La morte di Giordano Bruno? Brutto episodio, ma smontiamo la leggenda anticlericale

Giordano BrunIl 17 febbraio scorso alcuni hanno celebrato l’anniversario della morte sul rogo di Giordano Bruno in piazza Campo de’ Fiori, un episodio (si veda Sergio Luzzato, già noto per le sue crociate contro il crocifisso appeso ai muri dei luoghi pubblici) che sarebbe l’emblema della tirannia della Chiesa sul libero pensiero.

Eppure chi ha studiato per quasi quarant’anni le carte del processo, come il celebre e laicissimo storico Luigi Firpo, filosofo del diritto e della morale, ha spiegato che questa lettura degli eventi è storicamente infondata. La vicenda di Bruno fa parte della retorica anticlericale da parecchio tempo ma è molto più complessa per essere liquidata secondo i facili schemi ideologici, senza contestualizzare i fatti nell’intricato groviglio di problematiche storiche, politiche, teologiche, filosofiche, scientifiche, epistemologiche, giuridiche di allora.

Nel suo famoso libro, “Il processo di Giordano Bruno” (Edizioni Scientifiche Italiane, 1949) lo storico Firpo ha innanzitutto smontato la leggenda di un Giordano Bruno filosofo e razionale, spiegando che in realtà era affascinato dall’«arte del successo, dall’oscuro fascino che avvince le anime e le fa strumenti del dominatore, fidava nei segreti di un’arte magica capace di operare sulle coscienze piegandole alla propria volontà, sentiva inoltre che la grande fede poteva trascinare l’inerzia della materia e del senso e compiere miracoli. Studiando e professando fervidamente in quegli anni l’arte divinatoria e magica, accostandosi con invincibile curiosità alla un tempo disprezzata astrologia, egli crede di procacciarsi gli strumenti del dominio» (p. 8). L’obiettivo di Bruno era sovvertire il Pontefice all’arte magica e rifondare il cristianesimo nominandosi nuovo profeta, tanto che Firpo parla dell’«immaturità stessa del Bruno all’impresa, quella sua cieca fede in arti occulte di cui non aveva la minima esperienza, la sua stessa condizione di straniero, ignoto se non sospetto, palesemente inadeguato a dare l’avvio a sì gran flusso di eventi. Ma sopratutto l’intima debolezza del proposito, tanto fervido quanto indeterminato, fluttuante fra l’estremismo della “setta di Giordanisti”, nuova religione naturalistica che avrebbe avuto nel Nolano il suo profeta-legislatore, ed un assai più moderato disegno di riforma interiore del Cristianesimo» (p. 8).

Per questo motivo ritornò in Italia nell’agosto del 1591, ma venne denunciato dal suo amico Giovanni Mocenigo. Nel 1591 iniziò il processo che si concluderà nel 1593 con un sostanziale “non luogo a procedere”. A seguito di nuove denunce e testimonianze vi fu una seconda fase del processo, che durò dal 1593 fino al rifiuto della ritrattazione e all’esecuzione capitale nel febbraio del 1600. Firpo descrive anche il periodo trascorso nel carcere dell’Inquisizione durante il processo, dove venne trattato con tutto rispetto: «letto e tavola, con lenzuola, tovaglie e asciugamani da mutarsi due volte la settimana, veniva di sovente condotto davanti la Congregazione per riferire in merito alle sue necessità materiali, aveva comodità di barbiere, bagno, lavanderia e rammendatura, provvista di capi di vestiario, vitto non scadente e financo il vino» (p. 29). Al contrario di quanto scrive qualcuno, in nessuna occasione venne torturato.

Dopo diversi interrogatori vennero confermate le accuse di eresia mossegli dai testimoni chiamati a deporre, tuttavia più volte si tentò di archiviare il processo invitando l’accusato a respingere semplicemente tali accuse. Come ha spiegato Firpo «la sua risposta avrebbe avuto valore decisivo nella risoluzione della causa, poiché, non essendo egli relapsus, l’impenitenza lo votava a quella morte certa, che l’abiura escludeva in modo altrettanto sicuro: le otto proposizioni significavano l’aut aut fra il rogo ed una detenzione di non molti anni» (p. 68). Si evidenzia anche che l’intervento nel processo del card. Roberto Bellarmino (santificato dalla Chiesa) è circondato da «una specie di leggenda» tanto da che «fu assunto dalla storiografia ottocentesca a simbolo della reazione intransigente e fanatica contro l’araldo dei nuovi tempi». Purtroppo, ha proseguito lo storico, «nessuno si è curato di render ragione a un apologeta del santo Cardinale, che aveva giustamente rilevata la data assai tarda del suo ingresso nella Congregazione rispetto alla lunga vicenda del processo bruniano» (p. 68), oltretutto cercando anche lui di salvare l’accusato.

Tuttavia Bruno – definito «dogmatico e intransigente, commisto di orgoglio sprezzante, litigiosità, volgarità, volubile mutevolezza», (p. 87) -non solo non volle approfittare delle tante occasioni offertegli di ritrattazione e respingimento delle accuse, ma aggravò volontariamente la sua situazione giustificando l’irriverenza verso il Pontefice, «le orrende bestemmie, i gesti insultanti, le affermazioni perturbatrici del sentimento cristiano delle anime pie», gli insulti a Cristo («ingannatore e mago, e che a buon diritto fu impiccato», disse, p. 79) ai cristiani e alla loro fede. Nel dicembre 1595 «il consesso operò un estremo tentativo ed impose ai due più autorevoli confratelli del Nolano, il generale Beccaria e il procuratore Isaresi, di recarsi nella cella dell’ostinato per convincerlo, mostrargli i suoi errori, chiarirgli le enunciazioni ch’egli avrebbe dovuto abiurare, indurlo a penitenza» ma «Giordano respinse ogni raccomandazione» (p. 77), convalidando così «la massa ingente delle testimonianze» (p. 79). Bruno venne consegnato al braccio secolare e al Governatore di Roma, comunque sempre accompagnato da «visite quotidiane di teologi e confortatori» (p. 80).

In conclusione lo storico laico critica la leggenda nera creatasi attorno a Giordano Bruno, «le belle favole degli eroi, costruzioni siffatte si reggono solo fin quando il fermo dato analitico non sopravviene a dissipare l’alone poetico e v’è financo il pericolo, quando ciò accade, che anche l’intima verità che s’era vestita di quei colori leggendari venga frettolosamente negletta» (p. 81). I dati storici hanno anche smentito «in maniera apparentemente inoppugnabile il mito del Bruno “eroe del pensiero”». «E’ tempo ormai», scrisse ancora, «che la lunga polemica sul suo nome si plachi e ch’egli non sia più idolo di ottuse venerazioni né vittima di avvelenate calunnie». Ricordando anche: «il processo fu condotto secondo il rispetto della più stretta legalità, senza acredine preconcetta, semmai con accenni di tollerante comprensione per l’eccezionale personalità dell’inquisito. Fare del caso del Bruno un punto di partenza per mettere sotto inchiesta l’istituto complesso dell’Inquisizione implicherebbe un capovolgimento del problema talmente arbitrario da pregiudicare ogni ragionevole soluzione, basti riconoscere alla Chiesa facoltà di legiferare nel suo campo con sanzioni che rispondono alle concezioni ed agli usi dei tempi, constatare la situazione veramente drammatica della cattolicità nell’ultimo decennio del ‘500».

