Il caso Galilei? Un esempio di collaborazione tra scienza e fede

GalileiE’ evidente come il “caso Galileo” sia ritenuto l’esempio chiave utilizzato dai sostenitori di una presunta dicotomia tra scienza e fede, attraverso il quale si afferma che la fede nel Dio cristiano è una gabbia che soffoca il pensiero e la ricerca scientifica. La rilettura dei fatti in chiave anticristiana nacque con la “Vita di Galileo” di Brecht, autore insignito del “Premio Stalin” ricevuto direttamente dalle mani del dittatore sovietico.

Bisogna innanzitutto dire che di fronte a Galileo diversi teologi, «obbligati a interrogarsi sui loro criteri di interpretazione della Scrittura» non presero una posizione corretta, come ricordò Giovanni Paolo II nel 1992. Perché «la maggioranza dei teologi non percepiva la distinzione formale tra la Sacra Scrittura e la sua interpretazione». Tuttavia, ha continuato Wotyla, «il caso Galileo ha costituito una sorta di mito, nel quale l’immagine degli avvenimenti che ci si era costruita era abbastanza lontana dalla realtà. In tale prospettiva, il caso Galileo era il simbolo del preteso rifiuto, da parte della Chiesa, del progresso scientifico, oppure dell’oscurantismo “dommatico” opposto alla libera ricerca della verità».

Chiarite le colpe dei teologi di allora, vorremmo ricordare che ci sono diversi motivi per cui non è affatto opportuno che tale evento venga citato come “prova” per una presunta inimicizia tra scienza e fede. Innanzitutto perché Galileo Galilei era e rimase un devoto cattolico, morì nel letto della sua bella residenza con la benedizione papale e affermò: «Nelle mie scoperte scientifiche ho appreso più col concorso della divina grazia che con i telescopi» (citato in F.Flora, “Galileo Galilei, Lettere”, Einaudi 1978). La stessa biografia di Galileo dimostra dunque che la tesi di una contrapposizione tra scienza e fede è anti-fattuale, lui stesso conciliava i due saperi così come fecero tutti i più grandi rivoluzionari del metodo scientifico (molti dei quali sacerdoti e monaci, da Copernico a Mendel, fino a Lemaitre).

Il secondo motivo è che proprio il “caso Galileo” dimostra che scienza e fede possono reciprocamente aiutarsi e sostenersi. La Chiesa e la scienza, infatti, si aiutarono e si corressero reciprocamente: se Galilei aiutò i suoi critici (ecclesiastici e scienziati) a ricordare che la Scrittura era neutrale sulle questioni astronomiche, i vertici della Chiesa -come il card. Berllarmino- si dimostrarono migliori di Galilei dal punto di vista scientifico: Bellarmino, infatti, si rese conto che le prove della teoria di Copernico argomentate da Galilei erano insufficienti, tanto che scrisse: «Dico che quando ci fosse vera dimostratine che il Sole stia nel centro del mondo e la Terra nel terzo cielo e che il sole non circonda la terra, ma la terra circonda il sole, allora bisognerà andar con molta attenzione a studiare le Scritture che paiono contrarie, e dire che non le intendiamo piuttosto che dire che sia falso quello che si dimostra. Ma io non crederò che ci sia tal dimostrazione, fin che non mi sia mostrata» (Lettera a Padre A. Foscarini, 12 aprile 1615).

Proprio di questo “caso” parla il libro “Lezioni da Galileo” recentemente pubblicato da APRA in italiano, scritto dal celebre storico della scienza Stanley Jaki (scomparso nel 2009). Jaki ha smontato diverse leggende, chiarendo che la Chiesa non era affatto interessata a prendere posizione sul sistema copernicano in sé e che non lo temeva affatto. Anche perché, come abbiamo scritto, già quattro secoli prima di lui san Tommaso d’Aquino (1225-1274) disse che la concezione tolemaica, proprio perché non suffragata da prove, non poteva considerarsi definitiva. Inoltre, diversi pontefici, come Leone X e Clemente VII, si mostrarono aperti alle tesi del sacerdote cattolico Copernico (nessun “caso Copernico”, infatti), tanto che nell’Università di Salamanca, proprio negli anni di Galilei, si studiava e si insegnava anche la concezione copernicana (e lo stesso Galilei ne era consapevole). Nel 1533 papa Clemente VII, affascinato dall’eliocentrismo, chiese, ad esempio, a Johann Widmanstadt di tenergli una lezione privata sulle teorie di Copernico nei Giardini Vaticani. L’opposizione all’eliocentrismo venne invece in modo compatto dal mondo protestante, tanto che Lutero scrisse di Copernico: «Il pazzo vuole rovesciare tutta l’arte astronomica». Ancora oggi i protestanti hanno grossi problemi con il mondo scientifico (creazionismo Vs evoluzione) a causa della mancanza di interpretazione della Bibbia.

La critica a Galileo da parte della Chiesa fu basata invece dalla mancanza di prove sufficienti a favore dell’eliocentrismo e dunque sulla sua inopportuna presentazione come unica descrizione scientifica dell’universo, tale da costituire criterio di interpretazione della Sacra Scrittura. Galilei, inoltre, utilizzò come unica prova l’argomento dell’esistenza delle maree, che invece gli astronomi gesuiti collegavano non alla rotazione della terra ma all’attrazione lunare (e avevano ragione loro, non certo lo scienziato pisano). Tuttavia molti ecclesiastici erano d’accordo con Galilei, come ha perfettamente spiegato lo storico ateo Tim O’Neill, «tutta la vicenda non era basata su “scienza vs religione”, come recita la favola della fantasia popolare. Le posizioni di Galileo e dei vari ecclesiastici coinvolti erano varie e complesse […]. Molti dei sostenitori e difensori di Galileo erano ecclesiastici e molti dei suoi aggressori erano colleghi scienziati. L’idea di letteralismo biblico è un modernissimo concetto sorto negli Stati Uniti nel XIX secolo ed è esclusivamente una idea protestante fondamentalista. La Chiesa cattolica, allora come oggi, ha insegnato che ogni versetto o brano della Bibbia debba essere interpretato con non meno di quattro livelli di esegesi: letterale, allegorico/simbolico, morale ed escatologico. Di questi, il senso letterale è generalmente considerato come il meno importante».

Così, ha concluso lo storico laico, «tutto questo significa che la Chiesa era perfettamente in grado di cambiare le interpretazioni delle Scritture se si fosse dimostrata» una prova. «Semplicemente non aveva intenzione di farlo prima che vi fosse una dimostrazione in modo conclusivo e Galileo non lo aveva fatto […]. Molti dei miei compagni atei farebbero bene a ripassare la loro storia quando si tratta di Galileo e procedere con cautela quando si invoca questo argomento».

Ecco dunque perché il “caso Galilei” non solo non andrebbe ricordato come ipotetico esempio di una dicotomia tra scienza e fede, ma addirittura potrebbe essere citato come esempio a sostegno di un’alleanza tra le varie forme di sapere (scienza, teologia e filosofia). Una collaborazione che, però, non diventi un’invasione di campo, come ha spiegato benissimo di recente il fisico Fabiola Gianotti.

La redazione

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“Il Mattino” difende la famiglia contro il “fondamentalismo dei diritti civili”

Il mattino 
di Alessandro Barbano*
*direttore del quotidiano “Il Mattino”

 
da “Il Mattino”, editoriale del 19/01/15
 

Perché in Italia si può organizzare un corteo sull’orgoglio omosessuale, finanziato e sostenuto dai pubblici poteri, perché si possono gremire le piazze e le strade di giovani che esibiscono una sessualità che ha sostituito il pudore con il consumo, e invece non si può tenere una manifestazione sulla famiglia senza finire alla gogna con l’accusa di omofobia? A Milano l’altro ieri è andato in scena un paradosso che dovrebbe far riflettere, assai più di quanto abbiano fatto i giornali.

