La nuova pubblicità della “Pampers”: un inno alla vita! (video)

Pampers pubblicitàRecentemente la famosa marca di pannolini Pampers ha diffuso una nuova pubblicità, un inno alla vita che ha avuto molto successo nell’associazionismo pro-life internazionale, quotidianamente impegnato nel contrastare la “cultura dello scarto”, secondo la definizione del Santo Padre.

Il filmato (qui sotto) si apre con una madre incinta che accarezza amorevolmente la sua pancia, l’ecografia mostra il bambino che si muove nel grembo e dice il suo «primo ciao». Sotto il video pubblicato su Youtube (oltre un milione di visite in soli 15 giorni) si legge: «Dalla prima ecografia alla prima coccola, ogni primo momento è significativo, non importa quanto piccolo sembri. Sia per il bambino che la mamma questo è un viaggio pieno di “primi momenti”. E non c’è niente di più gratificante che sperimentarli assieme». Rivolgendosi ai nuovi genitori Pampers mette in evidenza alcuni di questi “primi momenti”, dal suo “primo russare” al tuo primo “pianto di gioia”, dal suo primo “mamma dove sei?” al tuo primo “sono qui”.

La cosa che è piaciuta di più è che Pampers si rivolga ai bambini non ancora nati con il pronome her” (“suo di lei”) invece che con “it” (“suo di esso”, riferito agli oggetti o agli animali), come viene usato dalla militanza abortista e pro-choice per mistificare la realtà. Durante il video pubblicitario precedente a questo, invece, i bambini venivano definiti dei «miracoli» che «meritano protezione».

 

Qui sotto la bella pubblicità di Pampers

 
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La fede nell’aldilà del Neanderthal e la prova del consenso unanime

NeanderthalTra le più antiche “prove” (meglio dire “argomenti”) dell’esistenza di Dio c’è quella definita “del consenso unanime (o comune)”. Veniva utilizzata anche da latini e greci e sostanzialmente si concentra sul fatto che non esiste alcun uomo senza un “senso religioso, senza una domanda o una speranza sull’aldilà, senza quel grumo fondamentale di domande esistenziali che affratellano tutti gli uomini, senza quel bisogno di infinito, di soddisfazione infinita a cui ogni uomo, anche inconsapevolmente, anela da quando nasce.

La stessa rappresentazione di Dio non arriva dall’educazione religiosa ricevuta, come ha scritto Scott Atran, antropologo dell’Università di Oxford e direttore di ricerca in Antropologia presso il Centre National de la Recherche Scientifique di Parigi: «Le trasformazioni determinate dall’educazione religiosa ufficiale nell’immagine di Dio possono soltanto aggiungersi ad una rappresentazione di Dio già costruita. L’educazione religiosa non contribuirà in misura sostanziale alla creazione di tale immagine. Elementi come la verità e l’eternità sono già presenti nei bambini rispetto a Dio ancora prima di qualunque educazione ricevuta. Il bambino apprende alcuni specifici aspetti di Dio prima di apprendere le caratteristiche e i limiti dei suoi genitori. La rappresentazione di Dio non viene né generalizzata dalla rappresentazione genitoriale e nemmeno associata in modo particolare ad essa» (S. Atran, “In God we trust. The Evolutionary Landscape of Religion”, Oxford University 2002, p. 187).

Infatti, la “religione” (da religere, tentativo umano di unirsi a Dio) non è affatto una sovrastruttura che compare ad un certo punto nella storia umana, ma nasce assieme al primo uomo chiamato, per l’appunto, homo religiosus. Il massimo esperto in questo è senza dubbio il compianto antropologo religioso più noto al mondo, Julien Ries, il quale ha posto l’attenzione sulle prime tombe a noi note, che risalgono a 90mila anni fa. Una sua riflessione inedita è stata recentemente pubblicata nel volume “Vita ed eternità nelle grandi religioni” (Jaca Book 2014). «A partire dall’80.000, l’uomo di Neandertal moltiplica questi riti» ha osservato. La scienza mostra che dal 60.000 ci sono prove convincenti per sostenere che Neanderthal usava sepolture intenzionali e «dal 35.000, nel Paleolitico superiore, l’Homo sapiens sapiens applica un trattamento speciale al cadavere del defunto: ocra rossa, ornamenti attorno alla testa, conchiglie incastonate nelle orbite oculari, perle d’avorio disposte sul corpo. A partire dall’inizio del Neolitico ci si trova in presenza del culto dei crani conservati dai vivi. Nel V millennio sorge la dea».

Dalla simbologia escatologica dei neo-Ittiti (il grappolo d’uva e la spiga significavano che l’anima umana veniva ricevuta nel mondo del dio della tempesta), alla visione sui defunti dei Celti e degli Egizi, i popoli dell’Antico Testamento, i greci ed infine i cristiani. Insomma, «constatiamo che l’homo religiosus, dalla Preistoria fino alla nostra epoca, ha lungamente riflettuto sul suo destino finale».

Come Ries disse in un’intervista nel 2012, il fatto che i nostri più lontani antenati, quotidianamente impegnati nella lotta per la sopravvivenza, mostrarono tanta cura per i resti di un morto è perché «l’essere umano presenta una coscienza religiosa sin da quando era homo habilis, due milioni e mezzo di anni fa, e da allora l’ha sempre sviluppata attraverso i millenni. L’uomo ha avuto coscienza della vita prima di avere coscienza della morte. Il passaggio decisivo è la conquista della posizione eretta: l’uomo ha potuto alzare lo sguardo verso la volta celeste, distinguere un alto e un basso, e lì è nato un simbolo primordiale. Ha notato i movimenti del sole, della luna, degli astri, dell’intera volta celeste, e in lui la coscienza dell’infinito si è fatta strada. Le sue mani libere, non più appoggiate a terra, hanno costruito i primi utensili, e ha avuto coscienza di essere creatore. L’uomo ha avuto coscienza della vita e dolorosamente della morte come rottura della vita. Di quello che pensa che avvenga dopo la morte, le tombe sono la testimonianza: il “linguaggio” delle tombe è molto importante».

