Negare coscienza e libero arbitrio e accorgersi che è una tesi inaccettabile

Robot uomoLa filosofia materialista sta progressivamente abbandonando la strumentalizzazione dell’evoluzione biologica, preferendo concentrarsi sulle neuroscienze. Secondo gli esponenti del riduzionismo convincersi e convincere che gli esseri umani sono solamente delle macchine complesse, determinate unicamente da forze materiali, è una strada più efficace per ridurre l’eccezionalità dell’essere umano.

L’irriducibilità dell’uomo è infatti un fattore molto scomodo per chi vorrebbe negare il Creatore, per questo da decenni è in corso un tentativo di screditare la coscienza, l’anima e il libero arbitrio attraverso la strumentalizzazione delle scienze neurologiche. Senza coinvolgere la creazione da parte di un Essere personale è molto difficile parlare dell’uomo come agente morale capace di compiere scelte responsabili. Meglio teorizzare macchine prive di libertà, condizionate unicamente dagli antecedenti biologici. E’ evidente che l’anti-fattualità è uno degli ostacoli, certamente uno dei principali, a queste tesi: nessuno arriverà mai a concepirsi davvero così perché questa descrizione dell’essere umano è contraria all’esperienza che abbiamo di noi stessi e delle persone che ci stanno attorno.

Sopratutto, non regge alla prova dell’esperienza nemmeno nei loro sostenitori. Un esempio particolarmente chiaro è il filosofo Galen Strawson che ha affermato spavaldamente che «l’impossibilità della libera volontà e della responsabilità morale possono essere dimostrate con assoluta certezza». Salvo poi riconoscere che «ad essere onesti non posso davvero accettare me stesso in questo modo, e non perché sono un filosofo. Come filosofo affermo l’impossibilità del libero arbitrio ma non posso convivere con questo. Per quanto riguarda gli scienziati, essi possono affermare le stesse cose nei loro camici bianchi, ma sono sicuro che, proprio come il resto di noi, quando sono nel mondo, sono convinti della radicale realtà del libero arbitrio». La realtà corre da una parte mentre le teorie che vorrebbero spiegarla dicono tutt’altro. Ma quale affidabilità hanno queste spiegazioni? Non rivelano semplicemente l’ostinazione dei filosofi materialisti nel cercare di teorizzare una visione del mondo che non si adatta al mondo reale?

Un altro esempio è il prof. Edward Slingerland che nel libro What Science Offers the Humanities si è identificato come un imperturbabile materialista riduzionista, sostenendo che il materialismo darwiniano porta logicamente alla conclusione che gli esseri umani sono dei robot illusi di avere una volontà autonoma o coscienza. Tuttavia, anche lui ha ammesso che è impossibile credervi, «nessuno agirebbe più se ad un certo punto avesse la sensazione di non essere libero. Noi siamo costituzionalmente incapaci di sperimentare noi stessi e gli altri come dei robot». Saremmo dunque dei robot progettati, non si sa da chi, come o perché, «per non credere che siamo robot». La soluzione esposta da Slingerland è quella di continuare a mentire a noi stessi: «abbiamo bisogno del trucco del vivere con una coscienza duale, coltivando la possibilità di identificare gli esseri umani simultaneamente in due descrizioni: come sistemi fisici e come persone». La soluzione è vivere una dicotomia mentale. Slingerland parla della propria figlia, scrivendo: «In un importante e inestirpabile livello di me stesso, l’idea di mia figlia come una semplice e complessa robot che trasporta i miei geni alla generazione successiva è sia bizzarra che ripugnante» (p. 307). Una tale visione riduzionista «ispira in noi una sorta di resistenza emotiva e persino repulsione», tanto che quando ascoltiamo qualcuno che afferma queste cose lo «etichettiamo come “psicopatico” e giustamente cerchiamo di identificarlo e nasconderlo per proteggere il resto di noi».

Come è stato fatto notare, si tratta di ciò che George Orwell definì “bipensiero”: quando una visione del mondo non riesce a spiegare tutta la realtà, i teorici cosa fanno? Solitamente lo riconoscono e ritirano le loro convinzioni. Eppure ci sono persone che non si arrendono così facilmente e preferiscono sopprimere le cose che la loro visione del mondo non riesce a spiegare. O, per facilitare le cose, aderiscono al motto degli ideologi: “Se i fatti contraddicono le teorie, tanto peggio per i fatti. Cosa possiamo altrimenti dire quando qualcuno ci spinge ad adottare una visione che egli stesso ammette essere bizzarra e ripugnante?

Un altro esempio è il prof. Marvin Minsky del MIT, secondo cui il cervello umano “non è altro che” (parola chiave del materialismo scientista) «un computer di tre chili circondato da carne». Ovviamente, i computer non hanno il potere di scelta e dunque nemmeno gli esseri umani. Sorprendentemente, però, Minsky chiede: «Questo significa che dobbiamo abbracciare la moderna visione scientifica e mettere da parte l’antico mito della scelta volontaria? No. Non possiamo farlo. Non importa se il mondo fisico non fornisce spazio per la volontà libera, non possiamo rinunciarvi. Siamo praticamente costretti a mantenere questa convinzione, anche se sappiamo che è falsa». Falsa, ovviamente, secondo la visione materialista del mondo. Questo è un incredibile caso di bipensiero orwelliano: Minsky dice che le persone sarebbero “costrette a mantenere” la convinzione del libero arbitrio, anche quando la loro visione del mondo dice loro che “è falsa”. Ancora una volta: il filosofo riduzionista fa un’esperienza di se stesso che è oggettivamente contraria alla sua tesi precostituita, perciò sostiene di sapere che tale esperienza è falsa (vivremmo dunque una indignitosa vita basata sul costante autoinganno di noi stessi) ma è costretto da se stesso a reputarla veritiera (“tanto peggio per i fatti”, dicevamo).

Infine l’ultimo esempio è Rodney Brooks, anch’egli professore emerito al MIT. Un essere umano, ha scritto nel libro Roboticist (Pantheon Books 2002), non è altro che un «grande sacco di pelle pieno di biomolecole». E’ difficile considerare così le persone, eppure -ha scritto- «quando guardo i miei figli mi costringo a guardar loro come delle macchine». Anche se, ovviamente, «non li tratto in questo modo ma interagisco con loro ad un livello completamente diverso. Hanno il mio amore incondizionato, il più lontano possibile da ciò che si conclude da un’analisi razionale». Brooks considera dunque “razionale” una visione del mondo in cui gli esseri umani sono “sacchi di pelle piene di biomolecole” e considera “irrazionale” l’amore ai propri figli. Come è possibile conciliare una tale e straziante dissonanza cognitiva? «Io sostengo due insiemi di credenze incoerenti», ha concluso, rinunciando alla speranza di raggiungere un’unica e coerente visione de mondo pur di non abbandonare le sue tesi.

Tutto ciò che il paradigma riduzionista e materialista non riesce a spiegare viene gettato via, compresi gli ideali su cui è fondata la società umana: la libertà morale, la dignità umana, l’amore verso i figli. In realtà le loro tesi sono completamente reversibili: non siamo noi che facciamo un’esperienza falsa costretti a ritenerla vera, ma è il loro “io” più profondo che ha repulsione per queste teorie perché sa benissimo essere false. Ma è meglio convivere con questa incoerente dicotomia piuttosto che ammettere ciò che la realtà ci mostra: siamo esseri liberi e morali. Chi vuole studiare il mistero dell’uomo dev’essere coerente, altrimenti non potrà evitare queste contraddizioni.

La redazione

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Aggressione omofoba a Rovigo? No, solita bufala Lgbt

finta omofobia 2Eravamo rimasti effettivamente stupiti qualche giorno fa quando diversi quotidiani online hanno riportato la vicenda di un’aggressione omofoba a Rovigo: un tizio avrebbe rotto un bicchiere in faccia a due persone omosessuali mentre si stavano baciando. Vuoi vedere che, dopo tutte le false notizie di questi anni inventate dalla comunità Lgbt, è emerso il primo caso di vera omofobia?

Se fosse così sarebbe un gesto chiaramente da condannare, il Gazzettino di Rovigo ha accusato un pugile palestrato che la polizia starebbe cercando, il Corriere del Veneto ha dato ampio spazio alle sigle Lgbt che subito hanno proclamato l'”emergenza omofoba”, il Fatto Quotidiano ha descritto la scena nei minimi dettagli, approfittando per accusare il solito anonimo sacerdote che avrebbe accusato uno dei due gay aggrediti di “rovinare il nome del paese perché gay”.

