Il Gesù storico è una leggenda? Alcune risposte a Dan Barker

lordolegendNei tanti blog e siti web cattolici presenti sulla rete notiamo spesso una grossa lacuna negli argomenti trattati: il Gesù storico. E’ un tema poco approfondito anche nelle parrocchie e nella Chiesa, sono rarissimi gli incontri nei circoli culturali cattolici e nelle iniziative delle diocesi, nonostante sia e sia stata una passione di Benedetto XVI. Secondo noi è un tema importante, moltissimi credenti covano ancora dubbi e paure a parlare della storicità del cristianesimo, sicuramente dovuti a false informazioni comparse sui media.

Noi, che qualche studio sul Gesù storico lo abbiamo intrapreso, abbiamo il dovere di informare che non c’è nulla da temere ma, al contrario, la ricerca sul Gesù storico può essere molto utile alla fede, a stabilizzarla e a confermarla. Inoltre, impedisce di ridurre la fede in Cristo ad un messaggio simbolico/mitico ed è un baluardo contro la riduzione della fede cristiana a un’importante ideologia di qualsiasi genere.

Per questo, anche oggi, diamo spazio ad un approfondimento sul tema commentando il dibattito avvenuto il 6 giugno 2015 negli Stati Uniti tra Dan Barker, ex pastore protestante, scrittore ateo e co-fondatore della Freedom From Religion Foundation, e Justin W. Bass, docente di Nuovo Testamento presso il Dallas Theological Seminary. La pagina Wikipedia italiana di Barker è pessima: secondo l’autore lo scrittore avrebbe lanciato una “sfida” ai cristiani sulla storicità di Gesù e nessuno la avrebbe accolta (a parte due anonimi sacerdoti che poi si sono tirati indietro). Barker è autore di tre libri sul cristianesimo (“Losing Faith in Faith”, “Godless” e “Life Driven Purpose”), dove si occupa anche del Gesù storico, tuttavia è facile notare che non ha alcun titolo accademico nel suo curriculum e la bibliografia che cita a suo sostegno non include nessun serio studioso del cristianesimo primitivo, a parte RJ Hoffman e Bart Ehrman. Egli fa parte di miticisticioè il gruppo di scrittori/giornalisti/opinionisti americani che negano l’esistenza di Gesù, parlando di storia leggendaria. Una tesi ormai decaduta, gli stessi studiosi che Barker cita a suo (presunto) sostegno, Hoffman ed Ehrman, hanno entrambi scritto numerosi libri contro i miticisti e a sostegno del Gesù storico, seppur entrambi si dichiarino non credenti.

 

Durante il dibattito con J.W. Bass, Barker ha usato alcuni argomenti per sostenere che Gesù è una leggenda, andiamo a confutarli.

1) La città di Nazareth esisteva ai tempi di Gesù.
Fin dall’inizio del suo discorso di apertura, Baker ha dichiarato che la città di Nazareth non esisteva al tempo di Gesù, ne ha parlato anche nel 1992 nel libro “Losing Faith in Faith” (p. 191), sostenendo che Nazareth non sarebbe esistita fino a prima del secondo secolo. Tuttavia, è alla portata di tutti la notizia che le scoperte archeologiche hanno definitivamente dimostrato che Nazareth esisteva ai tempi di Gesù (grazie anche al lavoro dell’archeologo italiano Bellarmino Bagatti). Non solo, nel 1962 il professor Avi-Yonah dell’Università di Gerusalemme ha rinvenuto vicino all’antica Cesarea Marittima una lapide di marmo grigio, datata al III secolo d.C, che cita la località di Nazareth (testimoniandone l’esistenza da tempi ben più antichi), mentre nel 2009 l’archeolologa Yardenna Alexandre ha scoperto anche una casa privata risalente all’epoca di Gesù. Lo stesso Bart Ehrman, citato come fonte da Baker, afferma in un suo testo: «Molte convincenti prove archeologiche indicano che in realtà Nazareth esisteva ai tempi di Gesù e che, come gli altri villaggi e le città in quella parte della Galilea, è stata costruita sul fianco della collina. Gesù è veramente venuto da lì, come conferma l’attestazione multipla» (“Did Jesus Exist?”, HarperOne 2012, p 191). Dunque il primo argomento usato da Baker è completamente in contrasto con i fatti.

 

2) Tacito si riferisce a Gesù in Annali 15,44
Nel suo secondo argomento Baker ha sostenuto che lo storico romano Tacito non si riferisce a Gesù Cristo nel suo celebre passo di “Annali” 15,44, quando scrive: «Allora, per troncare la diceria, Nerone spacciò per colpevoli e condannò ai tormenti più raffinati quelli che le loro nefandezze rendevano odiosi e che il volgo chiamava cristiani. Prendevano essi il nome da Cristo, che era stato suppliziato ad opera del procuratore Ponzio Pilato sotto l’impero di Tiberio». Come abbiamo dimostrato nel nostro apposito dossier, l’autenticità del passo è sostenuta dalla maggior parte degli studiosi, J.P. Meier -tra i maggiori biblisti viventi- ha scritto: «nonostante alcuni deboli tentativi di mostrare che questo testo è un’interpolazione cristiana in Tacito, il passo è certamente genuino. Non solo è attestato in tutti i manoscritti degli Annali, ma il tono decisamente anticristiano del testo rende quasi impossibile un’origine cristiana» (J.P. Meier, Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico 1, Queriniana 2001, p. 89). Lo stesso Bart Ehrman, a cui Baker si affida, ha scritto: «non conosco alcun classicista di professione, e nessuno studioso dell’antica Roma, che non ne sostenga l’autenticità. E’ evidente che Tacito sapesse qualcosa di Gesù. Il suo riferimento dimostra che al principio del II secolo le massime cariche istituzionali romane sapevano che Gesù era vissuto ed era stato giustiziato dal governatore della Giudea» (B.D. Ehrman, Did Jesus Exist?, HarperCollins 2012, p. 57,58). Oltretutto occorre ricordare che oltre a Tacito, esistono almeno 9 autori non cristiani che, tra il 50 d.C. e il 170 d.C., testimoniano l’esistenza di Gesù (molti in modo indipendente).

 

3) San Paolo ritenne l’apparizione di Gesù fisica e corporale.
Le lettere di San Paolo sono molto importanti perché la maggior parte scritte a ridosso della morte e resurrezione di Cristo, prima ancora dei Vangeli. Dan Baker ha contestato il fatto che Paolo riteneva fisica e corporea la risurrezione di Gesù, sostenendo che la parola greca ὤφθη, da lui usata, indica un’esperienza visionaria, spirituale. Occorre dargli ragione sul fatto che a volte questa parola greca è utilizzata nella Bibbia per indicare un’esperienza visionaria/spirituale, ma è falso che non venga mai utilizzata anche per indicare un’esperienza fisica, corporea. Ad esempio ὤφθη compare in Lc 24,34 (“Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone”) e lo stesso Baker ha concordato sul fatto che Luca presenta una apparizione fisica del Gesù risorto (è indubitabile, d’altra parte, se si legge tutto il brano, sopratutto Lc 24, 36-43). Ma anche nella traduzione greca dell’Antico Testamento questa parola viene adoperata per le apparizioni fisiche, ad esempio in Gn 46,29 (Giuseppe incontra Giacobbe), Es 10,28 (Mosè e il Faraone), 1Re 3,16 (due prostitute si recano da Salomone), 1Re 18,1 (Elia si reca da Acab) ecc. Quindi, basarsi soltanto su questa parola greca non può aiutare a decidere la questione.

Inoltre, secondo Baker, Paolo in 1 Corinzi 9, non afferma di aver “visto” il Signore («Non ho veduto Gesù, Signore nostro?»). Per lui è una «traduzione sbagliata». Eppure, la traduzione greca è οὐχὶ Ἰησοῦν τὸν κύριον ἡμῶν ἑόρακα, dove la parola greca ἑόρακα deriva da ὁράω, che significa “(io) vedo”. La cosa comunque importante è che Baker ha riconosciuto che la parola ἀνάστασις è utilizzata per indicare la resurrezione fisica. Egli ritiene però che Paolo non l’abbia mai utilizzata, anche se la conosceva, ed invece è vero il contrario dato che la utilizza nella Lettera ai Romani 1,4 (ritenuta totalmente autentica di Paolo): «costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione dai morti, Gesù Cristo, nostro Signore» («ἐξ ἀναστάσεως νεκρῶν, Ἰησοῦ Χριστοῦ τοῦ κυρίου ἡμῶν), tanto che nel procedere del dibattito anche lui stesso lo ha riconosciuto. Ma anche nella stessa Lettera ai Corinzi, che tanto ha creato obiezioni al noto ateo, Paolo utilizza molte volte la parola ἀνάστασις per riferirsi alla risurrezione: «Ora, se si predica che Cristo è risuscitato dai morti (ἐκ νεκρῶν ἐγήγερται, nda), come possono dire alcuni tra voi che non esiste risurrezione dei morti (ἀνάστασις νεκρῶν, nda). Se non esiste risurrezione dai morti (ἀνάστασις νεκρῶν, nda), neanche Cristo è risuscitato! (ἐγήγερται)» (1 Corinzi 15, 12-13, 20-21). Si può dunque concludere che Paolo disse di aver ricevuto un’apparizione fisica di Gesù (tanto da trasformarlo in un istante da cacciatore di cristiani ad apostolo tra le genti) e, di conseguenza, di credere alla sua resurrezione fisica e corporale.