Un convegno organizzato dalla Regione Lombardia sul tema della famiglia tradizionale è stato preceduto da intimidazioni agli organizzatori e poi preso d’assalto da duemila giovani che sventolavano le bandiere della variopinta galassia gay, ma anche dei partiti della sinistra, Partito democratico compreso. È la prova di dove può arrivare una democrazia neutrale e distratta nella quale un pensiero radicale s’impone quasi come una dittatura dei diritti civili.

Ciò che sta accadendo non ha niente a che vedere con la lotta contro le discriminazioni, né con l’emancipazione. E’ una guerra di potere che si propone, fin qui con discreto successo, di delegittimare l’istituzione familiare nel discorso pubblico, facendola apparire politicamente scorretta, e di imporre un’ideologia di genere, l’unica riconosciuta e perciò sostenibile. I difensori delle libertà individuali, e in questo Paese non mancano, dovrebbero fiutare il sottile totalitarismo che attraversa questa deriva del pensiero, invece che inchinarsi ad esso. La teoria del gender nega che abbia significato la differenza biologica tra uomini e donne determinata da fattori scritti nel corpo e sostiene che il maschile e il femminile sono mere categorie culturali e, come tali, esito di un’autodeterminazione del singolo, revocabile nel tempo e sottratta da qualunque connotazione sociale: secondo questo pensiero l’umanità non è più divisa tra maschi e femmine, ma è fatta di individui che decidono giorno per giorno chi vogliono essere o non essere.

Il fondamentalismo dei diritti civili declina e proietta l’antica lotta di classe nell’Europa senza muri e racconta l’utopia di un mondo senza differenze che non siano quelle prodotte da un atto di libertà e volontà, senonché nel passaggio di un’epoca del lavoro all’epoca della tecnica, il pensiero forte che si fa ideologia finisce per capovolgere i suoi fini: il comunismo era l’epopea del collettivo, il gender è la dittatura dell’individuo sottratto a qualunque responsabilità sociale. Ci sarebbe da sorridere se questa paccottiglia, solo falsamente egualitaria, non fosse promossa da istituzioni come le Nazioni Unite e l’Unione Europa, pronte a elargire sostanziosi contributi a scuole, università e strutture formative che la propongano. Così, mentre le questioni dell’educazione slittano in coda alla agenda delle priorità, si realizza la messa al bando della famiglia e il suo esilio sociale. Chi dichiara di volerla sostenere -il caso dell’imprenditore Barilla è di scuola- viene posto all’indice e costretto a fare atto di pubblica contrizione. La satira che insulta la religione ha qualcosa a che vedere con chi caccia la famiglia dal perimetro pubblico della democrazia. Entrambi sono forme di un estremismo libertino di cui pure non c’è traccia nella tradizione del liberalismo, su cui si fonda l’intera costruzione europea.

Lo ricorda Giuliano Amato nel suo ultimo libro, “Le istituzioni della democrazia”, di cui “Il Mattino” ha pubblicato ieri uno dei brani più significativi: né il razionalismo critico di Kant né l’utilitarismo di Bentan, né ancora il neocostituzionalismo di Dworkin hanno mai immaginato un diritto alla libertà indeterminato, la cui unica misura fosse la volontà individuale. Questa pretesa, figlia delle promesse di una tecnica sfuggita al controllo della civiltà, rischia di essere oggi il totem sotto cui la vecchia e stanca Europa si addormenta, mentre un nemico senza pietà attenta alla sua libertà.

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Quando Antonio Socci difendeva Papa Francesco dai «ratzingeriani»

Antonio SocciLo scrittore Antonio Socci in questi ultimi anni ha voltato le spalle a  “Comunione e Liberazione”, movimento ecclesiale a cui è sempre appartenuto (lo ha rivelato il direttore di “Tempi” Luigi Amicone), ha voltato le spalle a Medjugorje e ai messaggi dati ai veggenti (lo abbiamo mostrato pochi giorni fa), ed infine -recentemente- ha voltato le spalle anche alla Chiesa e al cattolicesimo. Fu lui stesso, infatti, a “scomunicare” dal cattolicesimo chi criticava Francesco dubitando sulla sua persona e, dunque, si è di fatto auto-scomunicato dato che oggi è lui stesso passato all’antipapismo militante (non lo diciamo noi, ma una fonte tradizionalista come il noto blog “Messainlatino.it”).

Ci riferiamo in particolare ad un articolo scritto dal giornalista di “Libero” nell’ottobre 2013una onesta difesa -come quelle che sapeva fare lui- verso Papa Francesco dalle stesse accuse che oggi fondano il suo antipapismo e dagli stessi accusatori che oggi sono diventati i suoi seguaci: «C’è chi – lefebvriano più o meno confesso – soprattutto tramite la rete», scriveva, «soffia sul fuoco di questo malessere, per alimentare il dissenso e per amplificare i dubbi, delegittimando il papa». Non sembra la perfetta descrizione di Antonio Socci oggi? Lui stesso si auto-descrisse due anni prima…profetico! Vi consigliamo la lettura integrale di quell’articolo (grazie ad un nostro lettore per avercelo segnalato).

Certo, sappiamo che Socci cambiò opinione su Francesco (e il mondo cattolico ha cambiato opinione su Socci) ma in questo caso ha fatto ben di più: ha assunto l’esatto comportamento che fino a pochi mesi prima osteggiava apertamente definendolo “fanatismo” e “fondamentalismo ratzingeriano”. Questo contraddittorio cambiamento sembra segnalare una mancanza di lucidità nei suoi giudizi attuali.

Lo scrittore continuò così: «Tutto fa brodo per attaccare Francesco, perfino il colore delle scarpe o il fatto che dica “Buongiorno” e “Buon pranzo”. Ogni inezia viene guardata col sospetto di eterodossia e di infedeltà alla tradizione». Ma, ancora una volta, non è forse quello che fa oggi lui stesso? Non è lui che si appiglia a qualunque cosa per condannare l’eterodossia di Francesco? Dall’Eucarestia passata necessariamente di mano in mano durante la Santa Messa a Manila a causa della presenza di 6 milioni di fedeli (6 milioni!!), fino alla mancata visita di una università cattolica a cui avrebbe preferito un incontro ecumenico in un tempio buddhista (una menzogna, oltretutto, come abbiamo dimostrato)?

«Ma degli atti ufficiali del suo magistero se ne infischiano», scrisse ancora Socci. «Così pure snobbano il suo magistero quotidiano». Appunto. Sappiamo bene che oggi l’ossessione principale dello scrittore è la famosa intervista a Scalfari, ecco cosa scrisse allora: «il Papa da settimane viene “impiccato” (moralmente) a una battuta attribuitagli da Eugenio Scalfari nel corso di un colloquio privato che poi è stato pubblicato sulla “Repubblica” il 1° ottobre. Si tratta di quelle due righe sulla coscienza, il bene e il male. Da settimane nella rete (e in qualche giornale) ribolle il malcontento di certi cattolici che, scandalizzati, sollevano sospetti sul Papa per quelle due righe. Nessuno di loro sembra porsi la domanda più ovvia: papa Francesco pensa veramente che ognuno possa decidere da solo cosa è bene e cosa è male e autogiustificarsi così? Possibile che il Papa professi un’idea per la quale non avrebbe più alcun senso né essere cristiani, né credere in Dio (tantomeno fare il papa)? E’ evidente che si tratta di una colossale baggianata. Qualunque persona in buonafede si rende conto facilmente che è assurdo aver alimentato tanta confusione per quelle due righe. Se poi qualcuno, più sospettoso, continuasse ad vere dei dubbi gli basterebbe, per chiarirsi le idee, ascoltare il magistero quotidiano di Francesco».

