L’astrofisico John ZuHone: «la fede cristiana ama la ragione e la scienza»

ZuHone JohnCi sono piaciute molto le riflessioni dell’astrofisico americano John ZuHone, docente presso il prestigioso Massachusetts Institute of Technology (MIT) e presso il NASA Goddard Space Flight Center, abbiamo così voluto condividerle.

Intervistato da un giornalista dell’Huffington Post ha infatti parlato della sua esperienza come scienziato e come cristiano: «Sono un astrofisico della NASA e anche un seguace di Gesù Cristo. Per quasi tutta la mia vita sono stato sia affascinato dalla scienza, sia un credente in Dio»«La fede cristiana», ha continuato ZuHone, «ha una grande considerazione per la ragione, la ricerca e la scienza. San Paolo, ad esempio, dice: “Esaminate ogni cosa e trattenete ciò che vale” (1 Tes 5,21). Il Salmista dice: “I cieli narrano la gloria di Dio, e l’opera delle sue mani annunzia il firmamento. Il giorno al giorno ne affida il messaggio e la notte alla notte ne trasmette notizia. Non è linguaggio e non sono parole, di cui non si oda il suono” (Salmo 19)».

Ecco, ha proseguito l’astrofisico americano, «cosa dice tutto questo a me, come cristiano? Dio mi parla sia attraverso la Sua parola nelle Scritture sia attraverso la natura, e posso scoprire la verità studiando entrambe. La mia finitezza e la tendenza verso l’egocentrismo indicano che la mia comprensione sarà sempre imperfetta, così se trovo una contraddizione tra Scrittura e natura significa probabilmente che ho capito male la Scrittura, o forse ho studiato male quello che la natura sta cercando di dirimi, o entrambe. Per esempio, se le prove dimostrano chiaramente che l’universo è nato miliardi di anni fa, vuol dire che io devo interpretare in altro modo il capitolo primo della Genesi». Il ragionamento è molto semplice ed efficace e può certamente aiutare tante persone a riflettere sui loro approcci così diffidenti al mondo scientifico. Il prof. ZuHone è di fede protestante e certamente ha più esperienza diretta con ambienti e gruppi pregiudizialmente timorosi rispetto alla ricerca scientifica.

Le sue parole, inoltre, portano alla mente la riflessione del card. Roberto Bellarmino, il noto ecclesiastico tra i responsabili del primo processo a Galileo Galilei, il cui pensiero era paradossalmente “più scientifico” dello stesso ricercatore pisano (oltretutto amico personale di Galilei). Così infatti scrisse a padre A. Foscarini il 12 aprile 1615: «Dico che quando ci fusse vera demostratione che il Sole stia nel centro del mondo e la Terra nel terzo cielo, e che il sole non circonda la terra, ma la terra circonda il sole allhora bisogneria andar con molta consideratione in esplicare le Scritture che paiono contrarie, e piú tosto dire che non l’intendiamo che dire che sia falso quello che si dimostra. Ma io non crederò che ci sia tal dimostratione, fin che non mi sia mostrata». Ovvero, senza dimostrazione la scienza non può affermarsi come verità e in caso di dimostrazione allora bisogna crederle e migliorare, in questo caso, la nostra interpretazione delle Scritture (che non sono e non vogliono essere un libro scientifico!).

Tornando alle parole dello scienziato americano, la sua conclusione è stata questa: «Dio dice mediante il profeta Isaia: “Venite quindi e discutiamo assieme” (Is 1,18). Credo, e spero, che rispondendo a questa chiamata di Dio, questo Dio che nella persona di Gesù Cristo è morto e risorto per i miei peccati, Egli mi darà la comprensione di cui ho bisogno per essere non solo uno scienziato migliore, ma un miglior seguace di Lui».

La redazione

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Permanenza nell’impermanenza: considerazioni di un matematico

energia 
 
di Paolo Di Sia*
*docente di Matematica presso l’Università di Verona

 

Guardando alla vita umana con gli occhi del quotidiano esistere, con tutti i suoi problemi, i compromessi, le contraddizioni, le assurdità, l’uomo rimane perplesso e per certi aspetti smarrito di fronte a tanta aleatorietà, a tanta mutevolezza, a tanta “impermanenza”.

Tutto appare soggetto a nascita e distruzione, combinazione di condizioni che si uniscono e si separano, senza avere natura propria. La realtà (e noi stessi) impressiona per la transitorietà e l’inesorabile trasformazione delle cose. La materia è energia, e viceversa; Albert Einstein (1879-1955) ha detto: ”Tutto è energia e questo è tutto quello che esiste. Sintonizzati alla frequenza della realtà che desideri e non potrai fare a meno di ottenere quella realtà”. Etimologicamente la parola “energia” deriva dal greco antico ενέργεια (energeia), che possiamo tradurre con “azione, lavoro in atto, capacità di agire“, “ciò che potenzialmente induce cambiamenti”, concetto legato a quello di “forza”.

La storia dell’uomo è ricolma di persone che hanno studiato il concetto di energia. Tra gli altri, Giovanni Keplero (1571-1630) credeva in una natura pervasa da un “agente animistico”. Egli ebbe a dire: “….. se sostituiamo alla parola anima la parola forza, allora otteniamo proprio quel principio che regge la mia fisica dei cieli ….. Questa forza dev’essere qualcosa di sostanziale, non nel senso letterale, ma nel modo in cui noi diciamo che la luce è qualcosa di sostanziale, intendendo con ciò quella entità non-sostanziale che viene emessa da un corpo sostanziale”. Il principio di conservazione dell’energia afferma che l’energia di un sistema isolato non si crea né si distrugge, ma si trasforma, passando da una forma a un’altra; il principio è comprensivo di tutte le possibili forme di energia, considerando quindi (con Einstein) anche la massa. L’interpretazione dei fenomeni termodinamici in termini di meccanica statistica e la dimostrazione dell’equivalenza tra calore e lavoro ha storicamente permesso l’estesione del principio di conservazione ai fenomeni termici, pertanto oltre l’ambito strettamente meccanico. Il principio è soddisfatto nell’ambito della meccanica quantistica, pilastro della fisica moderna assieme alla relatività einsteiniana.

Richard Feynman (1918-1988), premio Nobel per la fisica nel 1965, ha affermato che “….. c’è una legge che governa i fenomeni naturali sinora noti. Non ci sono eccezioni a questa legge, per quanto ne sappiamo. La legge si chiama “conservazione dell’energia”, ed è un principio matematico; dice che c’è una grandezza numerica, che non cambia qualsiasi cosa accada ….. possiamo calcolare un certo numero, e quando finiamo di osservare la natura che esegue i suoi giochi, e ricalcoliamo il numero, troviamo che non è cambiato ..… “. Se consideriamo l’universo come un “sistema isolato”, tutta l’energia presente al momento della creazione è rimasta costante. Essa ha assunto “forme diverse”, negli ammassi di galassie, nelle galassie, nei soli, nei pianeti, nelle piante, negli animali, nell’uomo. Sono tutte realtà che “nascono” e “muoiono”, apparentemente impermanenti ma di fatto permanenti, cambiando forma e sostanza; il totale dell’energia presente rimane costante.

Biologicamente possiamo pensare al nostro corpo come ad una “macchina” capace di trasformare energia; il principio di conservazione dell’energia ci informa che l’energia totale del sistema “corpo” rimane invariata. Le trasformazioni cellulari che avvengono ogni istante sostituiscono le cellule “morte” con nuove cellule “vive”. Al termine del processo, quando il corpo muore, l’energia di quel corpo non sparisce, perchè ciò violerebbe il principio di conservazione dell’energia. L’energia che si manifestava attraverso il corpo cambia forma, risulta presente in altra forma. Somaticamente, il corpo non crea l’energia che noi chiamiamo “uomo”, è lo strumento attraverso il quale l’energia che chiamiamo “uomo” assume una forma percepibile nello spazio. Questa energia non nasce dal corpo, esisteva già nella realtà. Ma la realtà “uomo” è anche psiche, anima, quindi la scienza, in particolare le scoperte moderne della fisica quantistica, cercano di porre le basi per la conoscenza dell’essenza profonda dell’essere umano, e dell’interazione costante che abbiamo a livello energetico con la realtà esterna.