Le tombe degli uomini preistorici e degli antichi hanno senso solo nella prospettiva di una vita dopo la morte. Come ha scritto lo psicologo Giovanni Cucci, «l’uomo non è un sistema chiuso, ha bisogno di altro da sé e la realtà della società in quanto composta da altri esseri umani che non sono sistemi chiusi non può offrire questo “qualcosa al di là”» (“Esperienza religiosa e psicologia”, Ldc 2009, p.205).

Ecco perché riteniamo che questa “esigenza di altro”, realtà originale ed inestirpabile dentro di noi, è ciò che davvero ci accomuna gli uomini di tutti i tempi, rendendoci “fratelli”. La ricerca dell’Aldilà come soluzione che possa finalmente soddisfare una mancanza incolmabile che chiunque percepisce dentro di sé nell’aldiqua, forma un “consenso unanime” a tutti gli uomini. Per questo siamo inevitabilmente indirizzati a pensare ad un Creatore unico che abbia voluto lasciare questa “firma” all’interno dell’uomo perché la creatura non si dimenticasse e non si allontanasse troppo da Lui. Certo, sarebbe però una ricerca impossibile, a tentoni, se non fosse che 2000 fa ha deciso di rendersi a noi incontrabile carnalmente, entrando umilmente nel mondo in uno sperduto villaggio della Palestina. Per questo, oggi, anche noi possiamo dire a chi Lo sta cercando vagando nel buio: “Quel che adorate senza conoscere noi ve lo annunziamo” (At 17,23).

La redazione

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Papa Francesco è l’incubo di Vito Mancuso e del card. Martini

HumanaeVitaeFacevamo notare recentemente come alcuni vaticanisti abbiamo abilmente manipolato la conferenza stampa di Francesco nel viaggio di ritorno dalle Filippine. Tuttavia, era un po’ di tempo che non accadeva, che non venivano profetizzati cambiamenti epocali della dottrina, in particolare sulla presunta archiviazione dei temi etici.

Se oggi sono i giornalisti della destra conservatrice a perseguitare mediaticamente la Chiesa, con Benedetto XVI c’erano i cattolici democratici de “Il Fatto Quotidiano”, come Marco Politi (per lo meno con accuse più sofisticate). Quelli de “Il Fatto” hanno però mantenuto il vizietto della manipolazione: Elisabetta Ambrosi, ad esempio, si è domandata tempo fa: «Ma cosa hanno a vedere tutti costoro» cioè i difensori della vita, «che sulla difesa astratta dell’embrione hanno persino costruito carriere – con la Chiesa, anzi la chiesa dei poveri con la p minuscola, come scriverebbe Francesco?».

Poi però non hanno più potuto nascondere che Francesco marcia spedito contro ogni ridefinizione del matrimonio (lunedì ha ribadito ancora una volta la minaccia che arriva dall’Unione Europea e «dall’influsso di ideologie che vorrebbero introdurre elementi di destabilizzazione delle famiglie, frutto di un mal compreso senso della libertà personale»), sostiene la famiglia naturale come unico modello di stabilità sociale, proclama il diritto dei bambini di crescere con un padre e una madre, condanna aborto e eutanasia come «falsa compassione» e «peccati contro il Creatore», invita platealmente i medici a praticare l’obiezione di coscienza, si oppone alla fecondazione artificiale e a chi ritiene una «conquista scientifica “produrre” un figlio considerato come un diritto invece di accoglierlo come dono», incoraggia la Marcia per la Vita e benedice la raccolta firme “Uno di noi” a sostegno del riconoscimento giuridico dell’embrione, abbraccia il Movimento per la Vita e ringrazia il presidente Carlo Casini esprimendo «riconoscenza per tutto il lavoro che ha fatto in tanti anni», incontra in Vaticano la Manif pour tous, parla della teoria del gender come una colonizzazione ideologica, paragonandola alle dittatura fasciste e nazista. Manca soltanto che scenda in piazza con le Sentinelle in piedi.

E pensare che un anno fa il teologo Vito Mancuso ricattava Papa Francesco scrivendo: «che ne sarebbe della Chiesa se fallisse Francesco? Che cosa avverrebbe se le riforme auspicate non andassero in porto e le attese di una nuova primavera si rivelassero solo illusioni?». Infatti, per il figlio spirituale del card. Martini, il Papa avrebbe avuto in mente (“riforme auspicate”) di rivoluzionare l’insegnamento della Chiesa sulla «dottrina del matrimonio», sull’«identità sessuale e l’omosessualità, il ginepraio della bioetica da cui non si esce continuando a ripetere solo dei no soprattutto sulla fecondazione assistita, il destino degli embrioni congelati, la diagnosi degli embrioni prima dell’impianto, il principio di autodeterminazione a livello di testamento biologico». Per non parlare della «regolazione delle nascite con il clamoroso fallimento pratico e teorico dell’Humanae Vitae di Paolo VI». Se Francesco non manterrà la promessa di rivoluzionare questi temi, scriveva, allora sarà la catastrofe universale: «sarebbe la fine della luce che si è accesa nell’esistenza di tutti gli esseri umani, con Roma che tornerebbe a essere periferia del mondo». Mentre i rancorosi tradizionalisti minacciano catastrofi a destra, i progressisti minacciano catastrofi a sinistra…ecco i due fuochi da cui è colpito il Santo Padre.

Evidentemente i tempi dell’apocalisse, profetizzata da Vito Mancuso, sono giunti: infatti, non solo il Papa in questi due anni ha evidentemente smentito le ossessive illusioni mediatiche su rivoluzioni, aperture e progressismi. Ma, proprio recentemente, ha elogiato l’Humanae Vitae di Paolo VI, pesantemente criticata dal progressismo a causa della sua forte opposizione alla contraccezione (e sostegno dei metodi naturali) che Papa Montini difese nonostante gran parte dei suoi collaboratori -influenzati dal movimento sessantottino- la pensassero in modo opposto. Se per Mancuso l’“Humanae Vitae” è stata un “clamoroso fallimento”, per il card. Carlo Maria Martini fu «un grave danno» perché «molte persone si sono allontanate dalla Chiesa […] Saper ammettere i propri errori e la limitatezza delle proprie vedute di ieri è segno di grandezza d’animo e di sicurezza». Eppure, il lassismo e l’aperturismo su queste tematiche, come adottati dal mondo protestante, ha semplicemente accelerato l’allontanamento dalle chiese. D’altra parte fu Gesù stesso che invitò gli uomini ad entrare «per la porta stretta, poiché larga è la porta e spaziosa la via che mena alla perdizione» (Mt 7:13-14). Benedetto XVI, infatti, a proposito della “Humanae Vitae” spiegò che «a quarant’anni dalla sua pubblicazione quell’insegnamento non solo manifesta immutata la sua verità, ma rivela anche la lungimiranza con la quale il problema venne affrontato».