Come al solito, è bastato aspettare un paio di giorni e il grande caso nazionale montato dai media si è rivelato, per fortuna, l’ennesima bufala Lgbt. La notizia, come sempre, è apparsa soltanto in un trafiletto di Rovigo Oggi in un articolo intitolato: “Caso montato, l’omofobia non c’entra”. Nessun pugile palestrato in fuga, nessun sacerdote omofobo, nessun bicchiere spaccato in faccia, nessuna violenza, nessuna denuncia: tutte menzogne.

Lo dice a chiare lettere la stessa questura che rileva solo come, intorno alle due del mattino, un ragazzo in uno dei locali di corso del Popolo, è inciampato rompendo il bicchiere che teneva in mano. Alcuni pezzi di vetro sono finiti addosso ad una persona lì vicino: “Scusa ti ho fatto male?”, le prime parole dette. Tutto qui. La vittima dello sfortunato episodio era un omosessuale e questo è bastato al mondo Lgbt per inventarsi la storia dell’aggressione omofoba durante un bacio gay da parte di un pugile omofobo (magari cattolico praticante e papaboys). Il tutto per resistere nel dipingere un fenomeno inesistente come l’omofobia e tentare di raccogliere le simpatie e l’approvazione che solitamente si concedono, per solidarietà, alle minoranze discriminate.

Siamo all’ennesima invenzione, in questi mesi sono infatti stati smentiti tutti i casi di omofobia apparsi sui quotidiani: si è rivelato una bufala Lgbt il caso del ragazzo dai pantaloni rosa, il caso del tentato suicidio di un sedicenne omosessuale dell’Istituto Tecnico Nautico “Colonna”, il caso del 21enne gay suicida da un palazzo a Roma, il caso della discoteca “Just In” (conclusosi con la denuncia per diffamazione del presidente di Arcigay Verbania, Marco Coppola), il il caso della professoressa licenziata da un istituto cattolico in quanto lesbica, il caso dell’insegnante di religione accusata di aver tenuto una lezione omofoba ecc. L’unica vera notizia è la ricerca effettuata dal prestigioso Pew Research Center che ha collocato l’Italia tra i Paesi del globo aventi i più bassi tassi di discriminazione dell’omosessualità.

La redazione

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I contraddittori argomenti di Massimo Pigliucci contro la metafisica

TomismoIl prof. Massimo Pigliucci è probabilmente il più importante filosofo ateo vivente, può vantare un’ottima e vasta preparazione (filosofica e scientifica), collaborazioni e premi importanti nella sua carriera. E’ molto attivo nel confronto tra ragione, scienza e fede e rifiuta di sostenere che un approccio scientifico debba essere per forza alternativo alla fede in Dio, distinguendo giustamente tra naturalismo filosofico e naturalismo metodologico.

Proprio per questo Pigliucci è stato uno dei critici più attivi del movimento dei New Atheist capitanato da Richard Dawkins, fenomeno attivo fino a qualche anno fa e oggi sempre più progressivamente irrilevante. L’accusa principale che ha loro rivolto è di aver abbracciato lo scientismo per negare Dio, compiendo parallelamente anche un’opera di svalutazione della filosofia e di tutti gli approcci non strettamente scientifici. I “nuovi atei” si sono liberati da una religione per abbracciarne un’altra: quella che adora il dio scienza. Proprio recentemente ha pubblicato un articolo nel quale avanzato quattro ragioni che nella sua carriera gli hanno impedito di prendere sul serio la metafisica.

Al prof. Pigliucci ha risposto il prof. Edward Feser, docente di filosofia al Pasadena City College e alla Loyola Marymount University, nonché visiting scholar presso la Bowling Green State University. Riteniamo sia uno dei migliori studiosi del tomismo e degli esponenti della scuola aristotelica, cresciuto come ateo si è convertito al cattolicesimo proprio studiando il pensiero di Aristotele e Tommaso d’Aquino.

Il primo motivo dello scetticismo del prof. Pigliucci verso la metafisica è che nonostante «gli scolastici medievali hanno fatto un ottimo lavoro, come un adolescente è intellettualmente incline alla ribellione non ho potuto che respingere gli scolastici». Aggiungendo inoltre che «gli Scolastici hanno ancora una cattiva reputazione nel mondo filosofico». Se questa è la prima argomentazione allora è facile per il prof. Feser replicare: «Naturalmente, né la ribellione adolescenziale, né l’appello alla moda intellettuale contemporanea costituiscono una seria discussione. Pigliucci ha un motivo di merito per respingere la metafisica scolastica? Lui non lo dice. Ha capito la metafisica scolastica? Ad esempio, conosce la differenza (profonda!) tra la metafisica dei filosofi razionalisti come Leibniz e quella della maggior parte dei metafisici contemporanei?».

Il secondo motivo affermato dal filosofo laico è il cosiddetto verificazionismo dei positivisti logici e l’applicazione di esso per una critica alla metafisica. L’idea di base, come è noto, è che qualsiasi dichiarazione significativa deve essere analiticamente vera (come “Tutti gli scapoli non sono sposati”) o empiricamente verificabile. Le affermazioni metafisiche non rispondono ai due criteri quindi, secondo tale argomento, sono strettamente prive di senso (anche se non necessariamente false). Eppure, come ha fatto notare il prof. Feser, «ci sono vari problemi con il verificazionismo, quello più noto è che si tratta di una auto-confutazione nella misura in cui il principio stesso non risulta vero (o verificabile) né analiticamente né empiricamente». Applicando il suo stesso principio, dunque, il verificazionismo stesso risulta essere privo di senso. «Sono state tentate formulazioni alternative di tale principio», ha commentato ancora Feser, «ma il guaio è che non c’è modo di formularlo senza evitare l’auto-confutazione. Per questo è improbabile che Pigliucci consideri ancora il verificazionismo come una seria sfida alla metafisica».

Il terzo motivo contro la metafisica pronunciato dal prof. Pigliucci arriva dal pensatore inglese David Hume e la sua nota teoria della conoscenza (o “forchetta di Hume”) secondo cui le “relazioni di idee” e i “dati di fatto” non possono contenere “sofismi e illusioni” (cioè affermazioni non dimostrabili empiricamente) e la metafisica violerebbe pesantemente tale teoria. Ma anche in questo caso l’obiezione non coglie il segno: «il problema», ha commentato Feser, «è che la “forchetta di Hume” è una anticipazione del principio di verifica dei positivisti ed è viziata dagli stessi problemi. In particolare anch’essa si auto-confuta in quanto tale teoria non è in sé né vera in virtù dei rapporti di idee che fanno parte della sua formulazione, né vera in virtù di questioni di fatto empiricamente discernibili. Quindi non è meno “metafisica” delle proposizioni che vorrebbe criticare».

Il quarto motivo enunciato per sostenere lo scetticismo verso la metafisica è che spesso risulta essere in conflitto con l’immagine del mondo fornita dalla scienza. Quindi, qualsiasi metafisica che non è essenzialmente la sistematizzazione dell’analisi concettuale di ciò che le varie scienze ci dicono non può avere solide fondamenta. Per questo motivo, da diverso tempo, è stata teorizzata una metafisica “naturalizzata ” o “scientifica”, la quale sarebbe l’unica a poter promuovere analisi concettuali con basi stabili. Anche questa tesi, però, non è esente da problemi: «non solo non è un argomento migliore di quello di Hume e degli argomenti verificazionisti», ha commentato il filosofo americano Feser, ma in realtà «ad un esame più attento è sempre lo stesso argomento soltanto superficialmente riconfezionato. Hume parla di “elementi di fatto”, i positivisti di “proposizioni empiricamente verificabili” e in questo ultimo caso si legge “metafisica naturalizzata (o scientifica)”. Tale tesi ha gli stessi problemi della tesi di Hume: essa non è una affermazione di metafisica scientifica/naturalizzata, né è conoscibile tramite “analisi concettuale”».

Così, neanche il quarto argomento a favore dello scetticismo di Pigliucci sulla metafisica rende davvero ragione della sua posizione, esattamente come i primi tre. L’auto-confutazione non è l’unico problema in cui cadono i critici della metafisica tradizionale, c’è anche una ristretta concezione della metafisica da parte loo. «In particolare», ha aggiunto Feser, «si tende solitamente ad inquadrare i problemi all’interno di una dialettica razionalista/empirista/kantiana ereditata dai primi moderni, ma la tradizione aristotelico-scolastica – contro la quale sono state definite queste posizioni- respinge le ipotesi di base loro sottostanti». La questione si approfondisce molto e consigliamo a chi è interessato la lettura dell’articolo in lingua originale.