Per poter cogliere la realtà “uomo” nella sua essenza globale, occorre passare dal mondo dei fenomeni macroscopici a quelli microscopici, dell’infinitamente piccolo. Gli sviluppi della fisica quantistica ci conducono verso la direzione di un campo di energia come visione globale della realtà “uomo”. Quindi considerando la doppia natura corpuscolare e ondulatoria della materia, il principio di conservazione dell’energia (e la sua versione termodinamica), il cervello che crea “immagini” della realtà e l’anima, in una visione unificata si tratta di energia “non distruttibile”, che si conserva e che è alla base dell’universo.

 
Gli altri articoli dello stesso autore:
Il mistero dell’equilibrio delle forze in natura: considerazioni di un matematico (giugno 2015)
Perché esiste qualcosa e non il nulla: considerazioni di un matematico (maggio 2015)
Dio e il multiverso: considerazioni di un matematico (febbraio 2015)

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Comitato “Difendiamo i nostri figli”: il popolo della famiglia è con voi!

comitato difendiamo i nostri figliLe associazioni spontanee di cittadini in difesa della vita e della famiglia cominciano davvero a spuntare come funghi anche in Italia, purtroppo la resistenza è iniziata troppo tardi. Meglio che mai.

Oltre al Movimento per la Vita, ricordiamo brevemente la Manif pour Tous italia, i Giuristi per la Vita, Notizie Pro Vita, il comitato Uno di noi, il Comitato articolo 26, il quotidiano La Croce e i vari circoli VLM, ormai sparsi per tutto il territorio nazionale. L’ultimo arrivato è il comitato Difendiamo i nostri figli, (pagina Facebook) presieduto da Massimo Gandolfini, organizzatore della storica manifestazione del 20 giugno 2015 che ha visto scendere in piazza, in difesa della famiglia naturale, 1 milione di persone. Niente finta allegria dei carri arcobaleno, niente transessuali in perizoma, niente tenute sadomaso. Soltanto gente normale: mamme, papà, nonni e una moltitudine sterminata di passeggini.

La manifestazione del 20 giugno ha avuto il grande merito di frenare il ddl Cirinnà, facendolo ritirare e riscrivere e animando un moto di coscienza in molti parlamentari. E’ stata sostenuta dal Pontificio Consiglio della Famiglia, attraverso il presidente mons. Paglia: «Cari amici del Comitato Difendiamo i nostri figli, con piacere intendo far giungere alla manifestazione da voi promossa questo Messaggio, a nome del Pontificio Consiglio per la Famiglia […]. Auguro alla vostra Manifestazione un pieno successo, con la certezza che porterà un contributo prezioso alla vita della Chiesa e di tutte le persone che hanno a cuore il bene dell’intera umanità». Lo stesso Papa Francesco, sei giorni prima, ha sostenuto criticando il gender: «I nostri ragazzi, ragazzini, che incominciano a sentire queste idee strane, queste colonizzazioni ideologiche che avvelenano l’anima e la famiglia: si deve agire contro questo».

La marcia in più del comitato “Difendiamo i nostri figli”, rispetto a tutte le altre sigle, è di avere ampie relazioni anche con il mondo politico, ed inoltre ha riunito al suo interno molti esponenti principali del popolo della famiglia: Simone Pillon, consigliere del Forum Nazionale delle Associazioni Familiari; Gianfranco Amato, presidente dei Giuristi per la Vita; Giusy D’Amico, presidente dell’associazione Non si tocca la famiglia; Toni Brandi, presidente di Notizie pro Vita; Filippo Savarese, portavoce di Manif pour Tous Italia; Costanza Miriano, scrittrice e giornalista; Mario Adinolfi, direttore di La Croce; Jacopo Coghe, presidente di Manif pour Tous Italia; Maria Rachele Ruiu, referente di Manif Pour Tous Italia; Paolo Maria Floris, vice-presidente di Identità cristiana; Alfredo Mantovano, politico e magistrato.

A sostegno del comitato è anche nata la Commissione scientifica per la Famiglia, formata da professionisti di comprovata conoscenza nella propria area disciplinare che si occuperanno di informare correttamente, in merito al “gender” e alle tematiche Lgbt, in ambito culturale, mass-mediatico, politico, giuridico, legislativo e psicologico. Tale Commissione è formata da biologi (come Deborah Agostini, dell’Università di Urbino), psicologi e psichiatri (come Tonino Cantelmi, Massimo Gandolfini, Paolo Scapellato, Valentina Peloso Morana ecc.), medici e pediatri (come Chiara Atzori, Carla Debbia, Giuseppe Di Mauro ecc.), antropologi, filosofi, biochimici ecc.

Annunciamo il nostro pieno sostegno al comitato “Difendiamo i nostri figli” e consigliamo, oltre all’attività di corretta informazione e battaglia contro le colonizzazioni ideologiche, anche di fare pressioni per ottenere dalla politica un sostegno positivo e diretto della realtà familiare. Basterebbe cominciare estendendo a tutte le regioni italiane il modello lombardo. Buon lavoro!

La redazione

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Caro Boncinelli, l’etica laica non ha alcuna base razionale

relativismo 3Il prof. Edoardo Boncinelli, noto genetista italiano, si è recentemente lanciato in una dissertazione filosofica sull’etica e sulla morale, cogliendo l’occasione da un recente studio dello psicologo Ara Norenzayan.

Dati sociali raccolti negli ultimi anni, infatti, hanno rivelato che gli adepti delle grandi religioni, come il cristianesimo o l’islam, sono più generosi con gli estranei e più altruisti di individui che seguono credi di tipo diverso. Secondo Norenzayan questa correlazione può aiutarci a capire l’evolversi di queste religioni: se nelle piccole società il comportamento prosociale è mantenuto dalla paura di essere emarginati, nelle grandi società non c’è niente che impedisca di trarre vantaggi truffando gli altri, se si sa che non si incontreranno mai più le persone danneggiate e non esiste ancora un’amministrazione pubblica della giustizia.

Boncinelli, tuttavia, ha replicato a Norezayan sostenendo che «circola da tempo però un’altra istanza, almeno in certi ambienti intellettuali e sociali occidentali, il ripudio di una morale religiosa, per abbracciare, invece, una morale autenticamente laica. Molti sono oggi convinti, incluso me, che si possano seguire i precetti di un’etica laica, figlia della cultura e della ragione, e svincolata da ogni imposizione di natura religiosa. Questa posizione, decisamente più moderna ed evoluta, anche se non sappiamo quanto diffondibile, mostra diversi vantaggi di natura ideale, ma anche pratica. Dal punto di vista ideale, non si vede perché una persona non si dovrebbe comportare bene indipendentemente da comandi e minacce, facendo del proprio retto comportamento un valore in sé, di statura morale e intellettuale assolutamente eccezionale, con un’assunzione di responsabilità personali che non hanno uguali nella storia. Dal punto di vista pratico, tale linea di condotta potrebbe ovviare ai contrasti spesso stridenti che caratterizzano morali religiose diverse, soprattutto sulle questioni sulle quali queste divergono. Così facendo la morale, tanto pubblica quanto privata, ritornerebbe a essere una forza sociale unificante, invece che dirompente».

Certamente quello del prof. Boncinelli è uno dei migliori tentativi che abbiamo trovato negli ultimi anni di giustificare un’etica e una morale laica. Egli basa tutto sul rafforzamento dell’autostima quando si assume un comportamento retto, una certa statura morale, tanto da renderlo un valore in sé. La sua posizione però, oltre a contenere diverse ingenuità, si basa su un’enorme contraddizione.

