La Chiesa e la sua opera di soccorso e mediazione durante la Resistenza

resistenzaTra l’8 settembre 1943 e il 25 aprile 1945 ha avuto luogo in Italia il fenomeno della lotta di liberazione contro il nazifascismo denominato “Resistenza”. Furono circa 245.000 le persone coinvolte nel movimento armato antifascista al termine del secondo conflitto mondiale (a cui bisogna aggiungere anche tutti quelli che la supportarono senza prendere le armi) che contarono la perdita di 35.000 combattenti oltre alle decine di migliaia che rimasero gravemente feriti.

Questo movimento fu il frutto della collaborazione di diverse forze politiche (comunisti, azionisti, cattolici, liberali, monarchici…) e se, dal punto di vista strettamente militare, ebbe scarsa rilevanza si deve tuttavia riconoscere il merito di aver reso meno difficoltosa l’avanza degli Alleati. La Resistenza lasciò dietro di sé un’eredità positiva, sebbene non mancassero episodi deprecabili commessi da partigiani (basta pensare all’eccidio di Porzûs o al “Triangolo della Morte”).

Quale fu l’atteggiamento della Chiesa in quel periodo? Il comportamento del clero variò a seconda dei casi e delle zone, spaziando su posizioni che andavano dall’aperto collaborazionismo col fascismo alla militanza attiva nelle formazioni partigiane. Tuttavia si può però affermare che il Vaticano tenne un chiaro distacco di fronte alla Repubblica di Salò, come è dimostrato dal rifiuto della Santa Sede di riconoscere il nuovo stato di Mussolini (scegliendo invece di riconoscere il governo Badoglio) e disapprovazione dell’opera del ras di Cremona, Roberto Farinacci, che sostenne negli ultimi due anni di vita del regime fascista un tentativo scismatico, ispirando il movimento di “Crociata Italica” di don Tullio Calcagno (sacerdote sospeso a divinis e successivamente scomunicato) che propose di costituire addirittura una chiesa nazionale con a capo un primate italiano distinto dal papa.

Diversi furono i fattori che spinsero gran parte della gerarchia ecclesiale italiana a guardare con insofferenza, se non avversione alla RSI: l’ostilità verso il nazismo, l’intuizione di una probabile vittoria alleata e il sentimento di stanchezza che accomunava il popolo italiano logorato dalla guerra voluta dal fascismo (sull’atteggiamento della Chiesa nella Repubblica di Mussolini e sulla vicenda di don Tullio Calcagno cfr. Silvio Bertoldi, Salò, Milano 1978 p. 344-362).

Il comportamento degli uomini di Chiesa contribuì nell’insieme a delegittimare il regime fascista e ad alimentare indirettamente il senso di continuità dello stato legale monarchico con le sue attestazioni di neutralità (viste con preoccupazione e rammarico da parte delle autorità repubblichine). La Chiesa svolse il ruolo di supplenza istituzionale che né la Repubblica Sociale Italiana (RSI), né il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) riuscirono interamente a ricoprire, proponendosi come ruolo di mediazione triangolare tra le autorità fasciste, le formazioni partigiane e la popolazione civile. L’attività più importante compiuta dalla Chiesa fu comunque quella che svolse a livello assistenziale che si manifestò attraverso l’aiuto agli sbandati e ai prigionieri di guerra alleati, all’organizzazione del soccorso e rifugio nei conventi degli antifascisti ricercati, e alle proteste contro le violenze e i procedimenti di rappresaglia effettuati dai fascisti e dai tedeschi. Un’opera che si sviluppò sia a livello del basso clero, sia al livello delle alte gerarchie, e che lasciò dietro di sé un’eredità positiva come è confermato dal consenso sociale conquistato nel dopoguerra dalla classe dirigente cattolica (cfr. G. Oliva, La Resistenza, Firenze 2003 pp. 83-85).

Una conferma che viene anche dagli attestati di riconoscenza che molti membri della Resistenza faranno pervenire al pontefice al termine del conflitto. Degno di nota, ad esempio, è il fatto che l’antifascista e futuro presidente della Repubblica Giuseppe Saragat (che durante la guerra trovò rifugio all’interno delle mura vaticane), si fece promotore nel 1964 di una posizione ufficiale del governo di condanna verso l’opera di Rolf Hocchut, “Il Vicario”. In un comunicato affermò: «La campagna di calunnie contro il Sommo Pontefice Pio XII viene vivamente deplorata dal governo italiano, di cui ne fanno parte uomini che sono vivente testimonianza della paterna sollecitudine del compianto pontefice per la difesa dei supremi valori dell’umanità e della civiltà» (cit. in A. Spinosa, Pio XII, Milano 2004 p. 378).

Mattia Ferrari

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Nuovo studio: l’educazione religiosa è un antidoto contro le dipendenze

Di questi tempi educare i figli non è facile, si sa. Lo è ancor di più se l’ambito da educare è quello religioso. Molti, per questa difficoltà, non lo fanno. Anzi, per una sorta di velo di laicità e vago rispetto della libertà del figlio – dicono – delegano allo stesso la scelta di orientarsi, se orientarsi, lasciando così una sorta di “vuoto” educativo che un giorno riempirà da sé, se lo vorrà.

Senza entrare nel merito della questione, in questo senso, ci limitiamo a domandarci: se un genitore educa i propri figli insegnando loro il meglio di ciò che è e sa – segnandolo inevitabilmente nel processo decisionale dello sviluppo, cosa che non appare un problema in tutti gli ambiti, a quanto pare! – perché non lo dovrebbe fare anche nell’ambito religioso?

Provocazioni a parte, nel seguente articolo cercheremo di mettere in luce un motivo in più per educare il proprio figlio alla dimensione religiosa. Una ricerca firmata da Michelle V. Porche e altri collaboratori di università statunitensi, pubblicata il 2 aprile 2015 in un convegno sul superamento dipendenze alla Chester University in Inghilterra, ha infatti messo in luce come l’educazione religiosa influisca positivamente nella libertà da dipendenze, da alcol e non solo, nei ragazzi che si affacciano nell’età adulta.

Questo studio è stato condotto con il patrocino del National Institute of Mental Health su un campione di persone tra i 18 e 29 anni, abitanti negli U.S.A. ma di provenienze diverse, equamente distribuite tra maschi e femmine, di appartenenza mista a maggioranza Cristiana [Cattolica (29%), Protestante (19%), Battista (17%), Luterana (6%), Metodista (6%), Presbiteriana (3%), Pentecostale (2%) e altre religioni (9%)]. Si indica chiaramente che che nella misura in cui il soggetto viene educato e partecipa attivamente ad una vita religiosa avrà molte più probabilità di condurre una crescita estranea a dipendenze.

