Il prof. Edoardo Boncinelli, noto genetista italiano, si è recentemente lanciato in una dissertazione filosofica sull’etica e sulla morale, cogliendo l’occasione da un recente studio dello psicologo Ara Norenzayan.
Dati sociali raccolti negli ultimi anni, infatti, hanno rivelato che gli adepti delle grandi religioni, come il cristianesimo o l’islam, sono più generosi con gli estranei e più altruisti di individui che seguono credi di tipo diverso. Secondo Norenzayan questa correlazione può aiutarci a capire l’evolversi di queste religioni: se nelle piccole società il comportamento prosociale è mantenuto dalla paura di essere emarginati, nelle grandi società non c’è niente che impedisca di trarre vantaggi truffando gli altri, se si sa che non si incontreranno mai più le persone danneggiate e non esiste ancora un’amministrazione pubblica della giustizia.
Boncinelli, tuttavia, ha replicato a Norezayan sostenendo che «circola da tempo però un’altra istanza, almeno in certi ambienti intellettuali e sociali occidentali, il ripudio di una morale religiosa, per abbracciare, invece, una morale autenticamente laica. Molti sono oggi convinti, incluso me, che si possano seguire i precetti di un’etica laica, figlia della cultura e della ragione, e svincolata da ogni imposizione di natura religiosa. Questa posizione, decisamente più moderna ed evoluta, anche se non sappiamo quanto diffondibile, mostra diversi vantaggi di natura ideale, ma anche pratica. Dal punto di vista ideale, non si vede perché una persona non si dovrebbe comportare bene indipendentemente da comandi e minacce, facendo del proprio retto comportamento un valore in sé, di statura morale e intellettuale assolutamente eccezionale, con un’assunzione di responsabilità personali che non hanno uguali nella storia. Dal punto di vista pratico, tale linea di condotta potrebbe ovviare ai contrasti spesso stridenti che caratterizzano morali religiose diverse, soprattutto sulle questioni sulle quali queste divergono. Così facendo la morale, tanto pubblica quanto privata, ritornerebbe a essere una forza sociale unificante, invece che dirompente».
Certamente quello del prof. Boncinelli è uno dei migliori tentativi che abbiamo trovato negli ultimi anni di giustificare un’etica e una morale laica. Egli basa tutto sul rafforzamento dell’autostima quando si assume un comportamento retto, una certa statura morale, tanto da renderlo un valore in sé. La sua posizione però, oltre a contenere diverse ingenuità, si basa su un’enorme contraddizione.
Innanzitutto constatiamo la resistenza di una morale così fondata: il comportamento retto, come valore in sé, potrebbe tenere per un certo periodo e per un uomo fortemente motivato. Ma sappiamo bene quanto sia una tesi anti-fattuale: l’uomo non è un supereroe dei fumetti. La vita mette continuamente davanti delle sfide che indeboliscono la sua tenuta morale, facendo crollare continuamente tutti i propositi di un comportamento retto, onesto. Ed una volta che si è tradita la rettitudine e persa l’autostima, è sempre più facile continuare a tradirla se questo porta continui vantaggi personali e una migliore qualità di vita (per chi abbraccia una “morale laica” esiste solo questa vita!). La soluzione ideata da Boncinelli, dunque, non è assolutamente duratura e tanto meno dà alcuna garanzia se si considera la fragilità umana e la volubilità dell’animo umano. Il credente, invece, gioca la sua rettitudine morale nel rapporto con Dio (comandi e minacce non contano nulla, è un rapporto affettivo!), la sua rettitudine non si basa su astratti e stoici propositi ma nel non tradire Colui dal quale si sente amato. Questo garantisce costanza e sicurezza sociale. Certo, potrà cadere mille volte ma può pentirsi, essere perdonato del peccato e trovare la forza di rialzarsi, proprio perché ha e si sente “agganciato” da qualcosa al di fuori di lui.
Se la tesi del noto genetista italiano non è dunque accettabile perché non tiene conto dell’uomo com’è nella realtà, essa contiene anche numerose contraddizioni. Boncinelli innanzitutto assume per partito preso che esista un “comportamento retto”, che esistano dei “valori in sé”. Se fosse vero significa che esisterebbe qualcosa di “giusto” (comportamento retto) e di “ingiusto” (comportamento non retto) in modo oggettivo, assoluto ed eterno. Ma in un paradigma privo di Dio, chi ha deciso e chi decide cosa è giusto e sbagliato, se tal comportamento è oggettivamente retto? Giusto e sbagliato rispetto a cosa? E’ il classico argomento morale, di cui abbiamo già a lungo parlato. Il credente può rispondere a queste domande spiegando che è Dio ad avere infuso dentro l’uomo una legge morale comune a cui far riferimento, che indica all’uomo cosa è giusto e cosa è sbagliato in maniera oggettiva ed eterna (ovviamente si può rifiutarsi di seguirla). Ma i non credenti cosa possono rispondere? Usando le parole dell’umanista laico Frank Furedi, la loro posizione è come chi «ha in mano un libro e ne conosce il contenuto, ma contemporaneamente nega l’esistenza del suo autore. Naturalmente è lecito farlo, ma non ci sarebbe nessun libro se non ci fosse l’autore. In altre parole, gli atei possono conoscere la morale oggettiva e contemporaneamente negare l’esistenza di Dio, ma se Dio non esiste non hanno alcuna capacità di giustificare la loro posizione», ovvero di adottare una posizione razionale (o ragionevole), tanto meno moderna ed evoluta come la vorrebbe Boncinelli.
