergoglio valorizzerebbe tutte le religioni mentre «al cattolicesimo toccano quasi sempre e solo durezze e bastonate». A parte il fatto che se gran parte dei cattolici italiani sono d’accordo con la militanza antipapista Socci evidentemente queste bastonate del Pontefice sono più che meritate, in ogni caso Francesco ha dichiarato proprio l’opposto: «dobbiamo però fare attenzione a permettere ai fedeli di tutte le confessioni cristiane di vivere la loro fede in maniera inequivocabile e libera da confusione, e senza ritoccare cancellando le differenze a scapito della verità. Quando, per esempio, con il pretesto di un certo andarsi incontro dobbiamo nascondere la nostra fede eucaristica, non prendiamo sufficientemente sul serio né il nostro patrimonio, né quello del nostro interlocutore». 

 

8) L’ottava accusa di Socci è che il Papa sarebbe sincretista per essere andato a «pregare (e adorare) nella Moschea blu di Istanbul rivolto alla Mecca (mentre i cristiani sono massacrati da musulmani)». Eppure anche Benedetto XVI nel 2006 si recò nella Moscha Blu accompagnato dal Gran Mufti, si tolse le scarpe e si fermò davanti al Mihrab, l’edicola islamica rivolta in direzione della Mecca verso la quale indirizzano le loro preghiere i fedeli musulmani (come descrisse Andrea Tornielli). Padre Federico Lombardi precisò anche in quell’occasione: «Davanti al Mihrab, nella Moschea Blu, il Papa ha sostato in meditazione e certamente ha rivolto a Dio il suo pensiero». Lo stesso Francesco ha spiegato così il suo gesto nella moschea: «Sono venuto come pellegrino, non come turista. Ma poi, quando sono andato in Moschea, io non potevo dire: “No, adesso sono turista”. No, era tutto religioso. E ho visto quella meraviglia! Il muftì mi spiegava bene le cose, con tanta mitezza, e anche con il Corano, dove si parlava di Maria e di Giovanni il Battista, mi spiegava tutto… In quel momento ho sentito il bisogno di pregare. E ho detto: “Preghiamo un po’?” – “Sì, sì”, ha detto lui. E io ho pregato: per la Turchia, per la pace, per il muftì… per tutti. E ho pregato per la pace, soprattutto. Ho detto: “Signore, finiamola con la guerra…”. Così, è stato un momento di preghiera sincera». Sull’accaduto è intervenuto anche uno dei maggiori studiosi di Islam turco, Padre Alberto Fabio Ambrosio, domenicano, e professore associato presso il dipartimento di teologia dell’Università di Metz in Francia, che ha valorizzato il gesto di Francesco spiegando che non vi è nulla di sincretistico, blasfemo o relativistico.

 

9) La nona accusa di Socci è che il Papa, durante la visita in Sri Lanka, «non ha trovato il tempo per la benedizione della neonata Università Cattolica, ma l’ha trovato per un fuori programma: la visita al tempio buddista». Innanzitutto, come si evince dal programma ufficiale, il viaggio non prevedeva affatto una visita in Sri Lanka all’Università Cattolica, Socci si è confuso (volontariamente?) con la visita che Francesco farà domenica 18 all’Università Cattolica a Manila. Ma, se anche fosse stato vero, si tratta di retorica di bassa lega: allo stesso modo si potrebbe accusare Socci di non aver trovato il tempo per scrivere un articolo sui cristiani perseguitati indicando il modo concreto per aiutarli, ma l’ha invece trovato per un articolo di militanza contro il Papa. Per quanto riguarda la visita al tempio buddista, nemmeno questa era prevista dal programma: Francesco doveva incontrare i vescovi ma, essendo questi in ritardo all’appuntamento, ha deciso di accettare l’invito rivoltogli il giorno prima dal capo del tempio, il monaco Banagala Upatissa. Per il dispiacere dello scrittore, ricordiamo che anche Giovanni Paolo II osò visitare un tempio buddista durante il viaggio in Thailandia nel 1984.