Innanzitutto constatiamo la resistenza di una morale così fondata: il comportamento retto, come valore in sé, potrebbe tenere per un certo periodo e per un uomo fortemente motivato. Ma sappiamo bene quanto sia una tesi anti-fattuale: l’uomo non è un supereroe dei fumetti. La vita mette continuamente davanti delle sfide che indeboliscono la sua tenuta morale, facendo crollare continuamente tutti i propositi di un comportamento retto, onesto. Ed una volta che si è tradita la rettitudine e persa l’autostima, è sempre più facile continuare a tradirla se questo porta continui vantaggi personali e una migliore qualità di vita (per chi abbraccia una “morale laica” esiste solo questa vita!). La soluzione ideata da Boncinelli, dunque, non è assolutamente duratura e tanto meno dà alcuna garanzia se si considera la fragilità umana e la volubilità dell’animo umano. Il credente, invece, gioca la sua rettitudine morale nel rapporto con Dio (comandi e minacce non contano nulla, è un rapporto affettivo!), la sua rettitudine non si basa su astratti e stoici propositi ma nel non tradire Colui dal quale si sente amato. Questo garantisce costanza e sicurezza sociale. Certo, potrà cadere mille volte ma può pentirsi, essere perdonato del peccato e trovare la forza di rialzarsi, proprio perché ha e si sente “agganciato” da qualcosa al di fuori di lui.

Se la tesi del noto genetista italiano non è dunque accettabile perché non tiene conto dell’uomo com’è nella realtà, essa contiene anche numerose contraddizioni. Boncinelli innanzitutto assume per partito preso che esista un “comportamento retto”, che esistano dei “valori in sé”. Se fosse vero significa che esisterebbe qualcosa di “giusto” (comportamento retto) e di “ingiusto” (comportamento non retto) in modo oggettivo, assoluto ed eterno. Ma in un paradigma privo di Dio, chi ha deciso e chi decide cosa è giusto e sbagliato, se tal comportamento è oggettivamente retto? Giusto e sbagliato rispetto a cosa? E’ il classico argomento morale, di cui abbiamo già a lungo parlato. Il credente può rispondere a queste domande spiegando che è Dio ad avere infuso dentro l’uomo una legge morale comune a cui far riferimento, che indica all’uomo cosa è giusto e cosa è sbagliato in maniera oggettiva ed eterna (ovviamente si può rifiutarsi di seguirla). Ma i non credenti cosa possono rispondere? Usando le parole dell’umanista laico Frank Furedi, la loro posizione è come chi «ha in mano un libro e ne conosce il contenuto, ma contemporaneamente nega l’esistenza del suo autore. Naturalmente è lecito farlo, ma non ci sarebbe nessun libro se non ci fosse l’autore. In altre parole, gli atei possono conoscere la morale oggettiva e contemporaneamente negare l’esistenza di Dio, ma se Dio non esiste non hanno alcuna capacità di giustificare la loro posizione», ovvero di adottare una posizione razionale (o ragionevole), tanto meno moderna ed evoluta come la vorrebbe Boncinelli.

Il problema di chi vuole difendere una “morale laica” non è la capacità di compiere il bene o il male, ma la possibilità di giustificare questa morale, cioè l’esistenza di un “bene” e di un “male” che non siano mere opinioni personali. Il laico Indro Montanelli lo riconosceva con amarezza: «Coloro che pensano di poter ridurre la religione a un credo morale senza fondamento in un valore trascendente non possono risolvere il loro problema esistenziale perché la Morale non ha in sé nulla di Assoluto, le regole ch’essa detta sono sempre relative in quanto portate ad adeguarsi alle mutazioni che sopravvengono, nel tempo e nello spazio, nei costumi degli uomini» (C.M. Martini, “In cosa crede chi non crede?”, Liberal 1996, p.33). Lo ha spiegato egregiamente anche il card. Carlo Maria Martini: «Vorrei tanto che tutti gli uomini e le donne di questo mondo avessero chiari fondamenti etici per il loro operare e sono convinto che vi sono non poche persone che agiscono rettamente, almeno in determinate circostanze, senza riferirsi a un fondamento religioso della vita. Ma non riesco a comprendere quale giustificazione ultima diano del loro operare […]. Faccio fatica a vedere come un’esistenza ispirata da queste norme (altruismo, sincerità, giustizia, solidarietà, perdono) possa sostenersi a lungo e in ogni circostanza se il valore assoluto della norma morale non viene fondato su principi metafisici o su un Dio personale. Che cosa fonda infatti la dignità umana se non il fatto che ogni essere umano è persona aperta verso qualcosa di più alto e di più grande di sé? Solo così essa non può essere circoscritta in termini intramondani e gli viene garantita una indisponibilità che nulla può mettere in questione» (C.M. Martini, “In cosa crede chi non crede?”, Liberal 1996, pp.40,42).

Senza fondare i valori morali su Dio non c’è alcuna possibilità di parlare di un “bene” e di un “male” che non siano mere sensazioni personali, di questo contingente istante. Il filosofo Emanuele Severino ha spiegato: «in chi è convinto dell’inesistenza della verità, e in buona fede rifiuta la violenza, questo rifiuto è, appunto, una semplice fede, e come tale gli appare. E, non esistendo la verità, quel rifiuto della violenza rimane una fede che, appunto, non può avere più verità della fede (più o meno buona) che invece crede di dover perseguire la violenza e la devastazione dell’uomo» (C.M. Martini, “In cosa crede chi non crede?”, Liberal 1996, p.26). In parole ancora più semplici, in assenza di un Legislatore ultimo chi rifiuta la violenza non è migliore (migliore rispetto a cosa? Chi lo ha deciso?) di chi crede che il bene sia perpetuare la violenza. Crolla così anche la possibilità avanzata da Boncinelli che questa “morale laica” basata sul senso di rettitudine di sé possa essere condivisa dagli uomini, dato che ognuno avrà un suo criterio personale di valutazione del bene e del male. Ognuno sarà dio di se stesso, pronto a guerreggiare con l’altro dio essendo indisponibile a piegarsi alla sua opinione del giusto e dello sbagliato.

Concludendo e riassumendo, una morale laica basata sulla rettitudine fatta valore in sé, come proposta dal genetista Boncinelli, non ha alcuna garanzia di continuità e affidabilità data la fragilità dell’animo umano. Ma, sopratutto, non ha alcuna stabilità razionale dato che non può giustificare e affermare quale comportamento sia retto o non retto in modo oggettivo e assoluto, ma soltanto affermarlo come mera opinione personale che ha lo stesso peso di chi la pensa esattamente al contrario. La conseguenza è una guerra tra uomini per la salvaguardia delle opinioni e non c’è assolutamente alcuna possibilità di rendere tale “morale laica” un collante di una società. Non può proprio esistere un concetto di morale, come ha spiegato uno dei più famosi atei al mondo, il filosofo Joel Marks: «Non ci sono “peccati” letterali nel mondo perché non c’è Dio letteralmente e, quindi, tutta la sovrastruttura religiosa che dovrebbe includere categorie come peccato e il male. Niente è letteralmente giusto o sbagliato perché non c’è nessuna moralità».

Al contrario, l’esistenza di valori oggettivi che Edoardo Boncinelli percepisce dentro di sé -tanto da invocare un comportamento retto- sono in realtà uno specchio della legge morale inscritta dentro di noi, il cui autore è il Dio che Boncinelli non ha ancora incontrato.

La redazione

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«Quel che i nazisti chiamano dio, non è il Dio cristiano!»

Dio dei nazisti. Riprendiamo le parole che il grande nemico di Hitler, il vescovo di Münster, Clement August Von Galen, riferì a Pio XI, le quali confermano d’altra parte le dichiarazioni del segretario del Führer, Martin Bormann sull’incompatibilità tra nazionalsocialismo e cristianesimo.

 

Abbiamo già  mostrato quanto il pensiero di Hitler verso il cristianesimo fosse profondamente negativo e che tra la Chiesa Cattolica e il regime nazista vi fosse stata una reciproca ostilità.

