L’autenticità della Sindone tra scienza e storia

2015 la nuova indagine sulla sindoneSecondo il matematico Bruno Barberis, docente presso l’Università di Torino, il calcolo statistico delle probabilità che la Sindone sia autentica, vale a dire che si tratti effettivamente del lenzuolo funerario di Gesù, derivante dalla imponente mole di dati a nostra disposizione, è valutato in 225 miliardi contro 1 (B.Barberis, “L’uomo della Sindone e il calcolo delle probabilità”, in: AaVv, “Sindone. Vangelo-storia-scienza”, Elledici 2010, p.231-246).

Queste numerose informazioni, studiate da anni da storici, scienziati e sindonologi, sono ben raccolte in un volume pubblicato quest’anno, intitolato: 2015. La nuova indagine sulla Sindone, Priuli&Verlucca 2015. L’autore è Pierluigi Baima Bollone, professore emerito di Medicina Legale all’Università di Torino e presidente onorario del Centro Internazionale di Sindonologia. Come lui stesso spiega, «questo libro si propone il duplice obiettivo di stabilire un collegamento tra le conoscenze sulla Sindone, le più recenti esegesi della narrazione della Passione e della Crocifissione neotestamentaria e le più moderne scoperte in ambito umanistico, archeologico, di scienze mediche e fisiche» (p.5).

E’ una bella ed esaustiva sintesi dei lavori e dei risultati fino a oggi disponibili sulla Sindone dal punto di vista storico e scientifico, i due tipi di macro-approcci sulla nota icona. Esistono diverse rappresentazioni del volto di Cristo fin dal III secolo che sembrano ricordare quello sindonico, in netta discontinuità rispetto al modo classico con cui si usava rappresentarlo. Tuttavia, dal punto di vista storico, la prima prova storica davvero attendibile della della Sindone è verso la fine del VII secolo, il cui volto è stato riprodotto su monete d’oro e d’argento risalenti al primo periodo del regno di Giustiniano II (685-695), subito dopo il Concilio di Trullano nel quale si disporrà (nel canone 82) che l’immagine di Cristo sia rappresentata come un uomo e non simbolicamente. Le caratteristiche del volto presente su queste monete coincide incredibilmente con quello sindonico e se ne possono rilevare tutte le caratteristiche, compreso il rispetto e la corrispondenza delle proporzioni: lunghi capelli dietro la spalla destra e davanti alla sinistra, un ciuffetto centrale simile all’immagine ematica a forma di epsilon nella medesima collocazione topografica, sopracciglio sinistro più arcuato del destro a motivo di una tumefazione ecc. La mano mostra soltanto quattro dita lunghe, proprio come sulla Sindone (a causa del rigor mortis).

Grazie a sofisticate tecniche di sovrapposizione in luce polarizzata, sono stati identificati oltre cento punti di congruità (Wangher M.V.e Wangher A.D., The impact of the Face Image on Art, Coins and Religions in the Early Centuries, Insert for CSST News, luglio 2007). Nel 705 Giustiniano II fece coniare un altro volto di Gesù (più semitico), mentre imperatori successivi (da Michele III) ripresero il volto sindonico non appena finita l’iconoclastia. Secondo Baima Bollone, che si occupa anche a livello scientifico di numismatica, «è evidente l’esclusiva dipendenza dal volto della Sindone […]. Oggi non è più soltanto verosimile ma veramente è fuor di dubbio che si sia preso, come modello per diffondere e pubblicizzare il volto di Cristo, quello della Sindone che consentiva di presentarlo con precisi caratteri di identità» (p. 32,34).

Interessanti anche alcune note storiche sulle numerose campagne mediatiche che da sempre si sono sollevate con misteriosa violenza contro l’autenticità del lenzuolo, fin dalle prime fotografie di Secondo Pia del 1898 che rilevarono il comportamento positivo dell’immagine sindonica sui negativi fotografici. Le forti critiche di manipolazioni e falsità hanno sempre ignorato le conferme e le dimostrazioni. Significativa, ad esempio, la campagna mediatica orchestrata contro il celebre zoologo ateo Yves Delage che nel 1902 si convinse dell’autenticità dopo personali indagini: i suoi lavori, da sempre stimati a livello internazionale, per la prima volta vennero censurati dalle riviste e la violenza che si sollevò contro di lui fu tale che fu costretto a ritirarsi e rinunciare allo studio della Sindone.

Baima Bollone risponde anche a diverse piccole e grandi obiezioni contro l’autenticità della Sindone, dimostrando che il lino era effettivamente un materiale di pregio (come indicano i Vangeli), usato raramente. L’archeologia è anche in grado di confermare l’esistenza nel mondo antico di telai in grado di produrre manufatti delle dimensioni sindoniche, così come è precedente all’era cristiana la tessitura “a spina di pesce”. Sul fatto che sul sacro lino vi siano macchie di sangue è ormai una certezza granitica come dimostra il susseguirsi di conferme da parte di numerosi scienziati, così come nessuna seria obiezione ha mai scalfito il lavoro di Max Frei sul rilevamento di numerosi pollini presenti sulla Sindone, molti dei quali provenienti da piante che crescono esclusivamente nei dintorni di Gerusalemme (tanto numerosi che si conviene sia una contaminazione da contatto diretto non per ricaduta). Sempre grazie ai pollini, diversi studiosi, compreso l’ebreo Avinoam Danin, hanno concluso grazie al periodo di fioritura delle piante collegate, che l’Uomo della Sindone venne probabilmente avvolto nella sindone nel periodo di marzo-aprile: un’altra conferma ai Vangeli. Sempre Danin, autorità indiscussa sulla flora palestinese, ha anche rilevato dalle fotografie della Sindone la presenza dell’immagine di fiori (come il Cistus creticus), che crescono attorno alla città di Gerusalemme (e anch’essi fioriscono nel periodo di marzo-aprile).

