Il celibato dei sacerdoti non è innaturale, è soprannaturale

Celibato pretiNel maggio dello scorso anno abbiamo mostrato che in dieci anni i sacerdoti cattolici macchiatisi di pedofilia sono stati 3.456, ovvero lo 0,8% del totale dei preti cattolici in attività negli ultimi 10 anni. Come è evidente non si tratta affatto di percentuali elevate, anzi, decisamente modeste rispetto a quelle che colpiscono genitori, matrigne e patrigni, compagni, insegnanti, allenatori e parenti in generale.

I grandi numeri della pedofilia riguardano infatti persone sposate, dunque non celibi, e questo smonta l’accusa al celibato dei sacerdoti come spiegazione degli atti di violenza sessuale. Il celibato non è affatto innaturale, come qualcuno dice. E’ semmai soprannaturale, è un dono di Dio a chi si sente chiamato al sacerdozio. Soltanto coloro che hanno ricevuto il carisma del celibato possono essere chiamati al sacerdozio.

La Chiesa insegna che ogni uomo riceve una vocazione e un compito annesso, c’è chi è chiamato alla famiglia e chi è chiamato al sacerdozio. Chi si sente portato per quest’ultima strada ha bisogno di un particolare percorso di verifica per accertare che la chiamata di Dio sia autentica e non un proprio progetto di vita, senza questo percorso il rischio è che la vocazione non sia accolta e il celibato non venga umanamente vissuto come un dono soprannaturale. Allora sì che c’è il rischio che diventi qualcosa di innaturale, di forzato.

Chi ha la vocazione del sacerdozio non è una persona affettivamente castrata, repressa, non è un essere asessuato. Egli rinuncia semplicemente, aiutato da Dio, all’espressione genitale dell’amore, ma non rinuncia all’amore. La paternità la vive prendendosi cura della comunità che gli viene affidata. A qualcuno sembra impossibile da comprendere, ma questo accade perché si pensa al celibato come ad uno sforzo eroico del sacerdote, in realtà per chi ha ricevuto la vocazione non è affatto difficile o particolarmente faticoso. Non più del rimanere fedeli al proprio marito/moglie per chi è sposato.

Gesù stesso scelse il celibato probabilmente per dedicare totalmente se stesso alla sua missione. Benedetto XVI nel colloquio con Peter Seewald (Edizioni San Paolo 2005), ne ha spiegato il senso: «La rinuncia al matrimonio e alla famiglia è quindi da intendersi nella seguente prospettiva: rinuncio a ciò che per gli uomini non solo è l’aspetto più normale, ma il più importante. Rinuncio a generare io stesso vita dall’albero della vita, ad avere una terra in cui vivere e vivo con la fiducia che Dio è davvero la mia terra. Così rendo credibile anche agli altri che c’è un regno dei cieli. Non solo con le parole, ma con questo tipo di esistenza sono testimone di Gesù Cristo e del Vangelo e gli metto così a disposizione la mia vita. Il celibato ha dunque un significato contemporaneamente cristologico e apostolico. Non si tratta solo di risparmiare tempo – ho un po’ di tempo a disposizione perché non sono un padre di famiglia – il che sarebbe troppo banale e pragmatico». Ha quindi aggiunto: «non si tratta di un dogma. E’ una consuetudine venutasi a creare assai presto nella Chiesa, a seguito di sicuri riferimenti biblici. Ricerche più recenti dimostrano che il celibato risale a molto prima di quanto permettono di riconoscere le fonti del diritto di solito conosciute, fino al secondo secolo. Non è un dogma, è un modo di vivere che è cresciuto nella Chiesa e che naturalmente comporta sempre il pericolo di una caduta. Se si punta così in alto, ci possono essere delle cadute. Penso che ciò che oggi irrita la gente nei confronti del celibato è che essa vede quanti preti non sono interiormente d’accordo e lo vivono ipocritamente, male, o non lo vivono affatto o solo con tormento e dicono».

Rispetto all’abolizione del celibato per i sacerdoti, il Papa emerito ha risposto così: «Credo che su questo punto non ci si possa richiamare semplicemente alle Chiese ortodosse e alla cristianità protestante. Quest’ultima ha una visione completamente diversa del ministero: è una funzione, un servizio derivato dalla comunità, ma non è un sacramento, non è il sacerdozio in senso proprio». In ogni caso, «nessuna consuetudine di vita della Chiesa deve essere interpretata come un assoluto, per quanto sia profondamente radicata e fondata. Sicuramente la Chiesa si dovrà porre ancora il problema, lo ha già fatto recentemente in due sinodi. Ma penso che a partire da tutta la storia della cristianità occidentale e anche dall’intima concezione che sta alla base di tutto ciò, la Chiesa non deve credere di ottenere molto orientandosi verso la dissociazione di sacerdozio e celibato; se lo facesse, finirebbe comunque per perdere qualcosa». In molti ritengono che l’abolizione del celibato aiuti a vincere la crisi della vocazioni, ma Benedetto XVI rispose così: «Non credo che quest’argomento sia veramente adeguato. Il problema delle vocazioni sacerdotali va visto sotto molti aspetti. Ha prima di tutto a che fare con il numero di bambini. Quando oggi il numero medio di bambini per famiglia è 1,5, il problema dei candidati al sacerdozio si pone in modo ben diverso dai periodi in cui le famiglie erano notevolmente più numerose. Quindi bisogna tener conto di questa proporzione».

La posizione di Papa Francesco non è molto distante: ha infatti spiegato: «ci sono, nel rito orientale, preti sposati. Perché il celibato non è un dogma di fede, è una regola di vita che io apprezzo tanto e credo che sia un dono per la Chiesa. Non essendo un dogma di fede, sempre c’è la porta aperta» ad un possibile cambiamento nel futuro. Nel 2010 nel libro “Il cielo e la terra” (Mondadori 2010, pp 211), ha affermato: «Mentre ero seminarista rimasi abbagliato da una ragazza che conobbi al matrimonio di uno zio. Mi colpì la sua bellezza, il suo acume. Rimasi in confusione per un bel po’ di tempo, mi faceva girare la testa. Tornai a scegliere il cammino religioso. Io sono a favore del mantenimento del celibato, con tutti i pro e i contro che comporta, perché sono dieci secoli di esperienze positive più che di errori». Recentemente è tornato a parlarne ma non come i media hanno riportato, su Cruxnow un corretto approfondimento.