Quali le cause? Lo studio individua come la partecipazione attiva dell’esperienza religiosa – intesa non solo alle funzioni religiose ma anche nell’impegno in attività religiose o spirituali –influisca positivamente nel processo decisionale della vita dei soggetti, andando così a formare persone che rispettano il creato innanzitutto a partire da se stessi.

Questa tesi conferma precedenti ricerche datate 2001 (Hodge, Cardenas e Montoya) e 1999 (M- John Wallace) le quali hanno a loro volta rilevato che gli adolescenti che fanno la scelta personale di impegnarsi in attività religiose o spirituali, sono più propensi a interiorizzare comportamenti di in-dipendenza da alcol e da sostanze stupefacenti nella loro vita adulta.

Un’educazione religiosa, nel nostro caso cristiana, dunque non soltanto educa alla fede, apre alla salvezza dell’annuncio evangelico e rende testimoni del Risorto, ma garantisce anche una crescita equilibrata, nonché numerosi altri benefici indicati dalla letteratura scientifica, raccolti nel nostro apposito dossier.

Fabio Casotto

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Dacia Maraini: «l’aborto è violenza al nascituro e alla donna, ma sono favorevole»

Dacia Maraini«L’aborto è una violenza verso il nascituro e verso il corpo della donna […]. Sono favorevole alla legalizzazione per togliere la pratica dalla clandestinità, ma contraria a farne una bandiera». Parola recente di Dacia Maraini, storica femminista italiana, scrittrice di successo e firma del Corriere della Sera.

Un’ammissione importante anche se inconcepibile: si legalizza la violenza sul nascituro e sul corpo della donna per togliere tale pratica dalla clandestinità? Ha senso questa affermazione? Ha senso legalizzare le rapine per togliere tale crimine dalla clandestinità, evitando così magari sparatorie e uccisioni dei commessi di banca o degli stessi malviventi? No. Non a caso Papa Francesco ha ricordato: «Voi pensate che oggi non si facciano i sacrifici umani? Se ne fanno tanti, e ci sono delle leggi che li proteggono».

Ritorna così la contraddizione, spesso da noi denunciata, di coloro che si dichiarano contrari all’aborto -riconoscendo onestamente che si tratta di una violenza contro la donna e dell’omicidio del bambino non ancora nato-, ma che non riescono ad opporsi alla sua legalizzazione, temendo di sfidare i dogmi della società moderna. La Maraini, si sa, non ha questo coraggio: non a caso ha scritto queste parole in un articolo con il quale si è scusata per aver firmato il recente appello contro all’utero in affitto promosso dalle femministe di “Se non ora quando – Libere”. Una presa di posizione che ha spaccato sia il mondo femminista che quello omosessuale militante, la Maraini si è trovata al centro del ciclone e ha comodamente fatto marcia indietro. I liberi pensatori sono merce rara.

Se nel 1975 Pier Paolo Pasolini scriveva: «Sono traumatizzato dalla legalizzazione dell’aborto, perché la considero, come molti, una legalizzazione dell’omicidio», oggi pochi hanno la forza di arrivare fino in fondo alla realtà dei fatti. Si parla di “dramma” dell’aborto o di “scelta sofferente” delle donne: ma perché l’aborto dovrebbe essere un dramma se lo zigote è un grumo di cellule? Un dramma non è quando muore qualcosa ma qualcuno, e quando qualcuno viene ucciso si chiama omicidio. L’unica che ha cercato di evitare questa contraddizione è stata la furbissima filosofa Chiara Lalli, sostenendo che invece “abortire è bello”, non è un trauma e non esiste alcun problema etico. E’ l’unico modo effettivamente di salvarsi dall’ipocrisia e dalla incoerenza, entrando però immediatamente in collisione con l’evidenza medico-scientifica poiché, per gioire per l’aborto, bisogna necessariamente reprimere cinicamente le innumerevoli storie di sofferenza delle donne e considerare embrione e feto dei meri grumi di cellule da cui liberarsi al più presto. A meno che si gioisca per l’omicidio di un essere umano.

E che sia tale nessuno ha dubbi, nemmeno i medici abortisti. Alessandra Kustermann, storica ginecologa abortista e primario di ostetricia e ginecologia della Mangiagalli di Milano, ha dichiarato: «In quel momento so benissimo che sto sopprimendo una vita. E non un feto, bensì un futuro bambino. Ogni volta provo un rammarico e un disagio indicibili. Sento che avremmo tutti potuto fare di più. So che a me manca la fede per farlo, così quando sono lì penso che la vita della madre, che soffre davanti ai miei occhi, valga più di quella di suo figlio che non vedo ancora. Amo il mio lavoro, quando non è concentrato sugli aborti, ma so che quando andrò in pensione mi potrò permettere di pensare di nuovo a Dio. Quando finirò di lavorare, spero solo di trovare un confessore misericordioso». Papa Francesco nel 2014 ha risposto anche a lei: «non è un problema religioso o filosofico. E’ un problema scientifico, perché lì c’è una vita umana e non è lecito fare fuori una vita umana per risolvere un problema».

La redazione

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Bomba demografica? Una bufala, ora lo dice anche l’Onu

Bomba demograficaGli ultimi dati pubblicati dall’ONU sono chiari: la bomba demografica è una bufala. Si tratta di una leggenda secondo la quale l’alta densità di popolazione inibirebbe la prosperità umana per cui, secondo radicali/ecologisti/abortisti pratiche come la sterilizzazione, la contraccezione e l’aborto sarebbero indispensabili per controllare l’aumento demografico.

Ricordiamo tutti quando Marco Cappato, leader dei radicali italiani, nel 2009 invitava a «superare i veti ideologici del fondamentalismo clericale e natalista» e attuare la «strategia di “Rientro dolce” della popolazione mondiale che il Partito Radicale Nonviolento, transnazionale e transpartito già da tempo indica come scelta vitale per il futuro del pianeta». I Radicali sono gli unici (assieme all’opinionista Giovanni Sartori) a credere ancora in Italia alle sciocchezze del Club di Roma il think-tank che negli anni ’60 profetizzava cataclismi entro 40 anni.

Tante bugie, lo abbiamo dimostrato nel nostro specifico dossier, e oggi lo si legge nel “World Population Prospects” per il 2015, lo studio delle tendenze demografiche globali realizzato ogni anno dalla Population Division del Department of Economic and Social Affairs dell’Onu.

Addirittura, secondo i ricercatori, siamo di fronte al problema inverso: l’anno prossimo, per la prima volta dal 1950, la forza lavoro complessiva delle economie avanzate diminuirà, e calerà del 5% entro il 2050. La frenata riguarderà anche i Paesi emergenti come la Cina, dove l’inversione di tendenza è già cominciata, e si capisce dalla decisione di mettere fine alla politica del figlio unico. La popolazione in età lavorativa diminuirà del 26% in Corea del Sud, del 28% in Giappone, del 23% in Italia e Germania.