Nonostante questo concordiamo con Firpo sul fatto che «Bruno rimane la vittima di una intolleranza» ed infatti nel febbraio 2000 il segretario di Stato Vaticano, Angelo Sodano, ha parlato di «triste episodio della storia cristiana moderna», di Bruno «sembra acquisito che il cammino del suo pensiero, svoltosi nel contesto di un’esistenza piuttosto movimentata e sullo sfondo di una cristianità purtroppo divisa, lo abbia condotto a scelte intellettuali che progressivamente si rivelarono, su alcuni punti decisivi, incompatibili con la dottrina cristiana». «Resta il fatto che i membri del Tribunale dell’Inquisizione lo processarono con i metodi di coazione allora comuni, pronunciando un verdetto che, in conformità al diritto dell’epoca, fu inevitabilmente foriero di una morte atroce. Non sta a noi esprimere giudizi sulla coscienza di quanti furono implicati in questa vicenda. Quanto emerge storicamente ci dà motivo di ritenere che i giudici del pensatore fossero animati dal desiderio di servire la verità e promuovere il bene comune, facendo anche il possibile per salvargli la vita. Oggettivamente, tuttavia, alcuni aspetti di quelle procedure e, in particolare, il loro esito violento per mano del potere civile non possono non costituire oggi per la Chiesa – in questo come in tutti gli analoghi casi – un motivo di profondo rammarico. Il Concilio ci ha opportunamente ricordato che la verità “non si impone che in forza della verità stessa” (Dignitatis humanae 1). Essa va perciò testimoniata nell’assoluto rispetto della coscienza e della dignità di ciascuna persona».

La redazione 

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Genitori gay? Maggiori problemi emotivi, nuovo studio

GenitoriUna nuova ricerca pubblicata sul “British Journal of Education, Società & Behavioral Science” è oggetto di discussione da parte dell’opinione pubblica americana, si intitola “Emotional Problems among Children with Same-Sex Parents: Difference by Definition” (ovvero “Problemi emotivi tra i bambini cresciuti con genitori dello stesso sesso: difference per definizione”).

Si tratta di uno studio peer-review (che ha dunque soddisfatto il livello di attendibilità e scientificità, così come attestato da revisori esterni e specialisti nel settore in seguito a controlli incrociati e senza conoscere l’autore), realizzato dal sociologo americano Paul Sullins, docente presso la Catholic University of America. A chi volesse obiettare che l’autore è “di parte” perché lavora in una Università cattolica bisognerebbe ricordare che tale ateneo è ritenuto uno dei migliori college americani da parte della Princeton Review, che l’indagine scientifica non si basa sul principio di autorità e il ricercatore -anche se interessato all’argomento (sarebbe strano il contario, in realtà)- pubblica dati e offre un’interpretazione di essi, rimettendosi al giudizio e alla valutazione dei revisori esterni, cosa che è stata fatta dal prof. Sullins. Ricordiamo inoltre ai prevedibili critici che molti studi sulla “non differenza” tra bambini cresciuti con coppie omosessuali e con madre e padre (studi comunque confutati da Loren Marks nel luglio 2012) sono stati realizzati dalla prof.essa Charlotte Patterson, notoriamente lesbica, convivente e attivista LGBT, nonché principale ricercatrice dell’American Psychological Association.

Entrando nel merito della nuova indagine, occorre innanzitutto sottolineare che si basa un campione più ampio rispetto a quelli di qualsiasi altro precedente studio: 512 bambini con “genitori” dello stesso sesso. Analizzando i dati tratti dal Interview Survey National Health, il ricercatore ha rilevato che i «problemi emotivi [sono] maggiori per i bambini con genitori dello stesso sesso rispetto a quelli con genitori di sesso opposto addirittura con una incidenza più che doppia». Si parla di comportamenti scorretti, preoccupazioni, depressione, rapporti difficili con i coetanei e incapacità di concentrarsi. I genitori di sesso opposto, invece, riescono a fornire un ambiente migliore dove vivere e crescere: «La filiazione biologica distingue fortemente ed in modo univoco i risultati tra bambini che vivono con genitori di sesso opposto e quelli che vivono con genitori dello stesso sesso», si legge. Infatti, «il vantaggio principale del matrimonio per i bambini non può essere il fatto di presentargli genitori migliori (più stabili, finanziariamente benestanti, ecc), ma di presentargli i “propri genitori».

La tabella qui sotto riassume i risultati rilevati (l’abbiamo tradotta parzialmente in italiano), si evince che per la maggior parte delle misure psicometriche valutate i bambini con genitori dello stesso sesso mostrano più problematiche rispetto ai bambini di genitori di sesso opposto.

table3

I risultati sono stati «chiari, statisticamente significativi e di sostanziale entità» anche dopo il controllo per età, sesso, razza, istruzione e reddito. Secondo il National Health Interview Survey” i problemi emotivi sono 1,8-2,1 volte più probabili in questi bambini rispetto a quelli cresciuti in una coppia di sesso opposto, come è più probabile che ricevano servizi di formazione speciale (41%), consultino un medico generico per la salute mentale (47%) o vadano in cura da un professionista della salute mentale (58%).

Secondo molti attivisti Lgbt i problemi di questi bambini deriverebbero dall’essere vittime di bullismo omofobo da parte dei loro coetanei. Certamente l’esperienza del rifiuto dei pari è fortemente associato a problematiche emotive, ma i dati rilevano che i figli di genitori dello stesso sesso non hanno più probabilità di essere presi di mira e bullismo. Anzi, secondo un’altra tabella contenuta nell’indagine «contrariamente a quanto presupposto in questa ipotesi, i bambini con genitori di sesso opposto sono più spesso vittime di bullismo rispetto a quelli con genitori dello stesso sesso, anche se la differenza è entro il margine di errore». Occorre anche considerare che la maggior parte dei figli di genitori dello stesso sesso nel campione utilizzato (ben 512 bambini!) ha una connessione biologica ad almeno uno dei genitori, e tuttavia presenta una situazione più difficoltosa anche rispetto ai bambini che vivono con genitori singole e conviventi non sposati.

La conclusione è che «l’ipotesi della non-differenza tra questi bambini dovrebbe essere respinta», oltretutto «altri studi recenti hanno trovato a loro volta degli svantaggi tra i bambini cresciuti con genitori dello stesso sesso». Il più recente è quello del dicembre 2013 e realizzato da Douglas W. Allen, docente alla Simon Fraser University, il quale basandosi sui dati del censimento canadese del 2006 ha rilevato che i bambini cresciuti da coppie gay e lesbiche presentano maggiori difficoltà scolastiche e soltanto il 65% di probabilità di ottenere il diploma di scuola superiore rispetto ai bambini cresciuti in famiglie naturali. Tutti gli altri studi sul tema, che formano una imponente mole di letteratura scientifica, sono stati raccolti nel nostro apposito dossier.