Papa Francesco si è appunto inserito nella scia del Papa emerito e ha confutato definitivamente qualunque paventata vicinanza con il pensiero del card. Martini. Il 16 gennaio scorso, infatti, ha proprio parlato della Humanae Vitae in questi termini: «Penso al Beato Paolo VI. In un momento in cui si poneva il problema della crescita demografica, ebbe il coraggio di difendere l’apertura alla vita nella famiglia. Lui conosceva le difficoltà che c’erano in ogni famiglia, per questo nella sua Enciclica era molto misericordioso verso i casi particolari, e chiese ai confessori che fossero molto misericordiosi e comprensivi con i casi particolari. Però lui guardò anche oltre: guardò i popoli della Terra, e vide questa minaccia della distruzione della famiglia per la mancanza dei figli. Paolo VI era coraggioso, era un buon pastore e mise in guardia le sue pecore dai lupi in arrivo. Che dal Cielo ci benedica questa sera». Nel marzo 2014 ne aveva già parlato, spiegando che «la sua genialità fu profetica, ebbe il coraggio di schierarsi contro la maggioranza, di difendere la disciplina morale, di esercitare un freno culturale, di opporsi al neo-malthusianesimo presente e futuro». Lo stesso ha fatto il 19 gennaio 2015 tornando dalle Filippine: «Il rifiuto di Paolo VI» alla contraccezione, «non era soltanto ai problemi personali, sui quali dirà poi ai confessori di essere misericordiosi e capire le situazioni. Ma lui guardava al neo-Malthusianismo universale che era in corso […]. Paolo VI non è stato un arretrato, un chiuso. No, è stato un profeta, che con questo ci ha detto: guardatevi dal neo-Malthusianismo che è in arrivo».

Certamente torneremo a parlarne a fine anno, quando Paolo VI sarà santificato da Papa Francesco, che ha voluto accelerare l’iter del processo. E’ solo un caso che Vito Mancuso intervenga sempre meno su questi temi?

 

Humanae vitae

 

La redazione

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Povero Odifreddi, cacciato dai matematici e dai letterati

Odifreddi convertitoEffettivamente ci stavamo domandando che fine avesse fatto l’amico integralista Piergiorgio Odifreddi, ora che “Repubblica” è diventata il bollettino parrocchiale di Papa Francesco ammettiamo la sua mancanza.

Certo, non possiamo negare che Massimo Gramellini e Curzio Maltese ci provino quotidianamente a mantenere viva la fiammella dell’anti-teismo, ma l’unico risultato è farci rimpiangere i bei tempi del matematico incontinente. Siamo dunque contenti che sia tornato per un attimo alla ribalta: nei giorni scorsi è stato infatti nominato tra i candidati alla presidenza della giuria del premio letterario Campiello.

Tuttavia, diversi intellettuali si sono indignati per la possibilità che Odifreddi potesse diventare presidente di un così celebre premio letterario, d’altra parte uno che scrive: «Saremo veramente liberi solo quando potremo sputare equamente non solo su Maometto e il Corano, ma anche su Mosè e Gesù e sulla Bibbia», non può certo essere presidente di nulla. Ed infatti è stato rimandato a casa e stizzito ha scritto un articolo sul suo blog: «non sono per nulla “stizzito”, come titola Il Corriere del Veneto: semmai, sono sollevato […] i premi letterari sono dei “covi di vipere” […] la prossima volta che qualcuno verrà a propormi di partecipare in qualunque modo a un premio letterario, sappia che allora potrei stizzirmi per davvero».

Ora che è stato escluso dice peste e corna del premio letterario, ma pochi giorni fa, saputo di essere nominato tra i candidabili, aveva addirittura diffuso un comunicato stampa di gioia per la notizia: «Sono onorato di essere stato scelto a presiedere la Giuria dei Letterati […]. Non so se già quest’anno sarà la volta buona per un vincitore matematico, ma un presidente della categoria potrebbe essere lo stimolo per qualche giovane». E’ come la volpe che, non riuscendo ad acchiappare l’uva, se ne va giustificandosi con il fatto che era troppo acerba.

Le critiche a Odifreddi si sono in particolare concentrate sul fatto che sarebbe antisemita e negazionista: ci si riferisce ad alcune sue dichiarazioni contro Israele e sul fatto che secondo lui «le camere a gas sono un’opinione». UCCR è stato l’unico a difenderlo, allora, spiegando che le innumerevoli accuse di negazionismo piovutegli addosso erano ingiuste e sbagliate. Odifreddi è semplicemente incompetente, voleva infatti solo affermare che è la scienza l’unica ad offrire la “verità” e il resto dei saperi offrono soltanto mere opinioni. Era intervenuto allora il “Festival delle scienze” a smontare il suo razionalismo scientista: «le scienze storiche, nonostante non siano solo caratterizzate da un approccio sperimentale sono da considerarsi scienze in senso stretto e le conclusioni a cui giungono hanno pari valore di quelle a cui giungono quelle sperimentali. Da questo punto di vista, tornando alle affermazioni di Odifreddi, non solo la storiografia, ma anche le testimonianze e le certificazioni giuridiche hanno dimostrato senza ombra di dubbio la drammatica verità di quella che è stata una delle più grandi tragedie della storia dell’uomo».

A proposito di Festival, per Odifreddi non è la prima volta che viene respinto: gli era già capitato nel 2009 quando a cacciarlo era stato, questa volta, il “Festival della Matematica”.