 

4) I 500 testimoni oculari della resurrezione di Gesù
In 1 Corinzi 15,6, Paolo afferma rispetto a Gesù: «In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti». Questa affermazione è stata spesso al centro del dibattito tra i due relatori: entrambi hanno concordato che la maggioranza degli studiosi ritiene il brano attendibile, tuttavia non sono unanimi nel ritenere se Paolo abbia appreso questa informazione direttamente o in seconda mano. E’ inoltre appurato che tutti i principali studiosi (Lüdemann, Dunn, EP Sanders, J.P. Meier, NT Wright ecc.) concordano sul fatto che Paolo scriva vent’anni dopo i fatti ma citi informazioni che ha appreso entro 2-5 anni dalla morte di Gesù. Secondo Baker non può averle apprese direttamente a causa della distanza tra Gerusalemme e Corinto, tuttavia sappiamo per certo che Pietro e Giacomo hanno viaggiato frequentemente da Gerusalemme a Corinto. Inoltre, sappiamo che Paolo, a causa del suo passato, dovette dimostrare la sua buona fede e credibilità ai primi cristiani, offrire un’informazione falsa come i 500 testimoni oculari, facilmente verificabile da chiunque, avrebbe oscurato non poco la sua reputazione. Oltretutto, occorre osservare che Paolo spiega anche che di questi 500 testimoni oculari, alcuni sono vivi mentre altri sono morti. Qualcosa di parallelo c’è in Flavio Giuseppe quando sostiene che 23 anni dopo l’evento di cui parla le persone sono ancora vive, lo dice «per dimostrare» ciò che afferma (Antichità giudaiche, 20,266). Ugualmente Paolo fornisce questa informazione per invitare i suoi uditori ad andare a verificare, “sono ancora vivi!”.

 

5) Anche se Gesù è risorto non è il Signore?
Un’affermazione scioccante e molto importante è stata pronunciata da Dan Baker negli ultimi 15 minuti del dibattito: anche se Gesù è risorto dai morti e c’è un Dio, tuttavia non lo avrebbe accettato e riconosciuto come il Signore. E’ una onesta rivelazione di un pregiudizio ideologico che muove gli oppositori della storicità di Cristo: egli non DEVE essere quel che disse di essere. Perciò, prove ed argomenti di fatto poco importano a loro.

Questo è molto importante da capire per chi si interessa del Gesù storico: le prove storiche sono molto importanti ma non costituiscono il motivo per chi decide di credere o non credere in Lui. La fede nasce soltanto come dono in coloro che hanno fatto un misterioso incontro personale con Gesù, ed avevano il cuore e la libertà aperti per riconoscerLo. Non c’è altro modo di “originare” la fede se non facendone un’esperienza diretta. E’ la presenza viva di Gesù, qui e ora, che attrae e innamora, le “prove storiche” dei Vangeli possono solamente essere una conferma di quel che si crede. Non il motivo.

 

La redazione

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Negare l’esistenza dell’Islam moderato significa avvantaggiare l’Isis

musulmani messaNon esiste un Islam moderato. Questo è quello che si legge e si sente dire in queste ore che seguono il terribile attentato di Parigi da parte di fanatici terroristi di fede islamica.

Ognuno sta sfruttando i fatti per la propria ideologia religiosa-politica: la destra fomenta l’odio scrivendo “Bastardi islamici” in prima pagina, la sinistra persiste nella sua immaturità identitaria con i girotondi per la pace e gli slogan “Je suis Paris”, i tradizionalisti cattolici gioiscono per aver trovato un nuovo motivo per aggredire mediaticamente l’apostata Papa Francesco che “ci mette nelle mani dell’Islam”, mentre i cattolici progressisti si arrampicano sugli specchi per evitare di riconoscere che siamo in guerra e anche il Magistero cattolico contempla il concetto di legittima difesa.

Non entriamo nel merito, i toni sono troppo caldi e c’è poca lucidità negli antagonisti. Vogliamo però ricordare che non sarà certo la guerra -seppur appaia sempre più come atto inevitabile-, a risolvere qualcosa. Quello che potrà davvero servire è l’isolamento del fondamentalismo da parte del mondo islamico, per questo chi nega l’esistenza di un islam pacifico mette sotto accusa proprio le comunità islamiche moderate che invece possono (e devono) avere un ruolo fondamentale contro il terrorismo islamico. Il documento magisteriale della Nostra Aetate firmato da Paolo VI, afferma che la Chiesa cattolica «nulla rigetta di quanto è vero e santo» nelle religioni non cristiane. «Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini». In particolare per quanto riguarda l’Islam, la «Chiesa guarda con stima i musulmani che adorano l’unico Dio […]. Se, nel corso dei secoli, non pochi dissensi e inimicizie sono sorte tra cristiani e musulmani, il sacro Concilio esorta tutti a dimenticare il passato e a esercitare sinceramente la mutua comprensione, nonché a difendere e promuovere insieme per tutti gli uomini la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà».

E’ curioso che tra i tanti accusatori dell’Islam ci siano i tradizionalisti “difensori della Dottrina”, i quali però stanno rinnegando il Magistero della Chiesa cattolica della Nostra Aetate. Senza contare che l’esortazione del Concilio Vaticano II è stata ascoltata in tantissime occasioni: esistono tante comunità islamiche che vivono a stretto contatto con quelle cristiane, in armonia e pace, così come ci sono comunità musulmane che vengono massacrate dagli stessi terroristi islamici, all’interno della guerra tra sciiti e sunniti. Sarebbe anche interessante approfondire il pensiero di Farhad Khosrokhvar, sociologo iraniano, secondo cui la rottura con il mondo occidentale da parte dei giovani musulmani immigrati è dovuta al laicismo, al vuoto di regole morali che trovano.

Citiamo alcuni esempi che impediscono di parlare di “Islam intrinsecamente violento”: in Iraq, ovvero a “casa loro” potremmo dire, gruppi musulmani hanno manifestato in favore dei cristiani perseguitati con cartelli con scritto: «Anch’io sono un cristiano iracheno», ricevendo il ringraziamento di mons. Sako, Patriarca di Baghdad. A Mosul, monsignor Emil Shimoun Nona ha raccontato: «i vicini, appartenenti a famiglie musulmane, sono scesi in strada a difesa del luogo di culto cristiano. Alla fine sono riusciti a cacciare gli assalitori. In città tante persone rimaste, anche musulmani, stanno cercando di difendere per quanto possibile case e luoghi di culto cristiani». Ricordiamo la Dichiarazione di Beirut sulla libertà religiosa”, pubblicata dalla Makassed di Beirut, autorevole associazione sunnita, nella quale si legge: «Non si può costringere alla conversione né perseguire chi ha una fede diversa dalla propria. L’islam vieta di condurre una guerra contro chi è diverso, scacciarlo dalle proprie terre e limitarne la libertà in nome della religione. Beirut si fa portavoce dell’islam liberale che vuole la convivenza con i cristiani, di cui è ricca la tradizione del Libano».

Georges Isaac, politico cristiano in Egitto, ha ricordato: «La gente comune di fede musulmana, che nulla ha che vedere con il partito di Morsi, sta difendendo le chiese ancora di più degli stessi cristiani. Non si rischia uno scontro settario tra i cristiani e i musulmani, perché è un’ipotesi che non fa parte della mentalità della stragrande maggioranza degli egiziani». In Pakistan, una catena di “scudi umani” formata da circa 300 musulmani, membri dell’associazione “Pakistan For All”, ha protetto una chiesa cristiana in cui era in corso la Messa per evitare possibili attacchi terroristici. Il Mufti che ha organizzato l’evento ha letto alcuni brani del Corano sulla tolleranza e la pace, innalzando cartelli con scritto “One Nation, One Blood” (una sola nazione, un solo sangue). 