La redazione</p”>

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John Lennon il pacifista, ma picchiava il figlio e tradiva la moglie

John LennonSe l’oncologo Umberto Veronesi sosteneva che «l’etica laica è migliore di quella religiosa» e contemporaneamente tradiva e umiliava la moglie, «fuori e dentro le mura domestiche» (come ha scritto la donna nel libro “Il cuore, se potesse pensare“, Rizzoli 2013), il cantante John Lennon invocava un pacifismo laicista sperando in un mondo «senza religione», senza la violenza della religione. Poi però, da laico, tornava a casa, picchiava il figlio, consumava droghe e tradiva la moglie.

Sono infatti spuntate le carte della causa di divorzio con la prima moglie, Cyinthia, redatte nel 1968 dagli avvocati di lei e basato sulla testimonianza di una collaboratrice domestica, Dorothy Jarlett, che viveva in casa della coppia, un’abitazione piena di «bustine di marijuana sparse qua e là».

Lo ha confermato lo stesso figlio, Julian: «Parlava e cantava d’amore, ma a me non ne ha mai dato», ha affermato. Fu «un cattivo padre. Ed io non riesco a diventarlo per colpa sua. La parte più oscura del mio carattere mi viene decisamente da papà. Quando divento troppo aggressivo, so che è la sua eredita». D’altra parte lo stesso Lennon dichiarò pubblicamente nel 1980 che «Julian fu un figlio non previsto. Che venne fuori da una bottiglia di whisky». Una ferita profonda lo lacerò quando lesse queste parole, racconta oggi Julian.

Non sorprende molto che gli idoli delle masse non sappiano poi mantenere le promesse («Gli idoli delle genti hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono, hanno orecchi e non odono» Salmo 114,5), bisognerebbe sempre riflettere e dubitare sui simboli di pace, di giustizia, di bontà che il mondo ci propone e, se possibile, evitare sempre di uniformarsi, di conformarsi al pensiero unico.

Eppure anche John ebbe modo di ritrovarsi, come abbiamo già raccontato. Qualche mese prima di morire assassinato rilasciò infatti un’intervista dicendo: «La gente ha sempre avuto l’immagine che io fossi un anti-Cristo o un antireligioso. Ma io non lo sono. Oggi sono un uomo più religioso. Sono cresciuto cristiano e solo ora capisco alcune delle cose che Cristo diceva attraverso le parabole». La sua compagna Yoko Ono reagì infatti male, come riporta il critico musicale Julián Ruiz in un articolo su “El Mundo”.

Ella nascose per 30 anni l’ultima canzone di Lennon, intitolata “Help me to help myself” (registrata un mese prima di morire) perché era la confessione del fatto che «in quei giorni Lennon si era avvicinato a Cristo e voleva frequentare la Chiesa».

La redazione

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Darwin Day 2015, intervista al prof. Galleni: «possiamo ancora chiamarlo Creatore»

Darwin Day 2015Ben pochi sanno che il 12 febbraio scorso si è festeggiato in tutto il mondo il Darwin Day, ovvero la commemorazione della nascita del celebre naturalista. Purtroppo è una festa attesa sopratutto dal mondo anti-teista in quanto ancora convinto che la teoria dell’evoluzione possa sostenere le loro istanze contro Dio e contro i credenti. Non è un caso che quasi tutte le iniziative italiane siano organizzate e svolte nei piccoli circoli regionali dell’Unione Atei Agnostici Razionalisti.

Due anni fa la questione era molto più sentita e UCCR aveva celebrato a suo modo il Darwin Day intervistando una decina di scienziati e studiosi ed evoluzionisti, mostrando attraverso le loro parole che non c’è alcuna dicotomia tra scienza e fede e tra Darwin e Dio. Gli intervistati sono stati: Luigi Borzacchini, matematico dell’Università di Bari; Fiorenzo Facchini, antropologo dell’Università di Bologna; Massimo Piattelli Palmarini, cognitivista dell’Università dell’Arizona; Laura Boella, filosofa dell’Università di Milano; Gerald L. Schroeder, fisico del College of Jewish Studies Aish HaTorah’s Discovery Seminar; Mariano Bizzarri, biochimico dell’Università “La Sapienza” di Roma; Paolo Tortora, biochimico dell’Università di Milano Bicocca; William Daniel Phillips, premio Nobel e fisico del “National Institute of Standards and Technology” e Ludovico Galleni, zoologo dell’Università di Pisa.

 

Quest’anno abbiamo voluto tornare ad interrogare proprio il prof. Ludovico Galleni, docente di Zoologia generale ed Etica Ambientale presso la Facoltà di Agraria dell’Università di Pisa, autore assieme al teologo Francesco Brancato di un recente libro intitolato L’atomo sperduto. Il posto dell’uomo nell’universo (San Paolo Edizioni 2014). Ecco la nostra intervista al prof. Galleni, che ci ha regalato una profonda riflessione scientifica e teologica:

“Prof. Galleni, nel suo ultimo libro ha riflettuto assieme al teologo Brancato sulla posizione dell’uomo nella storia dell’evoluzione. Secondo lei la teoria di Darwin ha davvero ridotto la grandezza e misteriosità dell’essere umano, come sostiene qualche teorico laicista? Si può ancora parlare di irriducibilità (anche ontologica) dell’uomo rispetto agli altri animali?”
L’evento storico evoluzione è il dato scientifico che ci interessa. Darwin, non dimentichiamolo, propone solo dei meccanismi per spiegare l’evoluzione. E il dato storico della trasformazione nel tempo dei viventi, non sminuisce affatto l‘Uomo che è pur sempre il risultato ultimo di leggi naturali descrivibili e anzi ne innalza l’acume scientifico per aver compreso questi aspetti. E, d’altra parte, come scrive poco dopo l’uscita dell’Origine delle specie Filippo De Filippi, primo darwinista italiano e buon cattolico, non è molto meglio pensare che Dio ponga l’anima in un essere che è la ricapitolazione di tutta la creazione anziché in un pezzo di impuro fango? Non mi piacciono i termini definitivi tipo irriducibilità, ma vi è una diversità qualitativa tra l’Uomo e i viventi cioè la capacità di agire per fini ultimi e questo anche è sottolineato da De Filippi.

D’altra parte la scoperta più interessante di questi ultimi due anni è la figura di Julia Wedgwood, la nipote di Darwin figlia del fratello della moglie Emma. Julia è una delle più acute menti della chiesa d’Inghilterra e mostra come le donne di casa Darwin fossero persone di grande intelligenza che cercavano di evitare che il lato maschile della famiglia non dicesse troppe sciocchezze in campi che non conosceva quali proprio la teologia. Julia subito dopo l’uscita dell’“Origine delle specie” scrive due articoli in cui pone in chiaro i problemi. Dio può essere chiamato ancora con il nome di Creatore: l’origine delle specie e la selezione naturale interessano pur sempre le cause seconde, ma vista la drammaticità dei meccanismi, può essere ancora chiamato Padre? E qui la soluzione è estremamente importante ed è legata alla drammaticità della condizione umana ma anche alla cristologia: poteva Dio incarnarsi in un essere che non fosse anche la sintesi della faticosità della condizione umana e anche della drammaticità della sua azione aperta al bene ma anche proprio perché è la libertà la caratteristica della condizione umana, aperta anche al male?