 

10) La decima accusa di Socci è ancora sul presunto sincretismo del Papa poiché sarebbe favorevole ad un «minestrone di religioni diverse: il Concilio che parla di “unica vera religione”. Non mi pare che Bergoglio ripeta queste parole, anzi lancia segnali che – forse anche contro la sua volontà – possono creare enormi equivoci». Oltre al fatto che la “Nostra Aetate” afferma anche che «la Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini», Papa Francesco ha più volte parlato contro il minestrone sincretista delle religioni. Un esempio: «In questo dialogo, sempre affabile e cordiale, non si deve mai trascurare il vincolo essenziale tra dialogo e annuncio, che porta la Chiesa a mantenere ed intensificare le relazioni con i non cristiani. Un sincretismo conciliante sarebbe in ultima analisi un totalitarismo di quanti pretendono di conciliare prescindendo da valori che li trascendono e di cui non sono padroni. La vera apertura implica il mantenersi fermi nelle proprie convinzioni più profonde, con un’identità chiara e gioiosa, ma aperti “a comprendere quelle dell’altro” e “sapendo che il dialogo può arricchire ognuno”»(Evangelii Gaudium).

 

Post scriptum
Antonio Socci ha bannato un nostro collaboratore dalla sua pagina Facebook dopo che è stato pubblicato, tra i commenti, il link a questo articolo (cancellando ovviamente il link). Ci domandiamo perché una persona che dice di agire in onore alla verità assuma questo comportamento. Perché aver paura di ricevere critiche? Perché aver paura che i suoi fans si confrontino con punti di vista differenti? Lo scrittore accusa il Papa di tradire il Vangelo e poi usa (evangelicamente?) il potere della censura per zittire le critiche.

 

Post scriptum 2
Nel tardo pomeriggio Antonio Socci ha voluto replicare al nostro articolo dalla sua pagina Facebook. Ha tralasciato di rendere conto delle 9 bugie dette, che qui sopra abbiamo sintetizzato, concentrandosi soltanto sulla famosa e, ormai, ossessiva intervista di Francesco a Eugenio Scalfari. Forse ha riconosciuto di non aver argomenti per replicare agli altri punti ma non ha voluto mollare il cavallo di battaglia dell’antipapismo conservatore: lo scrittore ha affermato infatti che «le frasi che sappiamo», contenute in tale intervista «non sono mai state smentite da papa Bergoglio e dal Vaticano». Ma, anzi, l’intervista è stata pubblicata sull’Osservatore Romano e in un libro edito dalla Libreria Editrice Vaticana. Ancora una volta si mostra come l’antipapismo si sia incastrato solo su qualche parola ambigua e relativista, chiaramente di manipolazione scalfariana per chiunque sia un buona fede. Ecco di cosa si tratta: «Ciascuno di noi ha una sua visione del Bene e anche del Male. Noi dobbiamo incitarlo a procedere verso quello che lui pensa sia il Bene». La seconda frase è: «Io credo in Dio. Non in un Dio cattolico, non esiste un Dio cattolico, esiste Dio. E credo in Gesù Cristo, sua incarnazione. Gesù è il mio maestro e il mio pastore, ma Dio, il Padre, Abbà, è la luce e il Creatore», ma come vedremo non è affatto errata. In ogni caso è tutto qui: Socci vorrebbe che venisse censurata un’intera intervista per queste due frasi, senza mai ricordare “a beneficio dei suoi lettori” che la Santa Sede è intervenuta -e lo ha fatto solo in questo caso- spiegando che «l’intervista è attendibile in senso generale, ma non nelle singole valutazioni […]. C’era qualche equivoco e dibattito sul suo valore. Lo ha deciso la Segreteria di Stato», dunque Papa Francesco. E’ vero, è stata comunque pubblicata in un libro, ma assieme a tutte le interviste concesse da Francesco ai giornalisti e riconosciute pubblicamente come tali: era completamente insensato estrometterla per un paio di parole controverse, che hanno scandalizzato soltanto chi è pregiudizialmente in mala fede.

