Cala il sostegno ai “falsi miti del progresso”: gli italiani si stanno alzando in piedi?

Sentinelle in piediBuone notizie dall’Italia, il sondaggio “Eurispes” pubblicato nel Rapporto Italia 2015 ha fotografato il popolo che ha appena eletto il suo nuovo capo dello Stato: sui temi etici in particolare si assiste ad un drastico calo di sostegno per nozze gay, eutanasia e altri falsi miti del progresso.

Innanzitutto partiremmo da un dato, che forse è la spiegazione di tutti gli altri. Purtroppo per il gruppetto di cristiani tradizionalisti/conservatoristi che perseguita il pontificato di Papa Francesco in “nome della nostra coscienza”, l’89,6% degli italiani ha piena fiducia nel Pontefice, in crescita del 2,5% rispetto all’anno scorso. La campagna antipapista è controproducente, l’apprezzamento arriva sopratutto dai giovani: consensi raddoppiati, dal 27,1% al 51,1% per i 18-24enni, dal 34,3% al 53,5% per i giovani di età 25-34 anni. Negli adulti, il consenso arriva soprattutto dalle persone rimaste vedove (77,3%) e da quelle sposate (69,9%). Dunque dalle famiglie. La cosa più importante, però, è che il consenso del Pontefice trascina anche il consenso verso l’intera Chiesa cattolica: la fiducia verso di essa è salita dal 38,8% del 2009 al 62,6% di quest’anno.

Tuttavia, c’è molto realismo rispetto a questi dati: questo incredibile aumento dei consensi deriva anche dal fatto che moltissime persone lontane od opposte alla Chiesa sono ingannate dai media e credono davvero che il Papa voglia cambiare la dottrina cattolica (anche sui temi etici), per questo offrono il loro consenso. Il segretario generale della Cei, mons. Galantino, infatti ha spiegato che del Papa «il rischio che ciascuno prenda solo la parte che gli piace. Se dovessimo ascoltare tutto quello che ci dice Papa Francesco dovremmo cambiare ma io non vedo in giro tutta questa conversione. Mi dispiace anche che tutte le altre istituzioni in Italia non siano oggi un punto di riferimento».

Mentre la Chiesa cattolica diventa comunque un riferimento per moltissime persone in più rispetto al passato, anche grazie a Francesco, contemporaneamente si assiste, come dicevamo, ad un cambiamento sui temi etici. Se si paragonano i dati di oggi al Rapporto del 2013 e al Rapporto del 2014, infatti, aumenta il numero di italiani contrari ai matrimoni gay, passando dal 50,7% del 2014 al 59,2% del 2015; aumenta il numero di italiani contrari alle adozioni gay, dal 71,2% del 2014 al 72,2% del 2015; cala drasticamente -Matteo Renzi è avvertito!- anche l’approvazione della tutela giuridica delle coppie di fatto, passando dal 77,2% del 2013, al 78,6% del 2014 fino al 64,4% del 2015. Il popolo delle “Sentinelle in Piedi” è dunque riuscito a far alzare il resto d’Italia? Ecco spiegato l’odio e gli sputi ricevuti dalle tolleranti sentinelle Lgbt.

Per quanto riguarda la fecondazione assistita, anche qui cala drasticamente l’approvazione, passando dal 79,4% del 2013, al 75,9% del 2014 fino al 47,2% del 2015 (per la eterologa). Allo stesso modo diminuiscono i consensi verso la pillola abortiva, passando dal 63,9% del 2013, al 63,5% del 2014 fino al 58,1% del 2015. Stesso discorso per l’eutanasia, calano i consensi passando dal 64,6% del 2013, al 58,9% del 2014 fino al 55,2% del 2015; così come per l’approvazione del testamento biologico: dal 77,3% del 2013, al 71,7% del 2014 fino al 67,5% del 2015. Un piccolo incremento di favorevoli invece verso il suicidio assistito, passato dal 36,2% del 2013, al 28,6% del 2014, al 33,5% del 2015; così come per i favorevoli al divorzio breve, dall’84% del 2014 all’86,6% del 2015. Crollano drasticamente invece i consensi per la liberalizzazione delle droghe leggere, passando dal 40,3% del 2014 al 33% del 2015.

La buona notizia è che vi sia un accenno di inversione di tendenza (bisognerà aspettare i prossimi anni per confermarlo), tuttavia il sostegno verso alcuni temi risulta decisamente preoccupante (pensiamo al divorzio breve e al testamento biologico, in particolare). Ma sono dati tremendi per qualcun altro: l‘Arcigay ha pubblicato istericamente un commento del presidente Flavio Romani il quale ha sostenuto che «l’aumento della percentuale delle persone contrarie al matrimonio è riconducibile alla sovraesposizione mediatica dell’ala politicamente più avversa al riconoscimento di pari diritti, Mario Adinolfi in testa». Come ha commentato l’ex parlamentare PD, si tratta di un chiaro invito ad impedire la partecipazione di Adinolfi in televisione, mirando «a restringere ancora di più gli spazi in cui possiamo parlare».

Nonostante la stima che proviamo per Adinolfi, se proprio vogliamo trovare il capro espiatorio, consigliamo all’Arcigay di dare un’occhiata in Vaticano. Lì alloggia una persona che ogni 15 giorni invita la politica a non ridefinire il matrimonio, che definisce il gender una colonizzazione mentale pari a quella delle dittature naziste e fasciste, che denuncia la «falsa compassione» di chi sostiene aborto ed eutanasia condannandola come “cultura dello scarto” e affermando che non è una conquista scientifica «“produrre” un figlio considerato come un diritto invece di accoglierlo come dono», che invita i medici a praticare l’obiezione di coscienza, che proclama il diritto dei bambini a crescere con mamma e papà relazionandosi alla «mascolinità e alla femminilità di un padre e di una madre», che invita a sostenere soltanto un tipo di famiglia, quello recepito anche nella Costituzione italiana.

Ecco, se volete trovare qualcuno da accusare lasciate perdere Adinolfi e prendetevela con Papa Francesco. Sempre che ne abbiate il coraggio.

La redazione

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Il pastore della mega-chiesa protestante invita a seguire il Papa

RickWarrenNella nostra intervista di novembre 2014 abbiamo contattato il pastore Stefano Bogliolo, membro del direttivo nazionale dell’Alleanza Evangelica Italiana. Con lui avevamo riflettuto sulla possibilità di unire le forze in difesa della famiglia e del matrimonio dai tentativi di ridefinizione, il grande tema che è oggi al centro del dibattito pubblico.

Il pastore ci mostrò la sua disponibilità: «noi crediamo che quando si tratta di perseguire obbiettivi comuni, allora dobbiamo essere tutti uniti; si chiama “cobelligeranza”, cioè lottare insieme per temi di comune interesse». Siamo contenti che anche all’estero si comincia a capire la necessità di questa cobelligeranza, tanto che Rick Warren, l’influente pastore di una mega-chiesa protestante americana, ha invitato tutti i cristiani non cattolici ad unirsi a Papa Francesco e alla Chiesa cattolica al fine di realizzare tre obiettivi comuni: difendere la santità della vita, difendere la santità della sessualità e difendere la santità del matrimonio.

Il pastore Warren è il fondatore della Saddleback Church in California, il suo bestseller “The Purpose Driven Life” ha venduto 36 milioni di copie in oltre 50 lingue. Nel novembre scorso è stato tra i relatori di un simposio religioso in Vaticano dedicato alla complementarietà tra uomo e donna. Senza ignorare le differenze che separano le altre confessioni cristiane da Roma, Warren ritiene che cattolici e protestanti possano lavorare insieme non in una unità strutturale ma in una unità missionaria. «Se amate Gesù sono nella stessa squadra», ha detto.