Ma Julia fa un ulteriore passo avanti e divide i campi: il passato può essere descritto dalla scienza, ma non si può pensare al futuro dell’uomo senza una prospettiva di trascendenza, quindi l’aspetto religioso è fondamentale per guardare al futuro. E questa, aggiungiamo noi, è la peculiare novità dell’uomo: comprendere la presenza nell’Universo della proposta dell’alleanza per muovere verso una nuova terra dove abbia stabile dimora la giustizia. Grande mente quella di Julia Wedgwood, oggi finalmente riscoperta. Ma questa è la peculiarità dell’Uomo: il fatto che Abramo venga e riconosca che esiste un Dio personale esterno Un importante scienziato pisano dopo Galileo, scienziato di religione ebraica, Silvano Arieti, il più importante psicanalista della seconda metà del secolo ventesimo, ci ricorda come in fondo Abramo sia il primo uomo moderno colui che rompe gli idoli e riconosce l’esistenza di un Dio personale che chiama all’alleanza. Abramo è comunque il riferimento di un popolo che proclama che l’alleanza esiste e questo è un dato fenomelogicamente ineludibile e la presenza del popolo di Abramo non è assolutamente messa in discussione dalle ipotesi sull’evoluzione, ma, anzi, pone un ulteriore punto di arrivo: dopo la nascita della mente ecco che la mente scopre l’alleanza. È ancora il progetto verso il futuro che richiede l’interazione tra Dio e l’Uomo e l’alleanza. E su questo tutto il lavoro dell’evoluzione trova la sua conferma più brillante perché l’evoluzione riprendendo Teilhard de Chardin muove verso la complessità e la coscienza e muove verso Abramo e l’Alleanza per costruire la Terra del futuro.

 

“Qualche mese fa Papa Francesco ha affermato: “L’evoluzione nella natura non contrasta con la nozione di Creazione, perché l’evoluzione presuppone la creazione degli esseri che si evolvono. Per quanto riguarda l’uomo, invece, vi è un cambiamento e una novità”. Cosa ne pensa di questa affermazione?”
Papa Francesco ci ha riportato alla freschezza del Concilio e non ripete formule stanche, ma ci mostra una Chiesa che guarda in avanti con speranza: non più una Chiesa che guarda indietro a un progetto ormai superato ma una Chiesa che guarda al futuro, vero popolo di Dio in cammino verso l’alleanza. E la sua continua sottolineatura della giustizia chiarisce bene dove deve portare l’alleanza, a quei cieli nuovi e a quelle terre nuove dove, come diceva Julia Wedgwood, avrà stabile dimora la giustizia. Quindi l’evoluzione ci porta ad un universo la cui caratteristica è il nuovo non prevedibile e in cui si esplica la libera azione dell’Uomo ma in un processo e un progetto di trascendenza che deve costruire la Terra per la seconda venuta di Cristo. E, come ci ricorda l’apocalisse, questa costruzione deve avvenire grazie alle opere dei giusti. E bene fa Papa Francesco a sottolineare i due punti chiave: la giustizia e i diritti dell’Uomo che valgono ovunque come valori universali, attraverso la testimonianza e l’attuazione attiva di questi valori ecco che costruiremo la Terra, nella prospettiva teilhardiana perché l’umanità sia pronta a convergere verso il punto Omega, il momento della seconda venuta di Cristo. Ed ecco il punto finale del lungo cammino dell’evoluzione. Ma la Terra va costruita senza fughe dal mondo e senza ripiegamenti in un passato che non tornerà più ma nel progetto dell’alleanza che apre al futuro. Questa è la novità che compare con l’essere pensante nell’economia dell’Universo: la capacità di progettare il futuro nell’alleanza compresa e realizzata.

La redazione

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La cultura della vita avanza, ecco le recenti vittorie

March for Life WideOltre 500.000 persone hanno partecipato nel gennaio scorso a Washington alla Marcia per la Vita, data simbolica della sentenza “Roe contro Wade” che impose alla Costituzione nazionale l’obbligo di prevedere l’aborto volontario. Papa Francesco si è unito ai manifestanti tramite un “tweet”: «Every Life is a Gift» (“Ogni vita è un dono”).

Un enorme successo spiegato anche dal fatto che la popolazione americana è sempre più contraria all’aborto, lo ha rivelato un recente sondaggio Gallup: gli americani sono più insoddisfatti che mai verso la legge perché la vorrebbero meno permissiva e con maggiori limitazioni.

Occorre ricordare che il parlamento americano è ormai guidato dai Repubblicani, che hanno la difesa della vita tra i loro valori (per alcuni è ideologia, per altri è un principio reale). E’ stato infatti appena approvato alla Camera dei Rappresentanti un provvedimento, caldeggiato da esponenti di entrambi gli schieramenti politici, che intende escludere il finanziamento pubblico dell’aborto e togliere la segretezza nei piani assicurativi al fine di garantire una assoluta trasparenza in tema di copertura dei costi per i servizi abortivi.

Sempre in America, in Colorado, è stato invece bocciato un progetto di legge sul suicidio assistito. Ma le buone notizie arrivano anche dall’Italia, il Consiglio di Stato ha infatti sospeso l’efficacia di un provvedimento della Regione Lazio che obbliga gli obiettori di coscienza dei consultori a rilasciare il certificato per l’aborto. Per finire, in Irlanda la camera bassa del Parlamento irlandese ha respinto, a larga maggioranza di voti, un disegno di legge per autorizzare l’ aborto nei casi di anomalie fetali e in pericolo di vita. Il primo ministro Enda Kenny ha preso la parola prima del voto illustrando come i disegno di legge fosse incostituzionale. Dopo il voto, ha invece ribadito che non permetterà in alcun modo che il Paese venga scosso dall’aborto.

La redazione

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Il segretario di Ratzinger: «chi dubita di Papa Francesco ha poco senso della Chiesa»

Francesco, Benedetto e mons GeorgDalla casa di Benedetto XVI -il monastero “Mater Ecclesiae” in Vaticano dove il Papa emerito ha scelto di abitare dopo la rinuncia al pontificato-, arrivano altre prese di distanza dal fenomeno antipapista e antibergoglio generato in una parte del tradizionalismo (-ismo, è sempre un’ideologia, come progress-ismo) cattolico in nome di una sentimentale nostalgia del pontificato ratzingeriano.

Addirittura dubitano della rinuncia di Benedetto XVI e della validità dell’elezione di Papa Francesco. Ma perché accade questo? E’ forse mancanza di senso della Chiesa?, ha chiesto recentemente l’intervistatore Gian Guido Vecchi a mons. Georg Gänswein, segretario personale di Ratzinger, che condivide ogni pomeriggio con lui da quando è avvenuta l’abdicazione nel febbraio 2013. «Sì, i dubbi sulla rinuncia e l’elezione nascono da questo», la risposta. E’ chiaro che si riferisca anche al giornalista Antonio Socci, autore di un intero libro su questo, e a diversi altri intellettuali. Loro si dicono “cristiani amanti della verità” ma oggi vengono definiti dal segretario personale di Benedetto XVI persone con «poco senso della Chiesa».