Contemporaneamente il tutto è stato ribadito dall’economista Greg Ip, della Carleton University, sul Wall Street Journal, il maggior quotidiano al mondo di affari e finanza. Analizzando gli effetti globali del calo demografico diffuso delle nascite ha scritto: «nel 1798 Thomas Malthus, un saggista britannico, sostenne che l’umanità si sarebbe riprodotta più rapidamente di quanto potesse aumentare la produzione alimentare, causando fame e povertà. Aveva torto. Nel corso dei secoli diciannovesimo e ventesimo, la popolazione del mondo occidentale è cresciuta rapidamente, con un crollo nel biennio 1918-19 a causa della prima guerra mondiale e della pandemia di influenza ‘spagnola’. Ma l’aumento della produttività agricola si è dimostrato più che in grado di alimentare le bocche dei più». Ha quindi confermato che i Paesi la cui popolazione cresce, sono destinati a svilupparsi anche dal punto di vista economico. Tuttavia, all’inverno demografico non risponde nemmeno l’immigrazione: «I Paesi che forniscono più immigrati negli Stati Uniti, Messico e Cina, stanno a loro volta invecchiando, e la forbice di persone che cerca una vita migliore all’estero si sta restringendo». La situazione è dunque preoccupante non certo per la bomba demografica, ma per l’inverno demografico, tanto che Paesi come Singapore, Australia, la provincia canadese del Quebec (e la stessa Europa), hanno incoraggiato e offerto finanziamenti alle famiglie per aumentare il numero di figli.

Se non bastasse tutto questo, bisognerebbe far leggere a malthusiani e radicali, le parole del prof. Angus Deaton, neo-vincitore del premio Nobel per l’Economica, nonché professore di Economia e Affari Internazionali alla WWS e al Dipartimento di Economia a Princeton e tra i massimi esperti sulla povertà nel mondo. Nel suo libro La grande fuga. Salute, ricchezza e origini della disuguaglianza (Il Mulino 2015), ha parlato della grande fuga dalla povertà: nei sei decenni che ormai ci separano dalla seconda guerra mondiale, infatti, possiamo osservare riduzioni senza precedenti nei tassi di mortalità e una rapida crescita del reddito medio, ovunque nel mondo. Il filo conduttore del libro è evidenziare come, nonostante o grazie all’aumento del numero di abitanti della Terra, lo sviluppo economico abbia permesso a miliardi di persone di uscire dalla povertà. «Dal 1945 il reddito è aumentato e le condizioni di salute migliorate quasi ovunque nel mondo», ha scritto il neo-premio Nobel. «Il mondo è oggi più sano di quanto sia forse mai stato nella storia. La gente vive più a lungo, è più alta e forte, e i bambini hanno meno probabilità di ammalarsi e di morire» (p. 83).

Il prof. Deaton si è opposto fortemente all’idea che la diminuzione dei tassi di incremento della popolazione sia un viatico verso un maggiore benessere (ovvero, secondo il motto malthusiano, riduciamo le bocche da sfamare, ce ne sarà di più per tutti). Ha infatti escluso che ci siano buone ragione per una forma di «controllo delle nascite da parte di soggetti estranei, quali governi stranieri e istituzioni internazionali». I chierici del mondo ricco hanno tradito i dannati della terra, pensando che una dimensione tanto privata e tanto importante del loro essere uomini e donne fosse “pianificabile” da altri. Ma prima ancora che la prognosi, era la diagnosi ad essere sbagliata. «A dispetto dei profeti di sventura, l’esplosione della popolazione non ha precipitato il mondo nella carestia e nella miseria più nera. Anzi, l’ultimo mezzo secolo ha visto non solo la riduzione della mortalità che ha prodotto l’esplosione, ma anche una fuga di massa proprio da quella povertà e quelle privazioni che avrebbero dovuto essere causate dall’aumento della popolazione stessa».

La “grande fuga” è per l’appunto quella dalla bufala malthusiana. Speriamo una volta per tutte.

La redazione

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L’Espresso si scaglia contro i gay: «voi non potete essere cattolici»

courageLe persone omosessuali che sono cattoliche e vorrebbero seguire le indicazioni proposte a loro dalla Chiesa cattolica sono state accusate dal settimanale “L’Espresso” di essere omofobe e “volersi guarire” dall’omosessualità.

Lo ha sostenuto il giornalista Michele Sasso, militante Lgbt con l’ossessione per il Vaticano, che invoca l’abolizione dell’ora di religione nelle scuole e combatte i “Centri di aiuto alla vita”, dove si aiutano e assistono le donne durante e dopo la gravidanza (ma sopratutto accusato sul web di aver legittimato il brutale omicidio del fascista Sergio Ramelli da parte di militanti della sinistra extraparlamentare). Un bel tipino moderato, insomma. Sasso si è infiltrato in incognito ad un incontro di Courage, associazione legata alla Chiesa cattolica (www.courageitalia.it) nata per aiutare chi è attratto da persone dello stesso sesso a vivere la propria condizione in modo coerente con gli insegnamenti della Chiesa.

Per Sasso accompagnare le persone omosessuali si trasforma nel «curare l’omosessualità». Eppure lui stesso riconosce le vere finalità dell’associazione: «incoraggiare i suoi membri all’astensione dal sesso e vivere una vita casta secondo gli insegnamenti della Chiesa cattolica». Si, perché la Chiesa afferma giustamente che gli atti omosessuali sono «intrinsecamente disordinati» e invita le persone con questa inclinazione, e che vogliono seguire i suoi insegnamenti, a vivere in castità e, «attraverso le virtù della padronanza di sé, educatrici della libertà interiore, mediante il sostegno, talvolta, di un’amicizia disinteressata, con la preghiera e la grazia sacramentale, possono e devono, gradatamente e risolutamente, avvicinarsi alla perfezione cristiana». Non solo, ma attraverso associazioni come Courage, è vicina agli omosessuali cattolici e li aiuta nel loro percorso. In nessun documento mai si parla di malattia, come hanno dichiarato tante volte i nostri vescovi.

Poco importa per gli omofascisti: gli incontri a sostegno della famiglia diventano automaticamente congressi per studiare come curare meglio i gay, le femministe che si oppongo all’utero in affitto si trasformano in sgualdrine omofobe nemiche dei diritti civili, gli imprenditori che vogliono orientare i loro prodotti alle famiglie costituzionalmente intese (vedi Barilla ecc.) vanno rieducati da appositi psicologi dell’Arcigay. Così, per “L’Espresso” gli incontri di Courage sarebbero segrete riunioni di esercizio delle “teorie riparative” e di repressione degli omosessuali: «le dinamiche sono simili a quelle delle sette», scrive Sasso (non a caso ha scelto come sua immagine rappresentativa la sagoma di Pinocchio).