La redazione

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Lo storico ebreo Gary Krupp: «odiavo Pio XII, poi ho scoperto che è stato un eroe»

Pio xii 5Sono cresciuto odiando Pio XII, poi ho scoperto che era un eroe”. A parlare così è l’ebreo Gary Krupp, fondatore della “Pave the Way Fondation”. Lo studioso ha infatti raccontato di come considerasse il pontefice un “collaboratore di Hitler”, ma poi dopo aver appreso la notizia che il Fuhrer era intenzionato ad invadere il Vaticano e a fare prigioniero Pio XII, cominciò a consultare diversi archivi scoprendo come gli ebrei dell’epoca nutrissero verso la Chiesa profonda gratitudine nei confronti della sua azione contro le politiche razziali.

Grazie allo studio di molti storici (Michael Hesemann, William Doino, Ronald Rychlak…), infatti, si sono scoperte molte attività di Pio XII a favore degli ebrei come l’invio di denaro a favore dei perseguitati o l’aiuto a nascondersi all’interno delle stesse mura vaticane. Uno di questi interventi lo si può vedere durante la razzia del ghetto di Roma nell’ottobre del ’43: in quell’occasione il pontefice inviò suo nipote, Carlo Pacelli, dal vescovo Alois Hudal, prelato malvisto nella curia per le sue simpatie tedesche e che nel dopoguerra aiuterà a far scappare alcuni criminali nazisti, affinché facesse pressioni al generale Reiner Stahel per fare fermare le deportazioni.

Più di mille ebrei romani furono deportati dalla città, ma la maggioranza di essi riuscì a salvarsi grazie anche all’aiuto della Chiesa che offrì loro rifugio in conventi e monasteri. Ad esempio, nel convento delle suore oblate agostiniane più di cento ebrei, a cui si devono aggiungere anche ex militari e civili, trovarono rifugio «per espresso desiderio, ma senza obbligo, del Santo Padre Pio XII, che per primo riempie la villa di rifugiati il Vaticano, la villa di Castelgandolfo, San Giovanni in Laterano» come scrisse nel suo diario la religiosa Francesca Teresa.

Anche nei paesi occupati la Chiesa svolse un ruolo importante a salvaguardia degli israeliti. In Francia i vescovi, pur ribadendo in maggioranza la propria fedeltà al maresciallo Philippe Petain, il “vincitore di Verdun”, e la loro lealtà al potere costituito, si opposero però alla politica antisemita del governo, sostenuti in questo da papa Pio XII. Essi aiutarono gli ebrei facendoli passare la linea di confine in Spagna o Svizzera, procurandogli falsi certificati di battesimo o nascondendogli in scuole, canoniche o altri rifugi. Il cardinale Gerlier nel 1942 espresse la sua inquietudine, a nome di tutti i vescovi, sul trattamento a cui erano sottoposti ebrei che disconosceva «i diritti essenziali di ogni essere umano e le regole fondamentali della carità». Lo stesso Pio XII intervenne direttamente protestando con il maresciallo Petain,tramite il nunzio Valeri, affermando di disapprovare le norme antisemite adottate dal governo di Vichy, e il Vaticano inviò consistenti somme a favore dell’Opera di San Raffaele per l’emigrazione degli israeliti.

Non soltanto gli ebrei beneficiarono però della rete di carità della Chiesa. Anche molti antifascisti riuscirono ad avere salva la vita grazie all’intervento di molti ecclesiastici. Ad esempio, il prete modenese, don Mario Rocchi, morto lo scorso anno, aiutò durante la guerra molti soldati inglesi al punto che la stessa Regina Elisabetta II in segno di riconoscenza donerà a quest’ultimo cinque milioni di lire (contributi verranno però anche dagli ufficiali e parenti dei soldati salvati) con i quali riuscirà a costruire la Città dei Ragazzi dove tutt’ora vivono e studiano circa 250 giovani (Il prete che salvò gli inglesi dai nazisti…).

Del resto, a difendere Pio XII dalla fantascientifica opera “Il Vicario”, fu anche l’ambasciatore inglese presso la Santa Sede durante la guerra, sir d’Arcy Osborne, che scriverà, in una lettera al “Times” del 20 maggio 1963, che «Pio XII è stato il personaggio più calorosamente comprensivo, gentile, generoso, affettuoso (e fra parentesi, santo) che io abbia avuto il privilegio di conoscere nel corso di una lunga vita (…) Sono certo che papa Pio XII sia stato malgiudicato in modo grossolano nel dramma di Herr Hochhuth.» (citato in O. Chadwick, Gran Bretagna e Vaticano durante la seconda guerra mondiale, Milano 2007 p. 476).

Mattia Ferrari

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E dopo gli “Atei pro-life” arrivano le “Femministe per la vita”

Femministe pro lifeTre anni fa parlavamo dell’associazione americana dei “Secular pro life”, un movimento di persone non credenti che aspira ad «un mondo in cui l’aborto sia impensabile, per le persone di ogni fede e non fede».

L’opposizione all’interruzione di gravidanza è infatti una posizione di ragione, non di fede, come ha spiegato anche Papa Francesco: «Quando tante volte nella mia vita di sacerdote ho sentito obiezioni. “Ma, dimmi, perché la Chiesa si oppone all’aborto, per esempio? E’ un problema religioso?” – “No, no. Non è un problema religioso” – “E’ un problema filosofico?” – “No, non è un problema filosofico”. E’ un problema scientifico, perché lì c’è una vita umana e non è lecito fare fuori una vita umana per risolvere un problema. “Ma no, il pensiero moderno…” – “Ma, senti, nel pensiero antico e nel pensiero moderno, la parola uccidere significa lo stesso!”».

Per questo esiste anche un movimento di femministe che guarda all’aborto non come un atto di libertà, ma una forma di violenza della dignità femminile: «Una società che promuove l’aborto come una “necessità” o “un male necessario” sottovaluta le donne e la violenza che viene causata loro tramite l’aborto», ha affermato Serrin Foster, tra le leader delle “Feminists for Life” (www.feministsforlife.org, anche su Facebook). Un’associazione che ha il merito di smascherare i presunti “difensori delle donne e dei loro diritti”: «I principi di base del femminismo sono giustizia per tutti e l’opposizione alla violenza e alla discriminazione. L’aborto va contro tutti e tre questi principi». «Ci opponiamo a ogni forma di violenza, compreso l’aborto, l’infanticidio, gli abusi sui minori, la violenza domestica, la pena di morte e l’eutanasia, dal momento che sono in contrasto con i principi femministi di giustizia fondamentale e il rifiuto della violenza e della discriminazione».

Molti legittimano l’aborto citando i casi estremi, come gli stupri. Proprio una delle leader delle femministe pro-life, Joyce Ann McCauley-Benner, è stata vittima di violenza sessuale e ha scelto di tenere il bambino: «E’ normale voler cancellare la memoria del dolore dello stupro. Purtroppo, la dura verità è che, anche se vogliamo farlo, non possiamo. L’aborto non cancella niente. Cosa potrebbe cancellare dalla memoria quello che è successo l’11 settembre 2001? L’aborto è un secondo atto di violenza contro la donne violentata». Qualcuno, invece, ancora si giustifica parlando di aborto terapeutico, ma «sono rare sono le situazioni in cui la vita della madre è a rischio. Non è mai medicalmente necessario uccidere il bambino per salvare la madre» ha proseguito ancora Foster.