Rispetto alla rinuncia del Papa emerito, ad esempio, il giornalista Socci teorizza un «attacco occulto» contro Benedetto XVI nei suoi articoli su “Libero”, ma mons. Georg risponde: «Benedetto stesso ha detto di aver preso la sua decisione in modo libero, senza alcuna pressione. E ha assicurato “reverenza e obbedienza” al nuovo Papa. Benedetto XVI è convinto che la decisione presa e comunicata sia quella giusta. Non ne dubita», ha proseguito il segretario personale di Ratzinger. «È serenissimo e certo di questo: la sua decisione era necessaria, presa “dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio”. La consapevolezza che le forze del corpo e dell’animo venivano meno, di dover guardare non alla propria persona ma al bene della Chiesa. Le ragioni sono nella sua declaratio. La Chiesa ha bisogno di un timoniere forte. Tutte le altre considerazioni e ipotesi sono sbagliate». E’ stato «un grandissimo atto di governo della Chiesa».

Invece Antonio Socci scrive l’opposto, ovvero che quella di Benedetto XVI «non sarebbe una vera rinuncia al papato, ma al solo esercizio attivo. Tesi che trova conferma nella decisione di Ratzinger di restare “papa emerito”». Mons. George a questa obiezione aveva già risposto in passato: «Ritengo che sia una sciocchezza teologica e anche logica. Il testo della rinuncia di Benedetto XVI, pronunciato l’11 febbraio 2013 nella Sala del Concistoro, è inequivocabilmente chiaro. Non c’è niente da “interpretare”. Alla rinuncia seguiva la Sede vacante, poi il Conclave e alla fine l’elezione del nuovo Papa. Il Papa legittimo si chiama Francesco». E oggi lo conferma anche Geraldina Boni, ordinario di Diritto Canonico dell’Università di Bologna, che sta per pubblicare un volume in merito: «Tale tesi è, secondo me, assolutamente non condivisibile: le distinzioni avanzate sono del tutto prive di fondamento. Benedetto XVI ha agito validamente e lecitamente rinunciando al munus-officium di papa. Quello che non ha deposto – né era nelle sue facoltà: il potere pontificio non è illimitato ma fluisce entro gli argini segnati dallo ius divinum – è, semmai, il munus ricevuto sacramentalmente con la consacrazione episcopale, come qualunque altro vescovo. Non ci sono due titolari del munus petrinum, tesi insostenibile, oltre che francamente aberrante e pericolosa».

Tornando alla recente intervista a mons. Georg, il segretario di Ratzinger ha criticato anche chi dubita della validità dell’elezione di Francesco: «Non si possono fondare ipotesi su cose che non sono vere, totalmente assurde». C’è chi afferma che Francesco stia contraddicendo il suo predecessore, accusandolo da alcuni addirittura di eresia e di contrapposizione volontaria alla dottrina cattolica, una visione lontanissima da quanto si pensa in casa Ratzinger: «Benedetto e Francesco sono diversi, talvolta molto diversi, i modi di espressione. Ma li accomuna la sostanza, il contenuto, il depositum fidei da annunciare, da promuovere e da difendere».

Chi segue il nostro sito web sa bene che non è la prima volta che mons. Georg interviene delegittimato i giornalisti anti-Bergoglio, che tentano di usare Benedetto XVI per criticare il pontificato di Francesco: «Come contrasto si costruisce una opposizione che non esiste», ha detto un mese fa. «Non conosco dichiarazioni dottrinali di Francesco che siano contrarie a quelle del suo predecessore. Questo sarebbe assurdo […]. Non ci stati circoli tradizionalisti che hanno fatto questo tentativo, eccetto i rappresentanti dell’Alleanza teologica e alcuni giornalisti. Parlare di un antipapa è semplicemente sciocco, e allo stesso tempo irresponsabile. Va nella direzione di provocare un incendio nel dibattito teologico». C’è infatti un ottimo rapporto tra Benedetto XVI e Francesco, «si parlano, si scrivono, si telefonano» ha rivelato ancora mons. Georg. Proprio in questi giorni Francesco ha invitato Benedetto a partecipare al Concistoro ordinario per la creazione di 20 nuovi cardinali. Lo stesso Papa emerito ha scritto: «Io sono grato di poter essere legato da una grande identità di vedute e da un’amicizia di cuore a Papa Francesco. Io oggi vedo come mio unico e ultimo compito sostenere il suo Pontificato nella preghiera» (lettera confermata da lui stesso). Evidentemente, dunque, chi critica il pontificato di Francesco sta facendo un torto anche a Benedetto XVI.

 

Ma, recentemente, anche un altro idolo del tradizionalismo -suo malgrado- ha preso le distanze dai tradizionalisti, si tratta del ratzingeriano card. Gerhard Müller, prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede, che Antonio Socci definisce «difensore della retta dottrina cattolica e del popolo di Dio».

Bene, in un articolo sull’Osservatore Romano del 7 febbraio, Müller ha anch’egli sottolineato la continuità tra i due Papi: «Benedetto XVI ha parlato della necessità di una Ent-Weltlichung della Chiesa, cioè di una sua liberazione da forme di mondanità. Papa Francesco ha decisamente continuato questo pensiero parlando della Chiesa povera e per i poveri», ricordando che «solo nella fede riusciamo a capire che il Papa e i vescovi godono di una potestà sacramentale e mediatrice della salvezza che ci collega con Dio». E ancora: «La Chiesa è il corpo di Cristo, è guidata e rappresentata dal collegio dei vescovi cum et sub Petro. Il Papa, rendendo visibile l’unità e l’indivisibilità dell’episcopato e della Chiesa intera, presiede nel contempo alla Chiesa locale di Roma».

Ha quindi concluso il “difensore della retta dottrina cattolica”, secondo la definizione di Socci: «Papa Francesco sta perseguendo una spirituale purificazione del tempio, nello stesso tempo dolorosa e liberatrice, allo scopo di far risplendere nella Chiesa la gloria di Dio, luce di tutti gli uomini. Ricordando allora, come i discepoli del Signore, la parola della Scrittura “lo zelo per la tua casa mi divora” (Giovanni, 2, 17), comprenderemo l’obiettivo della riforma della Curia e della Chiesa».

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Per il card. Bertone nessun “super attico” e nemmeno “cene regali”

Tarcisio BertoneIl 28 aprile scorso abbiamo pubblicato la lettera che il cardinale Tarcisio Bertone, ex segretario di Stato Vaticano, ha inviato ai media dopo essere stato oggetto di una forsennata campagna di diffamazione per il famoso “super attico” in cui avrebbe voluto andare ad abitare. Nella lettera spiegava che l’appartamento non era così grande come si era scritto, è spazioso come sono le residenze negli antichi palazzi del Vaticano, tanto che aveva ricevuto solidarietà da Papa Francesco.