In sintesi possiamo dire che chiunque critica la metafisica può farlo soltanto all’interno di un paradigma scientista, ereditando le sue contraddizioni e auto-confutazioni. Come spiegato dal prof. Ugo Amaldi, emerito fisico italiano dell’Università di Milano, «esiste una trascendenza orizzontale e una verticale: quella orizzontale è dei naturalisti e risulta contraddittoria, anche coloro che affermano la loro fede nel naturalismo escono dai confini della scienza compiendo un passo che trascende il sapere scientifico. Quella verticale è di chi aderisce alla fede in Dio creatore e sostenitore di quella natura che è oggetto dello stesso sapere scientifico» (U. Amaldi, in Dio oggi. Con lui o senza lui cambia tutto, Cantagalli 2010, p. 182). «Lo scientismo e il positivismo», ha commentato Papa Francesco, «si rifiutano di ammettere come valide forme di conoscenza diverse da quelle proprie delle scienze positive. La Chiesa propone un altro cammino, che esige una sintesi tra un uso responsabile delle metodologie proprie delle scienze empiriche e gli altri saperi come la filosofia, la teologia, e la stessa fede, che eleva l’essere umano fino al mistero che trascende la natura e l’intelligenza umana. Però, in alcune occasioni, alcuni scienziati vanno oltre l’oggetto formale della loro disciplina e si sbilanciano con affermazioni o conclusioni che eccedono il campo propriamente scientifico. In tal caso, non è la ragione ciò che si propone, ma una determinata ideologia, che chiude la strada ad un dialogo autentico, pacifico e fruttuoso».

E’ sorprendente che il prof. Pigliucci non si accorga di assumere lo stesso contraddittorio atteggiamento che giustamente critica ai “moderni atei”. Il filosofo Étienne Gilson fece notare che la metafisica seppellisce sempre i suoi becchini, e lo stesso è accaduto anche al filosofo italo-americano.

La redazione

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L’ecologia e l’ambientalismo dipendono da una visione cristiana del mondo

AmbientalismoMolti cristiani guardano con diffidenza i movimenti animalisti ed ecologisti, troppo spesso effettivamente si sono resi protagonisti di ingiustificati e spropositati attacchi di odio, come accaduto ad esempio con l’ondata di insulti e auguri di morte subita dalla giovane Caterina Simonsen, colpita da quattro malattie genetiche rare, che ha raccontato di essere ancora viva grazie alla sperimentazione sugli animali.

«Se crepavi anche a 9 anni non fregava nulla a nessuno, causare sofferenza a esseri innocenti non lo trovo giusto», le hanno risposto in migliaia. L’odio per gli esseri umani è infatti una caratteristica comune di molti animalisti, convinti che gli uomini dovrebbero estinguersi per poter permettere alla natura di svilupparsi adeguatamente. Questi movimenti sono molto apprezzati dagli ambienti laici e riduzionisti, non solo perché promuovono una forma di laicissima religiosità panteistica (alternativa al cristianesimo) ma sopratutto in quanto contribuiscono a svalutare l’eccezionalità umana rispetto agli altri abitanti del pianeta Terra, fattore molto fastidioso per chi nega l’esistenza di un Creatore.

La diffidenza verso queste realtà è dunque più che giustificata, eppure bisogna sempre stare attenti a non generalizzare: tantissimi amanti della natura non vivono questa loro sensibilità con fondamentalismo ideologico e fini riduzionisti contro l’essere umano. Anzi, tantissimi devoti cristiani promuovono iniziative a favore dell’ambiente e della sensibilizzazione generale su questa tematica. Il primo, se così possiamo dire, è proprio Papa Francesco che a breve pubblicherà un’Enciclica sull’ecologia naturale e sull’ecologia umana.

In effetti l’ambientalismo appare dotato di senso soltanto in una prospettiva cristiana. Come è stato spiegato da J. Warner Wallace, per coloro per cui è tutto caso, necessità e selezione naturale non ha alcun significato razionale preoccuparsi di sostenere una specie animale che non si “adatta” a sufficienza per sopravvivere senza il nostro intervento. Con quale ragionevole ragione dovremmo ostacolare il corso dell’evoluzione darwiniana? L’indifferenza è la regola principale della selezione naturale ed opporsi ad essa non ha alcun senso in una prospettiva atea.

Al contrario, per noi cristiani è una responsabilità enorme quella di proteggere e curare l’ambiente naturale. Ad Adamo ed Eva è stato dato il “dominio” su tutta la creazione (Gn 1,26-28), cioè la responsabilità di un “lavoro” per il “mantenimento” del giardino dell’Eden (Gn 2,15). Il “dominio” sulla natura significa attenta responsabilità, ma non per un semplice utilitarismo. Il mondo “naturale” intorno a noi è anch’esso nato dalla volontà di Dio, rispettare l’ambiente, le piante e gli animali significa rispettare la volontà di Dio. Come ha affermato Papa Francesco, «un cristiano che non custodisce il Creato, che non lo fa crescere, è un cristiano cui non importa il lavoro di Dio, quel lavoro nato dall’amore di Dio per noi».

E’ stato proprio il cristianesimo a far scomparire il rituale del sacrificio animale (e umano) dall’Occidente e in generale nelle terre cristianizzate, gli dei degli Antichi Greci -ad esempio- erano assetati di sangue animale come descrive Euripide nelle Braccanti. Da anni la sensibilità verso l’ecologia è parte del pensiero della Chiesa, così come l’ultima Giornata Mondiale della Gioventù a Rio de Janeiro è stata aperta con forti richiami alla “Salvaguardia del Creato”. Sopratutto in Africa e Sud America è la Chiesa in prima linea a difendere l’ambiente dalla distruzione e dalla deforestazione.

Tuttavia, come spiegato sempre dal Santo Padre, questo non significa che non dobbiamo usufruire del cibo animale e vegetale: «il Creato è un prezioso dono che Dio ha messo nelle mani degli uomini. Ciò significa da un lato che la natura è a nostra disposizione, ne possiamo godere e fare buon uso; dall’altro però significa che noi non ne siamo i padroni. Custodi, ma non padroni. La dobbiamo perciò amare e rispettare, mentre invece siamo spesso guidati dalla superbia del dominare, del possedere, del manipolare, dello sfruttare; non la “custodiamo”, non la rispettiamo, non la consideriamo come un dono gratuito di cui avere cura. Rispettare l’ambiente significa però non solo limitarsi ad evitare di deturparlo, ma anche di utilizzarlo per il bene. Penso soprattutto al settore agricolo, chiamato a dare sostegno e nutrimento all’uomo. Non si può tollerare che milioni di persone nel mondo muoiano di fame, mentre tonnellate di derrate alimentari vengono scartate ogni giorno dalle nostre tavole. Inoltre, rispettare la natura, ci ricorda che l’uomo stesso è parte fondamentale di essa. Accanto ad un’ecologia ambientale, serve perciò quell’ecologia umana, fatta del rispetto della persona».

La redazione

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Anche Vito Mancuso si adeguerà alla realtà e abbandonerà il gender

Vito Mancuso
 
 
di Giovanni Marcotullio*
*giornalista, baccelliere in Sacra Teologia e specializzatosi in Teologia e Scienze Patristiche

da La Croce quotidiano, 21/04/15

 

L’oracolo mancusiano è tornato a parlare, il profeta del San Raffaele ha detto: «Un giorno la Chiesa arriverà ad accettare la sostanza di ciò che essa definisce “teoria del gender” e che oggi tanto combatte». E ancora, sul finire del vaticinio: «Oggi alla Chiesa cattolica appare blasfema una famiglia diversa da quella tradizionale: in un tempo non lontano essa capirà che la pluralità degli amori umani è un altro punto di forza della nostra società, in quanto capace di accogliere tutti».