Proprio lo scorso dicembre Papa Francesco, rivolgendosi alla delegazione della Chiesa evangelica luterana tedesca, notoriamente “progressista”, aveva invitato un’attenzione particolare su queste tematiche: «Di grandissima attualità sono le questioni relative alla dignità della persona umana all’inizio e alla fine della sua vita, così come quelle attinenti alla famiglia, al matrimonio e alla sessualità, che non possono essere taciute o tralasciate solo perché non si vuole mettere a repentaglio il consenso ecumenico finora raggiunto. Sarebbe un peccato se, su tali importanti questioni legate all’esistenza umana, si verificassero nuove differenze confessionali».

La redazione

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Oltre 60mila persone contro l’ideologia gender nelle scuole

Arcigay bambiniDopo aver conquistato le redazioni dei quotidiani, l’indottrinamento gender della popolazione deve partire dalle scuole. Per non dare troppo nell’occhio occorre nasconderlo sotto la maschera della lotta all’omofobia: motivazione certamente nobile, seppur immotivata (lo dicono i numeri) e disattenta verso altre forme di discriminazione (le persone in sovrappeso, ad esempio, la categoria più discriminata in assoluto, molto più delle persone con tendenza omosessuale).

Il tentativo si è concretizzato per la prima volta nel 2013-2014 quando l’Unar (Ufficio nazionale anti-discri­minazioni razziali), costituito nel 2003 dalla Presi­denza del Consiglio, ha realizzato -a spese dei contribuenti- il kit “Educare alla diversità”.  Tre volumi (qui quello destinato alla scuola primaria) di indottrinamento degli insegnanti indotti a cancellare le fiabe tradizionali (Biancaneve e i Principi azzurri) e a non fare più riferimento ad analogie con una prospettiva eteronormativa (ad esempio: “bambini, quando tornate a casa dite a mamma e papà che…”), poiché queste possono tradursi nella pericolosa assunzione «che un bambino da grande si innamorerà di una donna». Per l’Unar andrebbe vietato elaborare compiti che non contengano situazioni diverse, come ad esempio: «Rosa e i suoi papà hanno comprato tre lattine di tè freddo al bar. Se ogni lattina costa 2 euro, quanto hanno speso?».

Il kit anti-omofobia invitava anche i bambini e gli adolescenti a «sottoporsi a cure ormonali e operazioni chirurgiche» in caso di disagio verso il proprio sesso e presentava un bel «ritratto dell’individuo omofobo»: di solito di «età avanzata», con un alto «grado di religiosità» e di «ideologia conservatrice». I kit invitavano gli insegnanti a fare immedesimare gli alunni “eterosessuali” con gli “omosessuali” per metterli «in contatto con sentimenti e emozioni che possono provare persone gay o lesbiche». Venne proposto infatti un elenco di documentari (come Kràmpack), in cui la masturbazione fra due ragazzi è presentata come esplorazione e «gioco».

Inevitabilmente si scatenò la bufera, tanto da far intervenire l’allora viceministro con delega alle Pari opportunità, Maria Cecilia Guerra: «L’educazione alla diversità è e resta cruciale ma quel materiale didattico è stato realizzato senza che io ne fossi informata e senza alcun accordo con il Miur», la quale inviò una nota di demerito al direttore dell’Unar, Marco De Giorgi. Intervenne anche l’attuale sottosegretario del Ministero dell’Istruzione Gabriele Toccafondi, affermando«Posto che la lotta alla discriminazione, di qualsiasi tipo, è sacro­santa, non credo possa però essere confusa con iniziative che con essa hanno poco o nul­la a che vedere e che, invece, mi pare siano un tentativo di indot­trinare i nostri ragazzi rispetto all’ideologia del gender e alle “nuo­ve forme di famiglia”. E, fatto ancora più grave, senza coinvolge­re le rappresentanze dei genitori all’interno della scuola». L’indottrinamento Lgbt da parte dell’Unar venne infine bloccato ed invece è stato diffuso un vademecum di autodifesa per i genitori.

Da ricordare anche il coraggioso intervento del card. Angelo Bagnascoparlando apertamente di «una vera dittatura che vuole appiattire le diversità, omologare tutto fino a trattare l’identità di uomo e donna come pure astrazioni». Citando gli opuscoli dell’Unar ha spiegato che «in teoria le tre guide hanno lo scopo di sconfiggere bullismo e discriminazione – cosa giusta –, in realtà mirano a ‘istillare’ (è questo il termine usato) nei bambini preconcetti contro la famiglia, la genitorialità, la fede religiosa, la differenza tra padre e madre. Viene da chiederci con amarezza se si vuol fare della scuola dei ‘campi di rieducazione’, di ‘indottrinamento’. Ma i genitori hanno ancora il diritto di educare i propri figli oppure sono stati esautorati? I figli non sono materiale da esperimento in mano di nessuno, neppure di tecnici o di cosiddetti esperti». Molti allora lo criticarono per queste parole, accusandolo di remare contro “l’apertura” di Papa Francesco, si sono dovuti ricredere quando proprio recentemente il Santo Padre ha usato le stesse parole del card. Bagnasco per condannare la teoria del gender, ricordando quando in Argentina volevano introdurre «un libro di scuola dove si insegnava la teoria del gender […]. Questa è la colonizzazione ideologica: entrano in un popolo con un’idea che niente ha da fare col popolo e lo colonizzano con un’idea che cambia o vuol cambiare una mentalità. Ma non è una novità questa. Lo stesso hanno fatto le dittature del secolo scorso. Sono entrate con la loro dottrina. Pensate ai Balilla, pensate alla Gioventù Hitleriana».

Diverse le iniziative ideate per introdursi nelle scuole: ricordiamo, ad esempio, i tentativi di Arcigay per inserire nei dibattiti scolastici il transessuale Vladimiro Guadagno (detto Luxuria), rimandato a casa tuttavia da studenti, genitori ed insegnanti. Tanto che Silvia Vegetti Finzi, psicoterapeuta per i problemi dell’infanzia, ha affermato: «Vedo un rovesciamento di centralità: fino a qualche tempo fa le forme familiari diverse da quella tradizionale erano messe al bando. Ora hanno un’eccessiva attenzione. Non si tiene conto che si tratta pur sempre di una realtà minoritaria». La psicoterapeuta Maria Rita Parsi ha rivendicato il diritto del bambino «a riconoscersi in una famiglia naturale», contestando la «centralità che si tenta di attribuire a modelli familiari minoritari che nuoccino a una psicologia in evoluzione che cresce in un contesto tradizionale».

In conseguenza di tutto questo, diverse associazioni si sono (finalmente!) unite presentando una petizione in Senato, indirizzata al premier Matteo Renzi, al ministro dell’Istruzione Stefania Giannini e al futuro Presidente della Repubblica, intitolata “Disapplicare la Strategia nazionale dell’Unar”. Le associazioni organizzatrici sono: Pro Vita Onlus, l’Associazione Italiana Genitori (Age), l’Associazione Genitori e Scuole cattoliche (Agesc), i Giuristi per la vita e il Movimento per la vita. In poche settimane, basandosi solo sul passaparola online, hanno raccolto oltre 60 mila firme: «Un vero Family Day 3.0 – dicono i promotori – che rilanciamo anche su Facebook e su Twitter con una campagna di sensibilizzazione con l’hashtag #Nogender». Nella petizione si legge:  «La non-discriminazione serve a nascondere la negazione della naturale differenza sessuale» riducendola a «fenomeno culturale obsoleto»; «la libertà di identificarsi in qualsiasi “genere” indipendentemente dal proprio sesso biologico»; la «normalizzazione di quasi ogni comportamento sessuale», ricordando gli esiti drammatici nei Paesi in cui sono già state applicato queste “strategie educative”.

Chiunque può firmare la petizione recandosi qui.

Citiamo infine le illuminate parole di Stefano Zecchi, ordinario di Filosofia alla Statale di Milano, ha spiegato che oggi si crede al gender «come prima credevano sinceramente che il comunismo salvasse il genere umano». «Lasciate in pace i bambini», ha affermato, «su di loro si sta esercitando un’ideologia violenta che non dovrebbe nemmeno lambirli. D’altra parte è tipico dei regimi, che come prima cosa si appropriano delle scuole: questo sta diventando un regime e infatti tutti hanno paura di reagire, anche solo dire che il padre è un uomo e la madre una donna è diventato un atto di “coraggio”. Siamo al grottesco. La teoria del gender non diventerà un fenomeno di massa, lascerà il tempo che trova: io non sono terrorizzato, sono disgustato, che è diverso».