Tra i pollini rilevati ce ne sono alcuni di piante che crescono esclusivamente anche a Edessa e Costantinopoli, confermando dunque la tradizione che vuole il passaggio della Sindone da quei luoghi. In questo si innesta anche la tesi di Ian Wilson, storico inglese e uno dei tanti agnostici convertiti dall’immagine sindonica, secondo il quale il Mandylion, cioè il telo con il volto di Cristo venerato dalle comunità cristiane orientali noto già dal VII secolo ad Edessa, non era altro che il telo della Sindone piegato su se stesso per mostrare soltanto il volto, contenuto in un reliquiario. Effettivamente, dalle numerose descrizioni del volto del Mandylion è possibile paragonare esattamente le caratteristiche del volto sindonico, conferma arriva anche dall’omelia di Gregorio il Referendario di Costantinopoli del 16 agosto 944 (il Mandylion venne trasportato a Costantinopoli il 15 agosto 944), nella quale il Mandylion viene descritto accennando a caratteristiche non solo del volto ma anche del corpo dell’immagine impressa sul telo.

La ricostruzione storica della Sindone, quando la sia abbina al Mandylion, è possibile (seppur con molte congetture). Abbiamo diverse testimonianze della sua presenza a Costantinopoli, importante è il documento di Nicola Mesarite, custode del palazzo imperiale di Bucoleone che nel 1201 ricorda le reliquie conservate in quel luogo, tra cui «i lenzuoli sepolcrali di Cristo» che «hanno avvolto l’ineffabile cadavere, nudo e imbalsamato, dopo la passione». L’intero cadavere, non soltanto il volto: anche questa è una conferma del legame Mandylion-Sindone. Il particolare della nudità di Cristo, oltretutto, è inconcepibile per la mentalità dell’epoca, ma sopratutto senza alcun riscontro iconografico. I Crociati conquistano Costantinopoli nel 1203-1204 e il passaggio della Sindone in Europa è avvallato da testimonianze credibili e meno credibili. Un ruolo cruciale potrebbe averlo avuto Ottone de la Roche, partecipante della quarta crociata e dell’assedio a Costantinopoli; un’altra tesi è sostenuta dallo storico inglese Ian Wilson e da Barbara Frale, secondo cui in Europa la Sindone sarebbe arrivata grazie all’Ordine dei Templari, da loro custodita fino al 1307 anno della dispersione dei cavalieri crociati. Il silenzio sulla sorte della Sindone è comunque compatibile con le sanzioni pontificie sul traffico di reliquie sottratte a Costantinopoli che durarono fino alla metà del 1300.

La prima certezza storica da tutti condivisa sulla Sindone è documentata a Lirey nel 1356, di proprietà di Geoffroy de Charny. Il volume di Baima Bollone -riprendendo il volume La sindone. Storia di una immagine di G.M. Zaccone- offre una efficace confutazione delle convinzioni del più attivo sostenitore della non autenticità del sacro Lino, ovvero lo storico Andrea Nicolotti. Secondo l’attivo ricercatore, infatti, il vescovo di Lirey Pierre D’Arcis avrebbe osteggiato la Sindone, esposta dai canonici di Lirey, scrivendo un Memoriale a papa Clemente VII nel quale afferma che il suo predecessore, il vescovo Herny de Poitiers, avrebbe svolto un’indagine sul sacro lino scoprendo la sua non autenticità poiché aveva identificato un pittore (anonimo) che ammise di averla dipinta. Bisogna innanzitutto ricordare che D’Arcis e i canonici erano in guerra da tempo poiché questi ultimi non avevano chiesto l’autorizzazione per l’ostensione della Sindone al vescovo, la cui cattedrale di Troyes versava in pessime condizioni e un afflusso di pellegrini avrebbe fatto comodo. Inoltre, esiste una lettera del predecessore di Pierre D’Arcis indirizzata a Geoffroy de Charny, nelle cui conclusioni non si fa alcun accenno alla presunta frode della Sindone ma, anzi, si congratula per la fondazione della collegiata di Lirey. In ogni caso è importante ricordare che Clemente VII scelse di non credere al vescovo di Lirey, tanto che in una delle tre bolle che emanò per risolvere la situazione definisce sì la Sindone una pictura seu tabula (al posto di figura seu representacio, come invece viene definita nelle altre due), ma fece prontamente correggere il termine sulla copia d’archivio riprendendo la definizione da lui usata nella prima bolla, avvallando dunque la definizione data dai canonici di Lirey che credevano nell’autenticità.

Il primo ad usare erroneamente il Memoriale di Pierre D’Arcis contro l’autenticità della Sindone fu il presbitero razionalista ed illuminista Ulysse Chevalier (1841-1923), a lui si rifanno gli attuali critici. Ma tale Memoriale, come abbiamo visto, non ha alcuna forza per sostenere gli scopi per cui viene usato, inoltre non esiste in forma originale e non si sa se Chevalier abbia o meno apportato delle modifiche, essendosi dimostrato non proprio in buona fede. Fu lui, infatti, il probabile regista di una campagna stampa apparsa su La Croix nel 1902 in cui si sostenne falsamente che la Sacra Congregazione delle Indulgenze e delle Reliquie aveva ufficialmente sottoposto la controversia sull’autenticità della Sindone, sollevata da Chevalier, ad una apposita commissione che ne avrebbe dichiarato la falsità, confermata poi dal Pontefice. La notizia venne ampiamente usata e diffusa da Chevalier in numerosi articoli, nei quali arrivò perfino ad inventarsi precise frasi espresse da questa commissione. Venne smentito dal prefetto dell’Archivio Segreto Vaticano che negò l’esistenza di un tale documento nella documentazione della Congregazione, l’arcivescovo di Torino Agostino Richelmy rivelò qualche anno dopo che, in seguito a questa vicenda, fu ingiunto a Chevalier di interrompere la diffusione di queste falsità, cosa che infatti ben presto accadde dato che il razionalista cattolico abbandonò l’argomento.