Qui in Italia, invece, pochi mesi fa Yahya Pallavicini, numero uno della comunità musulmana milanese e Abbas Damiano Di Palma, presidente dell’Associazione islamica “Imam Mahdi, hanno pubblicamente detto: «No alla rimozione del crocifisso dagli spazi pubblici», poiché per Pallavicini il crocifisso è un «irrinunciabile valore culturale», mentre secondo Di Palma si tratta di un «richiamo della sacralità di ogni essere umano». Il leader della comunità musulmana milanese ha poi aggiunto: «Quelli dell’Isis non sono veri musulmani. Quello che succede nei territori in cui sunniti e sciiti sono in conflitto non è una guerra di fede somiglia invece a quanto successe in Europa con la Guerra dei Trent’anni. Anche quella, secondo l’Imam, poteva apparire una guerra di religione interna alle confessioni cristiane, ma in realtà si trattava di un conflitto determinato da ragioni politiche e di puro potere. Oggi noi assistiamo alla strumentalizzazione della religione in politica: ma questo fenomeno va separato dalle nostre divisioni. Non dobbiamo dire che i sunniti sono buoni e gli sciiti cattivi, o viceversa. Questa semplificazione è un atto di fondamentalismo, al pari della volgarizzazione della religione per scopi terreni e di potere».

Allo stesso modo, in queste ore moltissime condanne stanno arrivando dal mondo islamico agli attentati di Parigi, come quella dell‘imam di Al Azhar, la più prestigiosa istituzione dell’Islam sunnita, quella del Centro Islamico Culturale italiano o quella del presidente dell’Unione delle comunità islamiche italiani (Ucoii), il quale ha sottolienato la condanna dell’omicidio all’interno del Corano.  Certamente hanno ragione coloro che invitano le comunità islamiche a isolare i violenti, a denunciarli, a collaborare con le autorità per rendere inoffensivi i fondamentalisti. Questo implica una collaborazione con queste realtà, riconoscendo anche le numerose occasioni in cui esse hanno preso le difese dei cristiani, disarmando i violenti.

Ci vuole un punto di vista complessivo, riconoscendo un grave problema di convivenza con la violenza nella religione islamica ma non riducendo l’Islam ad una religione di violenza. L’alleanza con gli islamici moderati contribuirà a riportare il sacro al centro delle nostre società fallimentarmente laiciste (così come si potranno condividere battaglie comuni, ad esempio in difesa della famiglia come avviene in Senegal) e allo stesso tempo servirà per contrastare efficacemente chi usa Dio per giustificare la violenza. Questa è la soluzione che noi proponiamo.

 

musulmani messa

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Attentato a Parigi, il dolore di Papa Francesco: «nessuna giustificazione religiosa»

Papa francesco attentatoIl giorno dopo il terribile attentato che ha colpito i nostri fratelli francesi sono arrivate le parole di Papa Francesco, da sempre in prima linea nel condannare il terrorismo religioso di matrice fondamentalista, come abbiamo documentato nel nostro apposito dossier.

Nell’intervista telefonica a TV2000 (qui sotto il video) colpisce la voce provata e addolorata, non avevamo mai sentito il Papa cosi moralmente sofferente: «Sono commosso e addolorato. Non capisco, sono cose difficili da capire…fatte da esseri umani. Per questo sono commosso e addolorato, e prego. Sono tanto vicino al popolo francese, ai familiari delle vittime e prego per ognuno di loro». Le parole sono scandite lentamente, con lunghe pause di commozione. La terza guerra mondiale combattuta a pezzi, «questo è uno dei pezzi. Non c’è nessuna giustificazione religiosa e umana per queste cose, questo non è umano».

Nessuna giustificazione religiosa e umana per quanto avvenuto. La religione non c’entra nulla con quanto avvenuto, si tratta di persone gravemente disturbate, è un abuso della religione, come lo stesso Francesco ha detto in un’altra occasione: «non si deve permettere che le credenze religiose vengano abusate per la causa della violenza». La storia e l’attualità ci insegnano che quella islamica è purtroppo la religione dove il radicalismo irrazionale è molto più radicato, fin nelle fondamenta. Tuttavia, come ha ricordato sempre Papa Francesco, «di fronte ad episodi di fondamentalismo violento che ci preoccupano, l’affetto verso gli autentici credenti dell’Islam deve portarci ad evitare odiose generalizzazioni, perché il vero Islam e un’adeguata interpretazione del Corano si oppongono ad ogni violenza».

Allo stesso tempo il Pontefice ha comunque invitato i leader islamici a condannare e apertamente prendere le distanze da questi abusi, così da isolare i terroristi: «credo che – almeno io credo, sinceramente – che non si possa dire che tutti gli islamici sono terroristi: non si può dire. Sarebbe bello che tutti i leader islamici – siano leader politici, leader religiosi o leader accademici – parlino chiaramente e condannino quegli atti, perché questo aiuterà la maggioranza del popolo islamico a dire “no”; ma davvero, dalla bocca dei suoi leader: il leader religioso, il leader accademico, tanti intellettuali, e i leader politici”. Questa è stata la mia risposta. Perché noi tutti abbiamo bisogno di una condanna mondiale, anche da parte degli islamici, che hanno quella identità e che dicano: “Noi non siamo quelli. Il Corano non è questo». Per fortuna è quello che sta accadendo in queste ore con la condanna assoluta da parte dei leader musulmani.

 

Qui sotto le parole del Papa di questa mattina in merito all’attentato in Francia

 
La redazione

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Desmond Tutu: «noi africani dobbiamo tutto ai missionari cristiani»

Desmond TutuCi siamo occupati di smontare i miti sul colonialismo nel nostro apposito dossier, torniamo a parlarne grazie all’estratto comparso recentemente dell’ultimo libro di Desmond Tutu, intitolato Il mio Dio sovversivo (EMI 2015).

L’arcivescovo anglicano Tutu è un grande attivista per i diritti umani, sopratutto contro la segregazione razziale, tanto da aver vinto il premio Nobel per la pace nel 1984. Amico personale di Nelson Mandela, è conosciuto come la “coscienza morale del Sud Africa”.

Nel suo libro parla dell’arrivo dei primi missionari bianchi in Africa, che -certamente- «qualche volta possono essere stati l’avanguardia che spianava la strada ai loro compatrioti colonizzatori, ma io voglio rendere omaggio alla maggioranza dei missionari occidentali. Quasi tutti noi che facciamo parte della comunità nera dobbiamo la nostra istruzione a quegli indomiti europei che costruirono eccellenti istituzioni educative come Lovedale, Healdtown e l’Università di Fort Hare nella provincia del Capo orientale, che serviva non solo il Sudafrica ma anche altri paesi del continente africano ed era uno dei pochi atenei che offrivano il livello più alto di istruzione anche ai neri. Nelson Mandela ha compiuto quasi tutto il suo corso di studi in questi istituti».

I missionari cristiani non “colonizzarono” ma “aiutarono” le popolazioni africane, esattamente come avvenne in Sud america. «Senza gli ambulatori e gli ospedali costruiti dai missionari», ha proseguito l’attivista africano, «molti di noi non sarebbero sopravvissuti alle malattie che affliggevano le famiglie povere e analfabete. Non si può calunniare degli esseri umani che sono stati tra i più generosi e altruisti che abbiano mai camminato sulla faccia della terra».

Oltretutto, aggiunge, l’introduzione del cristianesimo in Africa è stata fondamentale: «Davvero i missionari avrebbero ingannato i neri così creduloni? Io voglio affermare nella maniera più netta e inequivoca possibile che non è così. In realtà noi neri non abbiamo fatto un cattivo affare. I missionari hanno messo nelle mani dei neri una cosa che sovvertiva profondamente l’ingiustizia e l’oppressione. Se si vuole sottomettere e opprimere qualcuno, l’ultima cosa da mettergli in mano è la Bibbia. È più rivoluzionaria, più sovversiva di qualunque manifesto o ideologia politica. Perché? Perché la Bibbia afferma che ciascuno di noi, senza eccezioni, è creato a immagine di Dio. Che sia ricco o povero, bianco o nero, istruito o analfabeta, maschio o femmina, ciascuno di noi è creato a immagine di Dio e questo è meraviglioso, entusiasmante. Il nostro valore è intrinseco; lo troviamo, per così dire, già confezionato in noi stessi. La Bibbia dichiara esplicitamente e con forza che il fatto che ci riempie di valore, di un valore infinito, è uno solo: che siamo creati a immagine di Dio. Il nostro valore ci viene fornito con il nostro stesso essere. È intrinseco e universale. Appartiene a tutti gli esseri umani, indifferentemente».