La redazione

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Sapete cosa è accaduto alla bambina in questa fotografia?

kimphucrunningL’8 giugno 1972 un aereo ha bombardato il villaggio di Trang Bang nel Vietnam del Sud, dopo che il pilota scambiò un gruppo di civili per delle truppe nemiche. Le bombe contenevano napalm, un combustibile altamente infiammabile che uccise e ustionò gravemente le persone a terra.

La famosa immagine iconica in bianco e nero di quella vicenda (qui a sinistra), che rappresenta dei bambini in fuga dal villaggio in fiamme, ha vinto il Premio Pulitzer ed è stata scelta al World Press Photo of the Year nel 1972. E’ divenuta il simbolo degli orrori della guerra del Vietnam, della crudeltà di tutte le guerre per i bambini e le vittime civili.

La protagonista della foto è una bambina di nove anni che corre nuda per la strada disperata, dopo che i suoi vestiti hanno preso fuoco. Lei si chiama Kim Phuc Phan Thi e in quel momento stava partecipando con la sua famiglia ad una celebrazione religiosa presso una pagoda.

Recentemente è intervenuta in occasione del 40° anniversario del bombardamento e ha raccontato che dopo quegli scatti è crollata a terra, soccorsa dal fotografo Nick Ut che l’ha portata in ospedale. E’ rimasta ricoverata per 14 mesi ed ha subito 17 interventi chirurgici. «Avrei voluto morire quel giorno, assieme alla mia famiglia», ha detto, «è stato difficile per me portare tutto quell’odio, quella rabbia». Nonostante le profonde cicatrici sul suo corpo ha studiato medicina e al secondo anno di università, a Saigon, ha scoperto il Nuovo Testamento nella biblioteca universitaria. Ha iniziato la lettura, si è impegnata nella sequela di Gesù Cristo e si è resa conto che Dio aveva un piano per la sua vita. Assieme a suo marito, anch’egli vietnamita, nel 1997 ha infatti fondato la prima Kim Foundation International negli Stati Uniti, con l’obiettivo di fornire assistenza medica e psicologica ai bambini vittime della guerra. Il progetto si diffuse e vennero istituiti altri centri.

La conversione cristiana, sopratutto, le ha dato la forza di perdonare. Oggi Kim Phuc ha 50 anni, vive vicino a Toronto (Canada), con il marito e due figli, Thomas e Stephen. Ha dedicato la sua vita alla promozione della pace, fornendo supporto medico e psicologico alle vittime della guerra in Uganda, Timor Est, Romania, Tagikistan, Kenya, Ghana e in Afghanistan. «Il perdono mi ha liberato dall’odio», ha scritto nella sua biografia, “The Girl in the Picture”. «Ho ancora molte cicatrici sul mio corpo e un forte dolore quasi tutti i giorni, ma il mio cuore è purificato. Il Napalm è molto potente, ma la fede, il perdono e l’amore sono molto più forti. Non avremo più la guerra se tutti imparassero a convivere con il vero Amore, la speranza, e il perdono. Se ha potuto farlo quella bambina nella foto, chiedetevi: “posso farlo anch’io?”».

La redazione

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Mons. Georg, segretario di Ratzinger: «Francesco è in linea con Benedetto XVI»

Georg GaensweinIn Vaticano esiste un braccio destro dei due Papi (quello emerito e quello in carica), si chiama mons. Georg Gänswein: al mattino presta servizio in qualità di Prefetto della Casa Pontificia e sovrintende a tutte le udienze di Papa Francesco, mentre nel pomeriggio si trasferisce presso il monastero Mater Ecclesiae, dove svolge il compito di segretario particolare di Joseph Ratzinger. La sua giornata ordinaria è descritta bene in questo articolo.

Recentemente è stato intervistato dal settimanale tedesco Christ & Welt (qui una traduzione in italiano) e sono emerse molte cose interessanti, sopratutto in risposta al noto gruppetto di cristiani che perseguita il pontificato di Francesco. Ha usato parole dure per chi critica Francesco parlando di sue contraddizioni ed opponendogli la “grandezza” di Benedetto XVI. Ha sopratutto parlato di «giornalisti» e del loro comportamento «sciocco e irresponsabile»: supponiamo che il riferimento sia verso il giotnalista Antonio Socci (autore del libro “Non è Francesco”) e altri “tradizionalisti”. Ma leggiamo le sue risposte integrali, tenendo a mente la sua coabitazione quotidiana con il Papa emerito.

Nel dicembre scorso Francesco ha riflettuto sulle 15 malattie della Curia romana, ricordando loro che «una Curia che non fa autocritica, che non si aggiorna, che non cerca di migliorarsi è un corpo infermo». Per lo scrittore Antonio Socci è stato uno scandalo immenso: «lo sport prediletto di papa Bergoglio è bastonare i cattolici». Possiamo invece notare la reazione del segretario personale di Benedetto XVI, un esempio di umile adesione alla Chiesa, senza odio o rancore ma animata soltanto dal voler essere suoi figli (e non genitori): «Quando Francesco ha iniziato la lista delle malattie mi sono detto: ora è interessante, ed stato emozionante», ha affermato nell’intervista mons. Gerog. «Francesco ha preferito, rivolgendosi a vescovi e cardinali, mettere uno specchio davanti agli occhi della loro coscienza. Mi sono domandato: Qual è la tua malattia, da cosa sei affetto, che cosa devi correggere? Francesco è Papa da quasi due anni e conosce la Curia abbastanza bene. Evidentemente ha creduto necessario parlare chiaramente e provocare un esame di coscienza».

Se i “ratzingeriani” accusano frequentemente Francesco di ambiguità e incoerenza («un vuoto di pensiero teologico e filosofico», ha scritto Socci nel novembre scorso), mons. Georg ha preso le distanze da questi giudizi: «Chi ascolta attentamente le parole del Papa vede un messaggio chiaro. Il segno è chiaro e le priorità sono chiare. L’accento principale è sulla missione evangelizzatrice. Un aspetto che segnala a lettere rosse. Nessuna chiesa deva guardare al suo ombelico, essere autorefereziale, ma deve portare il Vangelo nel mondo. Questo è il tema». Certo, «ci sono stati casi in cui il portavoce vaticano ha dovuto dare dei chiarimenti. Le correzioni sono necessarie se alcune dichiarazioni portano a malintesi e hanno echi in certi siti».

La differenza di giudizio dei “tradizionalisti” rispetto al segretario personale di Ratzinger la si evince anche all’accusa di una presunta violazione del magistero da parte di Francesco: «In ogni sua dichiarazione pubblica di questi due anni», ha scritto Antonio Socci il 4 gennaio 2015, «Ratzinger ha confermato i contenuti del suo pontificato che Bergoglio contraddice sui punti più importanti». Il segretario personale di Ratzinger ha smentito proprio nella recente intervista: «E’ una impressione che non condivido. Come contrasto si costruisce una opposizione che non esiste. Il Papa è l’ultimo garante e protettore della dottrina della Chiesa il Supremo Pastore, il primo pastore. La dottrina e le cura pastorale non sono opposte sono gemelle. Non conosco dichiarazioni dottrinali di Francesco che siano contrarie a quelle del suo predecessore. Questo sarebbe assurdo. Una cosa è mettere al centro gli sforzi pastorali quando la situazione lo richiede e altra cosa è cambiare la dottrina. Si può essere molto sensibili dal punti di vista pastorale solo quando mi baso sulla dottrina cattolica completa. La sostanza dei sacramenti non si lascia alla discrezione dei pastori perché ci è stata data dal Signore della Chiesa. E questo è specialmente vero per il sacramento del matrimonio».