Non c’è mai stata risposta migliore a chi utilizza l’intervista a Scalfari contro Francesco, come ha spiegato Socci si tratta soltanto di persone in malafede. «Ma chi sta col “randello” del pregiudizio in mano», proseguì nel 2013, «con l’unico obiettivo di coglierlo in fallo, non sente ragioni, si attacca a ogni pretesto ed è sempre pronto a colpire». Vi ricorda forse qualcuno? «Il fondamentalista non riflette su come quella frase sia stata veramente detta dal Papa e magari su com’è stata capita e riportata da Scalfari, non coglie la circostanza colloquiale, né il fatto che Bergoglio parla in una lingua che non è la sua e che non padroneggia alla perfezione. Infine tutto andrebbe valutato alla luce del vero e costante magistero ufficiale di papa Francesco». Non sarebbe il caso che Socci si rileggesse, ogni tanto?

Aggiunse oltretutto, sempre per quanto riguarda la nota intervista: «Non so cosa il papa sapesse di Scalfari e come si sia svolto quell’incontro. Però una volta che il malinteso si è prodotto il papa ha cercato di evitare equivoci. A padre Lombardi è stato detto di far presente che quell’intervista non era stata da lui rivista, è uscita dalla penna di Scalfari dopo una chiacchierata informale. Soprattutto – come padre Lombardi ha sottolineato – essa non fa parte in alcun modo del magistero di papa Francesco. Ma anche in questo caso ci sono i “troppo zelanti” che l’indomani, il 2 ottobre, hanno rilanciato quell’intervista addirittura sull’Osservatore romano. Pare che il papa se ne sia rammaricato e che il 4 ottobre, durante la visita ad Assisi, se ne sia lamentato col direttore Gian Maria Vian. C’è anche un video che probabilmente immortala proprio la protesta di papa Francesco per quell’improvvida iniziativa. Il Papa si è reso conto che è facile essere strumentalizzato dai media». Tuttavia i problemi di comunicazione ci sono sempre stati, ha ricordato giustamente, «anche Benedetto XVI incappò nel doloroso malinteso di Ratisbona. Dipende molto dai media, dalla loro superficialità, approssimazioni o dalla malafede del pregiudizio».

Socci arrivò anche a definire perfettamente quel che lui stesso oggi sta facendo: «Oggi poi alla forzatura di certi media che attribuiscono arbitrariamente a Francesco un profilo “sovversivo”, fanno da sponda – come dicevo – certi fondamentalisti che alimentano all’interno della cristianità la stessa idea. Il disorientamento che si produce così non va sottovalutato». Pochi giorni fa lo scrittore ha definito il sociologo Massimo Introvigne uno «sconosciuto ai più», membro della «variopinta corte di Papa Francesco», reo di aver difeso il Pontefice…ma due anni fa lo elogiava proprio per la sua difesa del Pontefice: «Anche un sociologo attento come Massimo Introvigne ha lanciato l’allarme, mettendo in guardia dal rischio di imboccare la via che porta allo scisma. Perché la sofferenza è manifestata soprattutto da buoni cattolici ed ecclesiastici finora fedeli al papa che dicono di sentirsi orfani di Benedetto XVI». Già, ma non è forse Socci a ripetere costantemente quanto si senta orfano di Benedetto XVI? Sta dunque puntando allo scisma, come profetizzò indirettamente nel 2013?

Il giornalista di “Libero” ricordò infine agli antipapisti di allora, suoi fedeli seguaci oggi: «Questi sedicenti ratzingeriani dimenticano che papa Benedetto ha proclamato fin dall’inizio la sua affettuosa sequela al nuovo papa e ha ricordato a tutti – alla vigilia del Conclave – il fondamento del cattolicesimo: “Mi sostiene e mi illumina la certezza che la Chiesa è di Cristo, il Quale non le farà mai mancare la sua guida e la sua cura”. Se non si crede questo, come ci si può dire cattolici?». Ecco appunto, sono bastati pochi mesi e il sedicente ratzingeriano Antonio Socci non solo si è rimangiato tutto, avviando una dura sfida contro Papa Francesco, ma ha anche cercato di contrapporre Benedetto XVI al nuovo papa. Prendendo in prestito le sue parole: «come ci si può dire cattolici?». 

La redazione

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La soppressione dei Gesuiti causata dal loro impegno antischiavista

Gesuiti espulsiLa Compagnia di Gesù, che all’epoca contava circa 23.000 membri in 42 province, fu soppressa il 21 luglio del 1773 da papa Clemente XIV con la lettera apostolica “Dominus ac Redemptor”. Ma si conoscono davvero le motivazioni che spinsero a questa decisione? Purtroppo no, occorre infatti sapere che essa maturò sopratutto in seguito a false accuse arrivate al Pontefice, scagliate contro i gesuiti da parte del mondo illuminista.

Queste sono le conclusioni del saggio “I gesuiti” scritto da Claudio Ferlan, storico e ricercatore dell’Istituto storico Italo-Germano, recensito recentemente dallo storico Paolo Mieli. Abbiamo qualche simpatico sospetto che l’ex direttore de “Il Corriere della Sera” abbia dato una lettura al nostro apposito dossier sul colonialismo, prelevando diverse citazioni, frasi e concetti che compaiono nella sua recensione.

Nel volume di Claudio Ferlan si sottolinea, innanzitutto, che i Gesuiti non erano affatto in declino al momento della soppressione, anzi, «l’immagine del declino è stata costruita a posteriori, al fine di trovare una spiegazione alla soppressione del 1773». Per oltre un secolo infatti, la Compagnia formò buona parte delle élite nazionali, culturali e politiche, da loro vennero ad esempio educati Voltaire, Diderot, Robespierre, Cartesio, furono consiglieri e confessori di Luigi XIV. La guerra ai gesuiti iniziò, infatti, non in Occidente ma in America Latina a causa della loro ostilità allo schiavismo.

Infatti, come hanno ben documentato gli storici francesi Jean Andreau e Raymond Descat, «è nel corso dell’alto Medioevo che si sono prodotti i cambiamenti più importanti e che si è definitivamente usciti, in Europa occidentale, dalla società schiavista» (“Gli schiavi nel mondo greco e romano”, Il Mulino 2006, p.222). E la Chiesa cattolica è stata in prima fila nella battaglia contro la schiavitù, «lo fu ai tempi di Carlo Magno. Nel IX secolo con il vescovo Agobardo di Lione. Nell’XI con Sant’Anselmo. Nel XIII con Tommaso d’Aquino. Nel 1435 con papa Eugenio IV. E lo fu soprattutto quando il tema degli schiavi riemerse nel nostro continente dopo la scoperta dell’America». Diverse bolle, infatti, condannarono la schiavitù e minacciarono la scomunica a coloro che avessero ridotto in schiavitù i nativi. Ne abbiamo parlato in un nostro altro dossier.