Quando un profeta parla con voce tanto perentoria dobbiamo osservare anzitutto un momento di religioso silenzio: sarebbe inopportuno chiedersi “ma che ne sa questo?” davanti a uno che parla con tanta autorevolezza. Vito Mancuso, però, è un profeta buono, uno che crede nella ragione e che anzi del suo razionalismo (a piacere) ha fatto una professione di fede, e per questa ragione non si contenta di emulare gli antichi vati, suoi predecessori, che ci lasciavano con una manciata di parole buttate «al vento / ne le foglie levi». No, egli ci dice di più: «Nel Seicento avvenne la rivoluzione astronomica alla quale la Chiesa si oppose costringendo l’anziano Galileo ad abiurare in ginocchio la teoria copernicana: poi la Chiesa cambiò idea, adattandosi alla realtà. In seguito la rivoluzione politica portò i popoli a determinare laicamente la propria forma di governo e la Chiesa si oppose condannando in particolare lo Stato unitario italiano: poi la Chiesa cambiò idea, adattandosi alla realtà. In seguito la rivoluzione sociale inaugurò diritti umani come il suffragio universale, la parità uomodonna, l’istruzione obbligatoria statale, la libertà religiosa, contro cui pure insorse l’opposizione ecclesiastica: che poi cambiò idea, adattandosi alla realtà. Contestualmente la rivoluzione biologica darwiniana mostrava che le specie risultano il frutto di una lunga evoluzione e non di una creazione puntuale: la Chiesa, prima acerrima nemica, poi cambiò idea, adattandosi alla realtà».

A leggere questo monotono salmodiare – sembra quasi “il grande Hallel”, salvo che non si ripete la lode della misericordia divina bensì l’azione di un ritardatario e riluttante adattarsi alla realtà – uno avrebbe l’idea che la storia della cristianità sia analoga alla passeggiata di un tizio che porta a spasso il cane, ove il tizio sta per il mondo e il cane per la Chiesa: il quadrupede ha bel credere e fare come se la passeggiata dipendesse da lui e dai suoi bisogni; in realtà è il “bipede implume” (a Mancuso piacerà questa citazione) a stabilirne l’opportunità, la durata, la direzione, il tragitto, e vi è uno strumento apposito – il guinzaglio – per persuadere l’animale ad “adattarsi alla realtà”. Tale benigno strumento compare anche nelle parole compassionevoli di Mancuso, che invita i lettori di Repubblica a non pronunciarsi troppo severamente sulla sciocca e retrograda testardaggine del cane ecclesiale: «La Chiesa è quindi un’abile trasformista? No, è la logica della vita che è così e che trasforma ogni cosa. Nella vita ciò che non muta muore. Se la Chiesa dopo duemila anni è ancora qui, è perché è ampiamente mutata. Perlopiù in meglio, mettendosi in condizione di essere sempre più “ospedale da campo”, come la vuole papa Francesco, cioè china sulle ferite degli esseri umani per curarne amorevolmente le ferite».

A questo punto non posso che levare un accorato plauso a Vito Mancuso, che oltre a dire (nelle ultime due righe) cose tutto sommato condivisibili, per quanto non geniali, sembra finalmente riconciliarsi anche lui con la realtà (sempre nelle ultime due righe): mi ricordo infatti le sue fresche aspettative, ribadite in più interviste all’indomani dell’elezione di Francesco. Sembrava che “finalmente” (la parola che tradizionalmente i veri reazionari alla Tradizione ripetono in certe circostanze) la storia si fosse messa nel giusto solco. Ricordo pure il disorientato disappunto con cui lo stesso Mancuso commentava la Lumen fidei e la Evangelii gaudium di Papa Francesco, dovendone constatare la limpida continuità dottrinale coi predecessori. Oggi finalmente Mancuso ammette che sul gender sono “dure” le «parole delle gerarchie cattoliche, Papa compreso». Meno male, da parte del cultore dell’adattamento alla realtà è un bel segno.

Aggiungo poi che un simile plauso della realtà è tanto più lodevole in uno che non ha mai amato citare Tommaso d’Aquino: lo so, fa poco chic in certi salotti, mentre Teilhard de Chardin si veste meglio (tanto in certi salotti non hanno letto nessuno dei due, e proprio per questo possono dire di essere in disaccordo col primo e di apprezzare il secondo). In realtà la forma canonica della dottrina tradizionale cattolica sulla verità è proprio formulata dal frate di Aquino: «Adaequatio intellectus et rei» – ovvero, la verità si dà nel giudizio dell’uomo quando il suo intelletto si adegua alla realtà. Proprio come ha detto Mancuso. Dà sollievo vedere che anche i profeti del suo rango professano di guardare alla realtà. Ma poiché la persona delle cui dichiarazioni parliamo si professa teologo, nello specifico (e non profeta), e visto che la stessa è professore di teologia (e non di profezia), il suo lettore spererebbe di trovare un maggiore e più puntuale riscontro con la storia della Chiesa e dei suoi dogmi: un discorso storico non banale non dovrebbe neanche accennare al Caso Galilei senza fare riferimento al ruolo di Bellarmino e alle tensioni di scuola tra gesuiti e domenicani e non potrebbe non fare menzione delle clausole dottrinali della Humani generis di Pio XII. Tralasciamo le banalità sulle donne, sul governo democratico, sull’illuminismo in genere (al professore potrà essere utile un ripasso del disprezzato discorso di Ratisbona di Benedetto XVI): non era materia fondamentale del pezzo di Mancuso e non vale la pena rispondere punto per punto in questa sede.

Torniamo alla realtà e alla legge naturale e sociale che chiede di adeguarsi ad essa: la necessità di mutare per sopravvivere l’ha messa nero su bianco perlomeno Vincenzo di Lerino nel 434, è curioso leggere su Repubblica uno che la spaccia per “novità” ecclesiale e teologica: il teologo provenzale ci teneva pure a precisare che certo muore l’organismo che non si evolve per crescere, ma ci sono pure evoluzioni che portano alla morte. Un cancro è uno sviluppo organico anomalo e mortifero per un organismo, ma a differenza del virus non viene dall’esterno, si sviluppa dall’interno: nella fattispecie, la Chiesa condanna duramente (e giustamente) la teoria del gender perché vi ravvisa uno sviluppo canceroso dell’antropologia filosofica. Mancuso sembra tenere a mente l’adagio immortalato da Hannah Arendt per cui nella Chiesa come in politica «si combattono oggi, con i nemici di ieri, gli alleati di domani». Questo è accaduto molte volte e moltissime altre potrà accadere: non è tuttavia una legge inderogabile, e in tal senso Mancuso sembra adeguarsi, più che alla realtà, al pregiudizio positivistico per cui il giudizio di ogni “modernità” è per definizione “aggiornato” e perciò stesso vero – il pregiudizio, in fondo, che fa coincidere la cultura con le mode.

E le mode, che sono la radice etimologica e fenomenica di tutte le modernità, mostrano ben presto di avere poco o nulla a che fare con la realtà a cui millantano di adeguarsi: se così non fosse non si pretenderebbe di imporre a marce forzate un pensiero sconfessato da ogni evidenza scientifica realmente indipendente. Mancuso ama ricorrere, nei suoi testi, a categorie mutuate da discipline quali la biologia e la fisica, riuscendo peraltro a non risultare mai esoterico, ma sempre comprensibile al lettore di buona cultura ma digiuno di studi specialistici (e questo merito è un punto saldo del suo successo editoriale, bisogna prenderne atto). Ecco, restando su questo stesso piano, sorprende l’ingenuità – o ciò che sembra tale – con cui si saluta il fenomeno del transgender: «La rivoluzione bio-tecnologica – scrive Mancuso – consente ad alcuni esseri umani per i quali la sessualità è diversa dal genere di transitare in un genere più confacente alla loro vera identità sessuale». Tutte categorie della teoria di genere, appunto, sciolte da ogni riferimento scientifico esterno e obiettivo: perché non precisare, ad esempio, che nessun intervento può cambiare il sesso genetico, quello iscritto nel bagaglio cromosomico di ogni cellula dell’organismo umano, e che dunque gli interventi ormonali e chirurgici non producono altro che mascolinizzazioni e femminilizzazioni superficiali (o “fenotipiche” che dir si voglia)? Di fatto il “fenomeno detto transgender” aggiunge un termine in più alla “disforia di genere” (dando per buona la terminologia della teoria del gender), piuttosto che armonizzare i due in contrasto.