Allontanato dai letterati e dai matematici, possiamo però concedergli uno spazio qui su UCCR, se lo desidera. Sappiamo infatti che è un nostro fidato lettore, tanto che sul suo sito web ha addirittura creato una pagina dedicata tutta a noi. Dai, Piergiorgio, pensaci.

La redazione

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«Da donna sto con mons. Ravasi: chirurgia estetica è falsa libertà»

Conferenza stampa vaticano donnePrima di leggere la coraggiosa presa di posizione della giornalista Maria Latella occorre contestualizzare: ieri si è svolta in Vaticano la conferenza stampa del Pontificio Consiglio della Cultura per l’assemblea plenaria convocata dal 4 al 7 febbraio intitolata Le culture femminili: uguaglianza e diversità. Diversi quotidiani tra cui “Repubblica” (tre articoli: qui, qui e qui), “Il Corriere”, “Il Messaggero” e, sopratutto, “Il Giornale”, hanno approfittato per riproporre il cliché del “Vaticano contro la libertà delle donne” manipolando uno scambio di battute sulla chirurgia estetica avvenuto tra mons. Gianfranco Ravasi, presidente del dicastero, e l’attrice Nancy Brilli (testimonial dell’evento).

In un’intervista l’attrice Nancy Brilli ha preso le distanze dalla piccola polemica che è nata, elogiando il card. Ravasi e spiegando che il concetto di “burqa di carne”, usato per criticare la chirurgia estetica, «era una definizione di Barbara Alberti, tra gli autori del mio spettacolo Sette, di quattro anni fa», aggiungendo però che «non si deve giudicare se i ritocchi sono il frutto di una libera scelta». Oltre al fatto che tutti i comportamenti vanno giudicati (ovvero vagliati dalla ragione), la questione è proprio riflettere se questa sia una “libera scelta”, per questo riprendiamo qui sotto l’intervento controcorrente della Latella, che ha il pregio di riflettere sul vero messaggio che si vuole veicolare non cadendo nella pretestuosità e nei pregiudizi sempre in agguato.

 
 
di Maria Latella*
*editorialista de “Il Messaggero” e conduttrice di Sky TG 24

da “Il Messaggero”, 03/02/15
 

Ci avete fatto caso? Di colpo del ruolo delle donne in Italia non sembra più importare niente a nessuno. Nemmeno alle donne, si direbbe, visto il pacioso silenzio con il quale hanno ruminato e digerito la loro irrilevanza nel toto Quirinale. Non sono mai davvero entrate in partita. Quanto al governo, al momento le ministre sono rimaste in sei, essendo migrata a Bruxelles Federica Mogherini e in Calabria Lanzetta. La prima è stata sostituita dal ministro Gentiloni. La seconda, si vedrà.

A qualcuno, invece, interessa ancora indagare su dove stanno andando, cosa pensano, cosa fanno le donne. L’argomento interessa in Vaticano. Al punto da organizzare una seria sessione di studio dedicata alle culture femminili. Al punto da sollevare un tema importante, davvero fondamentale: è vera libertà quella che oggi le donne pensano di avere? Il cardinale Gianfranco Ravasi è andato dritto al punto e nella prima giornata, dedicata al tema dell’uguaglianza e della differenza, ha parlato del “burqa di carne”. La prigione alla quale donne di ogni latitudine e di ogni età si offrono, lietamente inconsapevoli. «Voglio le labbra di Belen, il seno di Anna Falchi, i glutei di Aida Yespica». E via col bisturi. Poi si sentono libere. Libere da cosa?

Da fine intellettuale qual è, monsignor Ravasi non giunge a conclusioni ultimative e coltiva la preziosa compagnia del dubbio. L’argomento è posto in forma di domanda: non sarà che le donne si stanno sottoponendo a un nuovo “giogo culturale”, quello “del modello femminile unico”, con il cervello che a 18 anni è già direzionato sul modello «delle donne usate nella pubblicità e nella comunicazione di massa?». Monsignor Ravasi si dice impressionato «dall’altissimo numero di teen ager che chiedono per il compleanno un seno nuovo». In verità fa impressione soprattutto la normalità della richiesta, la rassegnata accettazione dei genitori, quando non addirittura l’entusiastica partecipazione di padri e madri all’idea di ritrovarsi con una figlia nuova di zecca, bella come quelle della tv. Giorni fa, si è letto di un padre finito in tribunale perché avrebbe costretto le figlie a rigide diete. «Siete grasse», era il suo mantra. Lui nega e magari le cose non stanno come le hanno raccontate, ma già il fatto che un giudice debba occuparsi dell’ossessione del nostro tempo – dietro l’adesione al canone unico della bellezza per tutti – dà l’idea di quanto monsignor Ravasi abbia fatto centro col tema scelto nella prima delle giornate del Pontificio Consiglio per la Cultura.

Purtroppo, per un monsignor Ravasi che ha il coraggio di parlarne, ci sono decine di falsi o confusi libertari pronti a impugnare «il diritto a cambiare se stessi se è questo che si vuole». A volte è la risposta di chi difende un business. Più spesso è quella di chi vorrebbe donne condizionate. Il modello unico della bellezza riporta a cuccia e infatti viene ossessivamente scandito negli show televisivi dove una girl vale l’altra, tanto le piallano e le gonfiano in modo che sia impossibile distinguerle. E se provi a dissentire, immediata sarà la replica «in nome della libertà», a maggior gloria «del sentirsi meglio con se stessi» o – ecco l’arma finale dei semplici o dei furbi – col trionfante «che male c’è? La bocca (il seno, il gluteo) sono suoi». Così infatti ha risposto la brava Nancy Brilli, l’attrice che monsignor Ravasi ha chiamato a testimonial, o esperta, nel convegno. Nancy Brilli, compagna di un chirurgo estetico, ha giustamente difeso il diritto alla chirurgia che qui, sia chiaro, nessuno mette in discussione. L’ha difeso ma, a mio avviso, senza vedere, o senza voler vedere, quel che c’era sotto il velo sollevato da Ravasi. Sotto quel velo ci sono le nuove generazioni di donne (e di uomini) che a 18 anni sognano solo di cambiare labbra per uniformarsi a una (o uno) che a loro volta si sono modificati per essere

più telegenici (e infatti quei volti, normali sullo schermo, per strada si rivelano mostruosi). Sotto il velo sollevato da monsignor Ravasi c’è lo stupore spaventato di un’umanità che sceglie di concentrarsi sul corpo perché non ha più la forza, e la voglia, di guardarsi dentro. No, Nancy Brilli ha equivocato: non era la chirurgia estetica il tema al centro della riflessione della giornata sulle culture femminili. Monsignor Ravasi puntava oltre e più in alto. Davvero le donne si accontenteranno del diritto a labbra siliconate? Nei Paesi dove il burqa di stoffa è obbligatorio, quello di carne è libero. Le donne possono rifarsi naso, occhi, seni. Nessuno proibisce loro “quel” diritto. Ma gli altri no. Quelli devono scordarseli.