Il problema di chi vuole difendere una “morale laica” non è la capacità di compiere il bene o il male, ma la possibilità di giustificare questa morale, cioè l’esistenza di un “bene” e di un “male” che non siano mere opinioni personali. Il laico Indro Montanelli lo riconosceva con amarezza: «Coloro che pensano di poter ridurre la religione a un credo morale senza fondamento in un valore trascendente non possono risolvere il loro problema esistenziale perché la Morale non ha in sé nulla di Assoluto, le regole ch’essa detta sono sempre relative in quanto portate ad adeguarsi alle mutazioni che sopravvengono, nel tempo e nello spazio, nei costumi degli uomini» (C.M. Martini, “In cosa crede chi non crede?”, Liberal 1996, p.33). Lo ha spiegato egregiamente anche il card. Carlo Maria Martini: «Vorrei tanto che tutti gli uomini e le donne di questo mondo avessero chiari fondamenti etici per il loro operare e sono convinto che vi sono non poche persone che agiscono rettamente, almeno in determinate circostanze, senza riferirsi a un fondamento religioso della vita. Ma non riesco a comprendere quale giustificazione ultima diano del loro operare […]. Faccio fatica a vedere come un’esistenza ispirata da queste norme (altruismo, sincerità, giustizia, solidarietà, perdono) possa sostenersi a lungo e in ogni circostanza se il valore assoluto della norma morale non viene fondato su principi metafisici o su un Dio personale. Che cosa fonda infatti la dignità umana se non il fatto che ogni essere umano è persona aperta verso qualcosa di più alto e di più grande di sé? Solo così essa non può essere circoscritta in termini intramondani e gli viene garantita una indisponibilità che nulla può mettere in questione» (C.M. Martini, “In cosa crede chi non crede?”, Liberal 1996, pp.40,42).
Senza fondare i valori morali su Dio non c’è alcuna possibilità di parlare di un “bene” e di un “male” che non siano mere sensazioni personali, di questo contingente istante. Il filosofo Emanuele Severino ha spiegato: «in chi è convinto dell’inesistenza della verità, e in buona fede rifiuta la violenza, questo rifiuto è, appunto, una semplice fede, e come tale gli appare. E, non esistendo la verità, quel rifiuto della violenza rimane una fede che, appunto, non può avere più verità della fede (più o meno buona) che invece crede di dover perseguire la violenza e la devastazione dell’uomo» (C.M. Martini, “In cosa crede chi non crede?”, Liberal 1996, p.26). In parole ancora più semplici, in assenza di un Legislatore ultimo chi rifiuta la violenza non è migliore (migliore rispetto a cosa? Chi lo ha deciso?) di chi crede che il bene sia perpetuare la violenza. Crolla così anche la possibilità avanzata da Boncinelli che questa “morale laica” basata sul senso di rettitudine di sé possa essere condivisa dagli uomini, dato che ognuno avrà un suo criterio personale di valutazione del bene e del male. Ognuno sarà dio di se stesso, pronto a guerreggiare con l’altro dio essendo indisponibile a piegarsi alla sua opinione del giusto e dello sbagliato.
Concludendo e riassumendo, una morale laica basata sulla rettitudine fatta valore in sé, come proposta dal genetista Boncinelli, non ha alcuna garanzia di continuità e affidabilità data la fragilità dell’animo umano. Ma, sopratutto, non ha alcuna stabilità razionale dato che non può giustificare e affermare quale comportamento sia retto o non retto in modo oggettivo e assoluto, ma soltanto affermarlo come mera opinione personale che ha lo stesso peso di chi la pensa esattamente al contrario. La conseguenza è una guerra tra uomini per la salvaguardia delle opinioni e non c’è assolutamente alcuna possibilità di rendere tale “morale laica” un collante di una società. Non può proprio esistere un concetto di morale, come ha spiegato uno dei più famosi atei al mondo, il filosofo Joel Marks: «Non ci sono “peccati” letterali nel mondo perché non c’è Dio letteralmente e, quindi, tutta la sovrastruttura religiosa che dovrebbe includere categorie come peccato e il male. Niente è letteralmente giusto o sbagliato perché non c’è nessuna moralità».
Al contrario, l’esistenza di valori oggettivi che Edoardo Boncinelli percepisce dentro di sé -tanto da invocare un comportamento retto- sono in realtà uno specchio della legge morale inscritta dentro di noi, il cui autore è il Dio che Boncinelli non ha ancora incontrato.
La redazione