Recentemente la vaticanista-femminista Franca Giansoldati de “Il Messaggero” -già nominata regina della disinformazione in altre occasioni, quando ha manipolato i discorsi di Papa Francesco- lo aveva riportato al centro della gogna mediatica sostenendo che per il suo ottantesimo compleanno avrebbe organizzato un «party regale a base di tartufo d’Alba, roba per raffinati intenditori, innaffiato da vini piemontesi di gran pregio. Il tutto molto poco francescano, molto poco in linea con l’indirizzo di sobrietà richiesto da Papa Bergoglio».

Torniamo a parlarne ancora oggi perché siamo convinti che chi ha preso di mira il card. Bertone intenda colpire, in realtà, Benedetto XVI. In questi giorni, infatti, l’ex segretario di Stato ha concesso un’intervista all’“Huffington Post”, mostrando il suo appartamento al giornalista Andrea Purgatori: «c’è questa terrazza che per mesi è stata immaginata come parte del buon ritiro dell’ex Segretario di Stato: appartamento di lusso da 700 metri quadrati con vista sulla Città del Vaticano», scrive il giornalista. «Ma la terrazza è “condominiale”, e la superfetazione fotografata e pubblicata dai giornali è adibita a servizi per tutto il palazzo, senza accesso diretto dall’abitazione di Bertone». Il cronista prosegue la descrizione: «Il condominio somiglia a tanti del quartiere Prati. E la casa di Bertone, la famosa casa dello scandalo, a occhio non supera i 300 metri quadrati, comprese due stanzette adibite a segreteria, un salotto, un lungo corridoio, una cappella privata, la camera da letto, la cucina, i servizi e un terrazzino pieno di limoni, ulivi e gelsomini».

Insomma, scandaloso soltanto per chi è pregiudizialmente prevenuto. Senza contare che il terrazzo «nonostante quello che hanno detto e scritto, non mi appartiene, è a disposizione di tutti gli inquilini del palazzo», conferma l’ex arcivescovo di Genova. Come mai dunque questo accanimento? «In otto anni di incarico come Segretario di Stato ho esercitato le mie funzioni in perfetta sintonia con il Papa ma ho preso provvedimenti, avviato procedure, riformato uffici e effettuato nomine che hanno comportato scelte di avanzamento o esclusione di persone. E questo può avere scontentato qualcuno. Ma c’è stato anche un certo accanimento», spiega.

In molti hanno parlato di un’inimicizia con Papa Francesco, ma non è così: «Intanto mi ha tenuto come Segretario di Stato per sette mesi, fitti di udienze e biglietti, annotazioni, telefonate… ormai tutti sanno che ha questa abitudine di prendere il telefono e chiamare: mi serve questo, cerchi quella cosa, valuti se questo candidato va bene. Insomma, è stata una consultazione continua e fraterna». Poi è arrivato l’avvicendamento: «Ci siamo incontrati, parlati, abbiamo deciso le modalità, tutto. Anche se i giornali scrivono: Bertone è stato cacciato via di qua, cacciato via di là […]. Mi ha confermato per due anni come membro della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli che si occupa di tutti i territori di missione nel mondo. Quindi non direi proprio che mi abbia cacciato via».

Oltretutto, racconta ancora, «quando c’è stato il primo attacco su questo appartamento lui mi ha telefonato e mi ha detto: guardi che io non ho nulla in contrario che lei vada ad abitare al terzo piano di Palazzo San Carlo. Che poi bisognerebbe dire che qui nel Palazzo c’era un progetto preesistente e non mio, per una costruzione sul terrazzo». Un’abitazione concordata proprio con Francesco: «nel colloquio che abbiamo avuto mi ha anche detto: sopra non costruiamo più niente, però facciamo aggiustare il pavimento del terrazzo perché ci piove dentro. E ironia della sorte purtroppo ci piove ancora, proprio nella mia stanza da letto (sorride). Figuriamoci se avrei fatto di testa mia. Le posso garantire che le stanze sono molto meno grandi di quelle di altri palazzi del Vaticano. Il Papa è stato informato di tutto, anche del piccolo ufficio adibito a segreteria. Mi ha detto: va benissimo e poi la segreteria le spetta, visto che deve scrivere le memorie perché lei è stato testimone di tre pontificati».

Il card. Bertone, da sempre uomo di fiducia di Benedetto XVI, ha voluto anche esprimere un giudizio sulla continuità dei due pontificati: «è bene ricordare che il problema dell’invito all’accompagnamento degli omosessuali nella Chiesa era già presente nel documento della Congregazione per la dottrina della fede del cardinale Ratzinger, che ora Papa Francesco riprende e sviluppa con maggiore impatto mediatico. E anche sulla questione dei divorziati c’era già un invito all’accompagnamento pastorale, sia nel magistero che nella prassi delle diocesi, che alcuni non hanno recepito».

Ed infine ha parlato del famoso “party regale” di cui ha scritto la Giansoldati: «Le dico solo che era una cena organizzata dall’associazione degli alpini di Vercelli, miei ex diocesani, senza vini doc e senza tartufi ma con un’ottima tartufata, una specie di millefoglie con sopra una spruzzatina di cioccolata. Non mi sembra un lusso eccessivo per celebrare gli ottant’anni. Lei che ne dice?».

La redazione

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Se il presidente cinese comincia davvero a temere l’ondata cristiana…

Cattolici CinaDa tempo su questo sito web raccontiamo dell’incredibile fenomeno di conversione al cristianesimo che si sta svolgendo nella Cina comunista, recentemente abbiamo spiegato che la Russia, l’Est Europa e la Cina saranno le prossime capitali del cristianesimo, così come è stato mostrato da uno studio e affermato da Fenggang Yang, professore di sociologia alla Purdue University.

E’ stato riportato in questi giorni su “Repubblica” che il presidente cinese Xi Jinping comincia a temere l’ondata cristiana dato che «entro quindici anni sarà la Nazione con il maggior numero di cattolici e protestanti al mondo: 250 milioni». E’ vero che per molti la conversione cristiana è spesso un’esibizione di snobismo, o una forma di opposizione meno pericolosa al regime, ma «il Paese simbolo dell’ateismo di Stato», si legge ancora sul quotidiano di largo Fochetti, «uscito solo alla fine degli anni Ottanta dalle persecuzioni anti-religiose di Mao Zedong, teme la rinascita della fede». In sei decenni, nonostante l’ostilità politica, i cattolici sono ufficialmente triplicati, passando da 3 a 9 milioni, il doppio rispetto alla crescita demografica nazionale. Mentre Pechino torna a dichiarare guerra alle “credenze straniere”, la Chiesa sommersa rivela che i cattolici cinesi potrebbero in realtà già sfiorare i 20 milioni.

La leadership rossa ha seguito la visita di papa Francesco, il quale ha ottenuto il permesso di sorvolare la Cina e ha inviato la sua benedizione al popolo cinese, ma la prospettiva di una cristianizzazione cinese pone ostacoli nuovi a un dialogo che il Vaticano considera oggi decisivo. A fine gennaio l’Amministrazione statale per gli affari religiosi, che per conto del partito controlla ogni aspetto dei culti riconosciuti, si è detta pronta a consacrare nuovi vescovi, senza l’autorizzazione pontificia, lo strappo di Xi Jinping si legge nel tentativo di rallentare il più possibile la conversione dei cinesi al cristianesimo, per poterla controllare.