Se Antonio Socci e il fenomeno antipapista definiscono Francesco una sorta di antipapa in Vaticano, mettendo in dubbio la validità della sua elezione e la validità della rinuncia di Benedetto XVI, proprio nella recente intervista mons. Georg, il segretario personale di Joseph Ratzinger, ha lanciato una frecciatina che sembra rivolta anche al giornalista di “Libero”, seppur senza mai citarlo per nome. Alla domanda su come abbia risposto “Benedetto XVI ai tentativi da parte di alcuni circoli tradizionalisti di riconoscerlo come antipapa”, mons. Georg ha affermato: «Non ci stati circoli tradizionalisti che hanno fatto questo tentativo, eccetto i rappresentanti dell’Alleanza teologica e alcuni giornalisti. Parlare di un antipapa è semplicemente sciocco, e allo stesso tempo irresponsabile. Va nella direzione di provocare un incendio nel dibattito teologico».

 

Parole chiare dunque a sostegno del pontificato di Papa Francesco dalla persona più vicina a Benedetto XVI. D’altra parte il Papa emerito è intervenuto in prima persona per smentire la campagna di delegittimazione di Socci, facciamo attenzione alle date: nel febbraio 2014 il giornalista di “Libero” ha iniziato -seppur allora rispettosamente- a teorizzare l’invalidità delle dimissioni di Ratzinger: «Il problema della validità canonica delle sue dimissioni è enorme». Proprio nel febbraio 2014 è intervenuto Benedetto XVI rispondendo ad alcune domande del vaticanista Andrea Tornielli: «Non c’è il minimo dubbio circa la validità della mia rinuncia al ministero petrino» e le «speculazioni circa la invalidità della mia rinuncia sono semplicemente assurde».

Pochi giorni prima (il 24 gennaio 2014) il Papa emerito scrisse così al teologo Hans Küng: «Io sono grato di poter essere legato da una grande identità di vedute e da un’amicizia di cuore a Papa Francesco. Io oggi vedo come mio unico e ultimo compito sostenere il suo Pontificato nella preghiera». La lettera è stata confermata come autentica dallo stesso Papa emerito nella lettera in risposta al vaticanista Tornielli. Facciamo notare che una “grande identità di vedute” è molto di più che un mero e formale sostegno!

Ignorando tutto questo, nell’ottobre 2014 Antonio Socci ha intensificato la sua battaglia sostenendo platealmente che Francesco non può essere il vero Papa (non lo sarebbe per varie e inconsistenti accuse che gli rivolge), scrivendo che ci sarebbe una sorta di diarchia in Vaticano, dato che quella di Benedetto XVI «non sarebbe una vera rinuncia al papato, ma al solo esercizio attivo. Tesi che trova conferma nella decisione di Ratzinger di restare “papa emerito”». Due mesi dopo, nel dicembre 2014, è arrivata, questa volta, la risposta di mons. Georg. Alla domanda: “Che cosa pensa di quanti oggi affermano che in realtà il Papa legittimo sia ancora Benedetto, che non avrebbe rinunciato al papato, ma solo all’esercizio attivo di esso?”, il prefetto della Casa Pontificia ha risposto: «Ritengo che sia una sciocchezza teologica e anche logica. Il testo della rinuncia di Benedetto XVI, pronunciato l’11 febbraio 2013 nella Sala del Concistoro, è inequivocabilmente chiaro. Non c’è niente da “interpretare”. Alla rinuncia seguiva la Sede vacante, poi il Conclave e alla fine l’elezione del nuovo Papa. Il Papa legittimo si chiama Francesco».

Più volte lo stesso segretario di Benedetto XVI ha ribadito l’approvazione del Papa emerito per Francesco. In un’intervista del 2014 al “Washington Post” mons. Georg ha affermato: «La stima di Benedetto [per Papa Francesco] è molto alta, ed è aumentata per il coraggio del nuovo papa, settimana dopo settimana. All’inizio, non si conoscevano molto bene. Ma poi Papa Francesco gli ha telefonato, gli ha scritto, si reca a trovarlo e lo ha invitato [a riunioni private], in modo che il loro contatto è diventato molto personale e riservato». Un anno fa ha raccontato ancora «Non è un segreto che fra i due Papi c’è una buona relazione. Si parlano, si scrivono, si telefonano… Quello che si dicono faccia a faccia non posso saperlo. Ci sono state diverse visite di papa Francesco da noi, al monastero Mater Ecclesiae, e anche papa Benedetto è stato invitato a Santa Marta, da papa Francesco».

Insomma, si capisce che chi critica Papa Francesco “in nome del pontificato di Benedetto XVI” sta tradendo innanzitutto lo stesso Papa emerito, il quale ha preso le distanze da queste persone anche grazie al suo “portavoce”, mons. Georg. Tra i due Pontefici c’è uno stretto rapporto, una stima reciproca e una identità di vedute. D’altra parte lo stesso Vittorio Messori nel suo famoso articolo sul “Corriere della Sera” lo ha riconosciuto: «Capo unico e vero della Chiesa è quel Cristo onnipotente e onnisciente che sa un po’ meglio di noi quale sia la scelta migliore, quanto al suo temporaneo rappresentante terreno. A chi volesse giudicare, non dice nulla l’approvazione piena, più volte ripetuta – a voce e per iscritto – dell’attività di Francesco da parte di quel “Papa emerito” pur così diverso per stile, per formazione, per programma stesso?».

La redazione

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Sottomessa? La moglie di Adinolfi spiega l’amore cristiano

Adinolfi PradolesiIl Convegno per la famiglia svoltosi recentemente a Milano è stato indubbiamente un successo, un popolo si è alzato nuovamente in piedi, a nulla è servito il contrasto di quattro omofascisti con le magliette colorate e il presidente lombardo Roberto Maroni ha annunciato nuove iniziative del genere, anche durante l’Expo. A nulla è servita la campagna di fango realizzata da “Repubblica” nei giorni antecedenti, tanto meno è stato efficace far imbucare tra le famiglie l’unico anti-famiglia con la faccia pulita, che è arrivato sì sul palco, ma dimostrando di non aver alcun interesse a confrontarsi tirando fuori una domanda assurda e inutile, tanto che è stato rimandato al suo posto.

I giorni successivi i media hanno comunque cercato di presentare l’evento all’opinione pubblica in modo negativo: le immagini trasmesse sono state solo quelle dell’allontanamento del provocatore e si sono appositamente concentrati sulla presenza, totalmente inopportuna, di un sacerdote accusato di pedofilia. Senza contare che, il giorno prima dell’evento, la macchina mediatica aveva portato “La Zanzara” a tentare di colpire Mario Adinolfi, direttore de “La Croce”, relatore principale al convegno. Il sesso è stato ovviamente il tema su cui hanno cercato lo scandalo, Adinolfi ha risposto parlando di sessualità responsabile e della visione cristiana della donna, ovvero fondamento attorno a cui è costruita la famiglia (per questo “sotto-messa”). Subito sono arrivate le strumentalizzazioni e le polemiche, anche se sia Mario che Costanza Miriano hanno chiarito che la questione è ben più profonda e ovviamente è una sciocchezza che questo significhi mettere in dubbio la parità dei sessi.

Il direttore de “La Croce” non si è piegato, anzi ha ribadito, e allora hanno provato l’estrema soluzione, ovvero l’intervista realizzata da “Lettera43” a sua moglie (seconda moglie), Silvia Pardolesi, sperando in un pubblico divorzio tra i due. In realtà ne è uscito un bell’intervento, così interessante che abbiamo deciso di mantenerne l’originale qui sotto.

 

Signora Pardolesi, cosa ne pensa della provocazione sulla sottomissione di Mario Adinolfi?
«Più che di una provocazione si è trattato di riprendere una verità della tradizione giudaico-cristiana. Le parole di San Paolo, che dice: “Le mogli siano sottomesse ai mariti come la Chiesa sta sottomessa a Cristo” ma poi aggiunge: “E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei”. I mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo, perché chi ama la propria moglie ama se stesso. A mio avviso è una vera e propria dichiarazione di parità fra i sessi e di amore all’interno di una famiglia. Penso sia stato tutto molto strumentalizzato».