Un altro argomento ben affrontato dal volume di Baima Bollone è il famoso esame al radiocarbonio a cui fu sottoposta la Sindone, che diede il responso di un’opera medioevale. Un risultato a cui più nessuno crede essendo stato oggetto di fortissime e documentate critiche da parte di tutti gli studiosi, favorevoli e contrari all’autenticità della Sindone, nonché dagli stessi responsabili del prelievo dei campioni e anche da uno dei laboratori in cui venne analizzata. Nessun verbale delle operazioni, persone totalmente estranee presenti anche dentro i laboratori (come il pastore anglicano David Sox, contrario all’autenticità della Sindone), esclusione ingiustificata degli esperti della Sindone, programma delle operazioni di prelievo dei campioni rivoluzionato a poche ore dall’inizio dei lavori, prelievo del campione nella zona più contaminata di tutta la Sindone. Tanto che anche prima del pubblico annuncio del responso in molti già sospettarono un complotto ai danni del Sacro lino. Baima Bollone spiega anche nel dettaglio perché la “seconda Sindone” prodotta da Luigi Garlaschelli non è nemmeno lontanamente paragonabile a quella autentica, così come vanno abbandonate le tesi sulla formazione dell’immagine tramite un bassorilievo riscaldato: l’immagine sindonica, infatti, non attraversa il lino ma rimane in superficie. Per fabbricare un oggetto delle dimensioni della Sindone occorrerebbe riuscire a stendere una tela rigorosamente parallela a un grosso bassorilievo costantemente mantenuto ad una precisa temperatura (perché il lino si strina imbrunendosi attorno ai 200° e quasi istantaneamente si pirolizza distruggendosi a 220°), possibile solo in un moderno laboratorio (senza considerare che le immagini prodotte dal calore sono completamente diverse da quella sindonica). Tanto che il fisico Paolo Di Lazzaro, dirigente di ricerca presso il Centro Ricerche Enea di Frascati, ha spiegato: «la mal riuscita copia di Garlaschelli, al contrario di quanto dichiarato dal Professore, è una ulteriore dimostrazione di quanto sia improbabile che un falsario del Medioevo abbia potuto realizzare la Sindone senza microscopio, senza conoscenze medico-legali, senza un laboratorio chimico attrezzato come quello del Prof. Garlaschelli».  L’immagine sindonica rimane infalsificabile e irriproducibile oggi con le più avanzate tecnologie, le indagini recenti realizzate dall’Enea di Frascati confermano che gli impulsi di laser eccimero sono attualmente l’unico modo di realizzare un’immagine simil-sindonica, oltretutto soltanto in piccole dimensioni poiché non esistono ancora strumenti tecnologici tali da realizzare un’immagine grande come quella della Sindone.

Rimandando un approfondimento specifico di tutto questo ad un dossier specifico che stiamo preparando, concludiamo ricordando un altro argomento possibile a favore dell’autenticità, sul quale non c’è però unanime consenso da parte degli studiosi. Si tratta dell’immagine di due monete visibili sul volto sindonico con scritte riconducibili a quelle coniate dal procuratore Ponzio Pilato. Oltretutto, con lo stesso errore (“Caicaros” al posto di “Kaicaros”) di un’altra moneta giunta ai nostri tempi che proviene, evidentemente, dal medesimo conio, battuta nell’anno 29-30. Ancora una volta una stretta concordanza cronologica con la sepoltura di Gesù, anche considerando che nessun presunto falsario medioevale avrebbe potuto possedere, ma nemmeno conoscere, l’esistenza di queste monete, identificate soltanto dagli studi numismatici agli inizi del secolo scorso.

Un bel libro, assolutamente consigliato per il suo equilibrio e la volontà dell’autore a non appoggiare a tutti i costi una tesi precostituita, tanto da avanzare obiezioni ai negatori dell’autenticità della Sindone ma anche ad alcuni autenticisti, quando portatori di tesi deboli e smentite. Mettendo su una bilancia le tesi favorevoli e contrarie all’autenticità, si deve riconoscere che l’unica ipotesi che regge davvero alla prova della storia e della scienza è che la Sindone abbia davvero avvolto il cadavere di Gesù. Questo volume lo dimostra bene.

La redazione

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Padre Byles, il sacerdote cattolico che salvò centinaia di persone sul Titanic

TitanicLa tragedia del Titanic è nota a tutti. L’affondamento del transatlantico britannico il 15 aprile 1912, dove morirono circa 2000 persone, è entrato nella storia come una delle più grandi tragedie in mare.

Un dramma che spinse anche a riflessioni filosofiche: in pieno positivismo, il Titanic rappresentava il frutto più maturo della scienza e della tecnologia di allora, ostentato come una nave inaffondabile, il pupillo della nuova era. Colato a picco in sole 2 ore, oltre che un’immane tragedia umana diventò anche una ferita mortale alla «presuntuosa convinzione positivistica della totale affidabilità della tecnica e della indiscussa capacità della scienza di fare della specie umana l’assoluta dominatrice della natura, facendo aprire gli occhi agli intellettuali più avveduti sui limiti del sapere tecnologico-scientifico» (R. Timossi, “L’illusione dell’ateismo”, San Paolo 2009, p. 70,71).

Tra i passeggeri, quel 15 aprile, c’era anche un santo, il reverendo cattolico Thomas Byles, 42 anni, in viaggio verso New York per presiedere al matrimonio di suo fratello. Agnes McCoy, una superstite del Titanic, ha raccontato che padre Byles stava leggendo il suo breviario quando la nave urtò contro l’iceberg. Tanti altri passeggeri superstiti hanno testimoniato che il reverendo aiutò centinaia di persone a trovare delle scialuppe di salvataggio e per ben due volte rifiutò il posto sulla scialuppa per cederla agli altri passeggeri.