Anche perché, su entrambi gli argomenti, Francesco non solo non ne ha parlato una seconda volta in tutto il suo pontificato, né prima né dopo la famosa intervista, ma ha più volte chiarito il suo vero pensiero: sul “Dio cattolico” ha affermato, ad esempio: «è una dicotomia assurda amare Cristo senza la Chiesa; ascoltare Cristo ma non la Chiesa; stare con Cristo al margine della Chiesa. Non si può. E’ una dicotomia assurda. Il messaggio evangelico noi lo riceviamo nella Chiesa e la nostra santità la facciamo nella Chiesa, la nostra strada nella Chiesa. L’altro è una fantasia o, come lui diceva, una dicotomia assurda». Tuttavia proprio oggi Scalfari ha pubblicato un’altra frase che gli avrebbe detto il Papa, dimostrando che la sua riflessione non è stata pubblicata integralmente: «È ecumenico, è un unico Dio che ogni religione legge attraverso le proprie Sacre Scritture». Si capisce dunque che il concetto espresso da Francesco non è per nulla sbagliato, come ha spiegato padre Gianluigi Pasquale, docente di teologia presso la Facoltà di Sacra Teologia della Pontificia Università Lateranense, «l’affermazione di Papa Francesco va interpretata tenendo presente che l’attributo “cattolico” è una caratteristica della Chiesa, non di Dio […]. Papa Francesco con un linguaggio perfettamente in linea alla Tradizione ha ribadito ciò che la Chiesa ha sempre professato, inibendo, quindi, qualsiasi possibilità che esista un unico Dio per tutte le fedi religiose». Per quanto riguarda la personale visione del bene e del male, il Papa ha chiarito cosa intende, ovvero invitare l’uomo a «fare appello alla sua natura, alla sua innata capacità di distinguere il bene dal male, a quella “bussola” inscritta nei nostri cuori e che Dio ha impresso nell’universo creato». Dunque, di fronte a due interventi pubblici e diretti di Papa Francesco in cui egli si esprime in termini completamente opposti a quanto è comparso nell’intervista di un quotidiano storicamente relativista e anticlericale, “Repubblica”, realizzata da un autore chiaramente laicista, Eugenio Scalfari, che oltretutto ha anche ammesso e riconosciuto di aver manipolato l’intervista, e dopo perfino l’intervento della Santa Sede che non l’ha ritenuta attendibile «nelle singole formulazioni», Antonio Socci cosa fa? Riconosce la realtà usando il buon senso? No, imbastisce una campagna antipapista preferendo credere a “Repubblica” e a Eugenio Scalfari per il “beneficio dei suoi lettori”. E’ anche ovvio, a questo punto, che sia costretto censurare e bannare sulla sua pagina Facebook tutti coloro che cercano di criticarlo e confrontarsi sul suo comportamento. In ogni caso mancano ancora 9 bugie a cui rendere conto, speriamo con argomenti migliori.

La redazione

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Fabiola Gianotti: «Credo in Dio, scienza e fede compatibili»

Fabiola GianottiDal 1 gennaio 2016 l’italiana Fabiola Gianotti è direttore generale del CERN di Ginevra, è il più grande laboratorio al mondo di fisica delle particelle. Un ruolo certamente meritato anche per aver enormemente contribuito alla scoperta del bosone di Higgs.

La Gianotti viene definita la “signora della scienza”, ed è senza dubbio tra gli scienziati più noti al mondo. Il 6 gennaio scorso è stata ospite della trasmissione Otto e mezzo”, condotta dalla faziosa Lilli Gruber. In collegamento da Ginevra (il video lo trovate qui sotto), la Gianotti ha risposto a molte domande sulla fisica delle particelle così come alla richiesta sul rapporto tra scienza e fede: «la scienza e la religione devono restare su due strade separate», ha risposto la Gianotti, «la scienza si basa sulla dimostrazione sperimentale e la religione si basa su principi completamente opposti, cioè sulla fede, tanto più benemerito chi crede senza aver visto. E la scienza non potrà mai dimostrare l’esistenza o la non esistenza di Dio».

Alla domanda della Gruber se ha fede in Dio, la celebre scienziata ha risposto in modo molto asciutto: «Si, io credo». L’intervistatrice ha quindi domandato: la scienza è compatibile con la fede? «Assolutamente si, non ci sono contraddizioni. L’importante è lasciare i due piani separati: essere credenti o non credenti, non è la fisica che ci darà una risposta».