Furono proprio i gesuiti ad essere il “braccio operativo” della Chiesa in America Latina, difendendo personalmente i nativi dalle bandeiras (spedizioni) dei colonizzatori e costruendo delle missioni. In esse i gesuiti di formazione militare (Juan Cardenas, Antonio Bernal, Domingo Torres) aiutarono anche i guaraní a formare un vero e proprio esercito,  famosa la battaglia del fiume Mbororé dove i colonizzatori affrontarono i nativi e i gesuiti e vennero da loro sconfitti. Le missioni gesuiti si allargarono ai territori che oggi appartengono all’Argentina, Brasile e Uruguay. Il grande storico americano, Eugene D. Genovese, fra i massimi esperti di schiavismo americano, ha scritto: «Il cattolicesimo ha impresso una profonda differenza nella vita degli schiavi. E’ riuscito a creare un’etica nuova ed autentica nella società schiavista americana, brasiliana e spagnola» (E. Genovese, “Roll, Jordan, Roll: The World the Slaves Made”, 1974, pag. 179). E’ così che, secondo lo storico Ferlan, nelle città schiaviste in mano ai portoghesi le missioni divennero assai impopolari. I gesuiti vennero espulsi dal Brasile, in Portogallo si vararono «una serie di provvedimenti antigesuitici preceduti da un’articolata campagna diffamatoria alimentata da libelli accusatori pubblicati e diffusi in buona parte d’Europa proprio con il sostegno del primo ministro portoghese», ne avevamo parlato in un precedente articolo. Vennero definitivamente espulsi da Giuseppe I nel 1756.

La cultura illuminista che, come ha fatto notare lo storico Rodney Stark della Baylor University, «era stato indifferente alla battaglia antischiavista di Malagrida, e anzi da John Locke a Voltaire, da David Hume a Denis Diderot, aveva accettato la schiavitù, quando non aveva addirittura investito i propri risparmi nel commercio degli schiavi» (R. Star, “A gloria di Dio”, Lindau 2011), esultò e «ritenne fosse venuta l’ora di mettere i gesuiti fuori gioco». Lo fece accusandoli di diversi reati, accuse che arrivarono fino a Benedetto XIV il quale mandò un visitatore pontificio a compiere indagini. Peccato che, prosegue Mieli, «subito dopo morirono all’improvviso sia il Papa che il patriarca di Lisbona. In un attimo si diffuse la voce che entrambi fossero stati “avvelenati dai gesuiti”», Erano ovviamente dicerie senza fondamento, ma quando i gesuiti furono direttamente accusati di un attentato fallito a Giuseppe I il 3 settembre 1758, «molti gesuiti furono tratti in arresto». La stessa sorte toccherà agli altri in tutto l’impero portoghese. Nel 1764 l’ordine fu abolito anche in Francia, nel 1767 la Spagna espulse i suoi cinquemila gesuiti sempre in seguito di false accuse (aver organizzato la sommossa popolare contro il ministro riformatore siciliano Leopoldo de Gregorio). La decisione venne presa in seguito anche nel Regno di Napoli e nel Ducato di Parma.

Papa Clemente XIII, commenta in conclusione lo storico Mieli, «a cui fu chiesta una bolla di soppressione universale, disse che si sarebbe tagliato una mano piuttosto che concederla. Ma di lì a breve, nel 1773, il suo successore, Clemente XIV, dopo aver tergiversato per quattro anni, acconsentì».

La redazione

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La dissociazione dei “cattolici adulti”: come aiutarli?

Cattolici adultiE’ stato Romano Prodi a far diventare abituale il termine “cattolico adulto” quando così si autodefinì per sostenere una bioetica in contrasto con la Chiesa cattolica. Tale termine infatti indica il “cattolico emancipato” dalla dottrina della Chiesa, l’opposto dell’invito evangelico a “ritornare come bambini”, a sentirci figli di essa.

E’ la trasformazione del cattolicesimo ad una filosofia, a cui basta aderirvi intellettualmente per sentirsi in quel filone di pensiero (i più colti la chiamano anche la protestantizzazione del cattolicesimo). Tale scissione avviene in particolare con i temi di bioetica pubblica quando l’uomo di fede preferisce rinnegare gli insegnamenti del Pontefice e del Magistero pur di non rinunciare al comodo adeguamento al mondo, al facile conformarsi evitando di assumere una posizione scomoda. E’ il tipico caso dei “figli spirituali” del card. Carlo Maria Martini, da cui Papa Francesco ha preso ampiamente le distanze. Benedetto XVI in una celebre omelia ha affermato: «La parola “fede adulta” negli ultimi decenni è diventata uno slogan diffuso. Lo s’intende spesso nel senso dell’atteggiamento di chi non dà più ascolto alla Chiesa e ai suoi pastori, ma sceglie autonomamente ciò che vuol credere e non credere – una fede “fai da te”, quindi. E lo si presenta come “coraggio” di esprimersi contro il magistero della Chiesa. In realtà, tuttavia, non ci vuole per questo del coraggio, perché si può sempre essere sicuri del pubblico applauso. Coraggio ci vuole piuttosto per aderire alla fede della Chiesa, anche se questa contraddice lo “schema” del mondo contemporaneo».

Ma rinnegare gli insegnamenti del Pontefice significa ultimamente rinnegare il ruolo del Pontefice, cioè il suo essere “costruttore di ponti” fra i fedeli e Cristo, in virtù della sua funzione vicaria di Pastore. Papa Francesco lo ha ricordato nel suo primo discorso al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede: «Uno dei titoli del Vescovo di Roma è Pontefice, cioè colui che costruisce ponti, con Dio e tra gli uomini». Essere cattolici rinnegando la dottrina della Chiesa cattolica è una dissociazione pesante dell’io, se non fosse che chi sceglie di “emanciparsi” lo fa perché la sua fede cattolica è più che altro un sentimento esteriore, magari una volontà di averla piuttosto che una realtà.

Tempo fa il sociologo Giuliano Guzzo ha ironizzato su chi utilizza l’incipit «Parlo da cattolico» allorquando si accinge a proclamare una dichiarazione in totale contrasto con la dottrina della Chiesa. E’ recente il caso di Luca Zaia, governatore leghista del Veneto, il quale ha affermato: «Da cattolico dico che la provetta è un inno alla vita». Perché Zaia ha sentito l’esigenza di premettere di essere cattolico? Di “cattolici a parole” ce ne sono molti sui quotidiani: «Parlo da cattolico, ma credo che la Chiesa si debba rinnovare»; «parlo da cattolico, ma in certi casi non considero l’aborto sbagliato»; «parlo da cattolico, ma sono favorevole alla fecondazione assistita»; «parlo da cattolico, ma per me non conta se Gesù sia risorto, l’importante è quello che ha detto perché ha parlato d’amore». Si è chiesto Guzzo: come si è arrivati all’infelice matrimonio fra il «parlo da cattolico» e la licenza di spararla grossa, meglio se più grossa possibile? Ci piace la sua risposta: «parlare “da cattolici” è un conto, agire da tali è molto diverso e, soprattutto, più costoso: in un caso infatti basta l’autocertificazione, nell’altro è richiesta la testimonianza».

Ma il problema della dissociazione tra fede dichiarata e fede vissuta/testimoniata è sempre esistito ed è una tentazione per tutti. Tanto che Giovanni Paolo II nell’enciclica “Evangelium vitae” ha affermato: «Si deve cominciare dal rinnovare la cultura della vita all’interno delle stesse comunità cristiane. Troppo spesso i credenti, perfino quanti partecipano attivamente alla vita ecclesiale, cadono in una sorta di dissociazione tra la fede cristiana e le sue esigenze etiche a riguardo della vita, giungendo così al soggettivismo morale e a taluni comportamenti inaccettabili». Recentemente anche Papa Francesco ha criticato il “cattolico autocertificato”, spiegando che si è tali soltanto nella misura in cui ci si lascia educare dalla Chiesa: «Nelle precedenti catechesi abbiamo avuto modo di rimarcare più volte che non si diventa cristiani da sé, cioè con le proprie forze, in modo autonomo, neppure si diventa cristiani in laboratorio, ma si viene generati e fatti crescere nella fede all’interno di quel grande corpo che è la Chiesa. In questo senso la Chiesa è davvero madre, la nostra madre Chiesa – è bello dirlo così: la nostra madre Chiesa – una madre che ci dà vita in Cristo e che ci fa vivere con tutti gli altri fratelli nella comunione dello Spirito Santo».