Tanto che Pechino ha iniziato a rilanciare buddismo e confucianesimo quali «fedi tradizionali e patriottiche», ha ordinato ai funzionari locali di «arginare i culti importati dall’Occidente» e di «promuovere invece le più controllabili tradizioni culturali cinesi», sta ricostruendo i monasteri buddisti distrutti dalle Guardie rosse di Mao, trasformando la città natale di Confucio nella meta obbligata di pellegrinaggi di Stato e avvallando l’abbattimento delle chiese e la demolizione delle croci. Un documento riservato del politburo osserva che «un partito con 80 milioni di iscritti può essere messo in difficoltà da una Chiesa occidentale con 250 milioni di fedeli» e che in autunno i cattolici sono stati i più attivi sostenitori della rivolta pro-democratica degli studenti a Hong Kong.

Chi parla della crisi del cristianesimo commette l’errore di confondere il mondo con l’Europa, in realtà il cristianesimo -ed in particolare il cattolicesimo- è l’unica religione in continua espansione (anche l’islam, ma con dati differenti), anche se al di fuori dell’Europa.

La redazione

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Il matematico Aczel: «l’attacco dei Neoatei è scientificamente sbagliato»

Amir AczelQualche mese fa abbiamo pubblicato una breve recensione dell’ultimo libro del celebre matematico Amir D. Aczel. La casa editrice Raffaello Cortina ci ha comunicato che lo ha appena tradotto in italiano ed è disponibile per l’acquisto con il titolo: “Perché la scienza non nega Dio” (Raffaele Cortina 2015).
 
 
di Amir D. Aczel*
*divulgatore scientifico e docente di Matematica presso la Bentley University

da Avvenire, 11/02/15
 
 

Eulero, il prolifico matematico svizzero del XVIII secolo, e uno dei più grandi di ogni tempo, era anche un uomo profondamente religioso. Era pure membro dell’Accademia Reale delle Scienze a San Pietroburgo, in Russia; un giorno, giunse in visita all’accademia un celebre ateo, l’illuminista francese Denis Diderot, a quanto pare con la missione di convertire alla miscredenza i membri di quell’associazione!

A Eulero venne detto del visitatore, e gli fu riferito che Diderot non sapeva di matematica. Così, lo sorprese in un dibattito pubblico, domandandogli: «Signore, a più b alla potenza n diviso n uguale x; quindi, Dio esiste! Risponda!». Diderot, che non ci aveva capito nulla, non riuscì ad aprire bocca. Nella stanza scoppiò una fragorosa risata e l’umiliato miscredente si ritirò. Il giorno dopo, fece i bagagli e se ne tornò in Francia.

La storiella, probabilmente, è apocrifa; ma ciò che stanno facendo oggi i Neoatei è all’incirca la stessa cosa. Senza uno straccio di evidenza dalla loro parte, dichiarano: «La scienza prova che non c’è nessun Dio! Rispondi!»; e un pubblico che usualmente non è avvezzo alle sfumature e ai tecnicismi della scienza rimane sconcertato e confuso, e di conseguenza vulnerabile alle presuntuose dichiarazioni dei Neoatei. Parlando di matematica, fisica, cosmologia, biologia, genetica, studio del cervello e scienze cognitive, evoluzione e così via, quanda si tratta di determinare se Dio esista o no, la scienza presenta rigorosi limiti. Dal punto di vista matematico, è stato dimostrato che ci sono “fatti” entro qualsiasi struttura della matematica che rimarranno per sempre fuori dalla nostra comprensione, oltre la nostra conoscenza, al di là della nostra portata.

In fisica e cosmologia, poi, nonostante tutti i nostri sforzi per spiegare i valori delle costanti naturali ricorrendo a ogni sorta di teorie, siamo a tutt’oggi incapaci di spiegare anche concettualmente proprietà semplici delle costanti fisiche necessarie affinché nell’universo ci sia la vita. Questo è un grave difetto della scienza, poiché, quando vengono elaborati dei modelli dell’universo, la speranza sarebbe che questi ultimi conducessero a una comprensione, sotto forma di predizione, dei valori dei parametri delle teorie via via presentate. Dunque, le nostre teorie fisiche ci hanno deluso, in questo compito.  Alcuni valori delle costanti nella meccanica quantistica, nella teoria quantistica di campo e nella teoria della relatività sono stati sì previsti, ma la maggior parte delle proprietà fisiche chiave della natura – le masse delle particelle elementari che formano l’universo e l’intensità delle interazioni delle quattro forze dell’universo fisico – restano al di là della nostra spiegazione. Perché la costante di struttura fine – che governa ogni interazione elettromagnetica nell’universo – è pari a circa 1/137? Nessuno ha mai avuto nemmeno una minima idea del perché abbia proprio quel valore. E lo stesso si può dire per parecchie altre costanti chiave della natura.

Dinanzi a tali limitazioni, fisici e cosmologi sono stati costretti a fare marcia indietro dal loro obiettivo di raggiungere una piena comprensione della natura; qualcuno, semmai, ha optato per una spiegazione non elegante e non scientifica: il principio antropico. Tale espediente teorico consiste nell’alzare le mani al cielo e dire: «Beh, se le costanti della natura non fossero quelle che sono, noi non saremmo qui». Ovviamente, ciò lascia la maggior parte dei ricercatori con un profondo senso di insoddisfazione. Einstein avrebbe verosimilmente malvisto questo principio: l’obiettivo di tutta la sua esistenza è stato quello di svelare le leggi della natura e avanzare teorie che spiegassero perché le costanti sono quelle che sono sulla base delle teorie stesse, e usare le teorie per predire come queste costanti dovrebbero essere. Invece, siamo rimasti con un deludente pugno di mosche.

Pertanto, manchiamo di una profonda comprensione dei meccanismi dell’universo. Certo, ci sono cose che sappiamo, e la scienza ci ha davvero fornito grandi verità. Ma ignoriamo che cosa abbia causato il Big Bang. Non sappiamo come le molecole della vita siano scaturite la prima volta sulla superficie del nostro pianeta. Ignoriamo come siano emerse le cellule più avanzate della vita, ingredienti necessari per l’evoluzione di organismi complessi come noi. E non conosciamo le origini dell’intelligenza, dell’autocoscienza, del pensiero simbolico e della nostra consapevolezza. Manchiamo della conoscenza di base per i più importanti e più resistenti misteri della creazione. E anche se potessimo in qualche modo ottenere tutta la conoscenza sull’universo, probabilmente non potremmo andare oltre – scrutare dietro le strutture che la scienza rivela, in modo da poter capire come l’universo è stato “fatto”. Questi limiti intrinseci nella natura stessa della scienza, anzi, della conoscenza, rendono improbabile che riusciremo mai a risolvere lo stesso problema di Dio. In ogni caso, non lo abbiamo ancora risolto. E pur con tutta la forza, la complessità e la profondità della scienza di oggi, non siamo in grado di respingere scientificamente l’ipotesi di una qualche forma di creazione dall’esterno.