Il quotidiano Avvenire ha precisato:«si tratta di iniziative che fanno parte di un percorso, liberamente proposto e altrettanto liberamente accolto da chi decide di aderirvi, fondato su due obiettivi: la riflessione sulla propria sessualità e l’accoglienza della Parola di Dio come regola in base alla quale organizzare la propria vita. Difficile cogliere in questo programma spirituale un’offesa alle condizioni delle persone omosessuali e, soprattutto, la volontà di proporre una ‘terapia riparativa’. Pratica psicoterapeutica ormai desueta e che vuol dire tutto e niente, ma che per le lobby gay si è trasformata in una parola d’ordine per una sorta di indignazione a comando». La diocesi di Torino ha definito inaccettabile che «incontri e riunioni a cui le persone partecipano liberamente e con la garanzia della riservatezza vengano strumentalizzati per ottenere una qualche porzione di ‘visibilità’. Non è in questo modo che la Chiesa di Torino è impegnata nel confronto e nell’accompagnamento delle persone che vogliono confrontarsi sulla propria sessualità in relazione alla vita spirituale». In un comunicato anche Courage Italia ha specificato che «la castità non è un “obbligo” ma viene vissuta come scelta di amore per Dio e per gli altri», respingendo le accuse: «Ogni uomo o donna che partecipa liberamente alle attività di Courage sa che lì può trovare aiuto spirituale, accoglienza e amicizia, ma non una terapia medica, come viene ricordato all’inizio di ogni incontro».

E’ intervenuta anche la diocesi di Reggio Emilia, guidata dal vescovo Massimo Camisasca: «Il vescovo conosce la realtà di “Courage” da un anno perché alcuni uomini con orientamento verso persone dello stesso sesso si sono a lui rivolti per essere aiutati a vivere nella preghiera, nella meditazione della Sacra Scrittura e nella castità. “Courage” non intende essere una terapia riparativa e non chiede a nessuno di aderire a tali terapie. È un aiuto a vivere secondo quanto espresso dal Catechismo della Chiesa Cattolica e dalla Tradizione della Chiesa. Circa il servizio pubblicato da L’Espresso”, addolora che libere persone che si trovano a pregare siano violate così pesantemente nella loro privacy di cittadini italiani».

L’Arcigay ha subito benedetto l’inchiesta de “L’Espresso” facendo partire il noto carrozzone arcobaleno di accuse, appelli, interrogazioni parlamentari dei politici amici, manifestazioni e marce cittadine. Una fiera anacronistica che non fa più presa, tanto che perfino gli informatori locali hanno smontato la bufala del giornalista Lgbt: «non si capisce perché», si legge su portale online di Reggio Emilia, «in nome di quella libertà totale che gli allarmati di cui sopra pretendono di rappresentare in nome di tutti, liberi cittadini credenti non possano rivolgersi dove più gli aggrada per avere, dal loro punto di vista, un aiuto sul piano della fede praticata».

Voler vietare agli omosessuali di essere autenticamente cattolici seguendo le indicazioni della Chiesa è, questa sì, omofobia. La dolorosa verità è che si vorrebbe associare l’omosessualità soltanto ai perizomi arcobaleno del Gay Pride, presentandola legata soltanto a contesti di gioia, liberazione, festa, progresso, colori ed entusiasmo. Le storie di persone che non sono disposte a ridursi come burattini in mano all’associazionismo arcobaleno fanno paura, si temono gli omosessuali che osano parlare di sofferenza, di approfondimento della propria situazione, di insoddisfazione. Una liberazione raggiunta, al contrario, da molti che abbracciano la proposta cattolica, come ha testimoniato lo scrittore omosessuale Philippe Ariño: «La Chiesa ha capito l’omosessualità. Davvero! Senza saperlo, sono gli stessi omosessuali a darle ragione perché associano, come dice la Bibbia, l’omosessualità ad una idolatria. La Chiesa cattolica mi riconosce innanzitutto come persona, e non mi chiede di negare l’esistenza del mio desiderio omosessuale, ma piuttosto di valorizzarlo offrendolo pienamente a Dio, che mi ha amato fin dall’inizio per quello che sono, con i miei punti di forza e di debolezza».

La redazione

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L’Universo ordinato e sintonizzato rimanda all’intelligenza del Creatore

Nella tradizione cristiana e cattolica, il tema della perfezione dell’ordine del cosmo (che non a caso significa “ordine”, in greco) come rimando all’intelligenza del suo Creatore, e dunque prova della sua esistenza, è presente da secoli.

Nel libro della Sapienza si legge “Tu hai disposto ogni cosa con misura, calcolo e peso” (Sap 11,20). Similmente San Paolo: “Le sue [di Dio] perfezioni invisibili, ossia la sua eterna potenza e divinità, vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute” (Rm 1,20). Così anche San Tommaso: “La quinta via si desume dal governo delle cose. […] Vi è dunque un qualche essere intelligente, dal quale tutte le cose naturali sono ordinate a un fine: e quest’essere chiamiamo Dio” (Summa Teologica Iª q. 2 a. 3 co.).

In epoca moderna e scientifica, il progresso della ricerca ha reso sempre più chiara la misteriosità di tale ordinata perfezione, portando molti pensatori ad intuire la necessità di un artefice della creazione. Riprendendo solo alcuni degli esempi che si possono portare, ricordiamo la celeberrima frase di Albert Einstein “Dio non gioca a dadi”, e la conversione da ateismo a deismo del filosofo Anthony Flew.

Certo, non tutti gli scienziati e i pensatori si lasciano affascinare dal cosmo, molti “duri e puri” si limitano velocemente a dire “è così e basta”. Altri arrivano a preferire la teoria del multiverso per non dover ricorrere a riflessioni teologiche: secondo costoro, infatti, è vero che il nostro universo è perfetto, ma solo perché esistiamo nell’unico universo perfetto tra infiniti universi imperfetti e inadatti alla vita. Con buona pace del rasoio di Occam, che sconsiglia di moltiplicare gli enti senza necessità. Le correnti di pensiero che evidenziano questa intuizione sono diverse, con contributi di varie discipline e pensatori, ma nella sostanza coincidenti: teleologia; via oggettiva; Disegno (o progetto) intelligente; principio antropico forte; fine-tuned universe (“universo sintonizzato finemente”). È quest’ultima dicitura che sembra essere preferita negli ultimi anni.

Una efficace sintesi degli argomenti del fine-tuned universe è offerta dall’astrofisico australiano Luke Barnes, ricercatore del Sydney Institute for Astronomy, dell’University of Sydney, in un contributo del 2011 il cui titolo può essere tradotto “La sintonizzazione fine dell’universo in vista della vita intelligente”. Un testo certo specifico e specialistico, che però può aiutare a rendersi conto delle dinamiche in gioco. E quasi a conferma dell’approccio prettamente scientifico usato, va notata l’assenza di sconfinamenti filosofici o teologici.  In sintesi: nell’universo ci sono in definitiva poche decine di leggi e costanti universali. Quello che si nota è che il valore di queste costanti sembra essere regolato apposta per ottenere un preciso effetto: l’organizzazione complessa della materia e la nascita della vita, che da questo punto di vista non sembra affatto casuale.