Vi è tuttavia ancora chi, contro l’evidenza storica, dipinge il nazismo come un movimento cristiano quando, in realtà, il Führer e altri gerarchi nazisti ribadirono più volte che la loro ideologia non era legata ad alcuna confessione religiosa, ma era invece basata sulla scienza (ovviamente intesa secondo le loro prospettive): «Nazionalsocialismo e cristianesimo sono incompatibili. Le Chiese Cristiane si reggono sull’ignoranza degli individui (…) Al contrario, il nazionalsocialismo poggia su basi scientifiche» affermava la circolare inviata da Martin Bormann ai Gauletier tedeschi il 6 giugno del 1941.

Come è noto, la concezione scientifica nazista presupponeva l’esistenza di una razza superiore che avrebbe dovuto dominare a discapito delle altre, anche se a dire il vero, la convinzione dell’esistenza di razze inferiori da sottomettere o eliminare non fu una prerogativa del solo nazismo (anche se solo questi giunse ad ideare la “Soluzione Finale”): quando gli europei diedero il via nel XIX secolo alle conquiste coloniali, elaborarono teorie scientifiche nella quale consideravano loro stessi una razza superiore alle altre, e ciò fu possibile grazie alla banalizzazione del darwinismo sociale nella quale si definiva che la scomparsa delle razze inferiori era dovuta alla “concorrenza spietata” che si verificava anche nel mondo naturale (cfr. B. Bruneteau, Il secolo dei genocidi, Bologna 2005 pp. 45-53).

Una volta al governo, i dirigenti nazisti applicarono perciò i principi dell’igiene razziale e questo significava adottare una nuova morale, in radicale antitesi con quella cristiana, in quanto basata esclusivamente sui presunti interessi collettivi della razza tedesca. Questo presupposto è osservabile anche nelle questioni riguardanti il divorzio e l’aborto. Nei confronti di quest’ultimo il Terzo Reich non si mostrò pregiudizialmente contrario e difatti, pur inasprendo e applicando con maggiore severità le leggi già esistenti contro l’interruzione di gravidanza, depenalizzò tuttavia gli interventi abortivi se effettuati per motivi terapeutici, eugenetici o da donne ebree. Allo stesso modo, per incentivare la natalità, i nazisti rifiutarono il concetto cristiano di indissolubilità del matrimonio ed emaneranno una legge matrimoniale che prevedeva la possibilità che un coniuge fertile potesse presentare istanza di divorzio per presunta infertilità o per rifiuto a procreare da parte dell’altro partner. Tre anni di separazione o irrimediabile dissesto dell’unione coniugale furono inoltre riconosciute come legittime ragioni di annullamento del matrimonio. Il Vaticano protestò per la questione del divorzio, ma le sue proteste non ottennero alcun esito (cfr. Richad J. Evans, Il Terzo Reich al potere, Milano 2005 pp. 479-480 e 484-485).

Un altro punto di scontro tra la Chiesa Cattolica e il Terzo Reich riguardò la questione della sterilizzazione forzata. Volendo eliminare tutti quelli elementi considerati una degenerazione razziale, i nazisti adottarono già nel ’33 una legge sulla “Prevenzione delle malattie ereditarie” che imponeva l’obbligo della sterilizzazione per gli individui affetti da determinate patologie (epilessia ereditaria, psicosi maniaco-depressiva, sordità congenita, gravi forme di alcolismo…) e questo provvedimento portò alla sterilizzazione forzata di oltre 360.000 persone durante i dodici anni di vita del regime. Quando la Chiesa Cattolica si oppose alla sterilizzazione forzata, ideologi nazisti come Gerhard Wagner, capo della Camera dei medici, vi indicarono l’ennesimo capitolo della lunga lotta tra l’oscurantismo religioso e i lumi della scienza, ineluttabilmente destinati a trionfare (cfr. Richard J. Evans, Il Terzo Reich al potere, p.480).

In quel periodo non fu solo la Germania ad applicare politiche sulla sterilizzazione in quanto provvedimenti simili furono attuati anche in molti stati americani ed europei, ma solo i nazisti giunsero ad effettuare l’omicidio di malati psichici. Negli anni del conflitto, la Germania Nazista avviò difatti lo sterminio dei disabili e malati mentali attraverso il programma di eutanasia “T4” che comportò la morte di oltre 70.000 persone. Nonostante i tentavi nazisti per tenere questo piano segreto, presto le voci degli omicidi si espansero tra la popolazione. Frequenti furono le proteste dei prelati contro l’uccisione dei malati psichici, e la più importante di esse fu la predica del vescovo di Münster, Clement August Von Galen, tenuta nella sua cattedrale il 3 agosto 1941 che denunciava l’uccisione di quelle che i nazisti definivano “vite improduttive”: «Vengono adesso uccisi, barbaramente uccisi, degli innocenti indifesi (…) Siamo di fronte ad una follia omicida senza eguali… Con coloro che consegnano persone innocenti, nostri fratelli e nostre sorelle, alla morte, con essi noi vogliamo evitare ogni rapporto, noi vogliamo sfuggire la loro influenza per non essere infettati». La predica ebbe un’enorme risonanza al punto da essere distribuita in Germania non solo dagli oppositori del regime (comprese persone protestanti ed ebree), ma anche dalla Royal Air Force britannica. È noto che Martin Bormann giunse a proporre l’impiccagione del vescovo, ma Goebbels si oppose per motivi politici («Tutta la Westfalia andrebbe persa per l’impegno bellico se ora si procedesse contro il vescovo» fece notare), suggerendo quindi di rimandare la vendetta al termine della guerra.

Per evitare risvolti negativi sul morale della popolazione tedesca nel momento in cui aveva iniziato da poco tempo la sua campagna più difficile ovvero l’invasione dell’Unione Sovietica, il dittatore tedesco decise perciò di ascoltare il consiglio del suo ministro, promettendo che dopo la vittoria avrebbe regolato i conti col vescovo «fino all’ultimo centesimo». Per lo stesso motivo Hitler deciderà di sospendere l’operazione Aktion T-4, anche se in realtà, le uccisioni di malati psichici continueranno sotto banco fino alla fine del conflitto, seppur non più su larga scala. Sebbene il regime non osò colpire personalmente Galen, questi venne tuttavia sottoposto a pressioni per impedirgli di parlare in pubblico, e inoltre i nazisti colpirono al suo posto sacerdoti e laici (per esempio, ad Amburgo, il 10 novembre 1941, furono decapitati tre sacerdoti cattolici e un pastore protestante per aver diffuso le prediche del vescovo). Nella sola diocesi di Münster si contarono 566 sacerdoti diocesani e 96 religiosi che furono trascinati davanti ai tribunali, e trentasette internati nei campi di concentramento (cfr. S. Falasca, Un vescovo contro Hitler, Milano 2006 pp. 42-49).

Non si può dunque fare a meno di notare la radicale contrapposizione tra la visione del mondo nazionalsocialista e quella cristiano-cattolica: «Noi abbiamo a che fare con un avversario che non conosce verità e fedeltà. Ciò che essi chiamano Dio non è il nostro Dio: è qualcosa di diabolico» dichiarò Galen a Pio XI. Un pensiero condiviso sia dal papa che dal suo successore, Pacelli.

Mattia Ferrari

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Papa Francesco: «difendere il debole ma non proteggere l’embrione? Una contraddizione»

Papa francesco bambinoBergoglio e l’aborto. Incontrando il Movimento per la Vita, Papa Francesco ha pronunciato un coraggioso discorso sulla necessità di proteggere l’embrione umano, parole poco riprese dai principali quotidiani online.

 

Molto bello il discorso odierno di Papa Francesco tenuto in occasione dell’incontro con il Movimento per la Vita. «Vi incoraggio a proseguire la vostra importante opera in favore della vita dal concepimento al suo naturale tramonto, tenendo conto anche delle sofferte condizioni che tanti fratelli e sorelle devono affrontare e a volte subire», ha detto.