Anche pochi giorni prima, in un’intervista su “Repubblica”, la scienziata aveva detto: «Scienza e religione sono discipline separate, anche se non antitetiche. Si può essere fisici e avere fede oppure no. È meglio che Dio e la scienza mantengano la giusta distanza». Lo stesso concetto lo aveva ribadito su “Famiglia Cristiana” nel 2010: «Non vedo nessuna contraddizione tra scienza e fede: appartengono a due sfere diverse. Saremmo troppo ambiziosi e troppo arroganti se potessimo pensare di spiegare l’origine del mondo. Quello che possiamo fare noi scienziati è andare avanti passettino dopo passettino, e accumulare conoscenza. Ma, come diceva Newton, quello che conosciamo è una gocciolina e quello che non conosciamo un oceano, quindi siamo ben lontani dal rispondere a domande di quel tipo».

Nulla di strano, ovviamente, l’esperienza di fede della Giannotti non vale di più o di meno di quella di un sacerdote, di un muratore o di un libraio. E, sopratutto, non è che una delle migliaia di celebri scienziati a pensarla così, molti dei quali li abbiamo raccolti nel nostro apposito dossier, con tanto di citazioni. Certamente sarà uno smacco invece per Piergiorgio Odifreddi e i suoi epigoni, sempre impegnati a violentare la scienza per tentare di dimostrare l’inesistenza di Dio o, più semplicemente, per accusare i credenti di ignoranza o cretineria. Oltre al danno la beffa: mentre la Gianotti è a capo del Cern, Odifreddi non lo vogliono nemmeno come presidente della Giuria dei “Letterati” del Campiello 2015. Non c’è più irreligione, nemmeno tra gli scienziati.

 

Qui sotto il video con le dichiarazioni di Fabiola Gianotti sulla fede in Dio


La redazione

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L’assessore Cappellini: «Regione Lombardia non ha paura e difende la famiglia»

Cappellini“Convegno omofobo”, “raduno anti-gay”, “corso per sventrare gli omosessuali”…hanno detto e scritto di tutto per tentare di impedire che si svolgesse domani pomeriggio l’incontro promosso da Regione Lombardia dal titolo “Difendere la famiglia per difendere la comunità”.

La macchina del fango è partita, come sempre, da “Repubblica” che dal 3 gennaio si è inventata qualunque cosa pur di censurare l’evento, tentando (di ripiego) almeno di far togliere il logo dell’Expo. Poi, via via, si è accodata la lunga onda delle associazioni omofasciste, con minacce, insulti e disinformazione. Erano gli stessi che pochi giorni prima manifestavano in nome della libertà d’espressione in occasione dell’attacco terroristico a Charlie Hebdo e poi, tornando dalla manifestazione in difesa della libertà di stampa urlando “Je suis Charlie”, hanno pensato di fermarsi davanti alla redazione del settimanale “Tempi” -tra gli organizzatori del convegno sulla famiglia- lasciando escrementi e scrivendo sui muri: “merde omofobe e sessiste”. gay curati

Il convegno, sostenuto sul web già da oltre 20mila persone, si svolgerà domani, sabato 17 gennaio 2015, alle ore 15:00 presso il Palazzo Regione Lombardia, nell’Auditorium Testori in Piazza Città di Lombardia 1. Interverranno Costanza Miriano, Mario Adinolfi, Padre Maurizio Botta e Marco Scicchitano, chiuderà l’incontro Roberto Maroni, presidente della Regione. Il fallimento della campagna denigratoria è dovuto anche al fatto che i responsabili dell’organizzazione non sono certo Guido Barilla, non hanno alcuna intenzione di farsi intimidire dalla stampa e dall’omofascismo (che si dovrà accontentare dell’insulto dei partecipanti in una vicina piazza). Hanno più volte respinto le ridicole accuse di voler “curare i gay”, tirando dritto.

 

Tra di essi certamente Cristina Cappellini, Assessore alle Culture, Identità e Autonomie di Regione Lombardia, che UCCR ha voluto intervistare.

1) Gentile assessore, innanzitutto la redazione UCCR la ringrazia per il coraggio dimostrato e per la sua testimonianza, senza mai indietreggiare.
«Quando si crede in qualcosa lo si deve dimostrare. É un dovere morale. Grazie a voi!»