La redazione

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I Pediatri italiani: «crescita armoniosa solo con mamma e papà»

Famiglia disegnoUn anno fa, sul tema dell’omogenitorialità, era intervenuta la Società Italiana di Pediatria, tramite il suo presidente Giovanni Corsello, affermando: «Ciò che risulta rischioso e inutile è un dibattito teso a promuovere situazioni simili come assolutamente fisiologiche. Non si può infatti negare, sulla base di evidenze scientifiche e ragionamenti clinici, che una famiglia costituita da due genitori dello stesso genere può costituire un fattore di rischio di disagio durante l’infanzia e l’adolescenza, quando il confronto con i coetanei e le relative ricadute psicologiche, diventano elemento decisivo sul piano relazionale. Non si possono considerare legittimi i diritti di una coppia di genitori senza contemporaneamente valutare contestualmente e nella loro interezza e globalità i diritti dei figli».

Lo ha fatto in modo più approfondito anche un’altra associazione di pediatri, la Società Italiana Pediatria Preventiva e Sociale (SIPPS), intervenendo nell’ultimo numero della sua rivista, risalente a qualche mese fa. L’articolo è intitolato “Minori affidati ad omosessuali: il punto della ricerca” ed è un approfondimento molto utile -certamente inspirato dalle pubblicazioni apparse su questo sito (chi ci segue da tempo lo potrà certamente verificare) e dal nostro apposito dossier, da parte di una autorevole fonte, esperta di salute dei bambini. La sintesi scandisce ottimi argomenti contro l’affidamento dei bambini a coppie prive di complementarietà sessuale, giustificati dai risultati scientifici e sociologici. Risultati spesso osteggiati e, in diversi casi, anche censurati dai media e dall’associazionismo omosessuale.

Gli autori citano la corrente delle associazioni scientifiche “favorevoli” alle adozioni gay, influenzate dalla posizione dell’American Psychological Association (APA). Si ricorda, tuttavia, la scarsa obiettività dell’APA su tale questione e le molte critiche ricevute dai precedenti presidenti per “correttezza politica” e scarsità di risultati nella letteratura scientifica su cui basare questo favorevole giudizio. Senza contare che i pochi studi che parlano di “nessuna differenza” tra i bambini cresciuti con coppie aperte alla differenza sessuale e coppie prive di tale apertura, sono stati confutati dalla ricerca di Loren Marks della Louisiana State University, la quale ha rilevato in essi mancanza di campionamento omogeneo, di gruppi di confronto, di inadeguatezza del gruppo di confronto, di presenza di dati contraddittori, mostrano portata limitata degli esiti dei bambini studiati, scarsità di dati sul lungo termine e mancanza di potenza statistica. La conclusione del prof. Loren Marks è che «le forti affermazioni dell’APA non sono empiricamente giustificate».

Nell’articolo della SIPPS vengono citati gli studi più recenti, compreso quello di Mark Regnerus che per settimane ha scatenato le ire degli attivisti Lgbt. La Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale ha concluso così: «Se la ricerca è solo all’inizio e deve, pertanto, continuare ad analizzare la realtà dei minori cresciuti con genitori omosessuali la storia umana è plurimillenaria e vede il minore crescere armoniosamente con la figura materna e paterna che lo generano o, in loro assenza, con due figure genitoriali (maschile e femminile) complementari. Pertanto, la comunità professionale e scientifica, nonché la stessa società, hanno il dovere di rimanere saldamente ancorate alla verità antropologica sull’uomo, alla sua storia, alle risultanze delle ricerche scientifiche non svincolate da un paradigma etico che dà senso all’agire umano».

Se pensiamo che per qualcuno affermare che «i bambini devono avere come riferimento una mamma e un papà» sono «idee bigotte» e «nessuno studio serio ha mai dimostrato che i bambini necessitino di questo requisito per crescere sani e felici», e che tali amenità sono piuttosto diffuse, ecco che risultano ancora più importanti le prese di posizione della SIPPS, così come quelle di tanti altri ricercatori. Come ha spiegato Papa Francesco, «occorre ribadire il diritto dei bambini a crescere in una famiglia, con un papà e una mamma capaci di creare un ambiente idoneo al suo sviluppo e alla sua maturazione affettiva. Continuando a maturare nella relazione, nel confronto con ciò che è la mascolinità e la femminilità di un padre e di una madre, e così preparando la maturità affettiva».

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Possediamo i Vangeli originali? No, ma non è un problema

AmanuensiIl professore di Nuovo Testamento presso il Dallas Theological Seminary, nonché direttore del Center for the Study of New Testament Manuscripts, Daniel B. Wallace, ha pubblicato di recente una risposta ad alcune affermazioni di un intellettuale americano contro la storicità dei Vangeli e contro il cristianesimo in generale.

Tra le tante confutazioni proposte, ci interessa in particolare quella che risponde a questa tesi d’accusa: «nessuno di noi oggi ha mai letto l’originale dei Vangeli, tranne una cattiva traduzione che è stato alterata centinaia di volte, prima di arrivare a noi». Ovvero: nessuno possiede le copie originali dei Vangeli ma soltanto traduzioni di traduzioni che inevitabilmente avrebbero modificato il senso e le parole contenute nel testo originale, dunque non si può sapere cosa davvero scrissero gli autori dei Vangeli.

La tesi è citata dallo studioso agnostico Bart Ehrman nel suo noto libro “Misquoting Jesus”, tuttavia la posizione di Ehrman non è così radicale come viene riportata da quanti lo usano a loro supporto. Egli ad esempio riconosce che «la gran parte delle differenze tra le copie in nostro possesso sono del tutto irrilevanti. In genere dimostrano solo che gli antichi scribi non conoscevano l’ortografia meglio della maggioranza di noi (oltre a non disporre di dizionari ne, tantomeno, del controllo ortografico automatico)» (Harper Collins Publishers 2005, p.16). E ancora: «Gli scribi, sia i non professionisti dei primi secoli sia gli amanuensi professionisti del Medioevo, erano decisi a “salvaguardare” la tradizione testuale che trasmettevano. La loro principale preoccupazione non era quella di modificare la tradizione, bensì di preservarla per se stessi e per coloro che sarebbero venuti dopo. La maggioranza tentava senza dubbio di lavorare in modo fedele accertandosi che l’opera riprodotta fosse uguale a quella ereditata. Ciononostante, ai primi testi cristiani furono apportate delle modifiche. Talvolta (spesso) gli scribi commettevano errori, sbagliando l’ortografia di una parola, tralasciando una riga o anche solo confondendo le frasi che avrebbero dovuto copiare. E di tanto in tanto modificavano il testo di proposito, introducendovi una “correzione” che in realtà finiva per essere un’alterazione di ciò che aveva scritto in origine l’autore». Tuttavia, ha aggiunto, «non vorrei destare la falsa impressione che questo tipo di modifica di ordine teologico si verificasse ogni volta che uno scriba si metteva a copiare un brano. Accadde in modo sporadico» (p. 205, 206).