E’ stato il Vangelo a distruggere i concetti teorici del razzismo, della superiorità di una razza sull’altra. «Ecco dunque ciò che i missionari ci hanno portato: un libro che è più radicale e più rivoluzionario di qualunque manifesto politico».

La redazione

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La femminista Michela Marzano conferma: la teoria del gender esiste!

mama,papa e generAbbiamo già spiegato i motivi per cui il movimento Lgbt ha dovuto improvvisamente negare l’esistenza di una teoria del gender, ovvero la dissociazione netta tra sesso biologico e genere, sostenendo che quest’ultimo sarebbe una costruzione sociale: ovvero, si può essere maschi e diventare uomini (o femmine-donne) in caso di coincidenza tra sesso biologico e genere, così come si potrebbe essere maschi-donne (o femmine-uomo) in caso di divergenza tra sesso biologico e genere. In ogni caso sarebbe un percorso decisionale o non decisionale, ma comunque normale e naturale.

Il problema è che negano l’esistenza di tale teoria ma al contempo ne sostengono i contenuti, l’esempio più palese che abbiamo trovato è quello della filosofa Chiara Lalli. Tuttavia basterebbe aprire qualunque enciclopedia, come la Treccani, per vedere citata, spiegata e criticata questa teoria.

Nella stessa contraddizione è caduta anche la filosofa femminista, Michela Marzano, nel suo ultimo libro “Papà, mamma e Gender” (Utet 2015). Scritto in fretta prima della discussione del ddl Cirinnà, con la volontà di smontare l’esistenza della teoria del gender: «dovevo decostruire questi argomenti utilizzati per creare confusione: la lotta per l’inclusione e l’uguaglianza non ha nulla a che fare con l’insegnare che si può cambiare sesso o scegliere di diventare omosessuali», ha affermato in un’intervista. La filosofa -che “si professa cattolica” direbbe Papa Francesco-, usa una strategia ben collaudata: mascherare il gender sotto la benemerita lotta per l’inclusione e l’uguaglianza, ottenendo anche che chi si oppone a questi progetti venga additato come nemico dell’uguaglianza. Secondo lei «non esiste nessuna ideologia gender, casomai una molteplicità di studi sul gender. Ma sono tutt’altro e di certo non sostengono che i bambini debbono cambiare sesso a piacimento».

Infatti chi critica la teoria di gender non sostiene che tale ideologia “insegni a cambiare sesso a piacimento”, ma che si colonizzi la mente dei bambini sostenendo una frattura tra sesso e genere, tale per cui sarebbe un decorso assolutamente normale quello di una persona nata biologicamente “femmina” e una sua successiva identificazione in un percepito genere di “uomo”. Lei stessa ha infatti sostenuto apertamente l’esistenza di un sesso e di una non necessariamente coincidente identificazione di genere: «bisogna combattere contro le discriminazioni che subisce chi, donna, omosessuale, trans, viene considerato inferiore solo in ragione del proprio sesso, del proprio orientamento sessuale o della propria identità di genere». E ancora: «Quando si parla di sesso ci si riferisce all’insieme delle caratteristiche fisiche, biologiche, cromosomiche e genetiche che distinguono i maschi dalle femmine. Quando si parla di “genere” invece si fa riferimento al processo di costruzione sociale e culturale sulla base di caratteristiche e di comportamenti, impliciti o espliciti, associati agli uomini e alle donne, che finiscono troppo spesso con il definire ciò che è appropriato o meno per un maschio o per una femmina». Il sesso (maschi e femmine) da una parte e l’identità di genere (essere uomini o donne) dall’altra: ecco dunque riaffermato il contestato contenuto della teoria gender.

La stessa ideologia compare nell’emendamento del Buono Scuola, si legga a pag. 18 l’obiettivo di inserire nelle scuole «un approccio di genere nella pratica educativa e didattica», così come «un approfondimento dei temi legati all’identità di genere». Questa fantomatica “identità di genere” è la percezione soggettiva di appartenere ad un dato genere, inteso come esito di una costruzione/costrizione culturale ed educativa, anche a prescindere dall’identità sessuale (altrimenti parlerebbero semplicemente di “identità” o “identità sessuale”). Ma è un’alienazione identificare l’identità personale come genere piuttosto che come essere sessuato -uomo o donna- a partire da una corporeità, poiché l’identificazione della propria identità presuppone necessariamente un richiamo coerente alla dimensione corporea definita. Questo è paradossalmente dimostrato dal transessuale che, per “percepirsi” davvero e completamente dell’altro sesso, ha bisogno di ricorrere all’intervento chirurgico, illudendosi così di adeguare il suo corpo alla sua “sensazione” (o disturbo d’identità). Sono ormai innumerevoli, inoltre, gli studi scientifici che evidenziano differenze innate e sostanziali tra maschile e femminile a livello psicologico e neurobiologico, che portano poi a precisi comportamenti sociali. Altro che “costruzione culturale”!

L’idea di una distinzione netta tra sesso di appartenenza e genere nasce dal pensiero della filosofa femminista Simone de Beauvoir, nota per la frase: “Donne non si nasce, si diventa”. Il problema è che la de Beauvoir fu una persona gravemente disturbata: filo-nazista (direttrice del suono per Radio Vichy, voce della propaganda nazista in Francia), teorizzatrice della pedofilia (firmataria nel 1977 di una petizione su Le Monde a sostegno della liberalizzazione dei rapporti con minori) a cui venne vietato l’insegnamento per «corruzione di minore», un suo alunno (e non fu certo l’unico minorenne), violentemente ossessionata contro la famiglia, il ruolo della madre e la maternità («Le donne saranno oppresse fino a quando la famiglia ed il mito della famiglia e della maternità e l’istinto materno non saranno distrutti», scrisse in “Sex, Society and the Female Dilemma”).

L’invenzione del genere venne ripresa da una grande fan di Simone de Beauvoir, la già citata Judith Butler. La quale ha sviluppato un’altra ossessione (oltre all’odio verso Israele): “la norma eterosessuale”, sostenendo che essa sarebbe un’imposizione culturale che condiziona il nostro comportamento. Essa tuttavia riconosce (a malincuore) l’esistenza di un sesso biologico maschile e femminile ma nega l’esistenza di una natura femminile e una natura maschile, teorizzando una molteplicità di generi: «Benché i sessi sembrino essere aproblematicamente binari nella loro morfologia e costituzione (il che è opinabile), non vi è motivo di credere che i generi debbano restare due», ha scritto in “Scambi di genere” (RSC 2004, p.10). Ed infatti Facebook propone ai suoi iscritti di scegliere tra 58 generi auto-percepiti (uomo, donna, androgino, bisgender, cisgender, genderqueer, intersessuale, transgender, agender, gender fluid ecc.). Questa è la “normalità” sociale che le associazioni Lgbt vorrebbero insegnare ai bambini entrando nelle scuole tramite progetti mascherati dalla lotta all’inclusione e al rispetto.

La Marzano, dunque, si inserisce in tutto questo filone femminista, come spiegato benissimo in una recensione al suo libro. Dunque confermando, ancora una volta, la teoria di gender e il suo nefasto contenuto proprio nel libro scritto con l’intento di negare la teoria di gender.

La redazione

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La conversione dell’attrice Beatrice Fazi: «grazie al dialogo con un sacerdote»

Beatrice Fazi“Un medico in famiglia” è una fiction famosa, in onda su Rai1 dal 1998. Gli spettatori affezionati (noi no, sinceramente), certamente sanno chi è Beatrice Fazi, presente nella fiction dal 2007 nel ruolo di Carmela ‘Melina’ Catapano.

Attrice, madre di quattro figli, è anche autrice di un bel libro da poco pubblicato, intitolato Un cuore nuovo (Piemme 2015), nel quale ha parlato di sé, comprendendo fatti molto intimi, come la sua conversione. Radio Vaticana ha descritto sinteticamente così la sua biografia: il trasferimento a Roma per inseguire il sogno di fare l’attrice, gli errori commessi in gioventù, alcune relazioni difficili, la continua “fame di senso”. Dopo un periodo difficile, quando ormai tutto sembra perduto, l’autrice ritrova se stessa nella preghiera. La riscoperta della fede avviene attraverso una serie d’incontri, apparentemente casuali, che segneranno il suo cammino verso la conquista di un “cuore nuovo”.