Desiderava consolare chi era rimasto intrappolato a bordo della nave, assolvendoli dai peccati, confortandoli con la preghiera e impartendo loro la benedizione. Scelse di restare sulla nave, morendo assieme a loro. Le testimonianze sono state raccolte nel sito web: www.fatherbyles.com. Papa Pio X lo definì «martire per la Chiesa».

In questi giorni padre Graham Smith, con il sostegno del vescovo Alan Williams della diocesi di Brentwood, ha avviato l’iter per la causa di beatificazione di padre Byles, che egli considera «un uomo straordinario che ha dato la sua vita per gli altri».

Una storia di santità che ricorda quella del francescano polacco padre Massimiliano Kolbe, che si offrì di prendere il posto di un padre di famiglia ebreo, destinato al bunker della fame, nel campo di concentramento di Auschwitz. Venne ucciso dopo due settimane di totale digiuno, durante le quali confortò e pregò assieme ai condannati superstiti. Secondo le testimonianze, mentre l’ufficiale medico di Auschwitz si apprestava ad iniettarli l’acido acido fenico nelle vene, padre Kolbe lo guardò e gli disse: «L’odio non serve a niente, solo l’amore crea!». Le sue ultime parole, porgendo il braccio, furono: «Ave Maria». Era la vigilia della Festa dell’Assunzione di Maria.

La redazione

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La Chiesa costa 6 miliardi? Ovviamente no, i ricavi per lo Stato sono 11 miliardi

turisti romaGià dal primo anno di scuola media si impara il concetto di costo e di ricavo: uno scrittore sostiene dei costi iniziali per pubblicare il suo libro, i quali dovranno poi essere sottratti dai ricavi ottenuti dalla vendita del volume.

Un concetto elementare che guarda caso viene dimenticato quando si parla della presenza della Chiesa sul territorio italiano. Secondo l’associazione ateista Uaar, infatti, i costi della Chiesa per lo Stato italiano sarebbero 6 miliardi.

Alcuni quotidiani, come Il Fatto Quotidiano, hanno recentemente ripreso tale indagine che, tuttavia, risulta completamente inattendibile non tanto perché promossa da un’associazione che ha come unico obiettivo quello di auto-promuoversi accusando la Chiesa di tutti i mali del mondo (bisognerebbe ricordare che coloro che difendono l’indagine degli atei militanti sono poi gli stessi che criticano il consiglio di Stato quando legifera contro le nozze gay, contestando la mancata imparzialità di uno dei giudici in quanto cattolico dichiarato). Il problema è che ci si concentra soltanto sui presunti costi senza considerare i ricavi. Presunti perché ovviamente l’indagine non è stata realizzata da alcuno studioso di comprovata attendibilità.

Un’indagine seria sul tema è stata invece svolta dal vaticanista Giovanni Rusconi, il quale -come chiunque dotato di minima intelligenza avrebbe fatto-, ha rapportato i costi ai ricavi, pubblicando il libro L’impegno. Come la Chiesa italiana accompagna la società nella vita di ogni giorno (Rubettino 2013). I ricavi per lo Stato, ovviamente, sono molto più numerosi dei costi. Soltanto il risparmio dovuto alla presenza delle scuole paritarie si aggira sui 6 miliardi all’anno, secondo il Miur, (qui e qui un approfondimento), coprendo dunque già da solo i (fantomatici) costi che l’Uaar avrebbe conteggiato.

A questi va aggiunto il risparmio per il diffuso impegno nel sociale sostenuto da Caritas e associazioni legate alla Santa Sede, il risparmio derivato dalla sanità ospedaliera (1,2 miliardi all’anno), dal volontariato (2,8 miliardi), dalle comunità di recupero dei tossicodipendenti (800 milioni), da iniziative come il “Banco alimentare” (650 milioni), dalla lotta all’usura, dai prestiti di speranza, dagli aiuti ai terremotati, dagli oratori, dalle attività ricreative delle parrocchie, dai corsi prematrimoniali ecc. Secondo tale indagine il risparmio complessivo è per lo Stato di circa 11 miliardi di euro annui, ovvero quasi il quadruplo di quello che invece la Chiesa riceve: attorno a 1 miliardo di euro l’anno tramite l’8 per mille, più circa 3 miliardi dai contributi versati da regioni, comuni, altri enti statali.

Un’altra voce importante è quella del “turismo religioso” che genera anch’essa miliardi di ricavi per lo Stato: secondo la Coldiretti nel 2014 soltanto per la città di Roma c’è stato un guadagno di oltre 5 miliardi di dollari (dato in coerenza con quello del 2007), poiché i visitatori cattolici rappresentano l’1,5% dei flussi turistici complessivi nel nostro Paese e, per giunta, appartengono ad ogni fascia d’età: il 41,4% di chi viaggia per fede ha fra i 30 e i 50 anni.

Per non parlare dei grandi eventi cattolici che ogni anno si svolgono a Roma (dalla beatificazione di Giovanni Paolo II al Giubileo). Il Conclave del 2013, ad esempio, ha portato un boom di ricavi per Roma, e lo stesso accade in ogni grande città Europea. Dopo la Giornata Mondiale della Gioventù in Spagna, ad esempio, uno studio del PriceWaterhouseCoopers (PwC) ha dimostrato un’entrata di 476 milioni di dollari per la città di Madrid, di cui 37 milioni incassati direttamente dallo Stato in ragione dell’Iva.