Il prof. Wallace ha quindi aggiunto che «in realtà oggi ci stiamo avvicinando sempre di più al testo originale del Nuovo Testamento e sempre più manoscritti vengono scoperti e catalogati». Anche se alcune traduzioni, soprattutto quelle successive, si basano su traduzioni in altre lingue dal testo greco (quindi, una traduzione di una traduzione del greco), queste non sono affatto le traduzioni che gli studiosi utilizzano per arrivare fedelmente alla formulazione originale. Complessivamente, ha spiegato, «possediamo almeno 20.000 manoscritti in greco, latino, siriaco, copto e altre lingue antiche che ci aiutano a determinare la formulazione originale». Quasi 6000 di questi manoscritti sono in greco. Abbiamo inoltre più di un milione di citazioni del Nuovo Testamento da parte dei padri della Chiesa. «Non c’è assolutamente nulla nel mondo greco-romano che arriva neanche lontanamente vicino a questa ricchezza di dati, il Nuovo Testamento ha più manoscritti all’interno di un secolo o due dall’originale di ogni altra cosa del mondo greco-romano. Se dobbiamo essere scettici sull’originale del Nuovo Testamento, allora lo scetticismo dovrebbe essere moltiplicato mille volte per tutta la letteratura greco-romana e antica». Proprio in questi giorni, per l’appunto, è stato scoperto un testo che potrebbe essere la più antica copia di un vangelo, ovvero un frammento del Vangelo di Marco, risalente al primo secolo.

Anche Ehrman offre comunque una confutazione della sua stessa tesi nel libro “Did Jesus Exist?”, rispondendo proprio a quelli che chiama “miticisti” (coloro che non credono ai Vangeli e all’esistenza di Gesù), i quali usano questo argomento contro l’attendibilità dei Vangeli: «I Vangeli sono tra i libri del mondo antico che hanno più riscontri». E’ vero, le migliaia di manoscritti che possediamo non sono le copie originali e presentano delle varianti, «ma la portata del problema non è tale da rendere impossibile farsi un’idea di quanto scrissero gli antichi autori cristiani. Non esiste un solo critico testuale che la pensa diversamente perché nella stragrande maggioranza dei casi la formulazione delle frasi da parte degli autori non è in discussione» (Harper Collins Publishers 2012, p.181-183). Ovvero l’autenticità e non autenticità di un brano è tranquillamente rilevabile.

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L’autentico femminismo è quello cattolico

Francesco e le donne«La vera emancipazione femminile non sta in una formalistica o materialistica eguaglianza con l’altro sesso, ma nel riconoscimento di ciò che la personalità femminile ha di essenzialmente specifico, la vocazione della donna ad essere madre» disse Paolo VI all’Unione dei giuristi cattolici nel dicembre 1972. Non c’è nulla di essenzialmente specifico della personalità femminile che donare la vita ad altri esseri umani, prendersi cura di loro.

Per questo l’unico autentico femminismo, paradossalmente, può solo essere cattolico. Perché solo la Chiesa oggi valorizza davvero la differenza sessuale, onorando la specificità femminile. E’ questa la linea di fondo del libro “Papa Francesco e le donne” (Sole 24 Ore, 2014) scritto da Giulia Galeotti e Lucetta Scaraffia, e ottimamente recensito su Miradouro. Un esempio di vero femminismo è quello di Gianna Beretta Molla, la dottoressa che di fronte alla scelta estrema tra la sua vita e quella del nascituro preferì mettere al primo posto la salvaguardia del piccolo. La sua decisione, presa consapevolmente e in libertà, rappresenta «una delle sante più femministe della storia», una «di quelle sante che hanno testimoniato il coraggio e la capacità delle donne di essere espressione della gratuità e dell’amore». E gli uomini hanno soltanto da imparare in questo (e molto altro!).

Il libro delle due storiche e scrittrici mette in discussione il modello di liberazione delle donne degli anni sessanta: le sessantottine hanno «tentato di emancipare le donne cancellando la fisionomia e la specifica anatomia femminile», portandole alla fine ad essere ingabbiate «in sbarre moderne e nuove». Tuttavia oggi si presenta una riscoperta, soprattutto negli Usa, di una alleanza tra le donne e la Chiesa cattolica, dal tema dell’aborto alla fecondazione eterologa. In particolare al centro dell’alleanza c’è «il rifiuto della teoria del gender, secondo cui non esisterebbero differenze biologiche tra femmine e maschi, essendo la femminilità e la mascolinità costruzioni culturali dalle quali bisogna liberarsi per stabilire un’autentica uguaglianza tra gli esseri umani […]. A questa ideologia ha mosso una dura critica parte del femminismo. Contestare in radice l’ideologia del gender significa infatti respingere una visione che intende liberare le donne eliminandone la femminilità». Pertanto, secondo le due studiose, «difendere la specificità della donna risulta così la previdente preoccupazione per un futuro che – ancora una volta in nome di una utopia dell’uguaglianza – vuole tutti trasformati in individui neutri. Ma in realtà la neutralità non esiste».

Viene citata anche Madre Teresa di Calcutta: «dicono che l’uomo e la donna sono esattamente la stessa cosa e negano la bellezza delle differenze esistenti tra uomini e donne». Peraltro, già nel lontano 1931, Marie Lenoel disse che era giunto il momento di dimostrare non solo che si può essere «femministe benché cattoliche», ma soprattutto «femministe perché cattoliche». La Scaraffia ricorda Giovanni Paolo II e la pubblicazione della “Mulieris dignitatem”, lettera apostolica sulla dignità e vocazione della donna, dove il papa polacco parla della necessaria complementarietà dei sessi per una armoniosa realizzazione della vita umana, fornendo in pratica una piattaforma teorica al femminismo cattolico.

Anche la storica constata il fallimento del femminismo laico, partito per ottenere l’uguaglianza tra i sessi ottenendo, invece, il suo contrario (pensiamo ad esempio alla violenza delle Femen, prodotto primario di questa mutazione antropologica e svilente della femminilità): «Il politicamente corretto che ancora impera su questi argomenti impedisce di cogliere il fallimento delle promesse, la contraddittorietà degli assunti, la fallacia dei testi fondativi. Soprattutto la persistenza del mito della ‘naturalità’ da riconquistare impedisce di vedere come il rapporto sessuale, sganciato dalla riproduzione, liberato da ogni regola che ne delimiti la funzione sociale, sia diventato un consumo come un altro». Così, «la libertà di godere si confonde con la libertà di comprare e il libero amore sollecita acquisti di biancheria intima, frequentazione di istituti di bellezza e palestre, turismo e serate in locali notturni, mentre il turismo sessuale è diventato uno dei principali affari del mondo contemporaneo, e sta a testimoniare, come la prostituzione a casa nostra, che la liberazione sessuale non ha mantenuto nessuna delle sue promesse di felicità. Anzi in questo modo ha aggravato lo sfruttamento fra esseri umani».