Ma al di là di San Paolo, lei si sente sottomessa e mite?
«Se sentirsi sottomessa significa essere al servizio della mia famiglia e, quindi, fare tutto ciò che è in mio potere per rendere armoniosa la vita insieme a mia figlia e mio marito, allora sì, sono sottomessa».

Lo dica sinceramente: quando ha ascoltato suo marito, cosa ha pensato?
«Sapevo quello che intendeva dire. Non c’è niente di degradante per la donna in quello che ha detto se compreso nel suo reale significato. Le sue parole sono state estrapolate da un’intervista complessa e strumentalizzate, facendole passare per quello che non significano».

Quindi è stato travisato?
«Capisco che andare un po’ più a fondo nei ragionamenti richieda tempo e voglia, ma se non si fa questo esercizio si rischia sempre di etichettare a caso. In questo caso come “sessista”, “retrogrado”».

Vediamo, c’è una donna che ammira?
«Fin da ragazza sono stata colpita dalla figura di giovane artista di Jeanne Hébuterne e dal suo amore assoluto per Amedeo Modigliani, forse per via dei lunghi studi di Storia dell’Arte che ho compiuto».

E suo marito?
«Mario ha una vera e propria devozione per Marguerite Yourcenar, abbiamo in casa tutti i suoi scritti. È una scrittrice omosessuale e per questo sorridiamo sempre insieme quando gli danno dell’omofobo. Mentre il suo mito maschile è Jim Parsons, l’attore della serie americana The Big Bang Theory, gay anche lui. Ma contrario al matrimomio omosessuale. Come Mario».

Sottomessa e angelo della famiglia. Molte donne non si ritrovano in questa definizione. Soprattutto dopo decenni di battaglie femministe.
«Sicuramente il percorso di emancipazione delle donne non è stato facile. Ma oggi, in Italia, non credo esista una profonda disparità».

Cosa sono per lei le pari opportunità?
«Non vedo perché queste debbano scontrarsi per forza con l’essere, da parte di una donna, il pilastro della propria famiglia. Non vorrei che il femminismo alla lunga avesse perso di vista il vero obiettivo…»

E cioè?
«Cioè il ribaltamento di logiche secondo le quali la donna è posta in posizioni subalterne nella società».

Esiste la parità dei sessi?
«Uomini e donne hanno uguale dignità, ma non sono uguali. Hanno diversità caratteristiche che li arricchiscono. L’ideologia unisex è semplicemente stupida. Il Vangelo contiene una dimensione più alta di rispetto della donna rispetto a qualsiasi testo femminista».

Non è che suo marito ha deciso di fare questa boutade per lanciare “La Croce”?
«Mario ha stima di Giuseppe Cruciani e David Parenzo, hanno idee opposte su tanti temi ma so che sono colleghi che si conoscono da decenni. Io ascolto spesso La Zanzara e sono contenta quando sento loro tre battagliare, quando c’è Mario in onda si sa che non si parlerà di stupidaggini. E credo non abbia mai nominato il giornale».

Nessun intento pubblicitario dunque…
«Non è interessato a farsi pubblicità, è convinto che sono i temi del giornale a farsela da sé»

E lei da lettrice che voto dà al giornale diretto da suo marito?
«È un’avventura che richiede coraggio e un po’ di incoscienza, considerando il lato pratico delle cose. Ma è anche un modo per portare avanti concretamente una serie di idee e chiamare a raccolta una vasta comunità di persone che le condividono».

Solo?
«E poi, fatemi fare la laureata in Storia dell’Arte, dal punto di vista estetico credo che sia il più bel quotidiano italiano. Grande, ben disegnato, con quella testata così particolare. Invoglia alla lettura».

Da uno a 10, quanto è difficile essere la moglie di Adinolfi?
«Io sono la moglie di mio marito, non “di Adinolfi”».

Eppure suo marito è spesso nell’occhio del ciclone. L’uscita sui preservativi lascia un po’ il tempo che trova…
«Riguardo i preservativi sono d’accordo sul fatto che prima di distribuire preservativi gratis a destra e a manca servirebbe distribuire un po’ più di informazione riguardo il rischio di contrarre malattie sessualmente trasmissibili»

Non ha mai usato il preservativo con lei? Nemmeno all’inizio?
«No, mai».

Non crede che sia un messaggio pericoloso soprattutto per i più giovani?
«Mio marito mi ha convinto con una frase: “Se avessi un figlio che mi dice che va a prostitute sulla Salaria non gli insegnerei a mettersi il preservativo, gli direi di restare a casa”»

Non è che esistono solo le prostitute sulla Salaria…
«Credo che una cultura della sessualità responsabile e di rispetto del corpo della donna facciano molto di più di una meccanica cultura del preservativo».

E come la mettiamo con le dichiarazioni non proprio friendly sui gay?
«Le uscite sui gay non so quali siano».

Per dirne una ha definito le unioni gay “il male”…
«Mio marito viene tacciato di omofobia, ma chi lo dice non ha mai evidentemente letto il suo libro, Voglio la mamma».

Eppure qualche macchia suo marito ce l’ha. È un amante del poker e il papa ha criticato il gioco d’azzardo…
«Anche questo andrebbe approfondito e capito meglio. Il poker sportivo non è un gioco d’azzardo. È un gioco di abilità. Nell’immaginario collettivo credo ci siano troppi film, ma nel poker sportivo non ci si gioca la casa o cose simili»

E come funziona?
«Si paga una quota di iscrizione, come d’altronde si fa a qualsiasi gara anche al minigolf, e se si vince bene, altrimenti si è persa la quota. Mario odia il gioco d’azzardo, lo definisce “una tassa sui cretini”».

Ed è bravo come si dice?
«Pericolosamente bravo ed è molto bello da vedere: alla fine è riuscito a far diventare anche me una discreta giocatrice dilettante. Non a caso ci siamo sposati a Las Vegas».

Una sottomessa giocatrice di poker…ma ci sarà qualcosa che rimprovera a suo marito.
«Io nulla in particolare, mi piacerebbe fosse più presente in casa. Nostra figlia Clara, quattro anni, ultimamente non si capacita del fatto che papà non sappia cucinare».

Cosa ammira di più in lui?
«Io non lo ammiro. Lo amo».

Allora cosa ama di lui?
«Amo la sua determinazione. E la capacità di sopportare i travisamenti delle sue parole, gli insulti, le cattiverie che subisce in nome delle sue idee e della nostra fede cristiana. È una pecora nera, anche in Chiesa stiamo agli ultimi banchi perché a 20 anni è stato sposato e dunque nella condizione di divorziato risposato non può fare la comunione e io con lui».

Ne soffre molto?
«Quando viene il momento e tutti vanno verso il prete, lui mi stringe forte la mano e so che soffre, ma non me lo direbbe mai. Questa sua capacità di sopportare ogni vento avverso e ogni difficoltà senza mai cedere al vittimismo o scaricare su altri la tensione, mi ha fatto innamorare di lui. Chiunque lo conosca sa che è un uomo speciale. Ma conoscerlo davvero non è facile».

La redazione

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«Ratzinger pessimo teologo», ma Umberto Eco copia da Wikipedia

Umberto EcoQualcuno certamente si ricorderà quando nel 2011 il noto semiologo italiano Umberto Eco criticò Benedetto XVI affermando: «Non credo che Benedetto XVI sia un grande filosofo, né un grande teologo, anche se generalmente viene rappresentato come tale». La frase fu ovviamente provocatoria, Ratzinger è riconosciuto come il miglior teologo vivente nonché «uno degli uomini più colti del nostro tempo e anche uno dei più colti della lunga storia dei vescovi di Roma», come disse il filosofo Nikolaus Lobkowicz, già rettore della prestigiosa Università Ludwig-Maximilian di Monaco proprio in risposta all’affermazione di Eco.