I Neoatei amano porre la domanda: «Se Dio ha creato l’universo, chi ha creato Dio?». Si tratta di una bella domanda; obiettivamente, non conosciamo la risposta. Ma solo perché a questa domanda non si può dare risposta, non significa che formularla dimostri in qualche modo che Dio non esiste. Indica semplicemente che l’esistenza di Dio e di ciò che, eventualmente, avrebbe “creato Dio” si trova al di fuori del novero delle domande alle quali scienza e matematica possono rispondere. Noi non comprendiamo appieno di che cosa sia fatto lo spazio, quali siano gli elementi dello spazio fisico e come siano collegati fra loro. Non conosciamo il livello di infinito della retta dei numeri reali e se il continuo della matematica abbia le proprietà dello spazio fisico. Ignoriamo come sono stati creati lo spazio e il tempo. Non sappiamo, addirittura, cosa sia davvero il tempo. Non sappiamo che cosa abbia causato il Big Bang. E non sappiamo chi o che cosa abbia creato Dio. Ciò che sappiamo è che l’universo non è spuntato fuori dal vuoto per conto suo: qualcosa ha preceduto il Big Bang, e quel “qualcosa” è irraggiungibile dalla nostra scienza; e potrebbe rimanere tale per sempre.

Sappiamo che per qualche strano e misterioso meccanismo tutte le costanti della natura si sono rivelate modulate esattamente come occorreva affinché la vita emergesse: le alternative a un controllo divino che abbia definito queste condizioni incredibilmente improbabili non sono più probabili dell’esistenza di Dio.

La linea di attacco finale di Richard Dawkins contro la religione consiste nell’argomento che un’ampia maggioranza degli scienziati più eminenti non sia religiosa. Questo tipo di dichiarazione è, però, ingannevole. A svariate persone dalla mente indipendente e a non pochi intellettuali non garbano i precetti e i rituali delle religioni organizzate. Ed è certamente vero che le religioni sono istituzioni legate alla tradizione, istituzioni che hanno frequentemente osteggiato il cambiamento, sia sociale sia scientifico. Ma ciò non significa che parecchi scienziati non vedano nella natura e oltre essa una forza a noi ignota e inconoscibile; quella forza può ispirarci un senso di umiltà e di stupore, e può anche far sì che ci rendiamo conto che non sappiamo tutto e che potremmo persino non apprendere mai alcune importanti verità sull’universo

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Lo psicoanalista Massimo Recalcati: «Conchita Wurst? Mito narcisistico, non è libertà»

Sanremo Italian Song Festival 2015Il Festival di Sanremo ieri sera ci ha presentato come superospite l’uomo barbuto vestito da donna Conchita Wurst, vincitore dell’Eurofestival nel 2014. In quell’occasione la cantante Emma Marrone, conduttrice oggi del festival, disse “Senza barba non avrebbe avuto alcuna chance”.

Come abbiamo spiegato ieri, non amiamo le mascherate (nemmeno a Carnevale) e preferiamo sempre la vera identità delle persone, per questo abbiamo apprezzato molto la scelta di Mauro Coruzzi di mostrarsi sul palco dell’Ariston senza la maschera difensiva di Platinette. E’ quello che auguriamo anche a Thomas (in maschera Conchita). Ieri sera il presentatore Carlo Conti lo ha chiamato giustamente “personaggio” e non “cantante”, rivolgendosi a lui al maschile e ogni tanto al femminile.

La confusione evidentemente la fa da padrona anche in chi pensa che questo sia progresso. Perché, questo, non lo è affatto e lo ha sostenuto anche il laicissimo psicoanalista di “Repubblica”, Massimo Recalcati, supervisione clinico presso l’Ospedale Sant’Orsola di Bologna. Pochi mesi fa scrisse infatti: «esaltano la donna barbuta come una figura della liberazione sessuale e della tolleranza nei confronti della diversità; esultano vedendo in Conchita Wurst una eroina del nostro tempo e il suo successo come il giusto riconoscimento di un altro modo di pensare e di vivere la differenza sessuale. Perché due soli sessi? Perché escludere la possibilità ancora inesplorate di forme multiple, anarchiche, erranti, della sessualità? Non sarebbe questa la legittima liberazione sessuale da secoli di oppressione clerico-fascista?».

No, non è così: «Questa cultura che esalta un sesso totalmente libero dai vincoli dell’anatomia e dai condizionamenti educativi», ha proseguito Recalcati, «ricade in pieno in una concezione autogenerativa dell’uomo come colui che si fa da sé. È un mito narcisistico del nostro tempo: quello di una libertà che vuole prescindere da ogni vincolo simbolico: inventarsi il proprio sesso».

Per questo, ha continuato ancora, «non posso condividere l’esultanza di coloro che vedono nella vittoria della Drag Queen barbuta la vittoria di una Civiltà della tolleranza e della diversità su quella della repressione e della mortificazione della sessualità. Per la psicoanalisi la diversità concerne innanzitutto il soggetto in quanto tale. Siamo tutti diversi perché la nostra singolarità è strutturalmente incomparabile, unica, irripetibile. L’etica della tolleranza si fonda sul rispetto di questa unicità, sull’accoglienza della diversità, sempre sintomatica, del soggetto. Ma cosa pensiamo che sia veramente una liberazione sessuale? Fare del proprio corpo quello che si vuole? È sufficiente questo per parlare di liberazione sessuale e di tolleranza verso la diversità? L’esibizione di un corpo bizzarro e ostentatamente provocatorio non corre forse il rischio di ridurre la liberazione sessuale ad un semplice rovesciamento speculare del vecchio paradigma clerico-fallico-fascista della normalità? La norma prescrittiva non è più quella ascetico-repressiva ma diventa quella narcisistico- esibizionista».

Ha quindi concluso: «Ma vogliamo davvero credere che esistano dei “diversi più diversi dagli altri”. Lo psicoanalista sa bene che nell’uso libertino della sessualità spesso si annida una difficoltà, a volte paralizzante, nei confronti del rischio che comporta l’incontro d’amore e sa altrettanto bene che la liberazione sessuale senza amore spesso degenera in una schiavitù compulsiva priva di soddisfazione. La sola liberazione sessuale degna di questo nome è quella che sa unire il corpo sessuale all’amore e che sa rispettare la diversità dell’Altro (etero o omosessuale che sia)».

Recalcati ha ragione, il fenomeno gender (la cui icona è certamente il personaggio della “donna barbuta”) è la mortificazione della diversità in nome di una destabilizzante (e un po’ ridicola) utopia dell’uniformità, della liquidità sessuale. E’ l’ideologia sessantottina applicata al sesso. La chiamano “liberazione sessuale”: ma liberi da cosa? Dalla propria intima natura? Ma emanciparsi da se stessi è proprio l’opposto della libertà, è schiavitù verso il pensiero dominante. Non a caso Papa Francesco ha definito il fenomeno del gender una «colonizzazione ideologica» della mente degli uomini. Caro Thomas, non vediamo l’ora di rivederti al Festival quando vorrai mostrarti per quello che sei veramente.

La redazione

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