Occorre una premessa: Papa Francesco non intende soprassedere alle inchieste giornalistiche sulla poco cristiana gestione finanziaria di una parte della burocrazia vaticana, questa mattina ha ricordato che, oltre ai tanti sacerdoti e missionari che fanno il bene, ci sono anche «gli arrampicatori, gli attaccati ai soldi. E quanti sacerdoti, vescovi abbiamo visto così. E’ triste dirlo, no?». Tuttavia, ha spiegato in una intervista ad un quotidiano olandese: «i beni immobili della Chiesa sono molti, ma li usiamo per mantenere le strutture della Chiesa e per mantenere tante opere che si fanno nei paesi bisognosi: ospedali, scuole. Ieri, per esempio, ho chiesto di inviare in Congo 50.000 euro per costruire tre scuole in paesi poveri, l’educazione è una cosa importante per bambini. Sono andato all’amministrazione competente, ho fatto questa richiesta e i soldi sono stati inviati».

Tornando all’incontro con i movimenti pro-life, ancora una volta (come ha fatto innumerevoli voltenon ha avuto paura di toccare e difendere tematiche scomode, in controtendenza. Alla faccia di chi lo accusa di ricercare il comodo applauso del mondo. Per lui la difesa della vita non si riduce a contrastare l’aborto e l’eutanasia -come invece fanno, un po’ ossessivamente, alcuni militanti “pro life”, che sembrano vivano soltanto di questo- no, «per i discepoli di Cristo, aiutare la vita umana ferita significa andare incontro alle persone che sono nel bisogno, mettersi al loro fianco, farsi carico della loro fragilità e del loro dolore, perché possano risollevarsi. Quante famiglie sono vulnerabili a motivo della povertà, della malattia, della mancanza di lavoro e di una casa! Quanti anziani patiscono il peso della sofferenza e della solitudine! Quanti giovani sono smarriti, minacciati dalle dipendenze e da altre schiavitù, e attendono di ritrovare fiducia nella vita!». Anche questo è il compito di tutti noi difensori della vita.

Il Movimento per la vita agisce proprio così: «in quarant’anni di attività avete cercato di imitare il buon samaritano. Dinanzi a varie forme di minacce alla vita umana, vi siete accostati alle fragilità del prossimo, vi siete dati da fare affinché nella società non siano esclusi e scartati quanti vivono in condizioni di precarietà. Mediante l’opera capillare dei “Centri di Aiuto alla Vita”, diffusi in tutta Italia, siete stati occasione di speranza e di rinascita per tante persone. Vi ringrazio per il bene che avete fatto e che fate con tanto amore, e vi incoraggio a proseguire con fiducia su questa strada, continuando ad essere buoni samaritani! Non stancatevi di operare per la tutela delle persone più indifese, che hanno diritto di nascere alla vita, come anche di quante chiedono un’esistenza più sana e dignitosa». Nel discorso del Pontefice compare anche la difesa della famiglia e sopratutto in riferimento ai figli e alla dignità della donna: «In particolare, c’è bisogno di lavorare, a diversi livelli e con perseveranza, nella promozione e nella difesa della famiglia, prima risorsa della società, soprattutto in riferimento al dono dei figli e all’affermazione della dignità della donna. Il numero rilevante di donne, specialmente immigrate, che si rivolgono ai vostri centri dimostra che quando viene offerto un sostegno concreto, la donna, nonostante problemi e condizionamenti, è in grado di far trionfare dentro di sé il senso dell’amore, della vita e della maternità».

Ci ha colpito molto infine un passaggio della “Laudato sii” che avevamo trascurato, citato oggi da Papa Francesco: «Dal momento che tutto è in relazione, non è neppure compatibile la difesa della natura con la giustificazione dell’aborto. Non appare praticabile un cammino educativo per l’accoglienza degli esseri deboli che ci circondano, che a volte sono molesti o importuni, quando non si dà protezione a un embrione umano benché il suo arrivo sia causa di disagi e difficoltà: “Se si perde la sensibilità personale e sociale verso l’accoglienza di una nuova vita, anche altre forme di accoglienza utili alla vita sociale si inaridiscono”». Quest’ultima è una frase di Benedetto XVI. Un messaggio davvero provocatorio, nel senso buono della parola, a tutti coloro che parlano e scrivono di povertà ed emarginazione, di mancanza di diritti e discriminazione, e poi sono i primi ad approvare l’uccisione dei bambini non ancora nati. Tolgono a loro il diritto alla vita in nome della libertà di scelta. No, non è compatibile anzi, diceva Benedetto XVI, è proprio vero il contrario: «È necessario che ci sia qualcosa come un’ecologia dell’uomo, intesa in senso giusto. Il degrado della natura è infatti strettamente connesso alla cultura che modella la convivenza umana: quando l’ecologia umana è rispettata dentro la società, anche l’ecologia ambientale ne trae beneficio».

Post Scriptum
Per il momento, a parte “Il Giornale” e “Avvenire”, i quotidiani principali non hanno ripreso nessuna parola di Francesco. Vedremo se i vaticanisti (Rodari, Galeazzi, Giansoldati, Vecchi, Magister, Marrone, Ansaldo ecc.) ne avranno il coraggio domani. Almeno un trafiletto, ce la potete fare! Ad oggi, 07 novembre 2015, solo “Vatican Insider” (La Stampa) ne ha parlato.

La redazione

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La sensibilità ecologica? Nasce nel Medioevo (altro che secoli bui!)

Medioevo paesaggiUna delle ultime falsità creata durante l’epoca illuminista, e che ancora resiste con forza, è la denigrazione del Medioevo come un periodo “buio”. E’ il potere del luogo comune, delle fiction televisive, dei libri scandalistici a mantenere viva questa immagine che, tuttavia, non ha nulla a che vedere con la realtà.

In quest’epoca, infatti, nacque il metodo scientifico (sotto l’ala della Chiesa), sorsero i primi ospedali (sotto l’ala della Chiesa), vennero fondate le prime università volute o finanziate dai Papi, come Benedetto XIV fece con l’Università di Bologna, favorendo così il primo Istituto di Scienze e donando materiale scientifico di sua proprietà (G. Gandolfi, L’instituto delle Scienze di Bologna, CLUEB 2011, pp. 1-9), per la prima volta le donne poterono assumere posti di responsabilità («ad onta dei luoghi comuni sulle sue chiusure, il Medioevo apriva spazi di presenza femminile ai vertici più alti della gestione della cosa pubblica finanche internazionale, irradiantesi dalle corti e dai monasteri affidati per vicende ereditarie e nobiltà di lignaggio alle loro cure», ha spiegato Angelo Varni, ordinario di Storia contemporanea presso l’Università di Bologna).

Con il Medioevo sono nati la laicità e il liberalismo (consigliamo l’ottimo libro di L. Siedentop, docente di Oxford, “Inventing the Individual: The Origins of Western Liberalism”, qui recensito). Nel Medioevo è nata l’Europa, lo ha ben spiegato il noto semiologo Umberto Eco, curatore di quattordici volumi dedicati a «quest’epoca gloriosa», il cui risultato è «quella che chiamiamo oggi Europa, con le sue nazioni, le lingue che ancora parliamo, e le istituzioni che, sia pure attraverso cambiamenti e rivoluzioni, sono ancora le nostre». E’ opportuno quindi precisare, ha proseguito Eco, «che il Medioevo non è quello che il lettore comune pensa, che molti affrettati manuali scolastici gli hanno fatto credere, che cinema e televisione gli hanno presentato».