Il compianto filosofo laico Costanzo Preve replicò così invece: «Ho conosciuto molti anni fa Umberto Eco in un seminario residenziale dei gesuiti all’Aloysianum di Gallarate. Era esattamente quello che sembra: un brillante e superficiale retore, che supplisce alla mancanza di profondità con un fuoco d’artificio di erudizione. […] A differenza di Umberto Eco,  giudico Ratzinger un teologo ed un filosofo di alto livello […], del tutto indipendentemente dal suo ruolo di papa e dal fatto che personalmente non sono in alcun modo una pecorella del suo gregge. […]. Se collochiamo Ratzinger nel tempo in cui stiamo vivendo, la superiorità di Ratzinger sulla spocchia autoreferenziale dei dotti universitari boriosi alla Eco è addirittura tennistica». Eco parlava ai media tedeschi e allora UCCR fece notare come proprio i critici tedeschi avessero completamente stroncato i suoi testi filosofici, ritenuti «noiosi, illeggibili e fallimentari».

Il noto semiologo è un ex cattolico convertitosi all’illuminismo e al postmodernismo, optando per un approccio debole -quasi inesistente- alla verità. La sua è stata apostasia meditata, è tuttavia rimasto coerente nella sua “fede nel dubbio”: «La psicologia dell’ateo mi sfugge perché kantianamente non vedo come si possa non credere in Dio, e ritenere che non se ne possa provare l’esistenza, e poi credere fermamente all’inesistenza di Dio, ritenendo di poterla provare» (U. Eco, “In cosa crede chi non crede”, Liberal 1996, p.23). Il male del mondo secondo Eco arriva dal monoteismo e «sono le religioni del libro a provocare le guerre per imporre l’idea contenuta nei loro testi», come ha scritto recentemente. Ma la sua tesi pro-politeismo è di una superficialità imbarazzante, come abbiamo avuto modo di evidenziare.

E’ curioso comunque che proprio colui che condannava la bassezza della teologia di Benedetto XVI sia stato beccato a copiare e incollare nientemeno che da Wikipedia. E’ accaduto per il suo nuovo romanzo “Numero Zero”: alcuni lettori hanno infatti incollato su Twitter una pagina del libro relativo a Licio Gelli paragonandola a quella della nota enciclopedia virtuale: a parte una virgola e un tempo verbale, i due brani sono completamente identici (e il testo su Wikipedia è stato scritto prima, come dimostra la cronologia). Secondo i giornalisti Luigi Mascheroni e Matteo Sacchi, non si tratta solo di un passaggio ma «l’impressione è che la controstoria d’Italia di Eco sia stata scritta rinfrescandosi la memoria su Wikipedia: il tutto ha un sapore molto didascalico». Oltretutto, non è stato neppure il primo plagio per Eco. Il semiologo dunque si unisce ai “ripubblicatori” di “Repubblica”: Roberto Saviano, Corrado Augias e Umberto Galimberti.

Non ci si stupisce, dunque, se un noto sociologo come Guido Vitiello, docente presso “La Sapienza” di Roma, abbia scritto: «Quando penso a Umberto Eco, non mi viene in mente nulla. Possibile? Eppure ho letto tutti i suoi libri, alcuni li ho letti due volte, alcuni perfino studiati. Nulla, nemmeno un mozzicone di frase, con altri funziona a meraviglia». Per uno strano scherzo del destino, tutti invece si sono ricordati -ad esempio- di Benedetto XVI e del suo celebre discorso all’Università di Regensburg, in occasione dei recenti attentati di Parigi, rivalutandolo dopo le iniziali critiche e definendolo addirittura come profetico. Perfino dalle parti non proprio papiste de “Il Fatto Quotidiano”.

 

Qui sotto la stroncatura di Eco da parte del filosofo Costanzo Preve

 

La redazione

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Ricordiamo la Shoah e l’impegno della Chiesa cattolica

OlocaustoIeri abbiamo celebrato la Giornata della Memoria. A rendere forse “unica” la Shoah rispetto agli altri genocidi avvenuti nella storia non è soltanto l’incredibile numero di vittime causate dalla follia nazista, ma anche il suo obiettivo di voler sradicare la razza ebraica dall’intero pianeta. Sei milioni furono gli ebrei che perirono a causa di questa folle ideologia, ma massacri subirono anche altri gruppi come gli zingari, gli omosessuali, le persone affette da malattie genetiche, i Testimoni di Geova, gli oppositori politici nonché le popolazioni dei paesi occupati.

Anche le chiese cristiane subirono persecuzioni in quanto i nazisti erano intenzionate ad eliminarle per sostituirle con una nuova fede basata sul mito della razza e del sangue come riconoscono i maggiori storici del Terzo Reich, come ad esempio William Shirer: «Sotto la guida di Rosenberg, Bormann e Himmler, sostenuti da Hitler, il regime nazista intendeva come fine ultimo, distruggere se possibile, il cristianesimo in Germania» (cfr. Storia del Terzo Reich, Torino 1972 p. 263).

Ci sono state delle polemiche sull’atteggiamento assunto dal papa dell’epoca, Pio XII, accusato di non aver fatto di più per evitare il massacro, denunciando ad alta voce le atrocità naziste. Queste accuse tengono in scarsa considerazione l’azione della Chiesa per salvare gli ebrei perseguitati (tra i 700.000 e gli 860.000 secondo i calcoli dello storico Pinchas Lapide) e, sopratutto, non tengono conto delle conseguenze negative che avrebbe potuto avere una pubblica protesta: il prelato lussemburghese Jean Bernard, che venne deportato durante la guerra nel campo di concentramento di Dachau, ricordò nelle sue memorie che «i preti detenuti tremavano ogni volta che venivano a sapere di una protesta fatta delle autorità religiose, e in particolare del Vaticano. Avevamo tutti l’impressione che i nostri guardiani ci facessero pagare cara la collera provocata da queste proteste… Ogni volta che venivamo trattati in modo più brutale senza alcun preavviso, i pastori protestanti che c’erano tra i prigionieri scaricavano la loro indignazione sui preti cattolici: “Quel vostro papa ingenuo e quei sempliciotti dei vostri vescovi hanno di nuovo aperto bocca… Ma perché non capiscono l’antifona una buona volta e non la chiudono? Loro fanno gli eroi e noi ne paghiamo le spese”» (A. Tornielli, Il papa degli ebrei, Bergamo 2002 p. 186).

Un grave errore di prospettiva che fanno i critici del papa è quello di sopravalutare l’effetto di una sua condanna. L’ex leader del partito popolare, don Luigi Sturzo, fece notare al segretario della World Jewish Congress, Leo A. Kubowitzki, che chiedeva di lanciare una scomunica contro Hitler, che questo mezzo non era riuscito a fermare né la regina Elisabetta I, né Napoleone Bonaparte dai loro propositi e che un simile atto avrebbe potuto persino avere l’effetto di accelerare ancora di più la furia nazista. Lo storico Matteo Luigi Napolitano ha sottolineato infatti che in quel periodo «L’Europa non era una Respublica sub Deo prona alla parola papale; il mondo politico era ancora figlio dei Lumi e della Rivoluzione francese, del Positivismo e del Razionalismo. Ogni Chiesa non era che un “ridotto” morale-religioso riservato ai soli fedeli. Dire pertanto che la scomunica di Hitler sarebbe bastata a fermare i massacri è affermare l’indimostrabile» (Matteo Luigi Napolitano, Su Pio XII e la Shoah errori di prospettiva?, Avvenire, 1 ottobre 2014).

Non mancarono però anche discorsi pubblici nella quale si trovano degli appelli di solidarietà con il mondo ebraico: nel 1940 Pio XII affermò che «è di conforto per noi l’essere stati in grado di consolare, con l’assistenza morale e spirituale dei nostri rappresentati e con l’obolo dei nostri sussidi, ingente numero di profughi, di espatriati e di emigrati, anche fra quelli di stirpe semitica»; nel discorso di Natale del 1942 invece deplorò la situazione di «quelle centinaia di migliaia di persone che, senza veruna colpa propria, talora solo per ragione di nazionalità e di stirpe, sono destinate alla morte o ad un progressivo deperimento» e nel giugno del 1943 la Radio Vaticana trasmise un messaggio dello stesso pontefice che ribadiva: «Chi fa distinzione tra ebrei e gli altri uomini, commette un peccato d’infedeltà verso Dio ed è in conflitto con i suoi comandamenti» (cfr. M. Gilbert, I giusti. Gli eroi sconosciuti dell’Olocausto, p.348). Questi appelli sono stati criticati da alcuni studiosi perché considerati troppo vaghi per essere compresi. Tuttavia, i nazisti furono ben consapevoli che questo genere di discorsi erano rivolti contro di loro e, se si considera che la conoscenza dell’Olocausto da parte del popolo tedesco fu ben maggiore di quanto si era inizialmente disposti ad ammettere, forse quegli appelli non dovettero risultare così incomprensibili.