Come ha ricordato recentemente il card. Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, «c’è sempre un attacco continuo come se ci fosse un malaffare costituito su questa voce importante che è una provvidenza per la Chiesa in Italia, ma non si dice mai che la Chiesa riceve 1 e restituisce 11, in termini di opere e di iniziative di carattere sociale. Riceve più o meno fino ad adesso un miliardo e ne restituisce più di 11, come è stato documentato. L’anno scorso le mense delle nostre comunità hanno dato 6 milioni di pasti che sono una cifra esorbitante e sono un segnale serio da considerare da parte della società ma soprattutto della politica perché questa è la situazione. Invece, su tutto questo, silenzio».

Parlare di “costi della Chiesa” senza considerare i ricavi, dunque, è un’operazione sbagliata. La presenza della Chiesa sicuramente ha un costo, certamente inferiore agli 11 miliardi che restituisce ogni anno.

La redazione

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Vito Mancuso deluso dal Papa: «perché non vuole cambiare la dottrina?»

mancuso socciC’è forte delusione nel progressismo cattolico: Papa Francesco non ha alcuna intenzione di cambiare la dottrina, nessuna fantomatica apertura, nessun adeguamento al mondo.

Dopo fiumi di inchiostro sulle rivoluzioni dottrinali che avrebbe portato “il nuovo corso” di Francesco, il vaticanista del Fatto QuotidianoMarco Politi, ha smesso da mesi di scrivere libri e articoli ritirandosi in un impacciato e quanto mai salutare silenzio (l’ultimo articolo risale al marzo 2015). Se è sempre più palpabile l’imbarazzo degli storici Alberto Melloni e Massimo Faggioli, il vatiKanista del Manifesto, Luca Kocci, è ancora frastornato dalla scomunica di Papa Francesco dei fondatori dell’associazione Noi siamo Chiesa, leader del progressismo cattolico internazionale a cui Kocci è molto legato e a cui continua imperterrito a dare voce (assieme all’agenzia Adista). Per non parlare del teologo Vito Mancuso. Nel marzo 2014 arrivò a fare pressioni al Papa in un editoriale di Repubblica, minacciando cataclismi se non avesse portato la Chiesa sulla strada dell’aborto libero, dell’eutanasia selvaggia e del matrimonio gay: «che ne sarebbe della Chiesa se fallisse Francesco? Che cosa avverrebbe se le riforme auspicate non andassero in porto e le attese di una nuova primavera si rivelassero solo illusioni? Sarebbe la fine della luce che si è accesa nell’esistenza di tutti gli esseri umani, con Roma che tornerebbe a essere periferia del mondo». 

Francesco ha risposto picche: non solo ha denunciato la falsa compassione che muove i sostenitori della cultura dello scarto (aborto e eutanasia), non solo ha beatificato Paolo VI, ma ha elogiato il suo coraggio per l’enciclica Humanae Vitae vero incubo di Mancuso in quanto incardina definitivamente la dottrina cattolica sulla sessualità-, affermando: «Paolo VI non è stato un arretrato, un chiuso. No, è stato un profeta». Si è anche più volte scagliato contro il gender, legittimando la grande sollevazione popolare che il 21 giugno scorso ha portato in piazza un milione di persone. Proprio in queste ore la portavoce nazionale dei Socialisti, Maria Cristina Pisani, ha accusato Papa Francesco di non essere progressista in quanto, tramite un suo appello pochi giorni fa, ha influito sulla vittoria dei difensori della famiglia nel referendum in Slovenia, abbattendo la legge favorevole ai matrimoni omosessuali. In questi giorni, dopo aver rinnegato il Dio cristiano abbracciando pubblicamente il panenteismo, non potendo negare l’evidenza, Mancuso ha manifestato la sua delusione per Francesco, “tirandogli le orecchie”: «Sta facendo un ottimo lavoro, però occorrerebbe che non si limitasse alla dimensione disciplinare e interna della Curia, che va raddrizzata, ma che la riforma toccasse la dottrina, se si vuole parlare alla coscienza contemporanea».

Per farsi più attraenti agli occhi del mondo, è questa la nota ricetta di Mancuso, la Chiesa dovrebbe riformare quei punti della dottrina che gli stanchi uomini moderni faticano ad accettare. Un po’ come dire: al catechismo vanno pochi bambini? Smettiamo di parlare di Gesù, è troppo difficile, riempiamo le aule di videogiochi e vedrete quanta affluenza avremo! Ma Papa Francesco ha già risposto ai Mancuso, ai Melloni, ai Kocci e a tutti coloro che -ignorando il vicolo buio in cui si è infilata la chiesa protestante-, pensano di “attirare” gli uomini alla Chiesa rivoluzionando le tematiche sessuali e bioetiche. Si chiama, ha detto il Papa, «la tentazione di scendere dalla croce, per accontentare la gente, e non rimanerci, per compiere la volontà del Padre; di piegarsi allo spirito mondano invece di purificarlo e piegarlo allo Spirito di Dio. E’ la tentazione del buonismo distruttivo, che a nome di una misericordia ingannatrice fascia le ferite senza prima curarle e medicarle; che tratta i sintomi e non le cause e le radici. È la tentazione dei “buonisti”, dei timorosi e anche dei cosiddetti “progressisti e liberalisti”». Parole limpide e durissime. La Chiesa, semmai, deve adeguare il modo di comunicare la dottrina cattolica, invitando e accompagnando gli uomini a passare per la porta stretta. Non certo allargare la porta per far fare a loro meno fatica: sarebbe un’illusione e un tradimento.

 

Il colmo è che, se da una parte il Papa viene criticato per non voler cambiare la dottrina cattolica, dall’altra i tradizionalisti-socciani -devoti della chiesa mediatico-opinionista, il cui pastore spirituale è il giornalista Antonio Socci-, criticano pesantemente Francesco, accusandolo di aver (e di voler) cambiato la dottrina cattolica, annunciando a loro volta catastrofici cataclismi apocalittici. Arrivando a rallegrarsi per la diminuzione dei fedeli cattolici alle udienze dell’impostore Bergoglio, come lo chiamano loro, contrapponendolo ai numeri delle udienze del (vero) Papa, Benedetto XVI (rispetto ai numeri, è tutto da approfondire perché la situazione sembra essere ben più complessa).