Un saggio storico pubblicato di recente da Riccardo Rao, docente presso l’Università di Bergamo (“I paesaggi dell’Italia medievale”, Carocci 2015) ha aggiunto un altro piccolo tassello a tutto questo. «Nel Basso Medioevo le popolazioni di montagna possono permettersi di dar vita a prime forme di cultura ecologista, volte a preservare alcune specie arboree messe a rischio dalle trasformazioni», ha spiegato Rao. «Il primo documento “verde” è del 1033, contenuto in un atto con il quale il vescovo di Modena concede in affitto terre boscate, mettendo per iscritto una clausola che prescrive ai contadini di adoprarsi affinché “le querce più grandi siano custodite e le più piccole lasciate crescere”. Una preoccupazione simile emerge da un documento del 1113 (ottantanni dopo il primo) con cui Matilde di Canossa ordina ai monaci di San Benedetto di Polirone, vicino al fiume Po, di “tagliare ogni anno non più di dodici esemplari tra roveri e cerri in un bosco poco distante dal monastero”». Certo, avverte l’autore, «tali disposizioni non rispondono a una sensibilità ecologica in senso moderno; non si può dire che esistesse una vera e propria consapevolezza ambientale. Si tratta piuttosto di una forma di ecologia volta alla salvaguardia di risorse paesaggistiche che hanno un ruolo centrale nel sistema economico locale». Una sensibilità che comunque tenderà a crescere. Le normative prodotte nel Duecento e nei primi decenni del Trecento, quando i coltivi raggiungono le superfici più ampie, «accordano una speciale protezione al bosco», proibendo o limitando fortemente l’abbattimento degli alberi e, come ha ben documentato Rinaldo Comba in “Metamorfosi di un paesaggio rurale” (Celid 1986), vietando esplicitamente i disboscamenti in alcune aree dei territori comunali.

Lo storico Paolo Mieli, che ha il merito di aver recensito il libro di Rao, ha commentato: «Dopodiché dalla fine del Medioevo e dall’inizio dell’età moderna verrà un’epoca di disboscamenti selvaggi, durerà seicento anni. Con qualche ripensamento (peraltro ancora insufficiente) verso la fine del millennio. Ma negli ultimi venticinque anni il tasso di deforestazione globale netto si è ridotto di oltre il 50% e sono aumentate le aree protette. Un dato di grande rilievo, dal momento che le foreste contribuiscono con circa 600 miliardi di dollari l’anno al Pil mondiale, offrendo lavoro a oltre cinquanta milioni di persone. Ma a noi piace pensare che il freno posto alla deforestazione senza freni sia dovuto, almeno in parte, a un recupero di sensibilità medievale».

La redazione

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Perché il teismo cristiano fornisce la spiegazione più razionale

esiste un dioEsiste un Dio? Recensione all’ultimo libro del celebre filosofo Richard Swinburne, pubblicato dalla Lateran University Press. Una lucida risposta al grande dilemma metafisico.

 

Se mettessimo su una asettica bilancia delle probabilità l’esistenza di Dio e la non esistenza di Dio, la conclusione sarà che, si, probabilmente c’è un Dio. Ma non un Dio qualunque, soltanto una delle principali religioni del mondo, infatti, ha la possibilità razionale di rivendicare di essere vera: il cristianesimo.

Questa è la conclusione a cui è giunto il celebre filosofo Richard Swinburne, uno dei più eminenti filosofi della religione del nostro tempo, nel suo libro più popolare: “Esiste un Dio?” (Lateran University Press 2013). Un’opera destinata al grande pubblico, certo, ma che è comunque un saggio filosofico nel quale Swinburne affronta dettagliatamente diverse argomentazioni, e confutazioni delle possibili obiezioni, per arrivare alla sua conclusione.

La fondamentale premessa è accettare che una tesi è probabilmente vera se:
1) Porta ad aspettarci (con precisione) numerosi eventi differenti che si possono osservare;
2) ciò che viene proposto è semplice;
3) Si adatta molto bene alle nostre conoscenze del contesto;
4) Non c’è un’altra argomentazione concorrente che soddisfa i criteri 1-3 così bene come la tesi da noi proposta.

Per rispondere al grande dilemma metafisico del perché c’è qualcosa anziché il nulla esistono tre spiegazioni definitive: il materialismo, secondo cui l’esistenza e il funzionamento di tutti i fattori coinvolti nella spiegazione personale (le cose avvengono perché provocati intenzionalmente da qualcuno) hanno una spiegazione inanimata completa (le cose avvengono perché causati da cose inanimate). L’umanesimo, invece, è una teoria mista e sostiene che l’esistenza e il funzionamento dei fattori coinvolti nella spiegazione inanimata non hanno tutti una spiegazione ultima in termini personali. Infine il teismo, ovvero che l’esistenza e il funzionamento dei fattori coinvolti nella spiegazione inanimata debbono essi stessi essere spiegati in termini personali.

«La tesi di questo libro», spiega Swinburne, «è che il teismo fornisce di gran lunga la spiegazione più semplice di tutti i fenomeni. Il materialismo, a mio parere, non è un’ipotesi semplice, ed esiste uno spettro di fenomeni che, con grandissima probabilità, non risulta in grado di spiegare. L’umanesimo costituisce un’ipotesi ancora meno semplice del materialismo» (p. 48,49). Il materialismo, in particolare, postula che ogni spiegazione completa del fatto che le cose si comportano come si comportano è fornita dai poteri e dagli obblighi di un numero immenso (forse infinito) di oggetti materiali. Il teismo, al contrario, afferma che ogni singolo oggetto che esiste è causato ad esistere e mantenuto in esistenza da un’unica sostanza, Dio. La spiegazione più semplice postula un’unica causa, per questo il teismo è anche più semplice del politeismo. Soltanto questa tesi soddisfa i quattro criteri iniziali: è la teoria più semplice che prevede fenomeni osservabili quando non ci aspetteremmo altrimenti di osservarli.

Questa Causa, sostiene il teismo, non può che avere necessariamente alcune caratteristiche precise: una Persona con un potere infinito (onnipotenza), conoscenza infinita (onniscienza) e libertà infinita (non viene influenzato). Sostenere queste proprietà di Dio è anch’essa la spiegazione più semplice che non il contrario (ad esempio diventa una spiegazione complicata postulare che Dio sia venuto all’esistenza in un certo momento, così come se introduciamo un limite ai suoi poteri ecc.) Ovviamente il filosofo spiega e dettaglia ogni sua affermazione e conclusione a cui giunge, cosa che qui per motivi di spazio non è possibile fare.

Se Dio esistesse, prosegue il ragionamento, ci aspetteremmo che la sua creazione sia ordinata, non dominata dal caos, e quindi che fosse governata da poche leggi, sempre le stesse. Ed infatti, tutti gli elementi dell’Universo non soltanto esistono ma si comportano esattamente allo stesso modo, obbedendo alle stesse leggi della natura (dalle galassie più lontane alle particelle del nostro corpo). Non domina il caos ma l’ordine è la regola, inoltre tutti gli oggetti rientrano in dei generi i cui membri si comportano in modo uguale tra loro in maniera ancora più specifica (ogni elettrone si comporta come un altro elettrone per respingere un elettrone con la stessa forza elettrica, così come ogni tigre si comporta come ogni altra tigre ecc.). Senza una causa di tutto sarebbe una coincidenza davvero straordinaria, «troppo straordinaria perché qualunque persona razionale vi creda», così come sarebbe poco razionale non ipotizzare una autore comune se trovassimo tutti i documenti presenti in una stanza scritti con la stessa calligrafia.

La semplice ipotesi del teismo porta ad aspettarci tutti i fenomeni descritti con un ragionevole grado di probabilità: un Dio onnipotente non solo ha buone ragioni per farlo, ma è in grado di produrre questo mondo ordinato. Allo stesso tempo postulare Dio di fronte a tutto questo è una reazione naturale e razionale (è la base della quinta “via” di S. Tommaso d’Aquino, cioè il comportamento ordinato dei corpi materiali che hanno la tendenza a muoversi verso un fine). Non ci sono argomenti alternativi che soddisfano i criteri posti inizialmente, ovvero non c’è un’altra ipotesi semplice che porta ad aspettarci questi fenomeni osservabili. Il filosofo, inoltre, confuta le obiezioni del principio antropico e del multiverso, così come respinge l’accusa di utilizzare un “Dio delle lacune“: «non sto postulando un dio che serva semplicemente a spiegare le cose che la scienza non ha ancora spiegato. Io postulo Dio per spiegare perché la scienza spiega. Proprio il successo della scienza a spiegarci quanto è profondamente ordinato il mondo naturale fornisce una forte motivazione per credere che esiste una causa ancora più profonda di quell’ordine» (p.79).