2) ““Difendere la famiglia per difendere la comunità” è il titolo del convegno di domani. E’ scattata immediatamente l’accusa di voler “curare i gay”, Umberto Ambrosoli del Partito Democratico (sconfitto da Maroni nel 2013) ha addirittura affermato che il presidente della Regione riterrebbe l’omosessualità una malattia. Come si spiega queste assurde reazioni? Cosa si nasconde in realtà dietro ad esse?
«Quello che penso e che ho ribadito durante la conferenza stampa è che la falsificazione e la demonizzazione dei contenuti del nostro convegno da parte di alcuni giornali ha creato una spirale di criminalizzazione di posizioni legittime e che hanno come fine comune quello di tutelare e sostenere l’istituzione famiglia. L’opera di denigrazione e repressione messa in atto ad esempio a danno delle Sentinelli in piedi, le proposte legislative liberticide come il ddl Scalfarotto e la promozione delle lezioni gender nelle scuole sono elementi che rientrano in un preciso piano di progressiva disgregazione della famiglia come nucleo cardine della società in favore della promozione di modelli di famiglia alternativi. Chi si oppone a tali ideologie, rivendicando il ruolo centrale della famiglia all’interno della comunità, viene costantemente fatto oggetto di insulti e atti di intolleranza. Purtroppo la faziosità politica é pronta anche a strumentalizzare le persone omosessuali pur di attaccare la giunta regionale e il suo presidente. Non riuscendo a prevalere sul piano elettorale e attraverso il normale confronto politico i partiti di opposizione si riducono a rincorrere le false notizie riportate da alcuni giornali».

3) Non dev’essere stato facile resistere ed è davvero apprezzabile che lo abbiate fatto, con dignità. E’ un piacere osservare che anche la Lega Nord, che tanto consenso sta avendo in questi ultimi periodi, abbia a cuore la difesa della famiglia naturale e non lo faccia certo per motivi di consenso, date le critiche che riceve. Era nato qualche dubbio, le confesso, dopo il patrocinio concesso da Regione Lombardia al Gay pride nel maggio scorso. Era d’accordo con questa iniziativa? Come partito politico e come consiglio regionale avete fatto o farete qualcosa di specifico per tutelare e sostenere la famiglia e le famiglie?
«Sul Gay Pride: personalmente non avrei dato il patrocinio in quanto rappresentante di una maggioranza politica che ha un’idea di famiglia e di società diversa da quella portata avanti da chi promuove i Gay Pride. Manifestazioni peraltro che spiccano spesso per volgarità ed eccessi che non fanno onore alle stesse comunità lgbt. Vorrei specificare che dare un patrocinio ad un’iniziativa significa sostenerla e aderire alle finalità che essa persegue. Quindi non avrei potuto essere favorevole alla concessione del patrocinio perché l’attuale Regione Lombardia é governata da una maggioranza che porta avanti finalità diverse da quelle promosse dal Gay Pride. Come partito politico abbiamo sempre difeso la famiglia come istituzione e promosso da anni varie iniziative a sostegno della maternità e dei nuclei famigliari (asili nido aziendali per andare incontro alle donne lavoratrici, bonus bebé, sostegno ai genitori separati come intervento di natura sociale). Molte iniziative sono portate avanti ora da Regione Lombardia soprattutto sul fronte del sostegno economico alla famiglia (dote scuola ad esempio) e alle sue componenti fragili. Linko il sito dell’assessorato alla famiglia che riporta gli interventi messi in campo in questi primi due anni di legislatura regionale (link1 e link2).

4) Papa Francesco è più volte intervenuto in questi due anni sul tema della centralità della famiglia, sul suo sostegno politico e sul matrimonio come unione tra uomo e donna. Nel settembre 2013 ha anche ricordato che la famiglia nella differenza tra uomo e donna è «un bene per tutti, la prima società naturale, come recepito anche nella Costituzione della Repubblica Italiana». Nell’ottobre 2014 ha risposto proprio ad una sua collega di partito, l’on. Arianna Lazzarini, vicecapogruppo regionale nel Veneto, sostenendola nella sua iniziativa per la famiglia tradizionale e ricordando il diritto dei genitori di educare i figli secondo i loro valori e non quelli imposti dall’Unione Europea. Cosa ne pensa di tutto questo? Sente vicina la sua posizione a quella del Pontefice?
«Mi pare che la Lombardia e il Veneto siano le due uniche Regioni in Italia a portare avanti con fermezza la battaglia a difesa della famiglia tradizionale. Ovviamente le parole di Papa Francesco mi trovano vicina. Andrebbero portate avanti da tutta la Chiesa con una fermezza ancora maggiore proprio perché ho l’impressione che spesso i media tendano a offuscare o a travisare persino le dichiarazioni del Papa su questo tema. Ma oltre all’importantissima base religiosa, la laicissima Costituzione Repubblicana definisce la famiglia in un certo modo, facendo cioè riferimento al diritto naturale e non a diritti civili o politici a cui afferiscono invece le altre forme possibili di affettività e di convivenza».