L’accusa recente più circoscritta dei socciani è quella di aver “aperto” al divorzio cattolico tramite il Motu Proprio “mitis iudex dominus Iesus”. Lo sostiene apertamente il vaticanista dell’Espresso Sandro Magister, che da mesi si sta vendicando di essere stato allontanato dalla Sala Stampa del Vaticano per aver violato l’embargo sull’enciclica del Papa (proprio oggi gli è stato restituito l’accredito), arrivando a compiere veri e propri «atti di disturbo» -così li ha definiti padre Federico Lombardi- verso i lavori del Sinodo. Peccato che lo stesso card. Camillo Ruini, noto pupillo di Magister, ha chiaramente spiegato che «la decisione di papa Francesco», tramite il “motu proprio”, «che molti di noi —me compreso — auspicavano, non ha niente a che fare con un’ipocrisia del genere». Niente a che vedere con il “divorzio cattolico”. Aggiungendo che «bisogna essere ciechi per non vedere l’enorme bene che papa Francesco sta facendo alla Chiesa e alla diffusione del Vangelo».

Sempre il card. Ruini –da sempre riempito di complimenti da Antonio Socci-, è tornato recentemente a criticare i tradizionalisti-socciani affermando: «Il valore di papa Benedetto e del suo pontificato emergerà sempre di più, nel tempo. I rapporti tra lui e papa Francesco dimostrano quanto sia sbagliato contrapporli», ricordando che è anche errato parlare di vescovi conservatori che resistono a Papa Francesco: «Le contrapposizioni non fanno bene, specialmente all’intemo della Chiesa. Quella tra Papa e vescovi è però una leggenda metropolitana».

Anche da casa Ratzinger è arrivata pochi giorni fa un’altra difesa del Pontefice, il segretario personale di Benedetto XVI, mons. Georg Gänswein ha infatti ribadito: «Papa Francesco non vuole creare qualcosa di diverso, tagliare o aggiungere qualcosa ma soltanto mostrare nel concreto il messaggio di Cristo. Lui non è il successore di Benedetto XVI, ma il successore di Pietro e come ogni Pontefice porta con sé le sue capacità e le sue proprie priorità nel suo ministero. Papa Francesco è concentrato sulle domande sociali, su quelle persone che non hanno nessun ruolo nella società. Ma questo non significa che gli altri Papi non lo facessero, soltanto che lui mette l’accento sulle persone nelle periferie». Mons. Georg aveva già criticato gli “anti-bergogliani” nel gennaio 2015, nel febbraio 2015 e nel marzo 2015.

 

Progressisti-mancusiani da una parte e tradizionalisti-socciani dall’altra. Francesco, come abbiamo scritto nell’introduzione del nostro dossier, è il Papa più incompreso degli ultimi secoli, colpito contemporaneamente da due fuochi. Lo riconosceva perfettamente lo stesso Antonio Socci, prima di fondare la sua virtuale chiesa social-mediatica: «Giù le mani dal papa», scriveva con la solita foga nell’ottobre 2013. «Bisogna ripeterlo oggi che Francesco si trova strattonato a destra e a sinistra. Bersagliato da contestatori cattolici superficiali e imprudenti che lo rappresentano come modernista eterodosso e stravolto da sostenitori laicisti che lo applaudono attribuendogli idee egualmente eterodosse e quasi atee. Un circo mediatico assurdo». Un circo mediatico di cui lo stesso Socci è diventato nel tempo il leader indiscusso, contendendo il posto al suo alter-ego progressista Vito Mancuso.

La redazione

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Slovenia: per il popolo, libero pensatore, esiste solo la famiglia naturale

sloveniaJe suis Slovenia. Solidarietà al popolo sloveno, noi ci schieriamo in anticipo. Nessuna bomba dell’Isis, per fortuna, nessun attacco terroristico. Semplicemente attraverso uno storico referendum popolare, gli sloveni hanno detto “no” al matrimonio e all’adozione per le persone dello stesso sesso. Una vittoria schiacciante: 63,3% contro 36,7%.

Solidarietà perché ora sarà durissima: aspettatavi insulti e denigrazione dagli opinionisti del tollerante “mondo progressista”, vi chiameranno omofobi, razzisti, discriminatori, retrogradi. Lo stesso è accaduto nel 2012 con gli abitanti del Nord Carolina, anche loro massicciamente difensori della famiglia tramite referendum e per questo, per settimane, «sono stati sottoposti a livelli straordinari di abusi e di ridicolizzazione», come ha raccontato il laico Brendan O’Neill, editorialista di “Spiked online”. Bollati come “popolo razzista” da parte di migliaia di militanti dei “diritti civili”, convinti che la legalizzazione del matrimonio gay sarebbe equiparabile alla liberazione dei neri dalla schiavitù.

Lo stesso O’Neill ha raccontato anche quanto accaduto in Irlanda pochi mesi fa dove, sempre attraverso un referendum, i cittadini hanno votato in modo opposto a Slovenia e Nord Carolina. Grazie a lui e all’Irish Central sappiamo però che la campagna referendaria è stata caratterizzata dal «soffocamento della libertà d’espressione» per i contrari alle nozze Lgbt, con tanto di minacce verso gli intellettuali contrari (come lo scrittore John Waters, costretto con violenza a cancellare le sue conferenze pubbliche). Il tutto ben oliato dal miliardario irlandese-americano Chuck Feeney che ha investito milioni di dollari per organizzare la campagna pro-Lgbt e trasformato la sua agenzia in una «macchina di lobbyng professionale che lavora a tempo pieno», comprando il voto, letteralmente, dei quotidiani e dei politici.