Il loro impegno pubblico è spronare la società a politiche più efficaci per sostenere chi mette alla luce un bambino, perché «dobbiamo dedicarci alla sistematica eliminazione delle ragioni che spingono le donne a cercare l’aborto. Siamo ad esso contrarie in tutti i casi, perché la violenza è una violazione dei principi fondamentali del femminismo».

La redazione

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Dio e il multiverso: considerazioni di un matematico

MultiversoCon questo articolo diamo avvio alla collaborazione con il prof. Paolo Di Sia, docente di Matematica e Didattica presso l’Università di Verona, autore di più di 150 pubblicazioni scientifiche su riviste nazionali e internazionali, reviewer di vari journals internazionali e membro di 5 società scientifiche (tra cui la American Nano Society)

 
di Paolo Di Sia*
*docente di Matematica presso l’Università di Verona

 

La cosmologia moderna ha motivo di ritenere che l’universo in cui viviamo possa essere uno di un numero (forse) infinito di universi, che formano il cosiddetto “multiverso”. La comprensione emergente della scienza del multiverso, costituito da migliaia di miliardi di miliardi di galassie, sembrerebbe spiegabile secondo molti studiosi in termini naturalistici, senza cioè la necessità di considerare forze soprannaturali per spiegare la sua origine e la sua esistenza in atto.

Assieme ad altre ipotesi, come gli universi spontanei, l’auto-creazione, particolari ipotesi quantomeccaniche, il multiverso è stato anche definito “l’ultimo dio dell’ateo” e utilizzato da atei e materialisti come un modo per evitare argomenti che potrebbero essere presi a favore dell’esistenza di Dio, come l’inizio dell’universo, il “cosmological argument”, il “fine tuning argument”. Il multiverso è una delle idee più interessanti e controverse della scienza attuale, con notevoli implicazioni cosmologiche, filosofiche e teologiche.

Gli sviluppi scientifici colgono i problemi fondamentali, le idee attuali sull’origine dell’universo e, direttamente o indirettamente, le nozioni di Dio che emergono da queste analisi. Lavorano in questo settore credenti, agnostici, atei; la scienza illumina le menti curiose e promuove le comprensioni empiriche. Non si conoscono metodi scientifici definitivi con cui l’uomo sia in grado di determinare ciò che in ultima analisi può essere definito “vero”; il meglio che si può fare è rendere sempre migliori le osservazioni e sempre più accurati i modelli che descrivono la realtà.

Tematiche cosmologiche significative, come il Big bang, vengono spesso prese come prova a favore o contraria ad un Dio creatore. Molte persone, come Georges Edouard Lemaître (1894-1966), presbitero, fisico e astronomo belga, hanno scelto di credere in Dio, nonostante il fatto che la presenza di Dio sia considerata da molti tutt’altro che evidente, sebbene secondo altri Dio deve avere le Sue ragioni per “nascondersi da noi” . Anche quando un modello supera un test che avrebbe potuto falsificarlo, ciò non significa che il modello sia stato definitivamente dimostrato e che non possa un giorno essere sostituito da un modello migliore.

Alexander Vilenkin, professore di fisica e direttore dell’istituto di cosmologia alla Tufts University nel Massachusetts, ha lavorato per 25 anni nel campo della cosmologia e ritiene che tutte le prove attualmente disponibili sembrano condurre al fatto che l’universo abbia avuto un inizio. Questo non depone a favore dei naturalisti filosofici e degli atei, poichè, come anche Stephen Hawking ha ammesso, “a molte persone non piace l’idea che il tempo abbia avuto un inizio, probabilmente perché sa di intervento divino” (Stephen W. Hawking, “Dal big bang ai buchi neri. Breve storia del tempo”, Bur 2011). Sul “fine tuning argument” il fisico Andrei Linde ha detto che “abbiamo molte coincidenze davvero strane, e tutte queste coincidenze sono tali da rendere possibile la vita”, aggiungendo che la teoria del multiverso risulta essere una possibilità molto interessante per rispondere alla domanda circa il fine tuning che permette la vita sulla terra (A. D. Linde, R. Brandenberger, Inflation and Quantum Cosmology, Academic Press Inc, 1990).

Non vi sono attualmente prove scientifiche che prevedano un multiverso, ne’ in generale una realtà che si estende infinitamente nel passato. Tuttavia molti naturalisti filosofici hanno salutato il multiverso come elemento che ci dispensa dalla dipendenza da Dio. Si tratta, dicono altri, di una “strana posizione di sicurezza” per coloro che costantemente criticano i credenti in Dio di “aver fede” in qualcosa che non ha prove tangibili. Arvin Borde, Alan Guth, e Alexander Vilenkin hanno dimostrato che ogni universo, che in media si è espanso per tutta la sua storia, non può essere infinito nel passato, ma deve avere un confine passato spazio-temporale (Borde, A. H. Guth, A. Vilenkin, “Inflationary space-times are incomplete in past directions”, Phys. Rev. Lett. 90, 151301, 2003). Nel 2012 Vilenkin ha dimostrato anche che i modelli che non soddisfano questa condizione non riescono comunque per altri motivi ad evitare un inizio dell’universo. Quindi, anche se il nostro universo fosse una piccolissima parte di un multiverso, quest’ultimo dovrebbe avere un inizio.

John Carson Lennox, professore di matematica presso l’Università di Oxford, matematico irlandese, filosofo della scienza e apologeta cristiano, ha riassunto questa situazione affermando che “è piuttosto ironico che nel XVI secolo ci siano state molte resistenze ai progressi della scienza, perché sembravano minacciare la fede in Dio, e altrettanto dicasi nel XX secolo per le idee scientifiche riguardanti un inizio dell’universo, perché minacciano di aumentare la plausibilità della fede in Dio”.

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La Chiesa deve adattarsi al mondo? L’esperienza dei protestanti dice di no

Woman Episcopal Bishop“La Chiesa deve adattarsi al mondo”, quante volte sentiamo ripetere questa frase? E’ l’auspicio a nascondere la parte di dottrina più scomoda, più difficile da capire dagli uomini moderni per apparire più accattivante, per tentare di ingrossare le fila.