Con quale candido ottimismo si può guardare a questo spettacolo di persone sofferenti – e sarebbe disonesto negare quella sofferenza – affidandole ai bisturi dei nuovi artigiani dell’umanità? Mancuso evoca la consueta dialettica tra natura e cultura, implicando (giustamente) che la dignità dell’essere umano sta proprio nel non ridursi al puro dato naturale come accade per gli altri animali. Perfetto, e in questo sta appunto ciò che la teologia cattolica chiama “trascendenza” dell’uomo: essa si caratterizza per la libertà e il potere di autodeterminazione, ma mai questo potere è stato concepito come “assoluto”, ossia sciolto da ogni legame, da ogni riferimento, da ogni influenza. Il maschile e il femminile sono presenti in ogni individuo a livello archetipico – sono considerazioni di Jung, mica di un papa – e l’archetipo è cosa immensamente più radicale e profonda di un vago “sentirsi maschi” o “sentirsi femmine”. In realtà la dimensione cancerosa del gender sta nell’ipertrofia di una sessualità superficiale che tende a invadere gli spazi esistenziali della sessualità profonda, archetipica.

Il maschile e il femminile sono le declinazioni fondamentali dell’essere umano, e un teologo dovrebbe sempre ricordare il numero non trascurabile di codici biblici in cui il versetto “maschio e femmina li creò” riporta il pronome singolare invece di quello plurale: “maschio e femmina lo creò” non allude a un presunto mito dell’androgino o, se lo fa, lo fa proprio perché quel mito dice di un’irriducibile differenza chiamata a ricercare nell’altro-da-sé il proprio orizzonte. In tale quadro di riferimento il fenomeno dell’omosessualità non può che essere osservato come “un mistero” – l’ha ben detto una volta Vittorio Messori – e le persone omosessuali non possono che essere accolte «con delicatezza e rispetto» – lo fece scrivere il tanto vituperato Ratzinger nel Catechismo – ma i misteri non si “risolvono” e le persone non si “modificano”.

Il motivo più radicale per cui la Chiesa giudica e condanna severamente la teoria del gender è che ad essa soggiace un determinismo superficiale e vacuo, il cui esito è proprio quello di portare le persone alla stregua degli oggetti. E questo non solo la Chiesa, ma neanche un teologo potrà mai accettarlo. Non senza sbagliarsi gravemente.

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Il prof. Enrico Bombieri, medaglia Fields: «la matematica rinforza la certezza di Dio»

Enrico BombieriQualcuno farà fatica a crederci, ma il più importante matematico italiano non lo conosce nessuno. O, almeno, nessuno al di fuori del mondo scientifico. Il suo nome è Enrico Bombieri, l’unico italiano ad aver vinto la medaglia Fields, che corrisponde al Nobel dei matematici. Insegna presso l’università di Princeton, negli Stati Uniti.

L’ottimo Francesco Agnoli ha recentemente intervistato (anche qui) il prestigioso matematico, il quale ha riflettuto a lungo sul rapporto tra scienza e metafisica, spiegando: «Per me la matematica è un modello della verità sia pure un modello assai ristretto da chiare regole di consistenza, che ci dice che una Verità assoluta (con la V maiuscola) deve esistere anche se non possiamo comprenderla». E ancora: «Cercare di giustificare l’esistenza di Dio con la matematica mi rammenta la storia che si racconta di sant’Agostino ancor che, passeggiando in riva al mare meditando sul mistero della Trinità, vide un fanciullo con un piccolo cucchiaio con il quale raccoglieva l’acqua del mare e la versava con cura nel suo secchiello. Sant’Agostino chiese: ‘Bimbo, cosa stai facendo?’ e il fanciullo rispose: ‘Sto contando quanta acqua c’è nel mare’. ‘Ma questo e impossibile!’, replicò sant’Agostino. E il fanciullo: ‘Comprendere il mistero della Trinità è più difficile’. La matematica, che è la scienza della verità logica, certamente ci aiuta a comprendere le cose ed è naturale per un matematico che crede in Dio, qualunque sia la sua denominazione, di riconciliare il concetto dell’esistenza di Dio con la sia pure limitata verità che proviene dalla matematica».

«Per me», ha proseguito il prof. Bombieri, «è sufficiente il Metastasio, quando dice: ‘Ovunque il guardo giro, immenso Dio ti vedo’. Guardare l’universo, nel nostro piccolo, nel grande al limite dell’incomprensibile, e anche nell’astratto della matematica, mi basta per giustificare Dio». D’altra parte, «il Big Bang dell’astrofisica moderna non solo ci fa pensare alla creazione biblica, ci dice anche che il tempo è stato creato insieme all’universo, un concetto che risale alla metafisica di sant’Agostino. La matematica è essenziale per dare consistenza a tutto questo, ma da sola non basta per dire che questa visione dell’origine dell’universo stellato di Kant sia esatta al 100 per cento».

Il celebre matematico ha anche voluto ricordare il suo maestro, il grande matematico Ennio De Giorgi: «Alcuni poveri che De Giorgi cercava di aiutare con assiduità, avevano imparato i suoi orari e si facevano trovare quando arrivava in piazza dei Cavalieri ai piedi della scalinata che porta all’ingresso della Scuola Normale. Lui aveva sempre qualcosa da dare loro, senza farlo mai pesare, senza avere mai un gesto di insofferenza o, ancora meno, di fastidio. E io rimanevo colpito da questi slanci di generosità e mi sembrava che davvero la bontà di Dio si manifestasse in lui in modo sublime». «Pascal e De Giorgi», ha proseguito Bombieri, «avevano compreso che Dio non è solo un Dio platonico, astratto, geometrico, aritmetico, o semplicemente creatore di un universo lasciato a se stesso. Essi avevano la visione di un Dio che è più difficile da comprendere, un Dio che è fatto non solo di potenza ma anche di amore infinito. Solamente così diventa possibile, con umiltà, accettare il concetto cristiano della Redenzione».

L’intervista è complessivamente molto bella e vale la pena leggerla integralmente, noi abbiamo preso soltanto alcune citazioni. Interessante, ad esempio, il commento del prof. Bombieri ai versi di Dante, poeta da lui molto amato («Dante è un profondo conoscitore dell’animo umano e ci presenta come il mondo della natura, il mondo delle forze che guidano la vita umana, e il mondo trascendente che appartiene a Dio, sono intrecciati tra loro», ha detto), così come la riflessione sul bene e sul male e sulla loro esistenza nel mondo matematico. C’è anche spazio ad un commento al discorso di Benedetto XVI sulla matematica dell’aprile 2006. Bombieri ha detto: «La consistenza matematica del nostro universo è certamente una ragione per vedere il Dio creatore dell’universo, come ben espresso dal papa Benedetto XVI nel suo discorso. Tuttavia, c’è qualcosa di più. La matematica astratta, in quanto coerente scienza della verità logica, ci rinforza nella certezza della verità assoluta che è Dio. Dio è Creatore, Amore infinito, e Verità infinita».

Il piccolo divulgatore scientifico creato dal mondo mediatico, Piergiorgio Odifreddi, si lagnava nel suo libro “Perché Dio non esiste” (Aliberti 2010) scrivendo: «Carlo Rubbia mi pare che sia cattolico. Enrico Bombieri, medaglia Fields, è cattolico e va a messa» (p. 122). La profondità delle riflessioni del vincitore italiano della medaglia Fields, apprezzata anche in questa intervista, è certamente il motivo per cui il frivolo mondo mediatico preferisce purtroppo dare spazio soltanto a pseudo-intellettuali, armati di tesi superficiali e banali provocazioni. Questa intervista è stata una apprezzatissima eccezione.

La redazione

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Suicidi gay? Il dott. Gandolfini ha ragione, non dipendono dall’omofobia

    Simone allivaLa “macchina del fango” Lgbt è stata nuovamente attivata, questa volta la vittima è il prof. Massimo Gandolfini, noto neuroscienziato e primario di neurochirurgia alla fondazione Poliambulanza di Brescia, il quale durante un convegno ha criticato chi attribuisce all’omofobia l’alto tasso di suicidi e disturbi delle persone omosessuali, mostrando invece che essi permangono anche nelle società apertamente gay-friendly.

    Il prof. Gandolfini ha quindi criticato gli educatori che instillano nei bambini con identità confusa la vocazione a “farsi omosessuali”, affermando: «Un eventuale “Disagio identitario” va affrontato nella prospettiva del supremo interesse del bimbo. Lo scopo dell’educazione non è scoprire l’orientamento sessuale del bambino per poi indirizzarlo da quella parte perché la sua scelta è libera. E se scopriamo una cosa che si chiama “disagio identitario”, lo scopo dell’educatore non è quello di correre dietro al disagio identitario ma è quello di cercare di indirizzare verso una coerenza questo disturbo verso il proprio psichismo».