In Slovenia niente di tutto questo ed infatti i risultati sono stati opposti (così come ha vinto la famiglia in Romania, Polonia e Ungheria). Pensare che, secondo i racconti degli attivisti arcobaleno, il fronte del “si” era ottimista perché «non è semplice per il fronte del no arrivare al quorum richiesto». Sandi Paulina, responsabile esteri di Arcigay Arcobaleno Trieste e cittadino della capitale slovena, ha rivelato che i partiti politici, i vip de Paese e i personaggi dello spettacolo erano tutti schierati a favore delle nozze gay (contraria la Chiesa, Papa Francesco con tanto di appello cinque giorni fa ai pellegrini sloveni a difendere la famiglia, e molte associazioni cittadine). Ed invece il popolo si è dimostrato indipendente dal mondo politico e mondano. Libero pensatore, perché ha già toccato per mano l’oppressione del regime, quello comunista, e non desidera certo mettersi nelle mani di un’altra forma di dittatura: la “colonizzazione ideologica” arcobaleno.

Perché di regime, purtroppo, si tratta: lo sta scoprendo oggi l’Irlanda dato che, in seguito al referendum, il Parlamento di Dublino ha approvato una legge che obbliga le istituzioni cattoliche, comprese le scuole, ad assumere dipendenti apertamente omosessuali, anche se essi contrastano dichiaratamente i principi del datore di lavoro. A tutto questo la Slovenia ha detto “no”, perché difendere la famiglia significa anche difendere la libertà.

 

Aggiornamento 22/12/15
Incredibile come l’Unità, Il Manifesto, l’Huffington Post (solo versione italiana) e il “Fatto Quotidiano” abbiano censurato la notizia (come denunciato anche da Il Foglio). Il Corriere della Sera ha pubblicato due stizzite righe soltanto nell’edizione cartacea, accompagnando la notizia con la foto di una sorridente coppia omosessuale. Il servizio di oggi su “La Croce” sottolinea invece giustamente che l’affluenza alle urne è stata una percentuale degli aventi diritto al voto ben superiore rispetto a quella richiesta dalle regole referendarie (per le quali bastava il 20% di contrari per annullare la legge).

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Nuovo studio: la maggioranza degli scienziati crede in Dio

ScienziatiScienza e fede. Un tema emerso negli ultimi due secoli e, come sempre, caratterizzato da due tipi di estremismi: da una parte gruppi religiosi che hanno paura della scienza, la rifiutano a prescindere temendo che possa entrare in conflitto con la loro fede religiosa. Dall’altra gruppi anti-religiosi che ideologizzano la scienza diffondendo la convinzione che essa conduca necessariamente lontano da Dio.

Ben vengano allora ricerche sociologiche come quelle compiute in questi anni alla Rice University, condotte da Elaine Howard Ecklund, la quale ha studiato e analizzato la posizione religiosa di migliaia di scienziati dimostrando che nella loro vita è assolutamente compatibile la presenza della fede religiosa e dell’indagine scientifica.

Proprio in questi giorni è stata presentata l’ultima indagine di questo filone: concentrandosi esclusivamente su fisici e biologi, è stato loro inviato un sondaggio al quale hanno risposto in 10.000 circa (su 609 dei quali sono state svolte approfondite interviste qualitative). Sono stati intervistati solamente scienziati di Hong Kong, India, Italia, Taiwan, Turchia, Stati Uniti, Francia e Regno Unito.

Il primo dato interessante è che, tranne in Francia e Regno Unito, in tutti gli altri Paesi analizzati gli scienziati che credono in Dio sono più numerosi di quelli che si definiscono atei o agnostici. In Italia, ad esempio, quasi il 60% dei fisici e biologi crede in Dio e si dichiara cattolico mentre soltanto il 20% è ateo e il 23% agnostico. Più numerosi gli scienziati credenti, seppur di poco, anche negli Stati Uniti: il 36% afferma di credere in Dio contro il 35% degli atei e il 29% degli agnostici. Nel Regno Unito e in Francia sono invece maggiori gli scienziati che non credono in Dio, mentre dati completamente opposti si trovano in Turchia (85% degli scienziati è credente contro il 6% di atei e il 9% di agnostici), in India (79% contro 11% di atei e agnostici), a Taiwan (74% contro 14% e 15%) e Hong Kong (54% contro 26% e 20%).

Sbaglierebbe chi volesse trascurare i dati emersi nei Paesi non occidentali, ricordiamo infatti che la Cina (Hong Kong) è il secondo Paese al mondo, dopo gli Stati Uniti, nella classifica delle nazioni con la miglior qualità di ricerca scientifica. L’India è 13esima, dietro l’Italia (8°) ma davanti a Paesi come Olanda, Russia, Belgio e Finlandia. Sbaglia anche Piergiorgio Odifreddi che, comprensibilmente irritato dai risultati dello studio, ha subito affermato che più gli scienziati sono bravi e meno credono in Dio perché tra i Paesi analizzati nello studio quelli con più vincitori di medaglie Fields e premi Nobel per fisica, chimica e medicina sono anche quelli con scienziati più laici. Classica odifreddura: l’indagine era rivolta a fisici e biologi e non ai matematici (medaglia Fields) e il premio Nobel è personale non collettivo, a meno che si creda davvero che gli Stati Uniti e il Regno Unito siano le nazioni più pacifiste del mondo soltanto perché alcuni loro cittadini hanno vinto un numero maggiore di premi Nobel per la Pace rispetto ad altri Stati.

scienziati credenti

Piuttosto che la frequenza di partecipazione ai servizi religiosi o la frequenza della preghiera, ci sembra più interessante rilevare che da questo studio gli scienziati intervistati tendono ad avere una percentuale di affiliazione religiosa inferiore rispetto al totale della popolazione. Se gli italiani affiliati religiosamente sono infatti l’88%, gli scienziati che professano una religione sono il 63%. Non essere affiliati religiosamente, ovviamente, non equivale a non credere in Dio. «Nella maggior parte delle regioni», hanno spiegato i ricercatori, «gli scienziati risultano essere più laici rispetto alla popolazione generale. Tuttavia gli scienziati non credono che la scienza abbia un influsso secolarizzante; invece, la maggior parte pensa che religione e scienza operino in sfere separate. La nostra ricerca rivela che, anche nel più laico dei contesti, scienza e religione in genere non sembrano essere in conflitto nella vita dei singoli scienziati».