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«L’amore gay è più forte»: ma la scienza dice il contrario

Premiazione dei vincitori del concorso Enel 'Energia in corso'Nel dicembre scorso è tornata a far notizia una dichiarazione di Umberto Veronesi, noto oncologo italiano. Questa volta, al contrario delle precedenti, non ha invitato le persone depresse a suicidarsi, non ha definito i malati in stato vegetativo dei “morti viventi”, non ha chiesto di legalizzare il doping e non ha nemmeno annunciato di sentirsi ermafrodita.

Ha però auspicato di voler essere ricordato come «uno che ha contributo a migliorare la qualità della vita delle donne». Ricordiamo però che la donna a lui più vicina, la moglie Sultana Ranzon Veronesi, rivelando i tradimenti sessuali del marito (mentre lui sosteneva che «l’etica laica è mille volte superiore all’etica religiosa»), ha scritto: «Per dieci, quindici anni mi era stato tenuto nascosto questo adulterio. Non tolleravo la sua vista, le sue parole, le sue scuse infantili. Mi sembrava di non poter più sopportare le attese snervanti, i sotterfugi, le scuse, le bugie, le umiliazioni fuori e dentro le mura domestiche» (da “Il cuore, se potesse pensare“, Rizzoli 2013)

Oltre a questo esempio di “qualità della vita”, Veronesi ha anche dichiarato: «L’amore tra due persone dello stesso sesso è un amore più forte perché non è strumentale alla procreazione. Non ha interessi di tipo sessuale-procreativo». Nessuno mette in dubbio i sentimenti, ma perché fare a gara su quale sia l’amore migliore? Perché i bambini sarebbero un disegno strumentale delle coppie fertili? Il motivo è che tale esaltazione dell’amore gay serviva nel suo discorso per poi sostenere il matrimonio e l’adozione da parte di persone dello stesso sesso, ed infatti ha continuato esponendosi a loro favore.

Non si è accorto, Veronesi, che affermando che l’amore gay è diverso dall’amore tra un uomo e una donna -perché quest’ultimo è naturalmente orientato alla procreazione-, ha dimostrato la grande differenza tra le coppie omosessuali e quelle eterosessuali? E, secondo la Costituzione italiana (sent. n. 111 del 1981) il principio di eguaglianza «non può essere invocato quando trattasi di situazioni intrinsecamente eterogenee» (sent. n. 171 del 1982) e  «quando si tratti di situazioni che, pur derivanti da basi comuni, differiscano tra loro per aspetti distintivi particolari» (sent. n. 100 del 1976). Grazie a Veronesi, dunque, si è una volta in più capito che le coppie differenti da quelle per cui è previsto il matrimonio costituzionale non possono essere uguagliate a queste ultime, proprio in quanto differiscono per aspetti distintivi particolari.

Quando poi si invoca l’adozione per persone dello stesso sesso sulla base del fatto che l’amore dei genitori omosessuali sarebbe più puro, allora bisognerebbe riportare quanto dice la letteratura scientifica in merito. Come abbiamo già notato, la mole di studi sulla “resistenza” dell’amore gay (Veronesi parla di “amore più forte”) sono numerosi ed indicano una realtà diversa e ben sintetizzata in queste parole del  sociologo dell’Università di Chicago, Edward Laumann«i cittadini gay trascorrono la maggior parte della loro vita adulta in relazioni transitorie o impegni a breve termine, della durata di meno di sei mesi» (Adrian Brune, “City Gays Skip Long-term Relationships: Study Says”, Washington Blade 27/2/04). Citiamo qualche esempio: nei Paesi Bassi uno studio condotto ha scoperto che la durata media di una coppia omosessuale “stabile” è di 1,5 anni; nel 2004 il “Gay/Lesbian Consumer Online Census” ha rilevato che la “relazione stabile” del 40% degli omosessuali durava da meno di 10 anni e solo per il 5% durava da oltre venti anni (“Largest Gay Study Examines 2004 Relationships” GayWire Latest Breaking Releases); uno studio norvegese ha inoltre mostrato che, rispetto agli eterosessuali, le persone gay hanno avuto un numero significativamente maggiore di partner sessuali (di conseguenza i loro rapporti sono stati più transitori)

Nel 2012 uno studio dell’Università di Stoccolma ha rilevato che in Svezia e Norvegia (paesi gay-friendly) i matrimoni gay hanno il 50% di probabilità in più di finire in divorzio rispetto a quelli eterosessuali, mentre le coppie di lesbiche sposate presentano un rischio del 167% in più. L’alta instabilità delle relazioni omosessuali, in particolare tra due donne, è stata rilevata da numerosi altri studi, come Blumstein & Schwartz (1983); Rothblum, Balsam & Mickey (2004); Rothblum & Factor (2001); Schneider  (1986). In Francia, dopo sei mesi di matrimonio omosessuale legalizzato, c’è già la prima coppia divorziata.

Niente contro nessuno, ovviamente, tanto meno contro i sentimenti. Ma tutta questa presunta fortezza e stabilità delle coppie omosessuali di cui parla Veronesi è tutt’altro che verificata. Se si vuole sostenere il matrimonio tra persone dello stesso sesso bisognerebbe usare argomenti più convincenti, andando anche oltre al “vietato vietare” e al “loveislove”.