Riprendendo solo alcuni delle diverse decine di esempi che si possono citare. Se le leggi di Maxwell fossero diverse non esisterebbero gli atomi, ma solo particelle solitarie a spasso per l’universo, e lo stesso p.es. se l’elettromagnetismo fosse repulsivo e non attrattivo. Se la gravità fosse repulsiva e non attrattiva, l’universo sarebbe costituito da atomi solitari. Se il valore della massa dei quark fosse stato leggermente diverso, l’universo sarebbe consistito di atomi di idrogeno, mentre tutti gli altri atomi con peso atomico maggiore sarebbero stati instabili ecc. L’esempio però più chiaro di una sintonizzazione fine, vero e proprio cavallo di battaglia del fine tuning, si ha nel caso del “processo 3 alfa”, per il quale 3 atomi di elio si fondono originando il carbonio. Si tratta della reazione nucleare che avviene nelle stelle, che ha dato origine all’elemento fondamentale per la nascita della vita. Ora, perché questa reazione possa avvenire, calcoli teorici evidenziano come l’energia dello stato eccitato del carbonio dovrebbe trovarsi in un intervallo tra 7,596 e 7,716 MeV. E il valore effettivo è 7,656 MeV. Quasi che (come Barnes non esplicita, ma lascia intuire) un progettista abbia regolato una manopola per calibrare questo valore, che avrebbe semplicemente potuto essere diverso, sintonizzandolo esattamente al centro dell’intervallo necessario per la nascita del carbonio e della vita.

In definitiva, conclude Barnes, “solo un piccolissimo insieme di condizioni permette l’esistenza della vita intelligente”. Di fronte a queste considerazioni, appunto, ci si può limitare a scrollare le spalle dicendo “è così e basta”. Oppure non accontentarsi e interrogarsi sul “perché” di questo “come” così ben calibrato. Fermo restando che la cronaca, e le esperienze di ingiustizia e dolore nella vita, ci mostrano come la perfezione del cosmo è stata rovinata dal male liberamente voluto dagli uomini, e sarà piena e definitiva solo nei cieli nuovi e terra nuova che la speranza cristiana attende.

Roberto Reggi

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Michela Marzano usa anche Papa Francesco per promuovere il gender

Michela MarzanoSono almeno quattro i diretti interventi di Papa Francesco nel solo 2015 contro il gender, la teoria secondo la quale l’essere uomini e donne sarebbe una costruzione sociale e non derivata necessariamente dall’essere nati come maschi e femmine.

Come abbiamo documentato nel nostro dossier apposito, a gennaio Francesco ha rivelato di essere stato un testimoni oculare del tentativo di introdurre il gender nelle scuole: «Era un libro di scuola, un libro preparato bene didatticamente, dove si insegnava la teoria del gender […]. Questa è la colonizzazione ideologica: entrano in un popolo con un’idea che niente ha da fare col popolo […] e colonizzano il popolo con un’idea che cambia o vuol cambiare una mentalità o una struttura. Lo stesso hanno fatto le dittature del secolo scorso […] pensate ai Balilla, pensate alla Gioventù Hitleriana. Hanno colonizzato il popolo, volevano farlo». Ha poi ripreso l’episodio nel marzo successivo: «Sono stato testimone di un caso di questo tipo con una ministro dell’educazione riguardo l’insegnamento della teoria del “gender” che è una cosa che sta atomizzando la famiglia. Questa colonizzazione ideologica distrugge la famiglia».

Sempre nello stesso mese ha parlato di «quello sbaglio della mente umana che è la teoria del gender, che crea tanta confusione. Così la famiglia è sotto attacco», mentre nell’Udienza generale di aprile ha valorizzato la differenza tra uomo e donna, dicendo anche: «io mi domando, se la cosiddetta teoria del gender non sia anche espressione di una frustrazione e di una rassegnazione, che mira a cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa».

Davanti a questi durissimi interventi, il fatto che la filosofa Michela Marzano citi il Pontefice nei suoi quotidiani spot pro-gender è ancora di più deleterio e significativo della cattolicità autodichiarata dalla parlamentare Pd. Invitata recentemente anche a Tv2000, la televisione della CEI, il giorno prima di Costanza Miriano: una scelta poco felice (non è la prima da quando l’ex Iena Alessandro Sortino è diventato vicedirettore), dando spazio (senza contraddittorio) in buona fede e in nome di un giornalismo etico e obiettivo a chi spazio ne ha già a sufficienza (anzi, sui grandi media si sente la carenza delle voci contrarie) e in buona fede non lo è affatto. Lo ha dimostrato proprio la Marzano quando ha strumentalizzato Francesco in una recente intervista a Il Mattino, sostenendo che anche il Papa sarebbe a favore dei ripensamenti dei ruoli di genere per promuovere l’uguaglianza. La filosofa è autrice del recente libro “Papà, mamma e Gender” (Utet 2015), scritto frettolosamente per smentire l’esistenza della famosa teoria ma, attraverso il quale, ne ha riproposto i contenuti, come abbiamo già evidenziato. E’ infatti molto più facile introdurre queste “colonizzazioni” nelle scuole senza dare ad esse un’etichetta ben precisa, facilmente accusabile e confutabile.

Anche recentemente la Marzano ha scritto: «paternità e maternità sono caratteristiche che appartengono a ognuno di noi, indipendentemente dalla propria identità di genere». Questa è esattamente l’ideologia gender: la mamma può essere chiunque si percepisce come donna, indipendentemente dal fatto che sia nato come maschio o femmina, e viceversa. Questo per la Marzano significa “ripensare” i ruoli di genere, tirando dalla sua parte il Pontefice. Nella stessa intervista al quotidiano campano la Marzano ha ancor meglio precisato: «Quando si parla di “sesso” ci si riferisce all’insieme delle caratteristiche fisiche, biologiche, cromosomiche e genetiche che distinguono i maschi dalle femmine. Quando si parla di “genere”, invece, si fa riferimento al processo di costruzione sociale e culturale sulla base di caratteristiche e di comportamenti, impliciti o espliciti, associati agli uomini e alle donne». Sarebbe quindi da promuovere come normale il percepirsi come maschi-donne e femmine-uomini nel caso in cui sesso e genere non coincidano, alla faccia delle rassicurazioni sul fatto che si vuole soltanto insegnare il rispetto. Ecco la colonizzazione ideologica contro cui sta combattendo Papa Francesco.