In quei terribili anni non mancarono persone che compirono atti di eroismo salvando gli ebrei a rischio della propria vita come Giorgio Perlasca o Giovanni Palatucci. Ricordiamo anche Karel Weirich, un dipendente vaticano di nazionalità ceca che fu molto attivo durante il conflitto nell’aiutare gli ebrei cecoslovacchi. La sua figura è stata analizzata dallo storico Pierluigi Guiducci in una conferenza su Pio XII tenutasi nell’ottobre del 2014. Nel 1925 iniziò a lavorare come segretario e contabile presso la direzione nazionale della Pontificia Opera di San Pietro Apostolo e, dal 1932, svolse analoga mansione negli uffici della direzione nazionale delle Pontificie Opere Missionarie, e pochi anni dopo divenne corrispondente di una delle maggiori agenzie di stampa cecoslovacche, la Českolovenskà tisková kancelář (ČTK).

Nel marzo 1939 la Cecoslovacchia cessò di esistere in quanto venne invasa da Hitler e Weirich iniziò una progressiva resistenza al nazismo. Durante la guerra, fondò inoltre con la “copertura vaticana” e l’aiuto di alcuni suoi connazionali, l’Opera di San Venceslao, la cui attività servì per aiutare i profughi cecoslovacchi di origine ebraica distribuendo denaro, abiti, medicine e documenti falsi agli internati e ai clandestini. Il suo lavoro fu possibile grazie anche all’aiuto della Segreteria di Stato Vaticana e dal personale delle Pontificie Opere Missionarie.

L’antifascismo di Karel è mostrato anche dal fatto che egli, pur avendo ricevuti due solleciti per prestare giuramento di fedeltà al Reich essendo corrispondente a Roma della ČTK, rifiutò di farlo e venne licenziato dal suo lavoro nel 1941. La situazione degli ebrei italiani subì però un notevole peggioramento con l’occupazione tedesca del ’43. Le autorità fasciste considerarono l’Opera di San Venceslao legale, ma l’organizzazione rimase pericolosamente in bilico tra programmi leciti (invio di aiuti agli ebrei internati) e illegali (distribuzione di documenti falsi). Purtroppo però, molto probabilmente a causa di una delazione, i tedeschi nel 1944 scoprirono l’attività antifascista di Karel e lì tesero una trappola : un agente provocatore fattosi passare come “prigioniero inglese” giunse a chiedergli aiuto e, dopo qualche giorno, tre agenti della Gestapo lo arrestarono facendo appunto riferimento a quell’episodio. Werich fu rinchiuso nel carcere di “Regina Coeli” con l’accusa di “favoreggiamento del nemico”. Durante gli interrogatori il funzionario vaticano non fece i nomi dei suoi complici e il 18 aprile del 1944 un tribunale tedesco lo condannò a morte. Pena poi commutata in diciotto mesi di lavori forzati grazie all’intervento della Santa Sede. Weirich venne quindi deportato in Germania e venne liberato dai militari americani il 2 maggio del 1945. Il suo stato fisico all’epoca del rilascio era pietoso (pesava 35 chili) e dopo aver ripreso le energie ritorno dopo un po’ di tempo in Italia per incontrare sua madre.

Nel 1948 venne nuovamente licenziato dalla ČTK in quanto la Cecoslovacchia era passata sotto il dominio comunista e da allora affrontò la vita quotidiana svolgendo alcuni piccoli lavori. Ci si dimenticò presto dell’opera umanitaria svolta da questi durante la guerra, ma sono rimaste delle lettere di ringraziamento a lui indirizzate scritte da alcune persone che aveva aiutato, attualmente depositate nell’Archivio di Treviso. Ebbe la gioia di incontrare in un’udienza del 1973 papa Paolo VI che era stato uno dei sostenitori dell’Opera di San Venceslao e nel 1975 Ferruccio Parri, uno dei capi più noti della Resistenza, che all’epoca era diventato senatore. Karel Weirich morì nel 1981.

Dalla sua attività si può riscontare come i contatti con la Segretaria di Stato Vaticana furono molto significativi come significativa fu anche la sua iterazione con strutture e associazioni religiose. Ciò aiuta a smentire l’immagine di un Vaticano indifferente alla sorte degli ebrei. Stranamente, Karel Werich non ricevette alcun riconoscimento nel dopoguerra per la sua opera di salvataggio e la sua figura è poco nota. Si spera che in un futuro non troppo lontano possa ricevere la sua giusta retribuzione.

Mattia Ferrari

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Francesco incontra un trans? Gesù mangiò con pubblicani e peccatori

Gesù incontra ZaccheoNel minestrone delle accuse verso Papa Francesco si aggiunge oggi l’ingrediente dell’“incontro con il transessuale”, già gli zelanti dal facile scandalo sono partiti con la retorica del “ditemi che non è vero”, “non ci posso credere”, “Benedetto XVI non lo avrebbe mai fatto”, “la Chiesa sta andando a rotoli e si piegherà al volere del mondo” e via dicendo.

Stiamo parlando del fatto che il Santo Padre ha ricevuto (non parliamo al condizionale dato che la notizia è stata ripresa anche da “Avvenire”) sabato scorso in udienza privata in Vaticano un transessuale spagnolo, accompagnato dalla fidanzata. Ne dà notizia il quotidiano iberico “Hoy”, secondo il quale Diego Neria Lejarraga aveva scritto tempo fa al Papa spiegando che dopo il cambio di sesso, avvenuto 8 anni fa, si era sentita esclusa dalla Chiesa. Il Papa gli avrebbe quindi telefonato due volte, infine sabato scorso l’ha ricevuto a Santa Marta. Neria, secondo quanto dichiarato dal quotidiano spagnolo, si dichiara cattolica e praticante e si è rammaricata del fatto che dopo l’operazione era stata respinta dal sacerdote e dai parrocchiani, mentre avrebbe trovato dal vescovo di Plasencia, Amedeo Rodriguez Magro, «coraggio, consolazione e appoggio». Sulla vicenda le fonti ufficiali vaticane non hanno rilasciato commenti.

La notizia dovrebbe essere vera, si attendono comunque conferme da parte del portavoce vaticano padre Federico Lombardi (che però ha già spiegato di non voler intervenire sugli incontri o telefonate private del Pontefice). Dietro l’inevitabile polemica scatenatasi c’è l’insinuazione che Francesco legittimerebbe la transessualità, o, per lo meno, operi un lassismo morale verso questo comportamento senza indicarne la malvagità per la dignità umana, divenendo dunque complice della scelta del transessuale e pessimo educatore davanti al mondo.

Bisognerebbe allora far notare che queste stesse scandalizzate critiche non si levarono quando nel settembre 2007 Benedetto XVI ha ricevuto in udienza privata il dittatore sudanese Omar al-Bashir, accusato di genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra nel Darfur, avendo appoggiato politicamente e finanziariamente la pulizia etnica operata per anni dalle milizie islamiche. Le indignazioni ci furono, non arrivarono però dagli zelanti cattolici di oggi ma dall’Associazione per i popoli minacciati (AMP), che accusò Ratzinger di «rivalutare moralmente il regime genocida sudanese. La visita in Vaticano sicuramente non sarà sentita solo dai sopravvissuti al genocidio come una derisione delle vittime del genocidio cristiane e musulmane: questo è anche un segnale di forte delusione per i tanti cattolici che si impegnano in tutto il mondo per la giustizia e per la fine dell’impunità». Se Francesco oggi legittima la transessualità ricevendo un transessuale in udienza privata in Vaticano, allora per coerenza bisognerà sostenere che Benedetto XVI ha commesso qualcosa di ben più grave: ha legittimato il genocidio del Darfur ricevendo in udienza privata in Vaticano il dittatore del Sudan. Chi vuole essere coerenti nei suoi giudizi? Oppure si preferisce l’ipocrisia, attaccando uno e giustificando l’altro?