Certo, la Chiesa deve accogliere tutti ma giustamente non legittima tutto, stima e sostiene certi comportamenti mentre condanna altri, ma perdona sempre. Gesù andava con tutti, pubblicani e peccatori, ma per la salvezza personale invitava gli uomini ad entrare per la “via stretta”, perché quella larga porta alla perdizione. Non è la Chiesa che deve annacquare la dottrina, è semmai l’uomo che vuole salvarsi che deve cambiare se stesso per aderire il più possibile alla proposta cristiana, etica e morale. Adattarsi al mondo significa diventarne complice. E’ invece importante trovare un linguaggio nuovo per comunicare il pensiero della Chiesa, Papa Francesco lo sta facendo molto bene.

Oltretutto c’è già chi ha provato ad “adattarsi” alla relativista morale moderna e i risultati non sono certo stati quelli sperati. Parliamo dei nostri fratelli protestanti e delle cosiddette chiese riformate, che non hanno retto alla spinta del femminismo, della secolarizzazione, del libertinismo edonista e del consumismo e si sono adeguate al progressismo internazionale in riferimento soprattutto ai grandi temi antropologici dell’attualità: sacerdozio femminile, abolizione del celibato, sacerdoti e vescovi apertamente omosessuali, “nuovi diritti” su l’inizio e fine della vita, diffusione del gender nelle scuole cristiane, sostegno a unioni omosessuali in “nome dell’amore” ecc.

Questo piegarsi alle ‘esigenze’ della secolarizzazione ha forse comportato effetti positivi sulla vitalità del protestantesimo europeo? I numeri non mentono: «Alcuni dati statistici costringono (purtroppo) a chiedersi se il protestantesimo storico europeo (in particolare luterani e calvinisti) non rischi di diventare minoranza irrilevante. Analogo il caso anglicano. Eppure c’è chi nel mondo cattolico propone con più o meno santa ingenuità le ricette ‘aperturiste’ non certo estranee a tale situazione, sempre più preoccupante», si legge su “Rossoporpora”. Se guardiamo a luterani, calvinisti e anglicani (troppo complesso riflettere sulle miriadi di sigle del pentecostalismo, scisse in protestantesimi “liberi”, “evangelici”, di “risveglio”) e prendiamo i dati statistici forniti dalle stesse Chiese nazionali protestanti appare questa situazione:

 

In Germania, patria di Lutero, dopo la riunificazione del 1990 i protestanti erano 29,4 milioni (il 36,9% della popolazione); nel 2004 erano scesi a 26,2 milioni (31, 5%) e nel 2013 a 23,3 milioni (29%). Nel 1990 i cattolici erano 28,5 milioni (35,4%), nel 2013 24,2 milioni (30%).

In Svizzera, patria di Calvino, nel 1970 i protestanti erano il 48,8% della popolazione e superavano di un paio di punti i cattolici. Nel 2000 erano scesi al 33,9%, nel 2013 al 26,9%. Calo anche per i cattolici – ma in percentuale minore, pur se preoccupante – passati dal 46,7% del 1970, al 42,3% nel 2000, al 38,2% del 2013. E’ anche interessante notare che ormai i protestanti non sono più al primo posto né a Zurigo né a Ginevra né a Basilea né a Losanna né a Neuchatel, sorpassati dai cattolici e/o dai non credenti. Altra constatazione statistica: nel 2012 il protestantesimo in Svizzera ha registrato più abbandoni del cattolicesimo (come del resto in Germania): un dato che si ritrova in tutta la Confederazione (ad eccezione della diocesi di Coira).

In Olanda, calvinista, i protestanti erano nel 1971 il 35,9% della popolazione, nel 2010 sono scesi al 15,6% (i cattolici dal 40,4% al 24,5%). Quando nel 2004 le tre principali denominazioni protestanti si unirono (calvinisti ortodossi, calvinisti moderati, luterani), i fedeli erano oltre 2.400.000. Oggi ne restano meno di 1.800.000. Da notare che l’Olanda è stata la prima nazione al mondo a riconoscere i cosiddetti “matrimoni gay”; ed è tristemente pure alla cosiddetta avanguardia in materia di fine vita.

In Scandinavia troviamo altri avanguardisti in materia dei cosiddetti “nuovi diritti”, come in Danimarca, Svezia, Norvegia, Finlandia sono formalmente tutti Paesi in cui il protestantesimo è ben radicato, con maggioranze ancora massicce (oltre l’80%). Tuttavia da inchieste demoscopiche recenti si scopre poi che in Svezia i non credenti raggiungono il 45% e in Norvegia il 33%. In Svezia e Norvegia già nel 2008/2009 il Parlamento ha riconosciuto i cosiddetti ‘matrimoni gay’, in Danimarca è stato fatto nel 2012 e in Finlandia di recente. Proprio in Finlandia la decisione parlamentare di riconoscere tali “matrimoni”, presa lo scorso 28 novembre con 102 voti contro 95, ha provocato una forte spaccatura all’interno del mondo luterano, il cui responsabile si è felicitato per il risultato. In pochi giorni oltre 13mila protestanti hanno abbandonato la loro comunità ecclesiale.

La Gran Bretagna è patria dell’anglicanesimo e nel 1983 gli anglicani rappresentavano il 40% della popolazione britannica, nel 2012 il 20% (cattolici dal 10% al 9%). Nel 1993 venne introdotto il sacerdozio femminile, nel 2006 l’episcopato femminile. Come reazione vescovi, sacerdoti e centinaia di fedeli hanno chiesto di aderire alla Chiesa cattolica, l’entrata si concretizzerà nel 2011. Nel 2013 diventano vescovi anche preti omosessuali e la benedizione di coppie gay in chiesa, nel luglio 2014 arrivano le donne-vescovo e l’introduzione di programmi “contro l’omofobia”. Intanto la partecipazione al culto domenicale è scesa negli ultimi vent’anni da 1,2 milioni di fedeli a 800 mila, meno dei cattolici che abitualmente assistono alla santa messa.

 

La conclusione la lasciamo a Giuseppe Rusconi, autore di questa ricerca: «Dalla lettura delle cifre che abbiamo dato sorge prepotente una domanda: è proprio il caso di assecondare –come hanno fatto molte comunità ecclesiali del mondo protestante– il relativismo imperante di tipo ideologico-economico, snaturando la propria identità nel tentativo di recuperare i fedeli smarriti? Al di là di ogni altra considerazione ci sembra che le cifre parlino. Inequivocabilmente».

La redazione

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La “Rosa Bianca”, la resistenza cattolica al nazismo

La rosa biancaOggi, 22 febbraio, ricordiamo l’uccisione dei principali componenti della “Rosa Bianca”, la cosiddetta “resistenza pacifica” al nazismo, che vennero arrestati, processati e condannati a morte mediante decapitazione nel 1943. Il gruppo era formato da un gruppo di studenti ventenni: Hans Scholl, sua sorella Sophie Scholl, Christoph Probst, Alexander Schmorell, Willi Graf, ai quali si aggiunse il professor Kurt Huber.