Collegandosi al punto precedente, Swinburne aggiunge che un maestoso ordine regola anche l’infinita complessità dei corpi umani e dei corpi animali. Un ordine emerso tramite leggi evolutive, ma l’evoluzione è uno strumento non una spiegazione ultima: non spiega infatti perché abbiano funzionato quelle leggi evolutive (oltretutto guidate da limiti e confini ben precisi) e non altre, non spiega da dove nascano le stesse leggi evolutive e perché c’erano proprio quegli elementi chimici sulla Terra. Gli esseri umani sono anche esseri coscienti, mentre gli atomi non lo sono: la coscienza non può essere una proprietà di un semplice oggetto materiale, ma dev’essere proprietà di qualcosa connesso al corpo che, tradizionalmente, si chiama anima, a cui appartiene la vita cosciente del pensiero e dei sentimenti. Essa non può essere oggetto di studio da parte della scienza, non si rileva la vita cosciente ispezionando il cervello, per questo (e per tanti altri motivi) la dimensione mentale va distinta dal cervello.

Così, in qualche momento della storia evolutiva i corpi degli uomini sono diventati connessi alle anime e questo è al di fuori di una spiegazione scientifica: perché un cervello darebbe origine alla coscienza? E perché proprio questi specifici eventi mentali? Servirebbe una teoria scientifica corpo-anima formata da alcune semplici leggi, quindi che preveda che certi eventi cerebrali daranno luogo a certi eventi mentali. Ma non è possibile l’esistenza di tale legge scientifica poiché gli eventi mentali differiscono in termini misurabili dagli eventi mentali. Soltanto il teismo può offrire una risposta semplice, soddisfacente e razionale, considerando che soltanto un Dio buono ha una buona ragione per causare l’esistenza delle anime e unirle ai corpi, rendendoli consapevoli di ciò che li circonda. Così, «l’ipotesi di Dio ci conduce con una certa probabilità ad aspettarci anche questi fenomeni» (p. 106).

Un capitolo del libro è utilizzato a spiegare perché l’esistenza del male non è una obiezione all’esistenza di Dio, interessante anche il capitolo dedicato alla razionale probabilità che questo Dio intervenga nella storia (miracoli) e, conseguentemente, molti argomenti portano a riconoscere solo nella religione cristiana (diversa per numerose caratteristiche da tutte le altre) la volontà di Dio di rivelare alcune verità agli uomini.

La conclusione di questo affascinante percorso del celebre filosofo è che «l’esistenza, l’ordine, la regolazione accurata del mondo; l’esistenza di esseri umani coscienti in esso con provvidenziali opportunità di plasmare se stessi, plasmarsi a vicenda e plasmare il mondo; alcune prove storiche di miracoli collegati con necessità umane e preghiere, particolarmente in connessione con la fondazione del cristianesimo, completate infine dell’evidente esperienza di milioni di persone delle sua presenza, tutto ciò rende significativamente più probabile che ci sia un Dio anziché il contrario» (p. 153).

La redazione

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La misera conclusione politica di “Disgrazio” Marino

Ignazio MarinoNon se ne poteva davvero più di vedere l’ex sindaco di Roma, Ignazio Marino, indossare la fascia tricolore, rincorrere la papamobile in piazza San Pietro, montare lesto sul predellino per strappare a Francesco qualche foto con lui. Poco prima di registrare illegalmente in Comune le nozze gay contratte all’estero, oltretutto.

Non se ne poteva più di vederlo girare in bicicletta con lo zainetto sullo spalle per far credere di essere “tra la gente, uno qualunque”, quando contemporaneamente si lamentava per lo stipendio troppo basso (4500€ al mese!). Oltretutto, secondo le accuse, in due anni avrebbe speso 259mila euro per rappresentanza e viaggi, attualmente è indagato per peculato e la Procura sta valutando se aggiungere alle accuse anche il reato di dichiarazioni false rese ai pubblici ministeri. Si vedrà, la presunzione d’innocenza vale anche per lui.

Non se ne poteva più di un sindaco interessato esclusivamente alla sua immagine e così poco a quella della città, abbandonata quando è in difficoltà per farsi le vacanze americane, alla quale ha cercato di infliggere fino all’ultimo -dopo aver presentato le dimissioni da sindaco-, dei dispetti pur di perseverare «nel suo progetto narcisistico». «Certi casi politici sono casi umani», ha commentato Pierangelo Buttafuoco.

Sono poche le cose che ci si ricorda della sua amministrazione, la principale è quando nel giorno in cui terminava il Sinodo sulla Famiglia, nel 2014, Marino scelse di annunciare l’istituzione del registro per le coppie gay. Una provocazione che ha umiliato Papa Francesco, dicono i suoi collaboratori. Così come quando ha dato il patrocinio al Gay Pride negandolo alla Marcia per la Vita, benedetta invece da Papa Francesco. Ha negato appalti al Forum delle Associazioni familiari del Lazio, ha negato la sala comunale ai difensori della famiglia esponendo però la bandiera Lgbt alle finestre del Campidoglio, appendendo lucine arcobaleno per la città per festeggiare il Natale. Nei primi 8 mesi da sindaco ha smontato tutte le buone pratiche sulle politiche familiari, arrivando anche ad affermare: «Sono fortemente attirato da qualunque sostanza stupefacente ma non ne ho mai utilizzata nessuna, perché ho paura da un punto di vista medico: penso che possano fare male. Se però guardo i Rolling Stone diventa difficile spiegare ai figli che non le devono prendere». Non si possono nemmeno dimenticare i parcheggi gratis della sua Panda rossa, caso che ha tenuto banco per mesi e la militanza contro le scuole paritarie romane, alle quali ha aumentato la tassa sui rifiuti del 600% e superbollette.

Dopo essere stato bocciato da 8 romani su 10, la batosta tremenda è arrivata dalle parole di Papa Francesco sull’aereo alla fine del suo viaggio negli Stati Uniti: «io non ho invitato il Sindaco Marino. Chiaro? Io non l’ho fatto. Ho chiesto agli organizzatori, e neppure loro l’hanno invitato. Lui è venuto, lui si professa cattolico, è venuto spontaneamente». La vibrazione di quel si professa cattolico non lo avrà fatto dormire per settimane. Il Papa si riferisce al tentativo di Marino di volerlo incontrare a tutti i costi durante il viaggio del Pontefice negli Stati Uniti. Come se non bastasse, mons. Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia molto vicino a Papa Francesco, pensando di parlare con il premier Matteo Renzi (era uno scherzo, in realtà), ha affermato: «Certo che Marino si è imbucato. Ha cercato di sfruttare questa situazione, e questo fa imbestialire il Numero Uno. Nessuno l’ha invitato. Il Papa era furibondo. Quando stava lì ha insistito per vederlo e questo ha fatto scocciare il Papa. Probabilmente Marino aveva qualcosa da farsi perdonare a Philadelphia, poi sta cercando in ogni modo un appoggio, ma con il nostro non funziona».

Infine, dopo aver annunciato responsabilmente le sue dimissioni, le ha ritirate senza alcun motivo: non erano cambiate le condizioni politiche né tanto meno il giudizio negativo su di lui del suo partito, il Pd. Una mossa ridicola, nel totale disinteresse della città, soltanto per il non voler uscire di scena in un modo così misero. «È come se Marino giocasse a fare il “marziano” e il suo obiettivo fosse solo quello di stupire e di proteggere la sua immagine. Ma dietro quel gioco, ci sono le sorti di una comunità intera», è stato osservato. L’Osservatore Romano ha commentato: «sta assumendo i contorni di una farsa la vicenda legata alle dimissioni del sindaco di Roma. Al di là di ogni altra valutazione resta il danno, anche di immagine, arrecato a una città abituata nella sua storia a vederne di tutti i colori, ma raramente esposta a simili vicende». Su “Avvenire” stessi toni: «la mossa disperata e ardita di un sindaco narciso, forse un po’ troppo pieno di sé». La giunta comunale si è poi dimessa facendo decadere automaticamente il sindaco, che nel frattempo si era barricato nei suoi uffici.