    Il giornalista e militante Lgbt (così lo definiscono i blog queer) Simone Alliva ha subito pubblicato su “L’Espresso” un articolo diffamatorio verso il prof. Gandolfini, sostenendo che «per gli omosessuali italiani dunque si propongono cure, correzioni». E’ la solita ridicola accusa della lobby gay a chi risulta fastidioso per i propri progetti, probabilmente Alliva sarà chiamato a rispondere delle sue accuse in apposite sedi. Già che c’è, dovrebbe tuttavia  anche spiegare (a noi) con quale coerenza etica può conciliare la sua attività di militante Lgbt e giornalista dell’“Espresso” con la stima del suo stesso datore di lavoro per lo psichiatra Eugenio Borga, definitogiustamente, dalla rivista «uno dei più grandi psichiatri italiani» e «un grande maestro». E’ infatti risaputo che il dott. Borgna è un deciso oppositore delle teorie Lgbt, sopratutto per quanto riguarda gender, matrimonio e adozioni per persone dello stesso sesso. Effettivamente un vero “grande maestro”, come lo definisce l’Espresso per cui lavora il giornalista pro gender.

    Sinceramente non ci interessa molto parlarne ma visto che la questione è emersa dobbiamo entrare nel merito della questione: non si può che sostenere la posizione del prof. Gandolfini. L’alto tasso di suicidi e disturbi psico-fisici tra persone di omosessuali è purtroppo un dato di fatto, confermato da numerosi studi e dalle stesse associazioni Lgbt. Segnaliamo per un approfondimento il sintetico comunicato del Ministero della Salute della città di New York per quanto riguarda il tasso di suicidi e disturbi di gay e lesbiche. Il problema è quando si attribuiscono tali dati unicamente alle colpe dell’omofobia: oltre all’inesistenza del fenomeno omofobia (tant’è che nella “cattolica” Italia il ddl Scalfarotto è stato dimenticato da tutti, senza problemi), tale spiegazione fatica a conciliarsi con l’evidenza che nei Paesi dichiaratamente gay-friendly non si assiste ad alcuna diminuzione o sparizione degli alti tassi di disturbi nella comunità omosessuale. I dati citati sono dovuti a cause endogene (cioè legati in qualche modo alla tendenza omosessuale stessa o allo stile di vita gay) oppure a cause esogene (all’omofobia sociale)?

    Molti, come accennato, scelgono la seconda risposta. Ma tanti omosessuali sostengono che il problema è in realtà lo stile di vita gay, come ha ben spiegatoad esempio, Simon Fanshawe, importante scrittore omosessuale e intellettuale inglese. Luis Pabon, giovane omosessuale, ha fatto discutere annunciando: «Non voglio più essere gay. Sono approdato nella comunità gay alla ricerca di amore, intimità e fratellanza. Ciò che ho trovato è: sospetto, infedeltà, solitudine e mancanza di unione. In questa comunità, c’è talmente tanto disgusto di sé stessi che si incontrano continuamente uomini a pezzi, autodistruttivi, che sanno solo ferire, che sono crudeli e vendicativi gli uni contro gli altri», si sperimenta «una immoralità diabolica che ti porta alla distruzione quotidiana. Non ne vale la pena, non più. Ho scelto di dissociarmi da uno stile di vita al di fuori della morale e della bontà. Vivere la vita gay è come infatuarsi di un cattivo ragazzo, di cui all’inizio desiderate spasmodicamente l’attenzione e l’amore, ma che alla fine vi fa ribrezzo. Io non ci sto più» (tradotta anche su “Gay.it”). Matthew Todd, drammaturgo e redattore della rivista gay inglese “Attitude”, ha definito “il problema dei problemi” il preoccupante aumento dei tassi di malattie mentali e problemi di dipendenza tra gli uomini gay, spiegando: «C’è questo luogo comune che passiamo tanto tempo a fare festa, ma in realtà noi lo sappiamo bene e le ricerche ora lo dimostrano: c’è un inferno di gay infelici, un alto numero di depressi, ansiosi e con istinti suicidi, che abusano di droghe e alcol e che soffrono di dipendenza sessuale, tassi molto più elevati di comportamento auto-distruttivi. La vita gay è incredibilmente sessualizzata. I ragazzi entrano in questo mondo sessualizzato dove c’è un sacco di alcol e un sacco di droga, non c’è nulla di sano, dolce o rilassato».

    Evidentemente c’è qualcosa che non torna, non a caso numerosi studi danno ragione alla spiegazione di questi omosessuali “eretici”. Una ricerca su Archives of General Psychiatry, ad esempio, ha concluso: «Mentre vi è un crescente consenso sul fatto che i giovani omosessuali hanno un aumentato rischio di comportamenti suicidari e problemi di salute mentale, i processi che portano a queste associazioni rimangono poco chiari. Sebbene tali risultati sono solitamente interpretati come conseguenze di atteggiamenti omofobici e pregiudizi sociali, sono possibili anche spiegazioni alternative. Queste includono: (1) la possibilità che tali associazioni siano artefatte a causa di problemi di misurazione e disegni di ricerca, (2) la possibilità di una casualità reversibile: i giovani inclini a disturbi psichiatrici sono più inclini a sperimentare attrazione omosessuale; (3) la possibilità che le scelte di vita fatte dai giovani omosessuali li mettano a maggior rischio di eventi avversi e aumentati rischi di problemi di salute mentale». Altri studi hanno rilevato che la maggior parte dei tentativi di suicidio sono dovuti ai problemi derivanti da una relazione omosessuale (rottura del rapporto, litigi…), tanto che il British Journal of Psychiatry ha sostenuto«Può essere che il pregiudizio della società contro gay e lesbiche porti ad una maggiore angoscia. Tuttavia, la psicologia gay e lesbica può anche portare ad assumere stili di vita che rendono queste persone più vulnerabili al disturbo psicologico».

    In un’indagine su “Archives of General Psychiatry”, condotta sui disturbi psico-fisici di oltre 7000 cittadini olandesi, è stato riconosciuto un altissimo tasso di problematiche tra le persone omosessuali, nonostante l’Olanda sia in cima alle graduatorie per assenza di omofobia. La stessa ricerca è stata replicata qualche anno più tardi, evidenziando nuovamente che l’omosessualità è significativamente correlata con suicidalità e disturbi mentali, nuovamente riconoscendo che «persino in un paese con un clima relativamente tollerante nei confronti dell’omosessualità, gli uomini omosessuali sono esposti ad un rischio suicidario molto più elevato rispetto agli uomini eterosessuali». Una recente ricerca condotta in Danimarca, anch’esso tra i Paesi ritenuti all’avanguardia dal mondo Lgbt e massimamente tollerante verso l’omosessualità, ha rilevato che nel corso dei primi dodici anni di legalizzazione delle unioni omosessuali (1990-2001) per gli uomini omosessuali legalmente sposati, il tasso di suicidio è stato otto volte maggiore di quello di uomini che hanno una unione eterosessuale e il doppio rispetto a quello di uomini single. Il tasso di suicidalità tra gli uomini coinvolti in n una unione omosessuale è risultato il più alto rispetto ad ogni altro dato sulla suicidalità in soggetti con tendenze omosessuali. Nello stesso Paese, una importante ricerca (condotta su 6,5 milioni di danesi tra il 1982 e il 2011), ha evidenziato come la suicidalità tra uomini sposati con un uomo sia quattro volte quella di uomini sposati con una donna e molto più alta rispetto a qualsiasi altra condizione (solitudine, divorzio, vedovanza). Lo stesso accade in Norvegia e Svezia, altri paesi definiti il “paradiso dei gay”, ma già studi più datati (anno 1995) negavano che la stigmatizzazione fosse la causa diretta del suicidio delle persone omosessuali.