Sono stati recentemente ricordati dal quotidiano “Il Garantista” (ovvero ciò che è riuscito a sopravvivere del quotidiano “Liberazione”, l’organo di stampa ufficiale di Rifondazione Comunista), peccato che nelle due pagine celebrative in cui si sono descritti approfonditamente i protagonisti del gruppo, mai è stato ricordata -nemmeno di passaggio- la loro profonda fede cristiana e cattolica, che fu anche ciò che li spronò nella coraggiosissima e quasi isolata sfida al nazismo.

La Rosa Bianca fu un movimento nato dall’amicizia tra alcuni studenti dell’Università Ludwig Maximilian di Monaco che, tra il giugno del 1942 e il febbraio 1943, aiutati da alcuni sacerdoti cattolici, decisero di opporsi in modo cristiano e quindi nonviolento al regime della Germania nazista. La pagina Wikipedia che li riguarda è stranamente realizzata molto bene: essi credevano in un’Europa federale che aderisse ai principi cristiani di tolleranza e giustizia, appellandosi all’intellighenzia tedesca anche attraverso a volantini che vennero distribuiti in migliaia di copie. Erano legati a molti movimenti cattolici, in particolare erano amici di Otto Aicher tra i leader del quartiere cattolico Söflingen, sede di una forte resistenza cattolica al nazismo animata dal parroco Franz Weiss. L’ispirazione venne anche da “Quickborn” (Sorgente di vita), movimento cattolico guidato dal celebre teologo Romano Guardini. La maggior parte di loro era di fede protestante ma queste amicizie e la lettura degli autori del rinnovamento cattolico francese sarà alla base del progressivo avvicinamento al cattolicesimo. Ad ispirare l’idea dei volantini distribuiti clandestinamente, inviati per posta o messi nella buca delle lettere, furono anche le prediche fortemente critiche al nazismo (concordate con Pio XII) del vescovo Clemens August von Galen, nominato da Pio XII nel 1943 a prelato domestico di Sua Santità ed elevato a cardinale nel 1946.

Il 5 febbraio 1996 Franz Josef Mueller, membro della Rosa Bianca, sopravvissuto alla decapitazione e liberato dal carcere dagli americani, spiegò: «Il nostro gruppo di giovani ricevette impulsi determinanti per opera di tre giovani sacerdoti cattolici. Nella scuola non c’era la lezione di religione, ma noi ci incontravamo in privato, si può dire in gran segretezza, di notte, utilizzando gli ingressi posteriori. Il gruppo era costituito da quasi 20 giovani che non si esercitavano contro il nazionalsocialismo bensì nella lettura». Il movimento cercava anche rapporti con i prigionieri che arrivavano in Germania, dando loro conforto: « Con questi uomini, che secondo l’ideologia nazista provenivano da razze inferiori, cercavamo contatti: per primi con i polacchi, che erano persone molto gentili. Discutevano con noi, erano cattolici come noi, venivano con noi in chiesa alla domenica. Erano persone straordinariamente cortesi, sedevano a tavola con noi, e a Natale ricevevano regali; li trattavamo da persone».

Per chi volesse conoscere meglio la “Rosa Bianca” consigliamo il bellissimo film di Matt Rothemund, girato nel 2005, molto fedele ai fatti e chiamato appunto “La rosa bianca – Sophie Scholl”. I fratelli Scholl e Cristoph Probst vennero arrestati e processati a Monaco il 22 febbraio 1943, Christoph volle ricevere il battesimo, la comunione e l’estrema unzione dal cappellano Heinrich Sperr, scrivendo alla madre: «Ti ringrazio di avermi dato la vita. A pensarci bene, non è stata che un cammino verso Dio». «Fra pochi minuti ci rivedremo nell’eternità», disse ai suoi amici pochi istanti prima di morire. La piazza dove è ubicato l’atrio principale dell’Università Ludwig-Maximilian di Monaco è stata chiamata Geschwister-Scholl-Platz in memoria di Hans e Sophie Scholl.

 

Qui sotto il trailer del film “La rosa bianca – Sophie Scholl”

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In memoria di Alessandro Volta: «la fede è credibile alla ragione»

Alessandro VoltaIl 18 febbraio scorso anche Google ha festeggiato l’anniversario del 270 anno di nascita del celebre scienziato Alessandro Volta, universalmente noto per essere stato l’inventore della pila elettrica (e per la scoperta del metano).

Volta fu anche un uomo dalla profonda fede cattolica, addirittura la famiglia volle avviarlo al sacerdozio ma l’amicizia con il fisico e gesuita Giulio Cesare Gattoni lo indirizzò agli studi scientifici. Continuò a recarsi a messa quotidianamente e fu anche a lungo catechista presso la parrocchia di San Donnino a Como. Nelle sue lettere in particolare si rileva un’intensa vita spirituale, la recita quotidiana del rosario, gli studi biblici, teologici e apologetici.

Marito e padre di tre figli, le sue scoperte rivoluzionario in modo determinante il mondo scientifico e ci sembra inutile ricordare dettagliatamente il suo contributo. Il suo nome è inserito nel nostro dossier di citazioni dei più importanti scienziati cristiani e cattolici, a conferma dell’inesistenza di una dicotomia tra scienza e fede.

La sua persona lo dimostra: «Ho sempre tenuto e tengo per unica, vera ed infallibile questa santa religione cattolica, ringraziando senza fine il buon Dio d’avermi infusa una tal fede, in cui propongo fermamente di voler vivere e morire con viva speranza di conseguir la vita eterna. La riconosco sì per un dono di Dio, per una fede soprannaturale: non ho però tralasciato i mezzi anche umani di viepiù confermarmi in essa, e sgombrare qualunque dubbio potesse sorgere a tentarmi, studiandola attentamente ne’ suoi fondamenti; rintracciando colla lettura di molti libri sì apologetici che contrari, le ragioni pro e contro, onde emergono gli argomenti più validi, che la rendono anche alla ragione naturale credibilissima; e tale che ogni animo ben fatto non può non abbracciarla ed amarla. Possa questa protesta, ostensibile come si vuole, e a chiunque, giacché non erubesco Evangelium (io non mi vergogno del Vangelo n.d.r.) possa produrre qualche buon frutto» (citato in M. Monti, D. Vittani, A. Longatti, “Alessandro Volta. Entra in scena la luce”, Enzo Pifferi Editore 1997).