La redazione

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Il premio Nobel Charles Townes: «credo in Dio anche grazie alla scienza»

Charles TownesIl fisico americano Charles Townes, vincitore del premio Nobel nel 1964 per l’invenzione che portò alla realizzazione del laser, è morto pochi giorni fa all’età di 99 anni. L’annuncio è stato dato dall’Università della California a Berkeley, in cui Townes era professore emerito in fisica.

E’ stato uno dei pionieri nel campo dell’astronomia a infrarossi, insieme a un team di colleghi fu il primo a scoprire molecole complesse nello spazio ed è accreditato per aver determinato la massa di un buco nero supermassivo al centro della Via Lattea. Il celebre fisico è inserito nel nostro dossier in cui abbiamo riportato le citazioni dei più grandi scienziati sul legame tra scienza e fede. Il prof. Townes, membro della Pontificia Accademia delle Scienze, è stato sempre molto interessato alla metafisica, tanto da affermare: «Credo fermamente nell’esistenza di Dio, basandomi sull’intuizione, sulle osservazioni, sulla logica, e anche sulla conoscenza scientifica» (C.H. Townes, “A letter to the compiler T. Dimitrov”, 24/05/2002).

Nessuna dicotomia dunque, la sua stessa persona impegnata nella fede cristiana e nella carriera scientifica, coronata dalla vincita del premio Nobel, dimostra che non vi può essere alcun conflitto. Ricevendo nel 2005 il Premio Templeton rispose al suo amico (ateo) fisico Steve Weinberg, noto per la frase: “Quanto più l’universo diventa comprensibile più appare inutile”. «Devo dirvi innanzitutto che Steve Weinberg mi ha fatto i complimenti per questo premio. Noi dobbiamo prendere le decisioni in base ad un giudizio, certo, ma abbiamo anche qualche prova per rispondere. Credo, ad esempio, che il riconoscimento che questo universo è così appositamente progettato sia una di queste. Questo è un universo molto particolare e dev’esserci stato un fine». Tra le altre cose, il prof. Townes ha anche citato il successo della preghiera: «Vi sono infatti altre prove pertinenti come gli effetti della preghiera. E la risposta, almeno in alcuni esperimenti, è che la preghiera sembra avere effettivamente effetti positivi. Dobbiamo guardare in generale e trarre conclusioni meglio che possiamo. Steve Weinberg ha un giudizio facile, ha detto che tutto è accidentale e senza scopo. Io ho un diverso tipo di giudizio».

In un’altra occasione scrisse, «la scienza, con i suoi esperimenti e la logica, cerca di capire l’ordine o la struttura dell’universo. La religione, con la sua ispirazione e riflessione teologica, cerca di capire lo scopo o significato dell’universo. Queste due strade sono correlate. Io sono un fisico. Anch’io mi considero un cristiano. Mentre cerco di capire la natura del nostro universo in questi due modi di pensare, vedo molti elementi comuni tra scienza e religione. Sembra logico che a lungo i due potranno anche convergere» (C.H. Townes, “Logic and Uncertainties in Science and Religion”, in Proceedings of the Preparatory Session 12-14 November 1999 and the Jubilee Plenary Session 10-13 November 2000).

Come spesso ha ripetuto uno dei più noti fisici italiani, Antonino Zichichi, la stessa scienza avanza e si basa su un atto di fede: «La religione, con la sua riflessione teologica, si basa sulla fede. Ma anche la scienza si basa sulla fede», scrisse ancora C. Townes. «Come? Per il successo scientifico dobbiamo avere fede che l’universo sia governato da leggi affidabili e, inoltre, che queste leggi possano essere scoperte dall’indagine umana. La logica della ricerca umana è affidabile solo se la natura è di per sé logica. La scienza funziona attraverso la fede nella logica umana, che può nel lungo periodo comprendere le leggi della natura. Questa è la fede della ragione […]. Noi scienziati lavoriamo sulla base di un assunto fondamentale per quanto riguarda la ragione nella natura e la ragione nella mente umana, un presupposto che si svolge come un principio cardine della fede. Tuttavia, questa fede è così automatica e generalmente accettata che difficilmente la riconosciamo come una base essenziale per la scienza» (C.H. Townes, “Logic and Uncertainties in Science and Religion”, in Proceedings of the Preparatory Session 12-14 November 1999 and the Jubilee Plenary Session 10-13 November 2000).

Quello del celebre fisico non era il Dio lontano e indifferente di Albert Einstein e dei deisti, ma l’Uomo incarnatosi 2000 anni fa: «Come una persona religiosa, sento fortemente la presenza e le azioni di un Essere ben al di là di me stesso, eppure sempre personale e vicino» (citato in S. Begley, “Science found God”, Newsweek Vol. CXXXII, No. 4, 27/7/1998, pag. 44-49).

La redazione

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Violenze sessuali e donna-oggetto? E’ la rivoluzione dei costumi…

Rivoluzione sessualeL’articolo del novembre scorso pubblicato su “American Spectator” dal suo direttore, R. Emmett Tyrrell, riteniamo sia una lucida analisi della conferma che quella sessantottina fu una allucinazione di massa. La rivoluzione sessuale che ne scaturì produsse un’infinità di sofferenza a uomini e, sopratutto, donne, deresponsabilizzò la sessualità creando e amplificando il fenomeno della pornografia, delle violenze sessuali, delle separazioni (e in seguito dei divorzi), delle malattie sessualmente trasmissibili, della visione del corpo della donna come oggetto pubblicitario.

Sopratutto è la causa della crisi della famiglia, della cellula della società come ha spiegato Papa Francesco: «La crisi della famiglia deriva da una cultura del provvisorio, in cui sempre più persone rinunciano al matrimonio come impegno pubblico. Questa rivoluzione nei costumi e nella morale ha spesso sventolato la “bandiera della libertà”, ma in realtà ha portato devastazione spirituale e materiale a innumerevoli esseri umani, specialmente ai più vulnerabili». Oggi raccogliamo i frutti della rivoluzione del “vietato vietare”.

 
di R. Emmett Tyrrell*
*fondatore e direttore di “American Spectator”

da American Spectator, 26/11/14
 

E’ così che sta finendo la rivoluzione sessuale. Non con l’utopia della felicità orgasmica per tutti, ma con un gruppo di donne infuriate, spesso settantenni e con nipoti, che ricordano le violenze sessuali subite cinquant’anni fa da Bill Cosby.