«Ho scritto questo libro in conseguenza di un percorso che ho compiuto in 15 anni», ha spiegato Beatrice. «Sono un’attrice e mi sono convertita in età adulta e questa cosa ha destato un po’ di scandalo, se non scandalo molta curiosità, soprattutto nelle persone che mi conoscevano nella mia vita “avanti Cristo” e vedono come io conduca la mia vita adesso, nell’epoca “dopo Cristo”. E dunque mi hanno chiesto, ascoltandomi e sentendomi raccontare questa storia bellissima che è diventata la mia vita, di mettere nero su bianco i dettagli di questo cambiamento e io, dopo un po’ di reticenza, l’ho fatto».

Nella vita della Fazi c’è anche un aborto volontario, procuratosi in giovane età, abbandonata dal proprio uomo. «Ciascuno di noi porta dentro di sé ferite e cose a cui non riesce a dare spiegazione: poterle illuminare, poterle tirare fuori, affinché assumano contorni definiti e non rimangano mostri nel buio della nostra coscienza, serve per poterle affrontare. Ecco questo forse è accaduto di bello: è venuto alla luce quel buio, quel torbido. Quelle ferite che avevo io ho potuto curarle».

La conversione comincia, come sempre, da un incontro personale, lo racconta così: «Ero incinta della mia prima figlia, mi sentivo inadeguata, avevo mille paure, mille dubbi, quando quasi per caso, io atea, sono finita a parlare con un sacerdote. A lui ho raccontato per la prima volta di quel figlio mai nato. Mi ha detto di non pensare al giudizio di Dio, ma alla sua misericordia, che ero già stata perdonata. Da lì è cominciato il mio cammino spirituale che mi ha portato oggi ad essere una catechista come mio marito che fa l’avvocato, perché oggi la nostra è una storia d’amore a tre: noi due e Dio. Un percorso spirituale che mi ha portato a capire come Dio fosse lontano dall’idea che ne avevo di un giudice impietoso che mi avrebbe chiesto il conto dei miei peccato».

Una bellissima testimonianza che apre aprire gli occhi a tanti di noi, troppo concentrati sull’individuare il peccato nostro e altrui e troppo frettolosi sulla misericordia, troppo attenti sul condannare lo sbaglio e poco inclini ad aiutare a recuperare dall’errore. Così il peccato diventa un macigno dentro la persona, che allontana sempre più dalla fede. Invece, come ha spiegato ancora Beatrice, «la parola “peccato” non è tanto un elenco di cose sbagliate che facciamo, ma è una condizione proprio dell’anima: il fatto di essere separati da Dio, di averlo estromesso dalla propria vita, di non considerarlo un Padre, ma di considerarlo un giudice pronto a chiederti il conto dei tuoi errori passati. E allora, quella separazione è proprio la fonte della disperazione dell’uomo, almeno per me è stato così. E rendendomi conto di questo ho finalmente anche potuto piangere, avere pietà di me e accogliere il perdono e la misericordia di questo Dio, che invece è un Padre che mi vuole bene e che mi ha promesso una felicità che mi sta dando giorno per giorno».

La redazione

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Papa Francesco a Firenze: i vaticanisti hanno (ancora) snaturato il suo discorso

Francesco a FirenzeNella sua visita pastorale a Firenze Papa Francesco ha tenuto un discorso molto importante per la Chiesa italiana, accompagnando la sua visita con gesti simbolici che arrivano al cuore di molti: ha mangiato con i poveri alla mensa della Caritas, si è mosso con un’auto utilitaria, ha incontrato persone ferite ed emarginate.

Non che i pontefici precedenti non avessero a cuore gli ultimi, anzi, ma Francesco crede molto nella testimonianza personale, nell’essere il primo a fare quel che dice, anche rischiando di ricevere banali critiche di pauperismo e di “far vedere quanto è buono”, secondo i soliti immaturi giudizi del tradizionalismo cattolico. Evitiamo di sintetizzare la riflessione del Santo Padre per non rischiare di banalizzarla, invitiamo a leggerla integralmente.

Purtroppo ancora una volta molti vaticanisti hanno snaturato il discorso di Francesco, omettendo alcune parti e trasformandolo in un attacco alla Chiesa italiana sotto la guida del card. Camillo Ruini. Perché il giornale per cui scrivono venga acquistato bisogna inventarsi costantemente scontri, divisioni e battaglie intestine. La guerra, oltre al sesso e ai soldi, è un argomento che tira molto. Ribadiamo il consiglio: chi vuole informarsi seriamente sul Papa e la Chiesa, eviti Repubblica, Libero, Il Messaggero, La Stampa, Il Fatto Quotidiano, ma vada direttamente alle fonti ufficiali: Avvenire e L’Osservatore Romano, oppure il discorso originale sul sito web del Vaticano.

 

Il vaticanista più scatenato è stato Paolo Rodari di Repubblica, da quando riceve lo stipendio dal laicista Ezio Mauro (prima lo prendeva dal conservatore Giuliano Ferrara) ha saputo mutare velocemente pelle “prendendo il posto” di anti-vaticanista militante del non più pervenuto Marco Politi. Francesco, secondo Rodari, si sarebbe addirittura opposto al pontificato di Benedetto XVI e Giovanni Paolo II: «senza alcun processo al passato chiude di fatto quella lunga stagione che ha visto come protagonista assoluto il cardinale Camillo Ruini, la stagione wojtylian-ratzingeriana». L’ossessione dei vaticanisti è sempre la bioetica e le nozze gay, si finisce sempre lì: la stagione di Wojtyla e Ratzinger, secondo Rodari, si costituì con un «protagonismo sulla scena pubblica con battaglie sui “valori non negoziabili” sfociate in lotte sulla bioetica e sulla famiglia, con una piazza che ebbe il suo apogeo nel Family Day del 2007 con tanto di movimenti ecclesiali schierati in prima fila».

La Chiesa di Francesco, invece, sarebbe silente su questi temi? Eppure il 20 giugno scorso un milione di persone ha aderito ad un Family Day spronato direttamente da Francesco sette giorni prima («si deve agire contro» le colonizzazioni ideologiche del gender), con la benedizione del Pontificio Consiglio della Famiglia, per non parlare delle durissime “ingerenze” di mons. Nunzio Galantino, segretario della CEI nominato direttamente da Papa Francesco, sulle decisioni della politica italiana in campo bioetico: contro trascrizione nozze gay, contro l’ideologia gender nelle scuole italiane, contro il ddl Cirinnà (“forzatura ideologica”), contro l’introduzione del divorzio breve ecc. Impossibile rendere silente un Papa che incoraggia la Marcia per la Vita, che inventa il termine “cultura dello scarto” per condannare eutanasia, sucidio assistito, affemando che i sostenitori sono mossi da “falsa compassione”, che definisce l’aborto un sacrificio umano legalizzato e identifica i medici obiettori di coscienza come modelli da imitare, che definisce la teoria del gender una “colonizzazione ideologica della mente dei bambini”, paragonandola al lavaggio mentale perpetrato dai nazisti. Un Papa che ricorda che l’unico matrimonio possibile per il bene della società è quello tra uomo e donna, così «come recepito anche nella Costituzione» italiana,  che beatifica Paolo VI e valorizza il coraggio che ebbe ad opporsi alla contraccezione con la sua “Humana Vitae”, «difendendo la disciplina morale della Chiesa». Per non parlare della cacciata del sindaco Lgbt Ignazio Marino. Davvero Rodari ha il coraggio di parlare di una Chiesa silente?

 

Stesso ritornello per Marco Ansaldo, non a caso suo collega a Repubblica (quando si dice i liberi pensatori!): «Francesco non cita mai il cardinale Camillo Ruini, l’ex presidente della Cei che ha impersonato un’era del cattolicesimo italiano, tra il collateralismo con la politica e le battaglie sui cosiddetti “valori non negoziabili” (bioetica, famiglia, ecc.), ma pungola i vescovi delle 226 diocesi italiane a voltare pagina». Parole identiche a quelle di Rodari, alle quali rivolgiamo la stessa risposta. Curiosa l’iniziativa di Ansaldo di scrivere: Francesco ha ascoltato « le parole emozionanti di una coppia di coniugi divorziati da matrimoni precedenti e poi felicemente risposati». “Felicemente” risposati, scrive il vaticanista con malizia. Peccato che abbia omesso di dire, il furbetto, che i due coniugi si sono visti annullare i precedenti matrimoni dalla Sacra Rota (dunque mai sposati, per la Chiesa).