Voleva essere il moralizzatore che “aggiornava” l’etica della Chiesa inadeguata e anacronistica rispetto alle sensazioni dei cittadini romani. I quali, però, dopo l’umiliazione subita in questi due anni da parte della sua amministrazione, hanno risposto mandandolo a casa e affibbiandoli tre soprannomi: sotto-Marino all’inizio, Ignaro Marino poi e, alla fine, Disgrazio Marino.

 

Qui sotto un divertente video sull’ex sindaco di Roma

 

La redazione

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Consiglio di Stato: «il matrimonio omosessuale non rispetta l’ordine naturale»

consiglio di statoConsiglio di Stato e nozze gay. Una sentenza rivoluzionaria che conferma l’illegalità in Italia della trascrizione di matrimoni omosessuali contratti all’estero, nel verdetto alcuni passaggi davvero positivi per chi difende la famiglia naturale.

 

La notizia non è certo nuova: il Consiglio di Stato ha confermato che la Costituzione italiana riconosce soltanto il matrimonio naturale e che le trascrizione da parte di sindaci ribelli di nozze omosessuali contratte all’estero sono illegali. Volevamo comunque dare rilievo ad alcune sfumature che non sono particolarmente emerse e che giustificano un, seppur minimo, razionale ottimismo.

Innanzitutto facciamo notare come in questi anni diversi pronunciamenti abbiamo smontato completamente i pochi argomenti avanzati dai sostenitori Lgbt. In particolare, con la sentenza n.138 del 2010, la Corte Costituzionale ha chiarito definitivamente che le nozze gay sono incostituzionali poiché «l’istituto del matrimonio civile, come previsto nel vigente ordinamento italiano, si riferisce soltanto all’unione stabile tra un uomo e una donna». Ha poi aggiunto un particolare molto importante: «la normativa medesima non dà luogo ad una irragionevole discriminazione, in quanto le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio». Con una chiara sentenza, venne smontata dunque la legittimità del matrimonio omosessuale e l’equivalenza tra unioni omosessuale e eterosessuali.

Nel 2015 la Cassazione si è rifatta a tale sentenza, confutando in particolare la tesi del “diritto al matrimonio omosessuale” e quello del “ce lo chiede l’Europa”. «Deve escludersi», dice la sentenza, «che la mancata estensione del modello matrimoniale alle unioni tra persone dello stesso sesso determini una lesione dei parametri integrati della dignità umana e dell’uguaglianza, i quali assumono pari rilievo nelle situazioni individuali e nelle situazioni relazionali rientranti nelle formazioni sociali costituzionalmente protette dagli articoli 2 e 3 della Costituzione». Nel nostro Paese, dunque, non c’è alcuna lesione dei diritti delle persone omosessuali, ed inoltre «l’articolo 12 della Carta dei diritti fondamentali della Ue, ancorché formalmente riferito all’unione matrimoniale eterosessuale, non esclude che gli Stati membri estendano il modello matrimoniale anche alle persone dello stesso sesso, ma nello stesso tempo non contiene alcun obbligo». Quindi, l’Europa non ci chiede proprio nulla.

Arriviamo dunque alla recente sentenza del Consiglio di Stato, il quale ha sostenuto che «il matrimonio omosessuale deve, infatti, intendersi incapace, nel vigente sistema di regole, di costituire tra le parti lo status giuridico proprio delle persone coniugate (con i diritti e gli obblighi connessi) proprio in quanto privo dell’indefettibile condizione della diversità di sesso dei nubendi, che il nostro ordinamento configura quale connotazione ontologica essenziale dell’atto di matrimonio». Per cui, «il corretto esercizio della potestà impedisce all’ufficiale dello Stato civile la trascrizione di matrimoni omosessuali celebrati all’estero […]. Non appare, in definitiva, configurabile, allo stato del diritto convenzionale europeo e sovranazionale, nonché della sua esegesi ad opera delle Corti istituzionalmente incaricate della loro interpretazione, un diritto fondamentale della persona al matrimonio omosessuale, sicchè il divieto dell’ordinamento nazionale di equiparazione di quest’ultimo a quello eterosessuale non può giudicarsi confliggente con i vincoli contratti dall’Italia a livello europeo o internazionale […]. Risulta agevole individuare la diversità di sesso dei nubendi quale la prima condizione di validità e di efficacia del matrimonio, secondo le regole codificate negli artt.107, 108, 143, 143 bis e 156 bis c.c. ed in coerenza con la concezione del matrimonio afferente alla millenaria tradizione giuridica e culturale dell’istituto, oltre che all’ordine naturale costantemente inteso e tradotto nel diritto positivo come legittimante la sola unione coniugale tra un uomo e una donna». Il matrimonio è soltanto tra uomo e donna, perché risponde all’ordine naturale, e non c’è alcun diritto al matrimonio omosessuale.

Un secco 3-0, potremmo dire, che è stato male digerito (sopratutto dalla Rete Lenfordavvocati arcobaleno) dal mondo Lgbt il quale si è scatenato contro i giudici non rispettando la sentenza. Due di loro, si è scoperto, sono cattolici (in un Paese in cui l’80% si dichiara cattolico), gli altri tre non si sa. Questo è bastato per parlare di mancata imparzialità del Consiglio di Stato, la quale sarebbe stata invece rispettata se i magistrati fossero stato atei e/o pro-gay. Alla frustrazione dell’associazionismo arcobaleno ha risposto il laicissimo magistrato Vladimiro Zagrebelski: «non si può negare la ragionevolezza delle conclusioni cui è giunto il Consiglio di Stato, che è un giudice che applica le leggi vigenti e si preoccupa del sistema che esse definiscono. Basta sottolineare l’assurdità della pretesa di alcuni sindaci di decidere secondo il loro proprio orientamento, rifiutando di sottostare all’autorità gerarchica da cui, nella materia, dipendono e dando luogo ad un sistema per cui si potrebbe esser sposati oppure no a seconda del Comune (e sindaco) ove si è richiesta la registrazione. Resta l’esempio negativo di un ribellismo improprio da parte di pubblici funzionari, come sono i sindaci nelle loro funzioni in tema di Stato Civile. Sul piano della legge vigente è dunque giunta la parola fine». Azzeccato anche il commento ironico di Mario Giordano, così come sono condivisibili gli interventi del prof. Mario Chiavario, professore emerito di Procedura Penale nell’Università di Torino-, che ha definito “assurda” «la pretesa di un’astensione del giudice, in quanto “cattolico”, dal pronunciarsi in sede giudiziaria su certi argomenti. E’ paradossale che questi attacchi arrivino in gran parte da un mondo che delle proprie convinzioni ideologiche ha fatto il passe-par-tout per ogni sorta di forzature del dettato delle leggi a colpi di sentenze»-, e quello odierno dell’ex procuratore generale Ennio Fortuna.

In realtà si dovrebbe parlare di 6-0 se, oltre alle tre sentenze, ricordiamo -come giustamente ha fatto Mario Adinolfi, direttore de La Croce– che: «vinciamo in piazza, in Parlamento e nella Chiesa. Ovvero il 20 giugno a piazza San Giovanni, la dimensione politico-parlamentare che ha costretto a ritirare il ddl Cirinnà, riscriverlo, ripresentandolo con 23 articoli modificati anziché 19 e saltando il passaggio in Commissione dove il testo era inchiodato. Eppoi c’è la Chiesa: al punto 76 della Relatio finale del Sinodo si legge: “circa i progetti di equiparazione al matrimonio delle unioni tra persone omosessuali, non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia”. Oggi la resistenza sta vincendo». Nonostante tutto il main-stream politico, culturale e mediatico remi contro.

La redazione

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