La redazione

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Gesù non era un esseno, nessun legame con la comunità di Qumran

QumranRecentemente sul quotidiano “Italia Oggi” lo scrittore Diego Gabutti ha teorizzato che dietro all’attesa della piena rivelazione dei Manoscritti del Mar Morto vi sia qualcosa da temere. Una tesi ardita, d’altra parte Gabutti è autore di un libro che descrive le differenti “versioni alternative” di Gesù rispetto ai Vangeli.

I cosiddetti Manoscritti del Mar Morto sono dei testi, casualmente ritrovati a Qumran nel 1947 in una piccola grotta dentro ad antiche giare di terracotta, che comprendono anche brani della Bibbia ebraica. I manoscritti datano tra il 150 a.C. e il 70 d.C. e sono associati all’antica setta ebraica detta degli Esseni. Per anni sono stati al centro dell’attenzione dopo che il papirologo spagnolo José O’Callaghan ha identificato il papiro 7Q5 come un frammento contenente i versetti 6,52-53 del Vangelo secondo Marco, retrodatando così la data della composizione ad al massimo 20 anni dopo la morte di Gesù (le grotte di Qumran vennero sicuramente abbandonate dal 60 d.C.). Nessuno è mai riuscito a negare questa identificazione anzi, la maggior parte degli studiosi oggi concordano con il papirologo spagnolo. Ne parleremo sicuramente, ma non oggi.

Ci preme invece chiarire i dubbi citati dallo scrittore nel suo articolo, dove si chiede: «Gesù era forse un settario di Qumran? È lui il Maestro che secondo i manoscritti le forze d’occupazione imperialromane hanno giustiziato dopo uno dei tanti moti rivoluzionari dell’epoca? E quando nei manoscritti s’accenna a certe rivalità interne al gruppuscolo non si starà parlando per caso in realtà delle beghe documentate anche negli Atti degli apostoli tra seguaci della chiesa di Gerusalemme e il cristianesimo in salsa grecoplatonica ad usum gentili di Paolo e dell’Apocalisse giovannea? Quando si decideranno a pubblicarli tutti i manoscritti? Cosa c’è da nascondere?».

Essendo un dubbio di molti, vorremmo rassicurare che non c’è nulla da temere e abbiamo sufficiente materiale per rispondere definitivamente a queste domande. Tanto che non c’è alcuno studioso serio che risponda da esse positivamente, essendo note talmente tante differenze tra il comportamento e le convinzioni degli esseni e quello di Gesù. L’unica similitudine su cui potremmo ragionare è che entrambi (Gesù e la comunità essena) vennero soppressi per mano delle autorità romane.

Il prof. John P. Meier, docente di Nuovo Testamento alla Notre Dame University, nonché il più eminente studioso biblico vivente, ha parlato di questo nel terzo volume del suo magistrale “Un ebreo marginale”, criticando la «letteratura popolare» che «su questo tema tende a esaltare le somiglianze tra Gesù e Qumran, se non la loro presunta identità». Ma, ha proseguito, «esistono differenze fondamentali tra i due fenomeni storici» che vengono da lui trattati dettagliatamente per quasi dieci pagine (e che non stiamo a riportare). Neppure si può paragonare Gesù al Maestro di giustizia, il personaggio anonimo che fondò la comunità di Qumran: l’unico punto in comune tra i due è la condanna a morte da parte del prefetto romano Ponzio Pilato, anche se «a mio parere non c’è una prova chiara e convincente che il Maestro di giustizia abbia subito una morte violenta per mano delle autorità di Gerusalemme». In ogni caso «sarebbe avvenuta per motivi molto diversi: da una parte [il Maestro di giusitizia, nda] un sommo sacerdote che propugnava norme rituali alternative al tempio, e dall’altra [Gesù, nda] un profeta laico sovvertitore e sedicente messia». La conclusione del prof. Meier dopo la lunga trattazione delle differenze, è che «le differenze tra Gesù e Qumran/gli esseni furono numerose e profonde. Non c’è da meravigliarsi, quindi, che i due non abbiano avuto rapporti durante il ministero pubblico di Gesù» (p.541-555).

Come sempre citiamo anche la visione dell’eminente studioso agnostico Bart D. Ehrman, professore di Nuovo Testamento e direttore del dipartimento di studi religiosi dell’Università del North Carlina: «Gesù non era un esseno. Non c’è nulla che colleghi lui o Giovanni Battista al gruppo. Proprio il contrario […]. Gesù, per parte sua, scandalizzò i devoti ebrei dediti alla conservazione di una vita pura, lontana dal sudiciume del mondo circostante comportandosi in modo diametralmente opposto agli esseni di Qumran». E ancora: «la comunità di Qumran non può non aver aborrito le opinioni di Gesù» (B.D. Ehrman, “Did Jesus Exist”, HarperCollins Publisher 2013, pp. 285-287 e 326).

La redazione

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Se Antonio Socci usa il martirio dei cristiani per attaccare Papa Francesco…

Cristiani decapitatiNuova aggressione mediatica del giornalista Antonio Socci a Papa Francesco, l’occasione è arrivata dalla tragica morte dei 21 cristiani martirizzati in Libia dall’Isis.

Per Socci, infatti, il loro martirio sarebbe stata una lezione «alla chiesa di Bergoglio» che «definisce “una solenne sciocchezza” l’annuncio cristiano e il proselitismo». Chiariamo le cose: Francesco non ha mai definito “sciocchezza” l’annuncio cristiano, anzi la “Chiesa in uscita” ad annunciare il cristianesimo è proprio la priorità del suo pontificato. Il Papa ha invece giustamente definito una sciocchezza il proselitismo, ovvero l’ideologia (-ismo, è sempre ideologia) dell’ingrossare le file a tutti i costi. Come ha affermato il vaticanista di riferimento dei tradizionalisti, Sandro Magister, «ciò non significa per Francesco che la Chiesa debba chiudersi in se stessa e rinunciare a convertire. Tutt’altro. Fin da quando è stato eletto alla sede di Pietro, papa Bergoglio non ha fatto che incitare la Chiesa ad “aprirsi”, a raggiungere gli uomini fin nelle loro più remote “periferie esistenziali”». Il teologo Gianni Gennari ha criticato chi «spesso distorce apposta le parole e i gesti di Francesco», fingendo di non capire che «la differenza tra missione e proselitismo è grande, e decisiva».