 

Ai due di “Repubblica” si è immancabilmente accodato Gian Guido Vecchi del “Corriere”: «epigrafe della stagione del ruinismo». Il vaticanista Carlo Tecce de “Il Fatto Quotidiano” è in generale il meno attendibile, abbonato com’è a false notizie. E’ sua la bufala che ha messo in imbarazzo Papa Francesco, quando ha sostenuto che il Papa avrebbe esplicitato il suo fastidio per la presenza a Firenze del premier Matteo Renzi. Notizia smentita da padre Federico Lombardi e dall’Unità. In questa occasione Tecce non ha citato il card. Ruini ma ha usato Francesco contro mons. Bagnasco: «Ormai non è più un segreto la distanza fra la Cei guidata dal cardinale Angelo Bagnasco e il pontificato di papa Francesco». Eppure, basterebbe leggere il discorso del Papa a Firenze per trovare, oltre all’invito ad un rinnovamento sempre necessario, diversi elogi a come è stata guidata la Chiesa italiana: «la Chiesa madre ha in Italia riconosce tutti i suoi figli abbandonati, oppressi, affaticati. E questo da sempre è una delle vostre virtù […]. Siete una Chiesa adulta, antichissima nella fede, solida nelle radici e ampia nei frutti». Peccato che Tecce preferisca giocare alla guerra e non citare il reale pensiero del Papa.

 

Nel suo articolo su La Stampa Giacomo Galeazzi cita soltanto le correzioni del Papa al “conservatorismo” a tutti i costi, dimenticando, casualmente, anche la correzione dal “soggettivismo” della fede tipica della tentazione progressista. Il miglior vaticanista attualmente in Italia è Andrea Tornielli, il quale giustamente ha preso le distanze dai suoi colleghi: «Francesco non è venuto a dare ricette, né tantomeno a presentare un “progetto bergogliano” con il quale sostituire altri progetti o chiudere vecchie stagioni ecclesiali». Valido il pezzo comparso sull’Unità, ottima la riflessione di Enzo Bianchi e quella di Maurizio Crippa, stranamente equilibrato l’articolo di Franca Giansoldati.

 

Prima leggere la fonte originale, poi paragonarla a quanto riportano i vaticanisti, che spesso strumentalizzano Francesco per affermare le loro personali ideologie. Proprio il Papa aveva risposto in merito alle paure in molti fedeli sugli esiti del Sinodo: «Sempre ci sono timori, però perché non leggono le cose, o leggono una notizia in un giornale, un articolo, e non leggono quello che ha deciso il Sinodo, quello che si è pubblicato».

La redazione

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Il suicidio assistito diffonde la cultura del suicidio nella popolazione

SuicidioPer quanto controintuitivo possa sembrare, l’associazione svizzera EXIT sostiene che la legalizzazione del suicidio assistito è «una forma efficace di prevenzione del suicidio» poiché offre alle persone una sicurezza psicologica che le aiuterebbe ad affrontare il naturale declino della loro salute.

E’ una tesi abbastanza estrema, confutata da numerosi studi sociologici. Nel 2013 è stato rilevato che nell’Oregon, dove il suicidio assistito è legale dal 1998, il tasso di suicidi nella popolazione generale è del 49% più elevato rispetto alla media nazionale. Sempre nel 2013, sul “Canadian Medical Association Journal” è stato rilevato il fenomeno del “contagio da suicidio” (“suicide contagion” effect): più il tema del suicidio è presente nella società (addirittura legalizzandolo!), più si conoscono persone morte tramite suicidio, e più si riscontrano tentativi di suicidio, sopratutto tra i giovani (12-17 anni).

Proprio recentemente, nel numero di ottobre del Southern Medical Journal, è comparso uno studio sulla correlazione tra legalizzare il suicidio assistito e il tasso globale di suicidio. Lo studio aveva lo scopo di determinare proprio se la legalizzazione del suicidio assistito fornisce una efficace forma di prevenzione del suicidio nella popolazione.«Abbiamo scoperto», scrivono invece i ricercatori, «che la legalizzazione del suicidio assistito è associato ad un incremento del 6,3% dei suicidi totali». Per questo, nelle conclusioni, affermano: «L’introduzione del suicidio assistito induce più morti auto-inflitte di quante dovrebbe inibire».

L’aumento del tasso di suicidi, sopratutto nelle persone più fragili, a seguito della legalizzazione del suicidio assistito è una delle tante conseguenze nefaste che vanno a colpire la società: banalizzando la morte si genera e si diffonde una cultura della morte e dello scarto..

 

Ne approfittiamo per segnalare, infine, un’ottima analisi del prof. Ryan T. Anderson della Heritage Foundation, il quale ha dimostrato -tramite riflessioni e studi scientifici- che permettere il suicidio assistito sarebbe un grave errore per almeno quattro motivi.
1) Compromette gli obblighi familiari e intergenerazionali inducendo i familiari di persone anziane e disabili a guardare ad essi come un peso facilmente eliminabile e, al contempo, induce pressioni e convinzioni su anziani e disabili a sentirsi un peso per la società, creando sensi di colpa qualora essi persistano a non accedere al suicidio assistito.
2) Corrompe la professione medica e perverte il ruolo del medico di fronte al paziente, trasformando il guaritore in un distributore tecnico di morte. Questo è uno dei motivi principali per cui le associazioni mediche internazionali respingono l’eutanasia e il suicidio assistito.
3) Mette in pericolo anziani, poveri e deboli perché induce lo Stato ad abdicare al suo dovere di assistenza, crea una soluzione a basso costo per i poveri che non hanno possibilità di usufruire di una buona assistenza medica e crea un inevitabile piano inclinato per cui dal malato terminale si passa velocemente a offrire il suicidio a depressi e affetti da malattia mentale.
4) Inficia la dignità della vita negando un suo valore intrinseco, indipendente da valutazioni soggettive o capacità di “contribuire” alla società. Inoltre nega l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge dato che individua e classifica un sottogruppo di persone giuridicamente idoneo a essere ucciso, escludendo gli altri.

La redazione

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Nuzzi e Fittipaldi? Solo i dilettanti pubblicano notizie vecchie senza verificarle

Nuzzi e FittipaldiMolti si domandano perché diversi esponenti cattolici si stiano concentrando più sulla pubblicazione dei due recenti libri sulle finanze del Vaticano, “Via Crucis” e “Avarizia” di Gianluigi Nuzzi e Emiliano Fittipaldi, piuttosto che occuparsi dei contenuti dei libri e dei documenti da loro pubblicati.

E’ molto semplice: le informazioni che riportano i due giornalisti non sono affatto “segrete” ma sono dati che furono raccolti parecchio tempo fa dalla Commissione referente Cosea, istituita da Papa Francesco nel 2013 per avviare una riforma della Curia romana, commissione che oggi non esiste più. Sono documenti vecchi che la Cosea ha preparato ed esposto al Papa e verso i quali sono stati presi già parecchi provvedimenti: «un’indagine che non era stata fatta per essere pubblica, ma per permettere al Papa e ai suoi collaboratori di agire con cognizione di causa. I documenti pubblicati rappresentano la situazione all’inizio del pontificato di Francesco», ha spiegato il vaticanista Andrea Tornielli. Inoltre, diverse accuse di Nuzzi e Fittipaldi sono già note da tempo e oggetto di inchieste del passato da parte di altri giornalisti (come Claudio Rendina), altre sono vere e proprie bufale. Non c’è alcuno scoop, i due giornalisti sono stati usati come burattini dai “corvi” che hanno loro passato documenti datati e notizie vecchie e/o false per chissà quale losco loro progetto. I due hanno preso e pubblicato: lo avrebbe saputo fare chiunque. “Diritto di informare”, si difendono i due giornalisti, ma che informazione è omettere che si tratta di informazioni parziali (usate invece come fossero il “tutto”), presentate come attuali mentre sono datate e, in parte, già note, e verso le quali c’è stata un’azione di correzione da parte dei collaboratori del Papa?