    I disturbi purtroppo vissuti dalle persone omosessuali, dunque, permangono ad alti livelli anche in società massimamente tolleranti verso l’omosessualità: trarre conclusioni certe non è possibile, così come risulta chiaramente confutata la tesi che vorrebbe incolpare il presunto fenomeno dell’emergenza omofobia. Come è stato scritto in una ricerca pubblicata sul Journal of Human Sexuality nel 2010: «le persone con attrazione per lo stesso sesso (SSA) hanno una varietà deplorevolmente elevata di problematiche sulla salute mentale e ci sono prove che questo è molto meno dovuto alla pressione sociale di quanto comunemente si suppone». Bisognerebbe quindi includere nelle cause anche la possibilità di una causa endogena, come ha fatto il dott. Gandolfini. Potrebbe dipendere dallo stile vita gay, come riferiscono molti omosessuali, oppure dall’inclinazione stessa, d’altra parte ogni persona che assume un comportamento omosessuale, infatti, vive permanentemente un contrasto e una contraddizione tra il dato biologico e fisiologico del proprio corpo -le cui diverse parti sono permanentemente e oggettivamente predisposte a completarsi mediante l’incontro con il corpo di una persona dalla sessualità complementare ed opposta (e non identica)- e il dato psicologico. Il conflitto interno tra corpo e psicologia non è senza esiti e questo disordine potrebbe purtroppo trasformarsi in un disagio, provocando disturbi e altre conseguenze. E’ anche ciò che sosteneva similarmente Sigmund Freud.

    Negare strenuamente tutto questo, senza prenderlo nemmeno in considerazione addossando le colpe al complotto anti-gay della società universale, significa ignorare la drammaticità di questi dati e di queste persone, e, questo sì, trasformarsi in omofobi. Come è stato giustamente scritto su Notizie Pro Vita, «il risultato – nel migliore dei casi – è quello di seppellire il male di vivere e il dolore nel profondo, sotto un monte di bugie e di illusioni».

    La redazione

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Ecco come Papa Francesco sta risvegliando la fede di molti

Udienza generale di Papa FrancescoQualcuno in questi ultimi mesi ha sostenuto che Papa Francesco sarebbe molto amato da chi è fuori dalla Chiesa e poco amato e seguito da chi è cattolico.

Eppure proprio nelle settimane scorse uno studio di Demopolis ha rilevato che in Italia, a due anni dalla sua elezione, l’88% degli italiani dichiara di avere fiducia in Papa Francesco (contro il 7% che ne ha poca o nessuna). Per quanto riguarda specificatamente i cattolici, la piena fiducia nel Pontefice sale al 93%.

Ma l’apprezzamento per Francesco non si ferma a lui, come qualcuno crede (dimenticando che lo stesso Pontefice ha ammesso di essere infastidito da questa popolarità, sopratutto da parte di chi è lontano dalla Chiesa: «Non mi piacciono le interpretazioni ideologiche, una certa mitologia di papa Francesco. Sigmund Freud diceva, se non sbaglio, che in ogni idealizzazione c’è un’aggressione. Dipingere il Papa come una sorta di superman, una specie di star, mi pare offensivo»), ma porta ad una maggior fiducia verso la Chiesa cattolica in generale e una maggior sensibilità religiosa. Qualche mese fa, infatti, i dati Ipsos hanno mostrato che nell’arco di poco più di un anno, la fiducia verso la Chiesa cattolica da parte degli italiani è passata dal 54% del 2013 al 71% del 2014.

Recentemente è stato il sociologo Fran­co Garelli a confermare un risveglio della sensibilità religiosa in generale, anche tra gli stessi cattolici: «Non ho dei dati di tipo quantitativo, però ci sono almeno due indizi che vanno in questa direzione. Il primo è la percezio­ne diretta di molti operatori pastorali, sa­cerdoti e laici, che colgono una certa ripre­sa della domanda religiosa. Soprattutto da parte di chi, dopo essersene allontanato, ritorna a frequentare gli ambienti religiosi e a riflettere sulle questioni ultime della vita. Il secondo indizio proviene da una ri­cerca di tipo qualitativo che sto conducen­do su incredulità, ateismo e nuove forme di fede tra i giovani, che mostra come la presenza del Papa attuale renda più “uma­na” l’immagine della Chiesa». E’ indubbio che sia “l’effetto Francesco” di cui molti parlano, «questo Papa colpisce molto, soprattutto le perso­ne (tra cui molti giovani) che nel tempo hanno maturato un’immagine un po’ ne­gativa della Chiesa […]. Francesco ha indubbiamente un certo riverbero in queste dinamiche di riavvi­cinamento alla Chiesa e alla fede cristiana».

Dati coerenti con quelli che arrivano dagli Stati Uniti dove un recente studio americano, realizzato dal “Pew Research Center”, ha rilevato che nove cattolici su dieci guardano favorevolmente al Papa (di cui 6 su 10 “molto favorevolmente”), alla pari con i “punteggi” ricevuti da Giovanni Paolo II (e superiori a quelli che aveva Benedetto XVI). Il ratzingeriano Timothy Dolan, arcivescovo di New York, ha affermato qualche tempo fa: «Ho sentito dire dai nostri parroci, che sono sempre in prima linea, che cresce il numero delle persone alla messa domenicale e le file a confessionali sono più lunghe. Crescono le domande sulla fede cattolica aumentano e anche le collette». Lo stesso fenomeno avviene anche lontano dall’Europa, ad esempio in Corea del Sud dove: dopo la visita di Francesco nell’agosto 2014, infatti, i dati ufficiali della Conferenza Episcopale coreana hanno registrato un aumento del 5% rispetto all’anno precedente dei battesimi e degli adulti convertiti e battezzatisi (in totale 124.748), una buona notizia dopo che nel 2010 si era verificato un calo nel numero dei nuovi fedeli: «si tratta di un effetto della visita pastorale di Papa Francesco in Corea», ha spiegato mons. Lazzaro You Heung-sik, vescovo di Daejeon. «Una visita che ha colpito non soltanto i cattolici ma l’intera società nazionale».

Un apprezzamento per la Chiesa in generale che diventa anche concreto, nel 2013 (siamo ancora in attesa dei dati del 2014) è infatti aumentata la raccolta dell’Obolo di San Pietro, l’offerta che ogni anno tutti i cattolici del mondo sono invitati a fare per aiutare le opere di carità del vescovo di Roma. Negli anni precedenti si era invece registrato una diminuzione delle somme raccolte. «Il Pontefice ha, per così dire, risvegliato i fedeli cattolici, ha suscitato un particolare entusiasmo che li ha portati evidentemente ad essere più generosi e disponibili a contribuire alle necessità della Chiesa universale», ha commentato l’arcivescovo Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato.

Nel dossier prodotto dalla rivista “Critica liberale” si è studiato anche l’atteggiamento mediatico nei confronti della Chiesa, mettendo in luce come in pochi mesi si sia passati dall’attenzione morbosa per gli scandali del Vaticano a quella per il vescovo di Roma e, di conseguenza, al cattolicesimo in generale che viene definito “il re incontrastato dell’informazione televisiva religiosa”. La televisione della CEI, TV2000, ha registrato ad esempio il record di ascolti nella recente visita pastorale del Papa a Napoli, collocandosi al terzo posto dopo Rai1 e Canale5. Qualcuno si lamenta per questo, parlando di violazione del pluralismo informativo in materia di religione, ma il sociologo Luca Diotallevi ha giustamente risposto: «Se osserviamo la presenza reale di altri culti nella società italiana, la quota che viene data complessivamente nella comunicazione radio televisiva a queste altre confessioni è uguale se non superiore alla loro presenza nel Paese. Se quasi tutti gli italiani si dicono cattolici, è normale che in tv siano preminenti».

Una maggior attenzione positiva da parte dei media alla Chiesa, una maggior fiducia da parte di cattolici e non cattolici nel Papa e nelle istituzioni ecclesiali, una ripresa della domanda religiosa e un maggior avvicinamento alla fede da parte di chi si era allontanato. Purtroppo molti “cattolici antibergogliani”, come si fanno chiamare, che diffondono fotografie delle udienze di Francesco mostrando entusiasti una piazza San Pietro più vuota rispetto alle udienze di Benedetto XVI (in realtà non si registrano cali di presenza consultando i dati delle udienze), vivranno questi dati con senso di sconfitta e frustrazione, negandoli o augurandosi addirittura un allontanamento dei fedeli dalla Chiesa così da poter dire: “avete visto? Avevamo ragione a criticare Bergoglio”. Allibiti di fronte a questo ideologico fenomeno, guardiamo a questi dati con ancora più letizia e fiducia.

La redazione

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Nuovo dossier UCCR: le testimonianze extrabibliche su Gesù di Nazareth

Fonti extrabiblicheLa redazione UCCR ha preparato, e oggi pubblicato, un nuovo dossier, questa volta su una tematica che riteniamo molto importante e affascinante e, purtroppo, poco trattata nella miriade di siti web e blog cattolici a livello internazionale. Stiamo parlando della storicità dei Vangeli e, in particolare, di Gesù di Nazareth.