L’articolo del giornalista è ancora una volta strutturato ad “elenco della spesa”, ovvero una serie di fatti sparati a raffica sconnessi gli uni dagli altri e decontestualizzati dalla loro complessità, per creare un fuoco di fila contro il Papa. Si parte con la vecchia accusa dell’«atto di adorazione alla Moschea» (Francesco non ha evidentemente adorato la Moschea, ma semmai ha pregato Dio in una Moschea), mentre evita di parlare dell’adorazione di Dio nella Moschea Blu da parte di Benedetto XVI nel 2006. Viene resuscitata anche l’accusa al Papa di evitare di pronunciare «la parola “Islam” se non in termini laudatori»: ma evitare di incolpare l’Islam in generale è una scelta corretta da parte di Francesco (tanto che lo fece anche Benedetto XVI, come abbiamo mostrato), è fondamentale non confondere la fede di tanti musulmani con il fondamentalismo di alcuni. Tuttavia, il Santo Padre ha più volte invitato «i leader religiosi, politici e intellettuali specialmente musulmani» a condannare «qualsiasi interpretazione fondamentalista ed estremista della religione, volta a giustificare tali atti di violenza».

Il giornalista di “Libero” ha anche ripescato -effettivamente non lo faceva da qualche puntata, tornerà a farlo tra due o tre articoli- il presunto attacco a Benedetto XVI da parte del portavoce di Bergoglio a Buenos Aires per il discorso di Ratisbona sull’Islam. Come è stato già ampiamente chiarito, il portavoce dell’arcidiocesi argentina specificò di esprimersi a titolo personale e venne in seguito rimosso dall’incarico proprio grazie all’intervento di Bergoglio che, evidentemente, non condivideva tale opinione.

Secondo il giornalista, Francesco avrebbe anche detto che «la grande emergenza attuale della Chiesa non è la fede, ma è l’ambiente e poi l’accoglienza alle nuove coppie e la comunione ai divorziati risposati. Tanto che presto avremo l’enciclica bergogliana sull’ecologia e i pregi della spazzatura differenziata invece di un grido di amore a Dio in questo mondo senza fede e senza speranza». Francesco non ha mai affermato nulla di simile: nell’enciclica Evangelii Gaudium, al contrario, ha più volte ricordato l’emergenza dell’evangelizzazione cristiana: «Il ritorno al sacro e la ricerca spirituale che caratterizzano la nostra epoca sono fenomeni ambigui. Ma più dell’ateismo, oggi abbiamo di fronte la sfida di rispondere adeguatamente alla sete di Dio di molta gente, perché non cerchino di spegnerla con proposte alienanti o con un Gesù Cristo senza carne e senza impegno con l’altro. Se non trovano nella Chiesa una spiritualità che li sani, li liberi, li ricolmi di vita e di pace e che nel medesimo tempo li chiami alla comunione solidale e alla fecondità missionaria, finiranno ingannati da proposte che non umanizzano né danno gloria a Dio». Ovviamente Francesco non vuol nemmeno accogliere le «nuove coppie», ovvero legittimare le forme di unione alternative al matrimonio (subdolamente Socci intende questo), più volte infatti ha criticato i tentativi di ridefinire il matrimonio. Tanto meno ha mai parlato di un’urgenza di dare la comunione ai divorziati risposati, semmai ha aperto un confronto tra cardinali per verificare la possibilità di accogliere maggiormente queste persone senza violare il sacramento del matrimonio. Lo sguardo di Francesco è rivolto alle persone e l’emergenza è quella di una Chiesa che non cacci via nessuno, ma sia il luogo dove ricominciare, dove chi si è perso può ritrovarsi, riconoscere il peccato e ripartire.

E’ puerile anche voler ridicolizzare la prossima enciclica di Francesco riducendola ai consigli per la spazzatura differenziata. Ciò di cui vuole occuparsi Francesco è la decentralizzazione dell’uomo dalla società, focalizzata invece su una disumana frenesia del profitto. E’ un’altra grave emergenza di oggi e sappiamo quante volte Benedetto XVI ha indicato nel consumismo il grande male dei nostri tempi! L’ecologia umana e l’uso migliore dell’ambiente per «utilizzarlo per il bene. Penso soprattutto al settore agricolo, chiamato a dare sostegno e nutrimento all’uomo. Non si può tollerare che milioni di persone nel mondo muoiano di fame, mentre tonnellate di derrate alimentari vengono scartate ogni giorno dalle nostre tavole. Inoltre, rispettare la natura, ci ricorda che l’uomo stesso è parte fondamentale di essa. Accanto ad un’ecologia ambientale, serve perciò quell’ecologia umana, fatta del rispetto della persona», ha affermato coraggiosamente davanti al Parlamento Europeo. «La persona umana è in pericolo», ha ricordato in un’altra occasione. «Ecco l’urgenza dell’ecologia umana! La Chiesa lo ha sottolineato più volte; e molti dicono: sì, è giusto, è vero, ma il sistema continua come prima, perché ciò che domina sono le dinamiche di un’economia e di una finanza carenti di etica. Quello che comanda oggi non è l’uomo, è il denaro […]. Uomini e donne vengono sacrificati agli idoli del profitto e del consumo: è la “cultura dello scarto”. Se si rompe un computer è una tragedia, ma la povertà, i bisogni, i drammi di tante persone finiscono per entrare nella normalità. Questa “cultura dello scarto” tende a diventare mentalità comune, che contagia tutti. La vita umana, la persona non sono più sentite come valore primario da rispettare e tutelare, specie se è povera o disabile, se non serve ancora – come il nascituro –, o non serve più – come l’anziano». Un’enciclica indispensabile per riflettere sul grande male della società occidentale.

Dall’elenco della spesa Socci ha tirato fuori un’altra accusa un po’ datata (mischiando il vecchio con il nuovo): «E’ il papa Bergoglio che riceve e arringa i centri sociali tipo Leoncavallo, non i cristiani che eroicamente e pacificamente si battono per testimoniare la salvezza, subendo il disprezzo e le accuse del mondo». Francesco ha partecipato ad un bell’incontro con i movimenti popolari (tra cui era stato invitato anche il Leoncavallo), mostrando che parte delle loro esigenze e interessi sociali sono gli stessi della Chiesa: «terra, casa e lavoro. È strano, ma se parlo di questo per alcuni il Papa è comunista. Non si comprende che l’amore per i poveri è al centro del Vangelo. Terra, casa e lavoro, quello per cui voi lottate, sono diritti sacri. Esigere ciò non è affatto strano, è la dottrina sociale della Chiesa», ha detto prima di invitare i movimenti popolari a far rientrare nella loro critica al sistema economico attuale, quando questo mette i benefici al di sopra dell’uomo, anche i temi dell’aborto, dell’eutanasia e delle altre forme di “scarto” della persona umana. Ovviamente è falso anche che Francesco si disinteressi dei cristiani perseguitati, ne parla continuamente e proprio due giorni fa ha ricordato i cristiani copti «sgozzati per il solo motivo di essere cristiani», e pochi giorni prima ha parlato dei «nostri martiri, dei martiri dei nostri giorni, quegli uomini, donne, bambini che sono perseguitati, odiati, cacciati via dalle case, torturati, massacrati. E questa non è una cosa del passato: oggi succede questo. I nostri martiri, che finiscono la loro vita sotto l’autorità corrotta di gente che odia Gesù Cristo. Ci farà bene pensare ai nostri martiri».