Sta finendo con la University of Virginia che sospende le fratellanze e le sorellanze per via degli eccessi libidinosi fra studenti. Nello specifico si parla di un gruppo di stupratori costituitosi all’interno della “Phi Kappa Psi”, università della Pennsylvania. L’istituto non commenta. E’ questo ormai il modo in cui le università trattano le violenze sessuali. Le tacciono, non le considerano.

Le violenze di Bill Cosby e quelle che accadono a scuola sono sulle prime pagine dei giornali. Storie diverse, stesso fallimento. Le utopie sessuali circolano ancora: si parla del diritto alla soddisfazione, sin dalle elementari si insegna l’innocenza del sesso e del controllo delle nascite. Poi si va al college e si trovano però lezioni e counseling sugli stupri. Improvvisamente il sesso non è più divertimento.

Era tutto sbagliato? E’ possibile che la moralità giochi un ruolo importante nel sesso? E’ un discorso vecchio, fuori moda già negli anni Sessanta, quando iniziò la rivoluzione sessuale. Bill Cosby ne fu parte: si sposò con la sua attuale moglie nel 1964, rito cattolico, ma frequentava le feste di Hugh Hefner e il quartier generale di “Playboy”. Se la spassava con le conigliette e le starlette e lo ammetteva pubblicamente.

Ora c’è una sfilza di donne , all’epoca aspiranti attrici e autrici al primo barlume di indipendenza, che raccontano di essere state drogate e violentate da lui, dalla rivoluzione sessuale al 2005. Evidentemente il sesso con Bill non era così innocente come volevano farci sembrare. Qualsiasi sia il giudizio finale su di lui, il coro di donne infuriate per gli abusi e i campus dove il sesso è più rampante dell’apprendimento, ci fanno capire che la rivoluzione sessuale è finita.

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Il cattolicesimo vincerà la sfida del secolarismo? La tesi di un sociologo…

Guerra santa e santa alleanzaAbbiamo dunque un nuovo Capo dello Stato, Sergio Mattarella. Molti opinionisti stanno riflettendo sulla sua biografia, c’è chi esulta perché finalmente c’è «un cattolico al Colle dopo Scalfaro» mentre alcuni esponenti politici di destra si lamentano per il ritorno del “catto-comunismo”, a causa del passato del presidente nella leadership dell’Azione Cattolica (AC) e della militanza nella sinistra italiana (che, si sa, pullula di “cattolici adulti”).

Certo, numerosi leader di AC hanno poi rinunciato a Gesù Cristo e alla fede cattolica per idolatrare Che Guevara e la fede comunista, come Umberto Eco e Furio Colombo, ma Mattarella è rimasto un «buon cattolico», come dicono alla parrocchia che ha frequentato fino a ieri. I fatti daranno ragione o torto. Non si capisce comunque perché i cattolici debbano militare compatti in un unico partito o un’area politica, non è molto meglio che le “forze” siano presenti ovunque nella scena politica, così da promuovere meglio i valori della dottrina sociale della Chiesa e frenare le derive laiciste di ogni partito?

Anche perché, essere cattolici non è affatto una garanzia, tale si dice pure il “rosso” Ignazio Marino che da sempre combatte la visione della Chiesa sui temi etici (e non solo), così come dice di esserlo il giornalista (ex) berlusconiano Antonio Socci che usa le visioni di una veggente per avanzare dubbi sulla Chiesa «dei due Papi» (quella di Benedetto XVI e di Francesco). Come ha spiegato mons. Nunzio Galantino, segretario della Cei, «non è il fatto di appartenere alle associazioni cattoliche che conta, spero che ci siano altre motivazioni che fanno di un nome la persona attesa. L’unico criterio è che sia capace di aiutare governanti e italiani a sintonizzarsi sulla realtà, senza diversivi».

In ogni caso la fede (cattolica) è tornata al centro della vita pubblica e politica. Interessante a questo proposito la tesi del sociologo e politologo Manlio Graziano, docente di Geopolitica alla American Graduate School di Parigi, alla Sorbona e alla Skema Business School, contenuta nel libro “Guerra santa e santa alleanza” (Il Mulino 2015). Secondo lui il secolarismo è sulla via del tramonto, ma non perché l’Islam dominerà in Europa ma perché prevede una «riscossa della Chiesa cattolica» su scala mondiale.

«Negli anni Sessanta gli intellettuali laici erano convinti che la fede in Dio stesse scomparendo», ha spiegato oggi al “Corriere della Sera”. Era un abbaglio, anche perché in questo periodo di crisi mondiale la fede «offre un riferimento identitario. La vita sociale non si può fondare solo sulla ricerca del profitto: la fede diventa così un correttivo rispetto all’individualismo esasperato». A beneficiarne, secondo lo studioso, sarà appunto la Chiesa cattolica perché «mi sembra la più attrezzata per approfittare delle opportunità offerte dal deperimento dello Stato», contando anche sulla volontà di instaurare una «”santa alleanza” fra tutte le grandi religioni per far arretrare il secolarismo e riportare la fede al centro della vita pubblica, contro chi vorrebbe ridurla ad un fatto privato».

I dati, dice, lo confermano: «Se si guarda su scala globale, dal 1978 al 2012 i seminaristi sono raddoppiati e anche i sacerdoti sono aumentati, sia pure non di molto, mentre i diaconi da meno di 8mila a 41mila. E in diversi Paesi, persino in Gran Bretagna, si registra una crescita della pratica religiosa cattolica. Non bisogna confondere l’Europa con il mondo». Guardando alla laicissima Francia, inoltre, «i vescovi non sono riusciti a bloccare le nozze gay, ma contro la legge hanno portato in piazza folle che nessun partito o sindacato riuscirebbe a smuovere. E hanno assunto una posizione egemonica nel consiglio dei responsabili di culto, che riunisce esponenti di tutte le confessioni ed è diventato interlocutore del Parlamento. Lo stesso Bergoglio ha smorzato i toni sulla bioetica, ma ha rilanciato lo spirito missionario che consente ai cattolici di fronteggiare la concorrenza dei gruppi evangelici in America Latina».