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Il terrorismo dell’Isis ricorda molto gli anni bui della Rivoluzione francese

ghigliottina francese«Voltaire è un buon riferimento per reagire al terrorismo». Queste le paroledopo i fatti di Parigi, di Robert Darnton, tra i massimi studiosi dell’Illuminismo.

Stupisce che un razzista, antisemita e filo-schiavista come Voltaire, il cui motto più noto fu “Écrasez l’Infâme” (“schiaccia l’infame”, ovvero “a morte i Gesuiti cattolici”), venga considerato ancora oggi con tale onore. Ed infatti, pochi giorni dopo, su “Il Manifesto” è arrivata una indiretta risposta di Peter McPhee, Fellow professor all’Università di Melbourne e tra i maggiori specialisti della storia rivoluzionaria francese, che ha parlato di «deragliamento terroristico dei processi rivoluzionari».

Proprio a Voltaire, infatti, si ispirò dichiaratamente Robespierre, il cosiddetto “becchino illuminista”, il quale «si fece coinvolgere in un brutale gioco al ribasso, arrivando a licenziare la legge contro i “nemici della Rivoluzione e del popolo” del 10 giugno 1794, che cancellava di fatto il diritto degli imputati alla difesa, il ricorso in appello, il giudizio alternativo alla piena assoluzione o alla totale condanna e stabilendo, infine, che il mero sospetto fosse di per se stesso elemento sufficientemente probante».

Questi furono i veri “valori” che emersero dalla Rivoluzione francese, sinonimo più di Terrore ed epoca buia che culla della democrazia. Lo sanno bene i vandeani, soppressi brutalmente dai valorosi rivoluzionari illuministi nel cosiddetto “Massacro dei Lumi”, «quando i massacri a danno dei civili compiuti dalla guardia nazionale repubblicana avviarono la lunga prassi di una politica di repressione indiscriminata contro gli insorgenti, la quale si sarebbe ripetuta nel corso del tempo, diventando una triste abitudine nel Novecento», ha proseguito il prof. McPhee. 117.000 persone massacrate in nome della liberté illuminista.

Il sociologo Giuliano Guzzo ha giustamente ricordato alcune analogie tra il Regime del Terrore francese e il terrore moderno promosso dall’ISIS. La decapitazione a cui assistiamo oggi, promossa dagli uomini del Califfato, conobbe infatti notevole diffusione proprio durante gli anni della Rivoluzione francese (18.000 decapitati almeno, al ribasso). Un altro parallelo è la distruzione delle opere d’arte e la discriminazione delle donne: ricordiamo che l’avvocato Sylvain Marechal (1750-1803), illuminista, propose nel 1801, durante la Rivoluzione, di vietare alle donne di imparare a leggere, e la stessa autrice della “Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina”, Olympe De Gouges, venne decapitata per «per aver dimenticato le virtù che convenivano al suo sesso».

Il celebre storico Pierre Chaunu, professore di Storia Moderna alla Sorbonne e membro dell’Institut de France ha spiegato che la considerazione altamente positiva da parte dei nostri intellettuali (anticattolici, in gran parte) verso il passato della Francia, «è una visione della storia assolutamente falsa, scritta da vincitori o comunque, in larga misura, da ricercatori con spiccate simpatie per l’ideologia rivoluzionaria. La rivoluzione è stata, in tutti i campi, una regressione della nazione». Fortunatamente, molti coraggiosi studiosi «hanno mostrato l’ampiezza straordinaria dei massacri compiuti sotto la Rivoluzione. Se si sommano le perdite della guerra e le perdite anteriori, si arriva per un Paese di 27 milioni di abitanti qual’era allora la Francia ad un totale che è nell’ordine di milioni. Sono perdite notevolissime, ancora maggiori di quelle subite dalla Francia nella Prima Guerra Mondiale. Per tutte queste ragioni, il bilancio della Rivoluzione è largamente negativo». Il mondo senza Rivoluzione francese sarebbe «molto migliore».  Perfino Vito Mancuso, non certo sospettabile di simpatie cattolico-cristiane, ha riconosciuto: «nei dieci anni della sua durata (1789-1799) si registra un numero di vittime variamente stimato dagli storici ma comunque enorme, visto che nei diciassette mesi del Terrore tra il 1793 e il 1794 si ebbero centomila vittime, una media di quasi 200 morti al giorno. E tutto questo nel nome di “liberté, égalité fraternité”».

Altro che Liberté, Égalité e Fraternité. A proposito di questo motto, la nota scrittrice Rosetta Loy, autrice “della memoria” per i suoi libri di denuncia contro la tragedia dell’Olocausto, ha commentato pochi giorni fa: «questa triade ha perso buona parte del suo valore quando i loro propinatori nel XIX secolo hanno rivolto i loro interessi verso gli altri continenti; e dimenticando Liberté, Fraternitè, Egalité, hanno brutalmente sfruttato le popolazioni che li abitavano da millenni. A volte in maniera orrenda e inaccettabile».

Una triade che invoca la libertà, l’uguaglianza e la fratellanza. Sono i principi del cristianesimo, non certo dei rivoluzionari giacobini, che copiarono maldestramente dal Vangelo. Sono i valori del Medioevo cristiano (da loro denigrato come “secoli bui”). Infatti, ha proseguito lo storico della Sorbona di Parigi, Chaunu, «la libertà non è caduta dal cielo con la Rivoluzione, si è costruita nel nostro Paese attraverso i contadini del Medio Evo, coi Comuni, con il Parlamento, con tutta la costituzione giuridica: ebbene, occorre il coraggio di dirlo, lo Stato di diritto nel quale viviamo attualmente non è figlio della Rivoluzione, è figlio della storia, di San Luigi come di Luigi XVI. Tutti i principi che si trovano nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino erano già formulati, più o meno intelligentemente nella dichiarazione di Jefferson del 1783, e non sono altro che principi giudeo-cristiani. Che tutti gli uomini sono liberi è un principio del Deuteronomio».

Per questo, di fronte al terrore del fondamentalismo islamico, occorre fare memoria delle radici cristiane dell’Europa, prendendo le distanze dagli anni bui -e non certo “illuminati”- della Rivoluzione francese.

La redazione

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Le scuole paritarie tra i migliori istituti italiani, lo dice la Fondazione Agnelli

ScuolaEduscopio è il portale lanciato a Torino dalla Fondazione Agnelli nel 2014 per aiutare gli studenti delle scuole medie e le loro famiglie (e quindi anche voi che state leggendo, magari) a valutare l’istituto più adatto dopo la terza media, in vista dell’università che sceglieranno al termine dei cinque anni.

In questa seconda edizione del 2015 ha permesso di registrare anche le scuole che hanno guadagnato o perso posizioni rispetto al 2014 in termini di qualità, considerando gli esiti universitari di 709mila diplomati di tre anni scolastici (dal 2009-2010 al 2011-2012) nei loro percorsi universitari al primo anno da immatricolati (quindi fino al 2012-2013). Numero di esami superati e media dei voti ottenuta. La Fondazione però, per un suo principio inderogabile, non ha voluto stilare classifiche nazionali, che non avrebbero senso non potendo confrontare scuole che ricadono in ambiti troppo diversi fra loro.