A dirlo è stato proprio Papa Francesco, che ha prontamente reagito e smontato lo scoop di Nuzzi-Fittipaldi: «so che molti di voi sono stati turbati dalle notizie circolate nei giorni scorsi a proposito di documenti riservati della Santa Sede che sono stati sottratti e pubblicati», ha detto all’Angelus di domenica scorsa. «Per questo vorrei dirvi anzitutto che rubare quei documenti è un reato. E’ un atto deplorevole che non aiuta. Io stesso avevo chiesto di fare quello studio, e quei documenti io e i miei collaboratori già li conoscevamo bene, e sono state prese delle misure che hanno incominciato a dare dei frutti, anche alcuni visibili. Perciò voglio assicurarvi che questo triste fatto non mi distoglie certamente dal lavoro di riforma che stiamo portando avanti con i miei collaboratori e con il sostegno di tutti voi. Quindi vi ringrazio e vi chiedo di continuare a pregare per il Papa e per la Chiesa, senza lasciarvi turbare ma andando avanti con fiducia e speranza». Sintetizzando: 1) rubare documenti è un reato e dunque pubblicarli è complicità di un reato (ricettazione, per la precisione); 2) Sono stati proprio Francesco e i suoi collaboratori a far emergere quei documenti tempo fa, ai quali è stato risposto con misure adeguate; 3) I “corvi” hanno fallito se pensavano di ostacolare il Papa o creare divisioni interne.

Anche padre Federico Lombardi, portavoce della Santa Sede, è intervenuto, entrando molto nel dettaglio: «Il Papa sa benissimo cosa fare. Sa quale è la sua missione, ed è surreale che si affermi di volerlo aiutare in questo modo», come invece hanno detto Nuzzi e Fittipaldi, i quali hanno pubblicato «informazioni raccolte alla rinfusa», in parte «già note» e anche vecchie, senza «la necessaria possibilità di approfondimento e di valutazione obiettiva, tanto che spesso sono possibili letture diverse a partire dagli stessi dati». Inoltre, le «informazioni pubblicate nei libri sono legate a una fase di lavoro ormai superata, le quali non sono state ottenute in origine contro la volontà del Papa o dei responsabili delle diverse istituzioni ma con la collaborazione» di chi ricopre incarichi di vertice per «concorrere allo scopo positivo» di conoscere e poi decidere. E proprio grazie alle raccomandazioni di Cosea sono state assunte «decisioni e iniziative che sono tuttora in corso di attuazione. Ne sono la dimostrazione la riorganizzazione dei dicasteri economici, la nomina del revisore generale, il funzionamento regolare delle istituzioni competenti per il controllo delle attività economiche e finanziarie» che, sottolinea il portavoce vaticano, sono «una realtà incontrovertibile».

In particolare, ha spiegato, i beni immobili del Vaticano, «presi nel loro complesso si presentano come ingenti, ma sono in realtà finalizzati a sostenere nel tempo attività di servizio vastissime gestite dalla Santa Sede o istituzioni connesse, sia a Roma, sia nelle diverse parti del mondo», spiega padre Lombardi. «Le origini delle proprietà di questi beni sono varie e vi sono a disposizione da tempo anche strumenti adatti per conoscerne la storia e gli sviluppi». Ad esempio, è bene informarsi sugli accordi economici fra Italia e Santa Sede nel contesto dei Patti Lateranensi. Altra questione travisata nei libri riguarda l’Obolo di San Pietro, ossia i fondi raccolti nel mondo per la carità del Papa. «È necessario osservare che i suoi impieghi sono vari, anche a seconda delle situazioni, a giudizio del Santo Padre a cui l’Obolo viene dato con fiducia dai fedeli. Le opere di carità del Papa per i poveri sono certamente una delle finalità essenziali, ma non è intenzione dei fedeli escludere che il Papa possa valutare le urgenze e il modo di rispondervi alla luce del suo servizio per il bene della Chiesa universale. Il servizio del Papa comprende anche la Curia Romana – in quanto strumento di servizio–, le sue iniziative fuori della diocesi di Roma, la comunicazione del suo magistero per i fedeli nelle diverse parti del mondo anche povere e lontane, l’appoggio alle 180 rappresentanze diplomatiche pontificie sparse nel mondo che servono le Chiese locali e intervengono come gli agenti principali per distribuire la carità del Papa nei diversi Paesi, oltre che come rappresentanti del Papa presso i governi locali». Un ulteriore esempio di errata interpretazione dei documenti è quello sul Fondo pensioni vaticano. Nel tempo, ricorda il portavoce della Santa Sede, sono state espresse «valutazioni molto diverse, da quelle che parlano con preoccupazione di un grande “buco” a quelle che forniscono una lettura rassicurante, come risultava nei comunicati ufficiali» della Sala Stampa vaticana. Certo non è tutto diventato perfetto, tuttavia occorre distinguere «dove si trovino inconvenienti da correggere o vere scorrettezze da eliminare». Sicuramente le campagne di stampa orchestrate in questi giorni non rendono «ragione del coraggio e dell’impegno con cui il Papa e i suoi collaboratori hanno affrontato e continuano ad affrontare la sfida di un miglioramento dell’uso dei beni temporali a servizio di quelli spirituali».

Tante le notizie false riportate da Nuzzi e Fittipladi, già smentite dai diretti interessati, come le le accuse a mons. Sciacca e le accuse a mons. Camaldi. Rispetto all’appartamento del card. Bertone, notizia vecchia di anni, lui ha spiegato -e nessuno lo vuole tenerne in considerazione- che gli è stato «assegnato d’accordo con Papa Francesco e per la ristrutturazione ho sostenuto io le spese: 300 mila euro per un appartamento che non è di mia proprietà e resterà al Governatorato». Rispetto ai soldi che avrebbe versato anche la Fondazione Bambin Gesù sostiene di non sapere nulla e «ho dato istruzioni al mio avvocato, Michele Gentiloni Silveri, di svolgere indagini per verificare cosa sia realmente accaduto». L’ex presidente della Fondazione Bambin Gesù, Giuseppe Profiti, ha chiarito: «Io non ho ricevuto nessun ordine dal cardinal Bertone, l’investimento era proprio una delle azioni del piano di marketing che vedeva come obiettivo questo investimento finalizzato alla raccolta fondi delle grandi aziende nazionali e delle grandi multinazionali estere. Soggetti nei confronti dei quali il brand Vaticano, la location vaticana, la possibilità di essere ospitati in eventi che descrivono l’attività dell’ospedale presso il Vaticano esercita un fascino straordinario e una sensibilità straordinaria, come dimostrano i dati nel donare all’ospedale. Certo che lo rifarei, solo per dare un’indicazione: nel 2013 gli eventi per la Fondazione che hanno visto la partecipazione del Segretario di Stato hanno determinato, nell’anno successivo, un incremento della raccolta fondi di oltre il 70%. Siamo passati da poco più di 3 milioni a oltre 5 milioni all’anno. Certo che lo rifarei, con questi risultati». E ha precisato: «Neanche un euro dei fondi raccolti per i bambini è stato impiegato in questa operazione, che è un investimento». Per quanto riguarda i 300 metri quadri della sua casa, il card. Bertone ha spiegato: «Abito con una comunità di tre suore che mi aiutano, c’è anche una segretaria che il Santo Padre mi ha concesso per scrivere la memoria di tre Papi, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco. C’è la biblioteca, l’archivio, le camere per tutti». Mentre per il terrazzo con vista su San Pietro afferma: «Non esiste nessun attico. Io abito al terzo piano e il terrazzo non è mio, è stato risanato durante i lavori ma è quello condominiale, in cima al palazzo. E’ di tutti gli inquilini, cardinali e arcivescovi, che ci vivono».

Anche il card. George Pell, citato in alcuni passaggi dei libri di Nuzzi e Fittipaldi per presunte “spese pazze”, ha definito «false e fuorvianti» le affermazioni che in quei volumi lo riguardano. Tanto che la Segreteria per l’Economia, di cui è presidente, ha completato l’anno ben al di sotto del suo bilancio 2014 ed è stato uno dei pochi enti a proporre una riduzione della spesa complessiva nella sua richiesta di budget 2015. Così come ha giustificato nel dettaglio le spese che ha dovuto sostenere nel 2014. Reale invece la questione della Congregazione di Propaganda Fide (Apsa), dove effettivamente permane una insopportabile gestione di favoritismi a politici, imprenditori e vip, vicenda tuttavia già nota da anni e non certo scoperta dai corvi e dai loro giornalisti di fiducia. Anche per questa situazione sta prendendo provvedimenti la riforma della Curia intrapresa da Papa Francesco e collaboratori.