La tesi in generale andrebbe presa con le pinze, i dati che ha citato sono veritieri ma altre affermazioni sono inesatte. Francesco non ha affatto smorzato i toni sulla bioetica (lo ricordavamo ieri sintetizzando i suoi numerosi interventi), ha semplicemente contestualizzato i pronunciamenti affiancando all’urgenza dei temi etici anche i temi della povertà, della missionarietà e dell’ecologia, includendo il tutto nella grande opposizione alla “cultura dello scarto”, che vorrebbe negare la centralità della persona umana. Un altro errore del prof. Graziano è l’affermazione che in India la Corte suprema avrebbe ripristinato le sanzioni penali per gli omosessuali «con il plauso dei cattolici». Proprio su UCCR avevamo invece citato l’intervento del card. Oswald Gracias, presidente della Conferenza episcopale indiana, contro questa decisione, ricordando che «la Chiesa cattolica si oppone alla legalizzazione dei matrimoni gay, ma insegna che gli omosessuali hanno la stessa dignità di ogni essere umano».

Certo, è indubbio che la Chiesa cattolica -e i suoi pontefici- sia da decenni l’unica autorità morali universalmente riconosciuta e il cattolicesimo l’unica confessione diffusa più capillarmente nel pianeta (al contrario dell’ebraismo e delle religioni orientali), che non ha problemi con la modernità (al contrario dell’Islam) né con la scienza (al contrario del protestantesimo). Ma, sopratutto, ha la capacità di unire fede e ragione, «dando ragioni della speranza» (1Pt, 3,15), della verità, della felicità e della bellezza che propone agli uomini, sfidando così apertamente -sul suo stesso campo-, la secolarizzazione edonista, scientista e laicista e la conseguente mentalità individualista e illuminista. Ecco, forse è questo che rende la Chiesa «meglio attrezzata» al confronto con la realtà odierna, anche se ovviamente non comporterà alcuna “conversione di massa”. Non dimentichiamo la domanda-profezia Gesù: «Quando il Figlio dell’uomo ritornerà, troverà ancora la fede sulla terra?» (Lc 18, 8).

La redazione

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Grazie all’8×1000 una Chiesa povera per i poveri

Missionaria in AfricaGrazie alla quota di 8xmille che ogni anno la Conferenza episcopale italiana destina agli aiuti al terzo mondo, nel 2013 sono stati stanziati 85 milioni di euro per interventi umanitari. La stessa cifra del 2014. Alcuni esempi: progetti per scuole di formazione professionale in Madagascar, reinserimento sociale dei giovani a rischio in Angola, sostegno alle famiglie dei malati di aids in India, sostegno ai bimbi autistici in Libano.

Ne dà notizia l’Ufficio Comunicazioni sociali della Cei, in particolare «sono stati così suddivisi: 4 milioni e 333.202 euro per 44 progetti in Africa; un milione e 671.769 euro per 17 progetti in Asia; un milione e 575.962 euro per 14 progetti in America Latina; e in fine un milione e 102.694 per 3 progetti in Medio Oriente; infine 67.370 euro per un progetto in Europa».

Ma sono migliaia le attività di carità che la Chiesa svolge anche in Italia, citiamo i casi apparsi sui media: aiuto nell’amministrare tasse e pensioni; oltre un milione ricavato dalle pergamene con la firma del Papa destinato a tutti coloro che chiedono aiuto alla Santa Sede (di qualunque religione o credo) a cui vengono inviate dalle 100€ alle 500€; un milione di euro (sempre prelevati dall’8×1000) come prima risposta all’alluvione che ha recentemente colpito le Marche; tre docce installate sotto il colonnato di San Pietro destinate ai senza tetto che bazzicano nei dintorni della basilica, gesto subito imitato da una decina di parrocchie romane; proprio nei giorni scorsi l’Elemosiniere del Papa ha attivato anche la “barberia” per i poveri.

A Milano il finanziamento dell’attività del Fondo famiglia lavoro, strumento con cui vengono aiutate le famiglie in difficoltà grazie alla messa all’asta dei regali ricevuti dal card. Angelo Scola; sempre a Milano la ristrutturazione a spese della Curia di cento alloggi popolari; il finanziamento da parte della diocesi di Carpi di quotidiani online, bar, ristoranti, piccole imprese tessili e 30 progetti imprenditoriali per far “ripartire” l’Emilia dopo il terremoto che l’ha colpita; a Venezia il pranzo di Natale offerto dalla diocesi a 200 poveri ecc.

Inutile fare l’infinito elenco di quello che ogni giorno fa la Chiesa cattolica ed è inutile a ricordare a tutti l’importanza di destinare l’8×1000 alla Chiesa cattolica, l’unica istituzione sufficientemente radicata sul territorio che garantisce l’utilizzo di questi fondi nel migliore dei modi. Le risposte alle solite critiche sulla scelta di ripartizione dei fondi non solo pretestuose (ad esse abbiamo già risposto), ma sono nemiche di tutte le persone che la Chiesa ogni giorno aiuta.

“Come vorrei una Chiesa povera per i poveri”, ha affermato Papa Francesco pochi giorni dopo essere state eletto. I media non hanno capito, la Chiesa povera -in senso cristiano- non è quella materialmente povera ma spiritualmente povera, ovvero capace di aiutare gli altri vivendo la povertà spirituale, cioè non restando attaccata al denaro trasformato in idolo ma investendolo nella carità. Come ha spiegato il card. Piero Parolin, segretario di Stato Vaticano: «a che servirebbe una Chiesa magari più austera, ma che non impegnasse i suoi membri a lavorare giorno per giorno, nella concretezza delle situazioni, per restituire ai poveri, e ancor di più ai miseri e ai dannati della terra, la loro dignità -anche economica- di cittadini del mondo che vivono del loro lavoro?». Tanto che Papa Francesco ha ricordato«Il Vangelo si rivolge indistintamente ai poveri e ai ricchi. E parla sia di povertà che di ricchezza. Non condanna affatto i ricchi, semmai le ricchezze quando diventano oggetti idolatrati. Il dio denaro, il vitello d’oro».

La redazione

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