Papa Francesco, così come i suoi predecessori, sta portando avanti un confronto su come valorizzare di più il genio femminile nella Chiesa ricordando però: «con riferimento all’ordinazione delle donne, la Chiesa ha parlato e dice: “No”. L’ha detto Giovanni Paolo II, ma con una formulazione definitiva. Quella è chiusa, quella porta». Nella “Evangelii Gaudium” ha precisato ancora: «Il sacerdozio riservato agli uomini, come segno di Cristo Sposo che si consegna nell’Eucaristia, è una questione che non si pone in discussione, ma può diventare motivo di particolare conflitto se si identifica troppo la potestà sacramentale con il potere. Non bisogna dimenticare che quando parliamo di potestà sacerdotale ci troviamo nell’ambito della funzione, non della dignità e della santità. Il sacerdozio ministeriale è uno dei mezzi che Gesù utilizza al servizio del suo popolo, ma la grande dignità viene dal Battesimo, che è accessibile a tutti. La configurazione del sacerdote con Cristo Capo – vale a dire, come fonte principale della grazia – non implica un’esaltazione che lo collochi in cima a tutto il resto. Nella Chiesa le funzioni non danno luogo alla superiorità degli uni sugli altri».

La redazione

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La disinformazione dei vaticanisti su Francesco e la contraccezione

Francesco aereoDurante il Sinodo della Famiglia gli opinionisti si sono scatenati a chi la sparava più grossa, a chi trovava la più grande (e presunta) rivoluzione di Francesco. Il premio per il miglior opinionista-disinformatore lo avevamo assegnato allo storico Franco Cardini che arrivò a sostenere che dopo il Sinodo era impossibile opporsi alle nozze gay: «Il cattolico da ora non potrà più farsi scudo della sua fede come alibi per contrastare quelle misure civili volte a rendere possibile e giuridicamente riconosciuta una unione anche fuori dai limiti matrimoniali, persino una unione tra persone dello stesso sesso».

In questi mesi Francesco, forse stufo di questa strumentalizzazione, ha spinto l’acceleratore sui temi etici. In poco tempo ha condannato ogni ridefinizione del matrimonio naturale, ha proclamato il diritto dei bambini di crescere con un padre e una madre maturando «nella relazione, nel confronto con ciò che è la mascolinità e la femminilità», ha condannato aborto e eutanasia come «falsa compassione» e «peccati contro il Creatore», invitando platealmente i medici a praticare l’obiezione di coscienza. Si è opposto alla fecondazione artificiale e a chi ritiene una «conquista scientifica “produrre” un figlio considerato come un diritto invece di accoglierlo come dono», ha incoraggiato la Marcia per la Vita e benedetto la raccolta firme “Uno di noi” a sostegno del riconoscimento giuridico dell’embrione, ha abbracciato il Movimento per la Vita ringraziando «per tutto il lavoro che ha fatto in tanti anni», ha incontrato in Vaticano la Manif pour tous. Proprio nella conferenza stampa in ritorno dalle Filippine, ha parlato della «colonizzazione ideologica», includendo tra questi anche la teoria del gender, paragonandola alla manipolazione mentale tentata dalle dittature fasciste e naziste.

I vaticanisti, da ottobre a oggi, hanno ripreso -seppur molti timidamente e con imbarazzo- le parole scomode di Francesco. L’astinenza a ritoccare le parole e i pensieri del Papa si è però interrotta proprio in occasione di questa conferenza stampa, nella quale Francesco ha apertamente -ancora una volta- valorizzato Paolo VI e la sua Humanae Vitae, da anni sessantottinamente contestata per la sua netta chiusura alla contraccezione: «Il rifiuto di Paolo VI […] guardava al neo-Malthusianismo universale che era in corso» che è «il meno dell’1% del livello delle nascite in Italia, lo stesso in Spagna». Ma «alcuni credono che per essere buoni cattolici dobbiamo essere come conigli, no? No. Paternità responsabile. Questo è chiaro e per questo nella Chiesa ci sono i gruppi matrimoniali, ci sono gli esperti in questo, ci sono i pastori, e si cerca. E io conosco tante e tante vie d’uscita lecite che hanno aiutato a questo». Molti osservatori e qualche vaticanista, purtroppo, hanno scritto che il Papa si riferisse alla contraccezione andando, così, contro ai suoi predecessori e alla la dottrina della Chiesa.

Il sostituto della segreteria di Stato della Santa Sede, monsignor Angelo Becciu, uno dei più stretti collaboratori di papa Bergoglio, ha spiegato che «il Santo Padre, con il quale ho parlato ieri, ha sorriso ed è rimasto un pochino sorpreso del fatto che le sue parole – volutamente semplici – non sono state pienamente contestualizzate rispetto a un passo chiarissimo della Humanae Vitae sulla paternità responsabile». Molti vaticanisti (lo vedremo più sotto) hanno scritto che il Papa avrebbe consigliato 3 figli a coppia: «Ma no! Il numero tre si riferisce unicamente al numero minimo indicato da sociologi e demografi per assicurare la stabilità della popolazione. In nessuno modo il Papa voleva indicare che esso rappresenta il numero ‘giusto’ di figli per ogni matrimonio. Ogni coppia cristiana, alla luce della grazia, è chiamata a discernere secondo una serie di parametri umani e divini quale sia il numero di figli che deve avere. Il Papa è davvero dispiaciuto che si sia creato un tale disorientamento, non voleva assolutamente disconoscere la bellezza e il valore delle famiglie numerose».

Per quanto riguarda la contraccezione, invece, Francesco ha ribadito semplicemente di non «dividere il carattere unitivo e procreativo dell’atto sessuale». Infatti, per chi conosce il magistero della Chiesa sa benissimo che si parla di «genitorialità responsabile» proprio nella Humana Vitae, per respingere ogni «tentativo di giustificare i metodi artificiali di controllo delle nascite» e poco prima del paragrafo sulle «gravi conseguenze dei metodi di regolazione artificiale della natalità». Infatti, Francesco invita a chiedere ai pastori perché ci sono «via d’uscite lecite» per evitare di procreare ad oltranza. Come già disse Giovanni Paolo II: «il pensiero cattolico è sovente equivocato, come se la Chiesa sostenesse un’ideologia della fecondità ad oltranza, spingendo i coniugi a procreare senza alcun discernimento e alcuna progettualità. Ma basta un’attenta lettura dei pronunciamenti del Magistero per constatare che non è così». Come ha spiegato Mimmo Muolo, vaticanista di “Avvenire”, da una parte il Papa sta disinnescando la bufala della “bomba demografica”, dall’altra -come ha spiegato Lucetta Scaraffia sull’Osservatore Romanoha sottolineato «l’efficacia dei metodi naturali». Ottimo l’articolo di Andrea Morigi su “Libero” che ha parlato di sponsorizzazione «planetaria dei metodi naturali per la regolamentazione della fertilità».

Che il Papa si riferisca ai metodi naturali lo ha capito perfino Vito Mancuso, seppur deluso dal fatto che Francesco abbia dimostrato di non pensarla affatto come lui o come il card. Martini (ne parleremo a breve): «Per evitare la procreazione indiscriminata come i conigli, secondo l’esempio scelto dal Papa, o come tante nostre donne delle generazioni precedenti, secondo la memoria di molti», ha scritto Mancuso, «la Chiesa propone i cosiddetti “metodi naturali”». Come sempre Andrea Tornielli de “La Stampa” rimane tra le fonti più affidabili: «Il messaggio veicolato da molti media», ha scritto, «era stato infatti quello di un invito al controllo delle nascite – qualcuno ha parlato di un’apertura alla contraccezione  – come pure della benedizione del numero di tre figli come ideale per la famiglia cattolica. È sempre utile, in questi casi, rifarsi al testo originale […]. Il Papa non ha mai detto che la famiglia modello ha tre figli, come gli è stato erroneamente attribuito». In secondo luogo «ribadisce che ci sono tante persone nella Chiesa in grado di aiutare le coppie in difficoltà e ci sono anche “tante vie d’uscita lecite” (e quel lecite va probabilmente inteso come “in accordo con l’insegnamento morale della Chiesa”) che possono aiutare la paternità responsabile».