La verità è che Benedetto XVI ritenne opportuno quell’incontro come un’occasione per riportare la pace in Sudan, il Vaticano infatti si adoperò molto per porre fine alla crisi umanitaria del Darfur; mentre Francesco ha ritenuto opportuno quell’incontro come un’occasione per riportare la pace nel cuore di quel transessuale, magari inducendolo in decisioni diverse sulla sua vita. L’incontro privato tra Francesco e Diego Neria Lejarraga non legittima nulla, così come Gesù non legittimò pubblicani e peccatori quando si recò a mangiare a casa loro. Pubblicamente Francesco ha già affermato di pensarla come la Chiesa («sono figlio della Chiesa»), ha condannato l’educazione di gender (il sentirsi uomo o donna a prescindere dal dato biologico) definendola «colonizzazione ideologica» e paragonandola alle dittature fasciste e naziste. Ha quindi apertamente condannato il “peccato”, ma ha voluto incontrare privatamente il “peccatore” e la notizia sarebbe rimasta privata se non fosse stato per un quotidiano spagnolo.

Non c’è affatto contraddizione tra il gesto privato di Francesco e il contemporaneo intervento pubblico del card. Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza Episcopale Italiana contro l’ideologia di gender (era stato ricevuto in udienza dal Papa due giorni prima). D’altra parte lo stesso mons. Bagnasco somministrò la comunione a Vladimir Luxuria in occasione dei funerali di don Gallo. La Chiesa combatte l’errore ma accoglie il peccatore. Francesco ha voluto far sentire questa donna una persona umana e non uno scarto della natura, ha voluto comunicarle che la Chiesa non rifiuta mai nessuno, indipendentemente dalle scelte che si prendono nella vita. Forse le ha detto anche altro, non lo sappiamo e non sappiamo come si evolverà la sua storia personale. Quando Gesù incontrò il delinquente Zaccheo, recandosi a casa sua, creò scandalo tra il popolo, sembrò legittimare le sue azioni. Eppure fu l’occasione per Zaccheo di convertirsi e cambiare vita, donando metà dei suoi averi ai poveri. Non sarebbe accaduto nulla se Gesù lo avesse scacciato dalla città e respinto come “figlio del Demonio” (l’epiteto che avrebbe ricevuto il transessuale nella sua parrocchia, secondo il suo racconto).

Questo, ribadiamo, non significa legittimare moralmente. Francesco si è comportato esattamente come Gesù, quando incontrava pubblicani e peccatori creando scandalo pubblico. Li stava legittimando? No, faceva sentire la sua presenza, esattamente come il Suo Vicario fa oggi. «Allora gli scribi della setta dei farisei, vedendolo mangiare con i peccatori e i pubblicani, dicevano ai suoi discepoli: “Come mai egli mangia e beve in compagnia dei pubblicani e dei peccatori?”. Avendo udito questo, Gesù disse loro: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori”» (Mc 2, 13-17).

La redazione

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Corrado Augias e la religione: ossessione “laica”?

Corrado Augias Famosa è la citazione di Heinrich Böll: “Gli atei annoiano perché parlano sempre di Dio”. Descrizione sicuramente vera per i vari Odifreddi e Veronesi, ma non tanto per Corrado Augias. Il moralizzatore di “Repubblica”, infatti, non si definisce “ateo”, ma credente «in una specie di armonia universale che ci unisce tutti». Una definizione simile alle convinzioni massoniche, probabilmente inspirata dall’amicizia con Gustavo Raffi, capo della più grande e potente associazione segreta, la massoneria per l’appunto. Nessuna insinuazione, ci mancherebbe, ma si sa che gli amici condizionano.

L’ossessione per la religione, in particolare cristiana, è però un fattore misteriosamente presente anche in lui. Non c’è articolo, non c’è libro, non c’è intervista in cui il noto showman televisivo non ci spieghi la malvagità dei cristiani. Qualche tempo fa, su sollecitazione di alcuni attivisti dell’associazione fondamentalista UAAR -che in lui vedono uno dei paladini delle loro idee-, Augias ha ospitato un dibattito sul ruolo e l’utilità della religione, apprezzando la funzione sociale della fede: «la prevalente religione cattolica è stata un potente strumento per la diffusione e il mantenimento dei “buoni costumi”, fino a quando è durato», ha scritto. «Quelle religioni che Marx definiva “oppio dei popoli” possono essere ancora considerate un utile rimedio, quando il resto manca». Qualche giorno dopo, avendo scatenato le ire ateiste, ha raddoppiato: «in un paese culturalmente insufficiente come il nostro la tenuta sociale portata un tempo dalla religione non è stata rimpiazzata da una sufficiente educazione alla democrazia con i suoi diritti ma anche con i suoi doveri».

Lasciando da parte le opinioni di Augias, che non è competente sia che si schieri a favore o contro l’utilità delle religioni nella società, è interessante invece leggere quel che scrisse Thomas Jefferson, uno dei fondatori degli Stati Uniti d’America: «il sistema morale del cristianesimo è il più perfetto e sublime che sia mai stato insegnato dall’uomo ed è una religione fra tutte le altre più amica della libertà, della scienza e della più libera espansione della mente umana» (Jefferson, “Writings”, The Libray of America 1984, p. 1125). Anche Hegel era dello stesso parere: «sono già millecinquecento anni che, mediante il cristianesimo, la libertà della persona ha iniziato a fiorire ed è divenuta, in una parte peraltro piccola del genere umano, principio universale» (citato in M. Caleo, “Hegel filosofo di babilonia”, Guida 2001, p. 145). Più recentemente il celebre filosofo laico Jürgen Habermas: «l’universalismo egualitario –da cui sono derivate le idee di libertà e convivenza sociale, autonoma condotta di vita ed emancipazione, coscienza morale individuale, diritti dell’uomo e della democrazia- è una diretta eredità ebraica della giustizia e dell’etica cristiana dell’amore. Questa eredità è stata continuamente riassimilata, criticata e reinterpretata senza sostanziali trasformazioni. A tutt’oggi non disponiamo di alternative. Anche di fronte alle sfide attuale della costellazione postnazionale continuiamo ad alimentarci a questa sorgente. Tutto il resto sono chiacchiere postmoderne» (J. Habermas, “Tra scienza e fede”, Laterza 2006, p. 34).

Seppur parlando a denti stretti di “mantenimento dei buoni costumi”, come se si trattasse di una sorta di galateo sociale, Augias concorda con i celebri pensatori citati: il cristianesimo non solo ha inventato e promosso i diritti umani, la libertà degli uomini e la democrazia, ma è stato anche il collante etico-morale della società occidentale. Perché in questo caso i laicisti si sono sentiti traditi da Augias? Lo ha spiegato il filosofo laico Marcello Pera: «Mai l’Europa ebbe tanto progresso quanto ne produsse al tempo in cui consumò i misfatti dell’Olocausto, dei Lager e dei Gulag. Non è il paganesimo che fonda la democrazia. E non sono l’agnosticismo, il laicismo o l’ateismo che nutrono la libertà. Se si vogliono la pace, la convivenza, il rispetto, occorre credere nei valori da cui tutto ciò dipende. I valori del cristianesimo sono ancora il miglior antidoto alle prevaricazioni di ogni tipo, compreso quelle consumate nel nome degli stessi cristiani» (M. Pera, “Perché dobbiamo dirci cristiani”, Mondadori 2008, p.101,102).

A favore o contro Corrado Augias parla solo ossessivamente di religione. Una vera spina nel fianco per chi vorrebbe eliminarla dallo spazio pubblico.

La redazione

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