Nessuno obbliga a ritenere questi chiarimenti e smentite una verità assoluta, ma un giornalista serio le avrebbe almeno dovute tenere in considerazione. Bastava informarsi dai diretti interessati. La malafede di Gianluigi Nuzzi, invece, l’ha rivelata lui stesso quando ha raccontato di essere stato contattato da funzionari dello IOR prima della pubblicazione del suo libro, i quali si offrirono per dare dei chiarimenti in merito. Eppure il giornalista ha detto: «Mi ha sorpreso il fatto che lo sapessero ma, naturalmente, ho declinato il loro cortese invito». Naturalmente, dunque, ha rifiutato i chiarimenti che avrebbero rischiato di rovinare la sua operazione di marketing anticlericale (poco importa che affermi di mandare i figli in una scuola cattolica). Il tutto confermato dal fatto per “pulire” la sua azione ha cercato di avere al suo fianco don Maurizio Patriciello -un sacerdote giustamente ben voluto dai media per il suo impegno contro la camorra- durante la presentazione della sua “inchiesta” alla stampa internazionale, senza però voler far leggere al “testimonial” il libro, offrendosi di raccontarglielo a voce: «Gianluigi, ma che dici? Tu che sei uno scrittore non sai che un libro si legge e non si spiega?», gli ha risposto il sacerdote. Nuzzi è così sparito e don Patriciello, annusata la polpetta avvelenata, ha denunciato il fatto su “Avvenire”: «Sono rimasto con la sensazione che volesse tirarmi un tiro mancino. Da questi strani modi di fare, naturalmente, sono distante mille miglia. Forse Nuzzi non poteva immaginarlo».

Il vero problema di questa vicenda non sono i due giornalisti e i contenuti dei loro libri, ma il fatto che qualcuno in Vaticano abbia rubato queste informazioni e le usi pensando di intralciare il Pontefice. Come ha scritto Alberto Melloni: «Se c’era un disegno di organizzata ostilità contro papa Francesco, questa non si è manifestata nei miserabili reati commessi da ladri travestiti da moralizzatori in concorso con millantatori e tipografi compiacenti. Ma nel tentativo di usare questi ed altri episodi per dipingere» un Papa isolato e impotente. Inoltre, tutto questo non significa affatto chiudere gli occhi sulla mala gestione, a volte illecita, delle finanze che alcuni ambienti della Curia romana hanno praticato per anni. Si spera che non accada più, come promesso da Papa Francesco (anche se la corruzione umana è inestinguibile e la Chiesa è fatta da uomini) e che il Vaticano, lo Stato che ospita la Santa Sede, possa finalmente diventare un punto di riferimento per l’onestà e la trasparenza. Tuttavia, non sono queste le inchieste giornalistiche che servono, Nuzzi e Fittipaldi sembrano più due giornalisti dilettanti che ricevono documenti rubati e vecchie notizie e le pubblicano senza una minima verifica, senza informarsi del fatto che il Papa già conosceva tutto e aveva già preso provvedimenti. Non sembra proprio amore al giornalismo, come affermato Nuzzi, ma semmai si spacciano come moralizzatori della Chiesa nel puro nome dell’avarizia (preparando per un anno un’operazione di marketing internazionale), respingendo i chiarimenti di coloro che accusano e tentando di tirare dalla loro parte persone ben viste mediaticamente per “pulire” la loro operazione. E’ il modus operandi della propaganda anticlericale, altro che “vogliamo aiutare il Papa!”. «E’ un atto deplorevole che non aiuta», ha risposto Papa Francesco.

 

Qui sotto le parole di Papa Francesco

 

La redazione

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Michele Serra dimentica i milioni di morti in nome del “nessun Dio”

ComunismoRitorna il leitmovie su Repubblica: troppe guerre in nome di Dio, le religioni (anzi, i monoteismi!) fonte di male, di odio, di divisioni. Parola, questa volta, del giornalista Michele Serra.

Sembra che Ezio Mauro abbia voluto circondarsi delle persone più impreparate sul territorio italiano, nonché più accondiscendenti verso i «pregiudizi», come ammette lo stesso Serra parlando di se stesso, e restie ad andare oltre ai luoghi comuni.

Quella delle guerre religiose è un capitolo già chiuso da anni, in particolare –ne abbiamo già parlato– con la pubblicazione dell’Encyclopedia of Wars, i cui autori -Charles Phillips e Alan Axelrod- hanno documentato che meno del 7% di tutte le guerre nella storia hanno avuto una causa religiosa, le quali hanno causato meno del 2% di morti. Se nel mondo antico le guerre «erano raramente, anzi mai, basate sulla religione», hanno spiegato «ma di conquista territoriale, di controllo delle frontiere, per rendere sicure le rotte commerciali o rispondere a all’autorità politica», tanto più possiamo tranquillamente escludere che «la maggior parte delle moderne guerre, compresa la campagna napoleonica, la Rivoluzione Americana, la Rivoluzione francese, la Guerra Civile Americana, Guerra Mondiale, la Rivoluzione Russa, la Seconda Guerra Mondiale, e i conflitti in Corea e in Vietnam, non erano di natura religiosa».

Incredibilmente -l’eccezione che conferma la regola-, anche un intellettuale di Repubblica, il filosofo Roberto Esposito, lo ha riconosciuto: «il numero di morti ascrivibile a conflitti di tipo laico, come le due guerre mondiali, resta di gran lunga superiore». Per quanto riguarda l’accusa verso i monoteismi abbiamo già mostrato come essi siano e siano stati enormemente meno inclini a germinare violenza rispetto ai politeismi.

Per fare qualche esempio, citato anche da Serra: non c’è stata nessuna atroce guerra tra cattolici e protestanti ma lotta politica per l’egemonia tra la Francia e gli Asburgo: «la guerra dei trent’anni era certamente esacerbata dai litigi settarie di protestanti e cattolici, ma la loro violenza rifletteva le doglie del moderno stato-nazione», ha spiegato la saggista britannica Karen Armstrong. «Se le guerre di religione furono motivate dal fanatismo settario, come mai protestanti e cattolici hanno spesso combattuto dalla stessa parte? Così la Francia cattolica ha ripetutamente combattuto i cattolici di Asburgo, regolarmente sostenuti da diversi principi protestanti».

Oltretutto, chi brandisce l’argomento delle “guerre religiose” per mostrare la superiorità razziale del bianco laico sul nero credente, puntualmente dimentica o trascura un’altra grande verità: il Novecento è stato considerato “il secolo ateo”, dove le dittature, ufficialmente atee, (Albania, Unione Sovietica, Cina, Corea del Nord, Cambogia, Romania ecc.) hanno provocato i più grandi crimini della storia dell’umanità. La religione è stata vietata e i credenti, che non si piegavano al regime, massacrati: pochi giorni fa si è celebrato il 25° anniversario della prima messa pubblica dopo il regime ateo-comunista in Albania e decenni di persecuzioni ai credenti. Se Gilberto Corbellini ha giustamente definito l’etica nazista un «fondamentalismo secolare», in Russia 28 vescovi e 1200 sacerdoti sono stati assassinati soltanto da Leon Trotsky. Dopo Lenin e Stalin oltre 50.000 sacerdoti sono stati uccisi, molti sono stati torturati, crocifissi e mandati nei lager. «La Russia diventò rossa con il sangue dei martiri», ha detto padre Gleb Yakunin, militante dei diritti umani della Chiesa ortodossia.

Gli ultimi due regimi ufficialmente atei sono la Cina e la Corea del Nord, dove ancora oggi i cristiani vengono discriminati in quanto cristiani. La Corea del Nord è considerato lo Stato più persguitatore dei cristiani nel 2013 dall’agenzia americana Open DoorsMai una volta Michele Serra ha sentito il bisogno di parlarne, di denunciare questa violenza, questa discriminazione in nome del “nessun Dio”, preferendo coccolarsi con l’usato sicuro dei luoghi comuni. Avrebbe altrimenti dovuto condannare anche il comunismo, proprio lui che ha aderito al Partito Comunista Italiano e con il quale si è candidato nel 1989. Troppo per un libero pensatore.

Ovviamente tanti cristiani e tanti uomini di Chiesa hanno commesso -e purtroppo commetteranno- abomini e violenze, spesso convinti che fosse la volontà di Dio. Ma sempre lo hanno fatto tradendo il Vangelo e gli stessi principi che avrebbero dovuto difendere e proclamare. Come ha scritto Papa Francesco, «se una cattiva comprensione dei nostri principi ci ha portato a volte a giustificare l’abuso della natura o il dominio dispotico dell’essere umano sul creato, o le guerre, l’ingiustizia e la violenza, come credenti possiamo riconoscere che in tal modo siamo stati infedeli al tesoro di sapienza che avremmo dovuto custodire. Molte volte i limiti culturali di diverse epoche hanno condizionato tale consapevolezza del proprio patrimonio etico e spirituale, ma è precisamente il ritorno alle loro rispettive fonti che permette alle religioni di rispondere meglio alle necessità attuali». Tuttavia questo non legittima alcuna equazione tra religione e violenza, un enorme falso storico. Anche perché, è proprio vero l’opposto.

La redazione

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