Il risultato che ne è venuto fuori è davvero interessante per quanto riguarda le scuole paritarie: su quasi tutte le città esaminate (Torino, Milano, Venezia, Bologna, Genova, Roma, Napoli, Bari, Cagliari, Palermo) esse si sono piazzate benissimo. In alcune importanti città, addirittura, le paritarie si sono aggiudicate il primo posto dei licei più formativi, sorpassando licei statali di chiara fama e brillanti trascorsi.

Torino, ad esempio, tra i sei migliori istituti ci sono i salesiani di Valsalice e i gesuiti dell’Istituto Sociale. A Milano e provincia, i licei paritari raggiungono ottime posizioni e il migliore liceo classico della città è l’Istituto Sacro Cuore (legato a Comunione e Liberazione), che vanta anche al secondo posto il suo liceo scientifico. A Genova, il liceo classico paritario San Giuseppe Calasanzio è arrivato nono. A Bologna tre le migliori prime cinque scuole classificate, ben tre sono paritarie tra cui, al terzo posto, il classico San Luigi dei Barnabiti. A Venezia, è quarto il Giovanni Paolo I. A Napoli, è settimo il Sacro Cuore. A Roma, primo tra i licei in scienze umane è la scuola cattolica di San Sisto Vecchio. A Palermo il miglior liceo scientifico è un altro istituto paritario, il Don Bosco Ranchibile, mentre al al secondo posto si sono classificati i salesiani del Don Bosco a Villa Ranchibile e al quarto posto del ranking il Centro Educativo Ignaziano.

Un chiaro risultato che ci dice come le scuole paritarie, seppur in numero inferiore, male finanziate da parte dello Stato e spesso soggette a polemiche sterili, se non faziose (denigrate come diplomifici), siano invece tra l’eccellenza della scuola italiana e sappiano in gran parte preparare al meglio gli studenti alla carriera universitaria.

Cari genitori, se avete pensato di suggerire ai vostri figli di iscriversi a una paritaria, non datevi pensiero: i dati parlano chiaro, potrebbe essere una delle scelte migliori che vostro figlio possa fare per la sua vita, e voi lo avrete aiutato a farla.

La redazione

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Jerry Coyne ci riprova, ma non reggono i suoi argomenti contro Dio

Jerry CoyneVe li ricordati i cosiddetti “cavalieri dell’ateismo“? Quel gruppetto di simpaticoni (Dawkins, Harris, Dennett e Hitchens) che ha tenuto banco fino al 2010, inondando le librerie con volumi nei quali descrivevano le prove scientifiche dell’inesistenza di Dio e dibattevano su quanto andrebbero odiati e rinchiusi nei manicomi tutti coloro che hanno fede in Lui?

Tanto fumo, poi spariti nel nulla. Dopo la morte del compianto Christopher Hitchens, gli altri hanno avuto un piccolo sbandamento: Richard Dawkins, da “ateo più famoso del mondo” è passato a definirsi “agnostico” e, infine, “cristiano culturale” (tanto che recentemente ha criticato i cinema inglesi che si sono rifiutati di proiettare un annuncio della Chiesa d’Inghilterra sulla preghiera del “Padre nostro”). Il filosofo Sam Harris, invece, ha fatto “coming out” e ha deciso di diventare una “persona spirituale”, rifiutando l’ateismo. Daniel Dennett si è ritirato in pensione godendosi finalmente le sue 73 primavere.

Per questo siamo stati catapultati improvvisamente nel passato quando ci è capitato recentemente di leggere un’intervista a Jerry Coyne (nella foto qui a fianco), biologo in pensione, che ha sempre ruotato attorno ai già citati “4 cavalieri” senza però riuscire mai a trovare abbastanza spazio, covando parecchia invidia. Nel 2011 infatti si lamentò che ai “raduni atei” si respira troppa aria «di autocompiacimento, scarso livello, debolezza dei colloqui e fanatismo verso alcuni atei famosi (come Richard Dawkins)». Per questo, disse, «ho rifiutato diversi inviti». Nel 2014 abbiamo ripreso un’altra sua dichiarazione, quando ha sostenuto: «Dato che i genitori possono (purtroppo) legalmente fare proselitismo verso i loro figli a casa, non vi è alcuna giustificazione per sostenere pubblicamente l’educazione religiosa fuori casa». No comment.

 

Nella recente intervista ha rispolverato “le prove scientifiche dell’ateismo” usate per anni dai suoi colleghi più famosi: «ci sono una serie di cose nell’evoluzione e nella scienza che minano la religione. Prima di tutto, il fatto che la storia Genesi è sbagliata. Non ci sono prove che ci sia una funzione qualitativamente diversa tra gli esseri umani e le altre specie, tranne forse il linguaggio. Noi non siamo prodotti speciali della creazione di Dio». E’ l’argomento del riduzionismo: per negare Dio si cerca di negare l’uomo e la sua unicità rispetto al resto della natura. Oltre al fatto che la Genesi non sbaglia perché non pretende essere un libro scientifico sulla creazione dell’Universo e non è stato scritta con questo scopo, non ha senso sostenere che il linguaggio sia l’unica cosa che ci differenzia dal mondo animale. Anche prima di saper comunicare verbalmente (anche se si respinge la teoria del protolinguaggio di Bickerton bisogna comunque ammettere che l’uomo, ad un certo punto, ha voluto iniziare a codificare un linguaggio),  infatti, l’uomo sperimentava già le sue incredibili capacità cognitive: l’autocoscienza di sé, il senso religioso, la moralità, il pensiero astratto, il simbolismo, il desiderio di vivere e non soltanto sopravvivere ecc. Tanto che il biologo evoluzionista Marc Hauser, docente presso l’Harvard University e uno dei maggiori esperti nel campo della cognizione animale e umana, ha proposto che sia più interessante studiare le differenze tra animali e uomo piuttosto che rimarcare le analogie, tanto da coniare il termine, “humaniqueness”, per sottolineare il divario insormontabile tra uomini e animali. «Non siamo animali», ha scritto nel 2008 il celebre evoluzionista americano. «Dimenticate tutte le notizie sul nostro patrimonio genetico comune con gli scimpanzé. Questi dati sul patrimonio genetico comune non ci danno alcuna informazione sul problema della nostra unicità, la nostra humaniqueness». E’ proprio l’evoluzione oggi a mettere al centro dell’Universo l’essere umano, dandogli un posto privilegiato.