 

Ricordiamo a tutti i lombardi (non solo i milanesi) la necessità di partecipare al convegno, anche soltanto per l’aspetto simbolico che ormai ha assunto: da una parte coloro che vogliono riportare al centro politico la tutela della famiglia e dall’altra chi vuole impedire questo, per tentare di introdurre un’idea di famiglia priva di ogni fondamento, assolutamente minoritaria e, sopratutto, non riconosciuta dalla nostra Costituzione.

La redazione

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L’88,5% degli studenti italiani sceglie l’ora di religione

Ora di religione scuolaVentun’anni dopo che la religione cattolica a scuola è divenuta materia opzionale, si è assistito ad un calo di soltanto 5 punti decimali nella scelta. Nel 1993/94, infatti, gli studenti che si avvalevano di quest’ora erano il 93,5% mentre nell’anno scolastico 2013/14 sono stati 88,5%.

L’Osservatorio socio-religioso del Triveneto ha infatti rilevato che la materia viene scelta dal 90,8% degli studenti della scuola dell’infanzia (-0,2%), dal 92,3% di quelli della scuola primaria (-0,6%), dal 90,2% degli studenti della scuola media (-0,2%) e dall’82% di quelli delle superiori (-0,1%). Ci sono tuttavia eccezioni come la Lombardia, dove si è verificato un aumento generale del’1,5% degli alunni che ha scelto di avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica (circa 20.000 in più) e, nella sola diocesi di Milano, la percentuale degli avvalentesi è aumentata più del 2%.

Nella scuola superiore, in particolare, è complice il fatto che l’attività preferita come alternativa è l’uscita da scuola (45,4%), anche perché molto spesso si tratta dell’ultima ora della giornata. Come ha spiegato una mamma, al liceo «molti ragazzi rifiutano di fare l’ora di religione a scuola non per una qualche solida convinzione ideologica, ma semplicemente per avere un’ora di buco in cui spassarsela e non fare nulla».

Il card. Francesco Coccopalmerio, presidente del Pontificio consiglio per i testi legislativi, ha spiegato che sull’insegnamento della Religione «c’è sempre stato un equivoco, perché in realtà non dev’essere intesa come catechesi, bensì come cultura religiosa. Nella scuola si parla di tante cose che devono essere conosciute per cultura generale, e così vale anche per Religione. Però deve essere condotta da chi conosce la materia, e dunque avviene che la insegnino dei sacerdoti che hanno studiato, oltre che i laici».

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Massimo Recalcati: «siamo imprigionati dalla liberazione sessuale»

sessualitàIl sesso è un tema quasi ossessivo della modernità e dei media e anche noi cristiani, di riflesso, cerchiamo di parlarne, anche spesso, offrendo su di essa uno sguardo differente. Purtroppo, però, ogni volta che la Chiesa parla di sessualità c’è sempre qualcuno pronto ad accusarla di sessuofobia, anche con la classica obiezione: “come possono i preti, che vivono in castità, parlare di sesso agli uomini?”, come se i ginecologi potessero soltanto essere donne, come se i maschi potessero soltanto rivolgersi ad uno psicologo (maschio) per farsi aiutare nelle difficoltà mentali, come se a parlare di violenza sulle donne potessero essere solo le vittime di violenza, e così via.