L’elenco dei “peccati” del successore di Pietro, elencati su “Libero”, è quasi concluso: Socci critica la scelta di «nuovi cardinali in base alla sua ideologia, invece di dare la porpora» ai vescovi del medioriente. A parte che non si capisce cosa sia “l’ideologia” di Francesco, non risulta che Giovanni Paolo II o Benedetto XVI abbiano nominato cardinali che non stimavano o che erano lontani dal loro pensiero. Anche loro, dunque, hanno scelto in base alla loro “ideologia”? Per quanto riguarda le scelte, come sappiamo ci sono sempre importanti valutazioni geopolitiche dietro ad ognuna di esse, ed evidentemente i criteri utilizzati in Vaticano sono un pochino più complessi di quanto si possa teorizzare sulla pagina Facebook di un giornalista.

L’articolo si conclude parlando di un «clima da caccia alle streghe e da epurazioni che da qualche giorno circola nell’establishment vaticano». E’ la classica bufala catastrofista, Socci lo aveva già scritto nell’ottobre scorso e non è accaduto nulla. Ha anche fatto una proposta al Papa: «Un’operazione lampo di salvataggio di questi cristiani rimasti lì, con il loro vescovo. Sono solo trecento e rischiano tutti la vita per la loro fede. Il Vaticano potrebbe ospitarli […] E’ questa la mia preghiera a papa Bergoglio per salvare dal massacro un’intera comunità cristiana e il suo pastore. Perché non farlo?». Gli ha risposto lo stesso vescovo di Tripoli, padre Martinelli, dimostrando di avere un senso della Chiesa e della missione cristiana diverso dal suo: «Questo è il culmine della mia testimonianza. Tutti mi chiedono di tornare. Ma io non devo tornare da nessuna parte, perché il mio posto è qui. Come faccio a mollare? Sarebbe un tradimento. Io da qui non mi muovo. E non ho paura». Una bellissima testimonianza, dalla quale si nota -esattamente come fa Papa Francesco- l’assenza di un attacco all’Islam (o all’islamismo, come vorrebbe Socci), anzi un’importante distinzione: «Io spero che qualcuno voglia spendersi per questa gente. Penso che sia l’unica strada mica solo per i cristiani, ma anche per quei libici che con gli estremismi e i jiadihisti non hanno nulla a che fare».

E’ sorprendente comunque che il giornalista abbia espresso questa proposta al Papa, guardando a lui evidentemente come il pastore della Chiesa. Eppure, aveva appena finito di scrivere che «siamo come pecore senza pastore». Pecore senza pastore? Una posizione che è in antitesi con il cristianesimo, come ha spiegato Benedetto XVI: «noi non andiamo a tastoni nel buio, non andiamo vagando invano alla ricerca di ciò che potrebbe essere retto, non siamo come pecore senza pastore, che non sanno dove sia la via giusta. Dio si è manifestato. Egli stesso ci indica la strada». Non vedere più la strada è un problema personale con la fede cristiana e non si può scaricare la colpa sugli altri per questo, dato che per tanti Papa Francesco è invece l’occasione per una conversione nuova, un ritrovamento della strada perduta. Magdi Cristiano Allam è uscito dalla Chiesa cattolica criticando Francesco, Benedetto XVI e Giovanni Paolo II. Per lo meno è stato coerente con se stesso.

La redazione

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Il neuroscienziato Rizzolatti: «la filosofia? E’ molto più precisa della scienza»

Giacomo RizzolattiSecondo Papa Francesco, «lo scientismo e il positivismo si rifiutano di ammettere come valide forme di conoscenza diverse da quelle proprie delle scienze positive. La Chiesa propone un altro cammino, che esige una sintesi tra un uso responsabile delle metodologie proprie delle scienze empiriche e gli altri saperi come la filosofia, la teologia, e la stessa fede, che eleva l’essere umano fino al mistero che trascende la natura e l’intelligenza umana».

Tuttavia, ha proseguito, «alcuni scienziati vanno oltre l’oggetto formale della loro disciplina e si sbilanciano con affermazioni o conclusioni che eccedono il campo propriamente scientifico. In tal caso, non è la ragione ciò che si propone, ma una determinata ideologia, che chiude la strada ad un dialogo autentico, pacifico e fruttuoso». Un esempio di questi scienziati sono i cosiddetti “new atheist”, il gruppetto in voga fino a qualche anno fa composto da Dawkins, Dennett, Harris e Atkins. Proprio quest’ultimo, un chimico, disse: «Io sostituisco la parola Dio a scienza, la scienza spiega tutto, la domanda dello scopo della vita è vuota» (R. Stannard, “La scienza e i miracoli”, Tea 2006, p. 208).

Una visione scientista che è stata contraddetta pochi giorni fa da uno dei principali scienziati italiani, il neuroscienziato Giacomo Rizzolatti, docente all’Università di Parma e noto a livello internazionale per essere stato lo scopritore dei cosiddetti neuroni specchio. In un’intervista ha raccontato la sua storia, la nascita nell’Unione Sovietica e l’inizio degli studi: «Studiando al liceo, mi piacque molto la filosofia e decisi di fare neurologia che era la cosa più vicina».

Ma la scienza ha soppiantato la filosofia, come ha affermato un altro scientisita, l’astrofisico Stephen Hawking? «No, perché l’approccio è diverso. Noi andiamo molto più per approssimazione. Il filosofo cerca di vedere le cose in modo raffinato, trova subito l’errore, dice che non è del tutto convincente, che gli manca questa prova». Anzi, la filosofia «è molto più precisa della scienza. E’ vero che i dati della scienza sono incontrovertibili, ma il filosofo è molto utile per trovare quali sono i punti deboli nella speculazione successiva ai dati. I dati sono dati, però poi si devono interpretare. Cosa significano? Cosa portano di nuovo come conoscenza? E’ su questo qualcosa di nuovo che il filosofo ti critica e ti mette in discussione, mette in dubbio certe cose, ed è molto utile».

L’uso della ragione del prof. Rizzolatti è certamente aperto, perché si può anche essere dei geni e usare la ragione come chiusura alla realtà, magari strumentalizzando la scienza per motivazioni ideologiche. Non è un caso che, in una precedente intervista, il noto neuroscienziato ha risposto così alla domanda sulla presunta inconciliabilità tra scienza e fede: «No, non sono inconciliabili. Lo scienziato, per quanto bravo, non ha elementi per criticare o sostenere le verità religiose. Chi lo fa, commette un peccato di arroganza».

La redazione

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