Diversi filosofi, inoltre, come Alvin Plantinga, hanno rilevato l’autoconfutazione dell'”argomento riduzionista”, usato anche da Coyne, facendo notare che se si vuole relegare le nostre esperienze cognitive a epifenomeni del cervello, per tentare di negare l’unicità umana, allora si distrugge anche la razionalità dato che il pensiero è sostituito da semplici eventi neurali elettrochimici. Così, le asserzioni stesse del riduzionista (Jerry Coyne, in questo caso) non sono altro che tracce nella rete neurale del suo cervello: non c’è dunque nessun motivo di fidarci del suo intelletto e non ci sono motivi per prendere sul serio le tesi del riduzionista.

 

Dopo l'”argomento riduzionista”, Coyne ha puntato su quello cosmologico: l’universo sarebbe inutile (citazione di S. Weinberg) e si sarebbe originato autonomamente “dal nulla”: «Una delle teorie su come l’universo è venuto in essere è la teoria del Big Bang, uno scoppio accaduto naturalmente nel vuoto quantistico. La gente dice: “Non si può ottenere un universo dal nulla. Ci deve essere Dio”. Invece si può se si concepisce il nulla come il vuoto quantistico dello spazio esterno». Il biologo americano ha riciclato la tesi del fisico Lawrence Krauss, autore del libro “Un universo dal nulla: perché c’è qualcosa piuttosto che niente”, tuttavia non ha considerato la valanga di critiche che ha ricevuto tale teoria. Ha ben sintetizzato il problema il prof. Marco Bersanelli, docente di Astrofisica presso l’Università di Milano: «Che cos’è questo “nulla” dal quale tutto avrebbe preso le mosse? Il “vuoto” quantistico primordiale nel quale una fluttuazione può dare origine a una particella, e in linea di principio a realtà fisiche più complesse? Ma questo significa che il “vuoto” dei fisici è radicalmente diverso dal “nulla” del filosofo e del teologo. Anzi, se le cose fossero davvero andate così, quel “vuoto” iniziale finirebbe per essere l’opposto del “nulla”: sarebbe la realtà fisica più “piena” che si possa immaginare, il seme creato dal quale sboccia il fiore dell’universo. Rinasce perciò inevitabile la domanda: questo “vuoto” primordiale, da dove viene? E le leggi della fisica, che in esso agiscono, chi se l’è inventate? Se anche ci fossero moltitudini di universi con leggi diverse, da dove verrebbe la meta-legge così ben congegnata da generare tutto ciò?».

Effettivamente il problema è che il “nulla” di cui parla Coyne, copiando Krauss, è un pieno di leggi fisiche di cui giustificare l’esistenza. Altro che nulla! Non a caso Krauss, ben più competente di Coyne, ha preso le distanze -in modo stizzito- dalla sua tesi dopo le critiche ricevute: «non mi interessa niente di cosa il “nulla” significa per i filosofi, mi interessa il “nulla” della realtà. E se il “nulla” della realtà è pieno di roba, beh allora me ne andrò via con questo. Ma, in tutta serietà, non ho mai detto che l’Universo è nato dal nulla…se avessi intitolato il libro soltanto come “Un universo meraviglioso”, poche persone sarebbero state attratte da esso». Uno banale spot di marketing, altro che ateismo scientifico!

 

Il terzo e ultimo argomento usato da Jerry Coyne nella sua intervista è quello del libero arbitrio: «La scienza sta cominciando a minarlo mostrando che non c’è nessuna scelta che possiamo fare, ma essa è un output del nostro cervello materialista. Siamo creature fisiche, fatta di molecole. Pertanto, i nostri pensieri e comportamenti sono i risultati dei moti molecolari». Se le cose stanno così ritorna allora l’autoconfutazione spiegata dal prof. Plantinga: la tesi di Coyne è prodotta dai suoi moti molecolari, senza che lui lo abbia deciso (non esiste il libero arbitrio)? Allora perché dargli peso? Non è certo una tesi scientifica. C’è anche un’altra contraddizione: se Coyne si sforza di sostenere la sua tesi è perché vuole convincere la nostra libertà ad aderire al suo ragionamento. Se però fosse davvero convinto del materialismo, allora dovrebbe sapere che i suoi uditori sono già pre-determinati: alcuni saranno determinati a “pensare” che lui ha ragione lui e altri che si sta sbagliando, tutto a seconda della particolare attività fisiochimica del nostro cervello. Si eviterebbe la fatica di convincere le libertà altrui. Questa contraddizione è stata definita “self-referential arguments”.

E’ comunque falso che la scienza stia minando il libero arbitrio. Il prof. Michael Gazzaniga, da molti identificato come il neuroscienziato più famoso al mondo, ha affermato: «Siamo persone, non cervelli. Ho un grandissimo rispetto per quello che i filosofi hanno detto sul libero arbitrio. Sarebbe assurdo rigettare d’un colpo tutta la riflessione svolta fino a oggi. La classica domanda “siamo liberi?” sembra sempre più mal posta, se non insensata. Tutti devono essere considerati responsabili delle proprie azioni. È a livello sociale che risiede la responsabilità, con buona pace delle neuroscienze. Allo strato mentale va aggiunto quello della cultura in cui siamo immersi. Le neuroscienze devono quindi capire i propri limiti e il livello a cui si muovono con la propria spiegazione». Oltre ai limiti delle neuroscienze, citate da Gazzaniga, non c’è nessun argomento sostenibile contro al libero arbitrio e le tesi materialiste sono state da tempo confutate. Come ha concluso il prof. Filippo Tempia, ordinario di Fisiologia presso l’Università di Torino, «allo stato attuale delle conoscenze non si può scientificamente negare il libero arbitrio nell’uomo» (“Siamo davvero liberi?”, Codice edizioni 2010, p. 108). Non vogliamo qui addentrarci in una questione molto lunga, che abbiamo già trattato altre volte: a chi volesse approfondire consigliamo gli articoli (anche questo) del prof. Eddy Nahmias, filosofo e neuroscienziato della Georgia State University, nonché il recente libro “Free: Why Science Hasn’t Disproved Free Will” (Oxford University Press 2015) del prof. Alfred R. Mele, docente di filosofia presso la Florida State University (recensito anche sul nostro sito web).

 

Da quanto abbiamo visto, i “cavalieri dell’ateismo” non avevano tutti i torti quando hanno deciso di ritirarsi dalla scena pubblica, c’è poco da fare se questi erano gli argomenti a sostegno della loro posizione. Peccato che Jerry Coyne non intenda ancora seguire le loro orme, eppure dovrebbe farlo se è vero -come ha scritto il prof. Edward Fraser, noto filosofo del Pasadena City College-, che «Coyne non è né lontanamente ben informato, né equanime, né è in grado di fare distinzioni di base o in alcun modo di ragionare con precisione. Lui commette strafalcioni ogni volta che apre bocca, e purtroppo la apre molto spesso, molto pubblicamente, e molto forte».

La redazione

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