C’è un’esperienza di umanità nella Chiesa e nei sacerdoti e, lo abbiamo già ricordato, ad ogni “no” che viene detto, è perché si dice un “si”: diciamo “no” ad una sessualità compulsiva, egoista, occasionale, istintiva, perché diciamo “si” ad una sessualità come dono totale di sé, come promessa, come unione coniugale. E la Chiesa non dice “no” perché è pregiudizievole, ma perché è maestra di umanità e sa benissimo che è un male per noi stessi usare la sessualità in questo modo, contro la felicità dell’uomo. E’ un aiuto all’uomo, e questo è ciò che interessa e non certo preservare astrattamente una dottrina. Non è un caso che, come quasi sempre accade, anche la scienza medica, cioè lo studio scientifico sul benessere dell’uomo, dica l stessa cosa: «L’idea del suicidio, sintomi depressivi e una peggiore salute mentale sono associati ai rapporti sessuali occasionali», è stato rilevato da un’indagine pubblicata su “The Journal of Sex Research”.

Ma dopo la rivoluzione sessuale del ’68 è ancora più difficile accettare la visione della Chiesa sulla sessualità, cioè ordinata al dono di sé, non al piacere egoistico. Come ha spiegato il celebre filosofo Roger Scruton, siamo vittime di «un’ideologia che vuole ricostruire la sessualità senza legami con l’ordine naturale. Oggi si dà per scontato che le sole questioni morali che circondano l’atto sessuale siano quelle del consenso e della ‘sicurezza’. Per dirla con Foucalt, si è “problematicizzato” il sesso. Il gesto sessuale è ridotto a funzione corporale emancipata dalla moralità. L’educazione sessuale a scuola cerca di cancellare le differenze fra noi e gli animali, rimuovendo concetti come il proibito, il pericoloso o il sacro. L’iniziazione sessuale significa superare queste emozioni ‘negative’ e godere del ‘buon sesso’. Abbiamo incoraggiato i figli a un interesse depersonalizzato alla sessualità».

Anche diverse femministe oggi guardano deluse al fallimento del progetto di liberare la sessualità femminile da una presunta morale bigotta, e constatano rammaricate che l’unico risultato ottenuto è la «pornificazione del corpo femminile». Un recente documentario ha mostrato come l’educazione sessuale del Novecento ha “liberato” gli adolescenti da inibizioni e insicurezze, dirottandoli direttamente verso l’educazione attuale: la pornografica. Ovvero, la sessualità “liberata” dalla morale si è sclerotizzata.

Recentemente lo ha riconosciuto anche lo psicoanalista di “Repubblica” Massimo Recalcati che, nonostante il quotidiano per cui scrive, ha dimostrato più volte di infischiarsene di risultare politicamente scorretto nei suoi giudizi. Ha voluto identificare il punto cieco della sessuologia, quando diventa una «pedagogia disciplinare del corpo», ovvero ossessionata dalle «capacità performative degli organi» ma che «non sfiora il problema di cosa significa desiderare. Non è ancora stata inventata la pillola capace di accendere il desiderio. È il punto cieco della sessuologia che un mio vecchio paziente, dopo aver ottenuto il ripristino della capacità erettile del suo organo grazie a trattamenti farmacologici, mi descriveva smarrito: “e ora chi riuscirà a collegare l’organo ad un desiderio che non c’è?”».

Se «il desiderio si è eclissato, è morto, assente, svanito», di chi è la colpa? Anche Recalcati punta alla rivoluzione sessuale sessantottina: «Ci si potrebbe anche chiedere se la liberazione sessuale e la caduta di ogni velo sul corpo sessuale, abbiano giovato al desiderio, il quale, non dobbiamo dimenticare, si nutre sempre della distanza, della differenza, del mistero, della presenza del velo. Bisognerebbe avere il coraggio di dire che gli entusiasmi per la cosiddetta liberazione sessuale hanno generato una nuova e forse più insidiosa gabbia rispetto a quella dei moralismi di ogni genere e specie. È quella del principio di prestazione che sembra colonizzare anche il mistero del corpo erotico».

Se questi sono i frutti della rivoluzione sessuale, si dovrebbe davvero dubitare che ci abbia davvero liberato. Liberato da cosa, oltretutto, non si sa. Certo, ha emancipato molti uomini dal legame con la moralità e, per questo, li ha resi schiavi delle loro pulsioni. Altro che liberazione.

La redazione

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