Eppure, dicevamo, per molti vaticanisti non solo la parola “metodi naturali”, ovvero le “vie lecite”, è un tabù, ma alcuni hanno addirittura paventato aperture sulla contraccezione artificiale. La regina della disinformazione in questo caso è stata Franca Giansoldati, oltretutto presente alla conferenza stampa di Francesco.

 

FRANCA GIANSOLDATI.
La vaticanista de “Il Messaggero” aveva intervistato il Papa nel giugno scorso ponendogli per ben tre volte di seguito (compresa una critica) domande sulle donne, con uno spiccato accento femminista: il Papa aveva risposto alla prima domanda, ma la Giansoldati -non contenta- replicò parlando (o accusandolo, non si è ben capito) di “misoginia”; il Papa reagì prendendola in giro: «Il fatto è che la donna è stata presa da una costola…(ride di gusto)». La vaticanista ripropose il discorso delle donne a capo del clero e Francesco trovò il modo di liquidare queste ideologiche domande con una seconda battuta: «Beh, tante volte i preti finiscono sotto l’autorità delle perpetue… (ride)». La Giansoldati, finalmente, si arrese. In questa occasione ha invece ha scritto: «La contraccezione secondo Bergoglio. Per le coppie di sposi si aprono spiragli […]». Sui contraccettivi «naturalmente la Chiesa non muta posizione, tuttavia all’interno del matrimonio per una coppia è anche possibile farvi ricorso. Si dovrebbe valutare caso per caso». Ma quando mai Francesco ha parlato di contraccezione nel suo discorso o ha autorizzato la coppia a farvi ricorso? Francesco ha parlato dell’esistenza di “vie lecite” ed è ovvio che la contraccezione non è tra queste, nemmeno caso per caso.

 

MANILA ALFANO.
La vaticanista de “Il Giornale” ha invece trovato l’apertura rivoluzionaria nel numero 3 dei figli che il Papa avrebbe consigliato: «Secondo Francesco, il numero ideale di figli è tre. Nessun Pontefice prima d’ora si era spinto a tanto, addirittura a quantificare il numero “giusto” di figli». E’ una bufala che corre per il web, in realtà -come ha chiarito mons. Becciu- a citare il numero tre per i figli è stato il giornalista Cristoph Schmidt che ha posto la domanda al Papa: «Santo Padre, nella media una donna nelle filippine partorisce più di tre bambini nella sua vita […]. Che cosa ne pensa?». E il Papa ha risposto: «Io credo il numero di 3 per famiglia che lei menziona, credo che è quello che dicono i tecnici: che è importante per mantenere la popolazione, no? 3 per coppia, no?». Dunque Francesco non ha affatto teorizzato che i 3 figli sono l’ideale, ma ha supposto che sia il consiglio degli esperti. L’importante per lui è che non vi sia un rifiuto dei figli o una procreazione irresponsabile.

 

GIAN GUIDO VECCHI.
Il vaticanista de “Il Corriere” ha fatto dire al Papa una cosa che in realtà non ha mai detto: «Credo che il numero tre sia un buon numero», per quanto riguarda i figli. Una citazione messa tra virgolette, parole che il Papa non ha mai pronunciato come si evince dalla trascrizione ufficialeP.S. Il vaticanista ci ha riferito di non essere lui l’autore di questa attribuzione di parole al Santo Padre, ma è stata «la redazione» del “Corriere”. Lui ha pubblicato soltanto le parole della conferenza stampa. Rimane comunque questa -a nostro avviso- falsa e fuorviante citazione come titolazione del suo articolo, la parte che solitamente viene letta da tutti, anche da chi non continua la lettura del pezzo.

 

GIANNINO PIANA.
Il teologo Piana, martiniano di ferro come Mancuso, ha teorizzato invece che Francesco avrebbe voluto «sollecitare l’episcopato […] aprendo ai contraccettivi in alcune situazioni particolari, tipo il caso di una coppia con coniuge sieropositivo». Piana è andato oltre la Giansoldati, specificando addirittura i casi specifici verso i quali il Papa avrebbe “aperto”. Non si capisce da dove lo abbia dedotto. Perché manipolare così il Pontefice e mistificare la realtà? Con quale coraggio, oltretutto, dato che il testo dell’intervento di Francesco è accessibile a chiunque?

 

MARCO ANSALDO.
Il vaticanista di “Repubblica” ovviamente ha dovuto censurare la condanna del Pontefice alla teoria del gender: nella sua pubblicazione delle risposte del Pontefice, guarda caso ha fatto iniziare la risposta appena dopo tale pronunciamento. Furbizie per salvarsi il posto a “Repubblica”?

 

FRANCESCO ANTONIO GRANA.
Il vaticanista de “Il Fatto” addirittura si inventa di sana pianta una frase, attribuendola a Francesco: «Sentir dire che 3 figli già sono troppi mi mette tristezza perché per una coppia sono il minimo necessario a mantenere stabile la popolazione». E’ una sorta di telefono senza fili, ogni vaticanista copia l’altro e ognuno aggiunge ciò che vuole, così la frase assume sempre più connotati surreali.

 

E poi ci si stupisce del perché Papa Francesco dica: «Sempre ci sono timori, però perché non leggono le cose, o leggono una notizia in un giornale, un articolo, e non leggono quello che si è pubblicato […]. Io ho scritto un’enciclica a quattro mani, e un’esortazione apostolica, di continuo faccio dichiarazioni e omelie, e questo è magistero. Questo sta lì, è ciò che penso, non ciò che i media dicono che io pensi». Ricordando spesso che «i peccati dei media: la disinformazione, la calunnia e la diffamazione. Questi tre sono i peccati dei media».

La redazione

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Ronaldo vince il Pallone d’Oro, sua madre voleva abortirlo

Cristiano RonaldoIl calciatore portoghese Cristiano Ronaldo ha ricevuto il suo terzo Pallone d’Oro. Durante la cerimonia ha ringraziato tutti, compresa sua madre.

Già, lo fa sempre, perché nella sua biografia intitolata “Madre coraggio”, Dolores Aveiro -la madre di Ronaldo- ha rivelato che Cristiano avrebbe dovuto essere abortito: «All’epoca avevo già 30 anni e tre figli, non mi sembrava il caso di affrontare un nuovo parto e di allargare la famiglia così mi rivolsi a un dottore, che però mi rifiutò l’intervento».

La donna decise quindi di fare di testa sua, con un «rimedio casalingo» che le aveva suggerito un’amica: «Mi disse di bere birra scura e calda. Così il bambino sarebbe morto». Il metodo non funzionò e la donna decise di non uccidere il piccolo: «Se la volontà di Dio è che questo bimbo nasca, così sia», ha sottolineato Dolores. Oggi, il calciatore affronta tutta la vicenda col sorriso sulle labbra e, scherzando con la madre, spesso le dice: «Visto mamma, tu volevi abortire e adesso sono io che tengo i cordoni della borsa in casa».

Una storia simile a quella di Gianna Jessen, sopravvissuta al tentativo di aborto. Ancora oggi porta i segni di quel tentativo di scarto che ha subito e scuote le coscienze dicendo: «Sono felice di essere viva. Sono quasi morta. Non mi considero un sottoprodotto del concepimento, un pezzo di tessuto, o un altro dei titoli dati ad un bambino nell’utero. Lo slogan oggi è: “libertà di scelta, la donna ha il diritto di scegliere”, e intanto la mia vita veniva soppressa nel nome dei diritti della donna».

 

Qui sotto una breve testimonianza di Gianna Jessen

La redazione

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