Abbiamo infatti affrontato il tema della sua esistenza nelle fonti non cristiane (extra-cristiane), ovvero quelle pagane greco-romane, quelle pagane siro-palestinesi e quelle ebraiche. Allo stesso tempo, abbiamo sinteticamente valutato la testimonianza delle fonti cristiane al di fuori dei vangeli (extra-canoniche) e al di fuori del Nuovo Testamento (extra-testamentarie). Il tutto è stato premesso da un approfondimento sulla (presunta) scarsità dei dati che abbiamo a disposizione nei confronti di Gesù.

E’ una tematica che è stata al centro del dibattito negli ultimi due secoli ma che, tuttavia, oggi ha perso di attenzione in quanto ritenuta non così necessaria. Dalla seconda fase (postbultmaniana) e, sopratutto, dalla terza fase dello studio sul Gesù storico (dagli anni ’90 in poi), i vangeli hanno infatti aumentato sempre più, agli occhi degli storici, la loro attendibilità sui dati che presentano. Molti pregiudizi sono stati in parte abbandonati e l’onestà intellettuale è stata abbastanza riguadagnata, anche grazie al contributo delle scoperte archeologiche e dei convincenti argomenti sulla retrodatazione della loro composizione. Parallelamente, si è quindi sentita meno l’esigenza di vagliare le tracce di Gesù al di fuori dei quattro vangeli canonici, ritenendo comunque sufficiente l’autorità evangelica.

E’ rimato comunque un argomento molto utile, semmai per confermare l’attendibilità dei vangeli in quanto tutte le fonti extraevangeliche indipendenti non fanno altro che ribadire le informazioni offerte dai quattro evangelisti (mai alcuna contraddizione o smentita, nemmeno negli autori pagani satirici). In questo dossier abbiamo presentato direttamente il pensiero di diversi principali studiosi del Nuovo Testamento, di fede protestante, cattolica e non credenti, come B.D. Ehrman della North Carolina University. Proprio quest’ultimo ha riconosciuto che i numerosi documenti che parlano di Gesù di Nazareth al di fuori dei vangeli «forniscono allo storico una dovizia di materiali su cui lavorare, un fatto piuttosto insolito per le testimonianze sulla vita di chiunque, letteralmente chiunque, sia vissuto nel mondo antico» (B.D. Ehrman, Did Jesus Exist?, HarperCollins 2012, p. 79).

Oltre ai quattro vangeli canonici, infatti, gli studiosi sostengono la storicità di Gesù basandosi anche sulle rispettive fonti-presinottiche (la cosiddetta fonte Q, la fonte M, L e altre ), su 8 testimonianze non cristiane, indipendenti e riconosciute come autentiche (Tacito, Plinio il Giovane, Svetonio, Marco Cornelio Frontone, Luciano di Samosata, Tallo, Mara Bar Serapion e Flavio Giuseppe), e su 10 testimonianze cristiane, anch’esse ovviamente indipendenti (e addirittura alcune precedenti) ai vangeli canonici (Atti degli Apostoli, Tredici lettere di Paolo, Lettera agli Ebrei, Due lettere di Pietro, l’Apocalisse, la Lettera di Giuda, la Didaché, gli scritti di Papia, Ignazio di Antiochia e la Prima lettera di Clemente Romano ai Corinzi).

Dopo aver presentato l’opinione maggioritaria della comunità scientifica su ognuna di queste fonti, abbiamo concluso che oggi non solo non è più possibile mettere in dubbio la storicità di Gesù (e nessuno più lo fa), ma -come è stato scritto poco sopra- è anche d’obbligo ritenere le fonti più complete che abbiamo sulla vita di Gesù, cioè i vangeli, dei documenti storici, la cui attendibilità è confermata da quasi 20 documenti indipendenti, cristiani e non cristiani, risalenti ai primi due secoli dell’era cristiana.

 

Clicca qui per consultare il dossier: “Le testimonianze extrabibliche su Gesù di Nazareth”

 

La redazione

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Aumenteranno i cristiani (più giovani e istruiti), diminuiranno i non credenti

Schermata-2015-04-14-a-17.44.48In queste settimane sono usciti diversi studi sulla diffusione della religione e sulla previsione della sua crescita o decrescita nei prossimi anni. Ci concentriamo sui report di tre importanti istituti, il Pew Research Center, il Gallup e l’Annuario Pontificio 2015.

 

Ad inizio aprile è stato pubblicato il report del Pew Research Center sulla proiezione della diffusione della religione fino all’anno 2050. I principali dati rilevati sono che nel corso dei prossimi quattro decenni, tenendo ovviamente conto dell’aumento del numero di abitanti della terra, il cristianesimo resterà il più grande gruppo religioso del mondo (crescita del 35%) anche se si prospetta una veloce crescita dell’islam che arriverà più o meno allo stesso grado di diffusione. Ciò significa che entro il 2050, più di 6 persone su 10 sulla Terra saranno cristiane o musulmani.

Per quanto riguarda atei, agnostici e non affiliati il loro aumento è previsto soltanto in paesi come Stati Uniti e Francia ma si assisterà in generale ad un loro progressivo «declino nella quota della popolazione totale del mondo». La popolazione non credente, infatti è proiettata a ridursi in percentuale rispetto alla popolazione mondiale, passando dal 16% attuale al 13% di non credenti nel 2050. Si legge anche: «Con l’eccezione dei buddisti, tutti i principali gruppi religiosi del mondo avranno una certa crescita in numeri assoluti nei prossimi decenni».

pew research center

 

Un secondo studio pubblicato è quello del Gallup il quale ha rilevato che oggi più di 6 persone su 10 nel mondo affermano di essere religiose (gli atei convinti sono l’11%). La Cina è il paese meno religioso (61% di atei), seguito da Hong Kong (34%), Giappone (31%), Repubblica Ceca (30%), e Spagna (20%). Per quanto riguarda il rapporto tra fede e sesso, età, reddito e istruzione è stato rilevato che i giovani (sotto i 34) tendono a essere più religiosi (circa il 66% contro circa il 60% degli altri gruppi di età). Tanto che Jean-Marc Leger, presidente del WIN/Gallup International Association, ha affermato: «Con la tendenza di una gioventù sempre più religiosa a livello globale, si può supporre che il numero di persone che si considerano religiose potrà soltanto continuare ad aumentare».

Le persone religiose sono la maggioranza in tutti i livelli di istruzione, in particolare si dichiarano religiosi il 64% di coloro che hanno un master post-universitario e il 60% dei laureati all’università. Per quanto riguarda il reddito, “soltanto” il 50% di coloro che percepiscono un reddito alto si dichiara religioso (contro il 70% di chi ha un reddito basso).

Gallup fede

 

Per ultimo consideriamo l’Annuario Pontificio 2015, diffuso ieri dalla Sala Stampa vaticana e riferito all’anno 2013, dal quale si evince che dal 2005 al 2013 i cattolici battezzati sono aumentati di oltre il 12%, passando da 1.115 a 1.254 milioni di fedeli, per un totale di circa 139 milioni di fedeli battezzati in più. Rispetto alla popolazione globale, i cattolici nel mondo sono oggi il 17,7% della popolazione globale contro il 17,3% del 2005. E’ evidente che non basta essere battezzati per professare la fede cattolica, ma è un indizio comunque interessante. Se i dati in Europa risultano stabilizzati, a causa della crisi demografica, la maggior crescita del numero di cattolici riguarda l’Africa (+34%), l’Asia (+17,4%) e l’America (+10,5%). Per quanto riguarda il numero di sacerdoti, invece, si è verificato un incremento dal 2005 al 2013 del 2,2% (è calato invece in Europa, con un -7,1%).

 

Tre importanti fonti presentano dunque una situazione molto simile, è una conferma di quanto abbiamo scritto in questi anni ricordando che la secolarizzazione è un fenomeno esclusivamente dell’Europa dell’ovest. Oggi i dati mostrano che non soltanto tale fenomeno si spegnerà considerevolmente nel tempo anche in Occidente, ma che il resto del mondo aumenterà addirittura il suo carattere religioso. Prendiamo dunque coscienza che saremo sempre più chiamati a portare l’annuncio cristiano non soltanto ai nostri fratelli non credenti, ma, sopratutto, ai credenti di altre religioni con i quali condivideremo anche numericamente la strada nei prossimi decenni.

La redazione

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