Ovvero, gli scienziati sono più laici non a causa del loro lavoro dato che ritengono compatibili scienza e fede. Occorre tuttavia ricordare che in un’indagine del 2014, sempre della Rice University, è stato rilevato che negli Stati Uniti, su 10.000 scienziati americani li 18% frequenta servizi religiosi settimanalmente, rispetto al 20% della popolazione generale degli Stati Uniti; il 15% si considera molto religioso, contro il 19% della popolazione generale degli Stati Uniti; il 13,5% legge settimanalmente testi religiosi, contro il 17% della popolazione degli Stati Uniti e il 19% degli scienziati prega più volte al giorno, contro il 26% della popolazione degli Stati Uniti. Dunque le percentuali di credenti e del loro impegno religioso sono piuttosto simili tra gli scienziati americani e la popolazione generale.

Se dunque ci sono dati contraddittori sulla percentuale di scienziati credenti rispetto al resto della popolazione, è ormai fuori discussione che gli uomini di scienza sono oggi in maggioranza credenti e religiosi. Questo è il dato certo che è costante in tutti gli studi apparsi in questi anni.

Bella la testimonianza raccolta da Repubblica di Gianpaolo Bellini, ordinario di Fisica Nucleare e Subnucleare presso l’Università degli Studi di Milano (già sostenitore della visita a “La Sapienza” di Roma da parte di Benedetto XVI): «Sono un fisico delle particelle elementari e credo che una logica così enormemente estesa non possa essere casuale. Dietro alla forma e all’ordine dell’universo c’è, secondo me, un input. Se alcuni dati della natura fossero stati anche solo minimamente diversi da quel che sono, la vita sulla Terra non sarebbe stata possibile». Gli ha fatto eco il noto fisico Lucio Rossi, cattolico praticante e tra i responsabili del CERN di Ginevra: «Mi sono convinto che l’ipotesi che tutto sia nato per caso è molto più difficile da accettare che non l’esistenza di Dio. Al Cern siamo in molti credenti, e non solo cristiani».

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Lo studioso diventato cristiano grazie alla ricerca sul Gesù storico

.Un nome che spesso emerge nel dibattito sul Gesù storico è quello di Bart Ehrman, tra i pochi studiosi del cristianesimo primitivo e del Nuovo Testamento che non credono a quel che Gesù Cristo diceva di essere. Per questo viene spesso citato dai critici della storicitá.

Ehrman ha scritto molti libri divulgativi, ma non é uno studioso importante né é riconosciuto tra i principali addetti ai lavori, basti pensare che in nessun libro viene citato dal più importante biblista vivente, il prof. J.P. Meier. Essendo un abile oratore, Ehrman ama spesso raccontare la sua de-conversione dal cristianesimo evangelico all’agnosticismo. Secondo molti avrebbe abbandonato la sua fede a causa dei suoi studi, in realtà spesso ha ricordato che l’approdo allo scetticismo seguì all’incapacità di comprendere la coesistenza di Dio con la sofferenza nel mondo. Un’obiezione valida, forse l’unica seria mai partorita dall’uomo nei confronti di Dio, verso la quale abbiamo più volte giustificato la nostra posizione (qui, qui e qui).

Sono tanti invece gli studiosi che andrebbero citati come testimoni di un percorso inverso, che sono cioè passati dall’ateismo o dall’agnosticismo alla fede cristiana grazie agli studi sulla storicità del cristianesimo. Uno di questi è Michael Bird, oggi famoso teologo australiano e docente di Nuovo Testamento presso il Ridley Theological College di Melbourne. «Sono cresciuto in un ambiente laicista nella periferia dell’Australia», ha raccontato recentemente, «la religione era categoricamente respinta, vista come un’inutile stampella e le persone di fede venivano derise per la loro ipocrisia morale. Da adolescente ho scritto poesie beffarde contro la fede in Dio, mentre mia madre bestemmiava talmente tanto da far arrossire anche un marinaio».

Questo fino a quando ha iniziato a leggere il Nuovo Testamento, studiandolo seriamente anche come professione: «Il Gesù che ho incontrato è stato molto diverso dal grande illuso o dal mito che mi era stato descritto. Il Gesù della storia era reale, mi ha fatto riflettere sul senso dell’esistenza umana, mi ha colpito la testimonianza della Chiesa primitiva su Gesù: con la sua morte Dio ha vinto il male e con la sua risurrezione ha portato vita e speranza a tutti». Così è arrivata anche la conversione personale, «quando ho attraversato l’incredulità per arrivare alla fede, tutti i pezzi improvvisamente hanno iniziato a combaciare: avevo sempre sentito uno strano disagio verso il mio scetticismo, un grave sospetto che avrebbe potuto esserci qualcosa di più, qualcosa di trascendente, ma sapevo anche che mi era stato detto che era stupido pensarci. La fede è cresciuta dai semi del dubbio ed è emerso un mondo tutto nuovo che, per la prima volta, aveva un senso per me».

Oggi Bird è un noto biblista e spesso è entrato in dibattito proprio con le tesi di Ehrman, il quale conferma la storicità dei Vangeli ma ritiene Gesù un apocalitticista ebreo che predicava l’immediata fine del mondo, trasformato gradualmente in un essere divino dai suoi discepoli. Bird, assieme ad altri quattro noti studiosi -Craig Evans, Simon Gathercole, Chris Tilling, e Charles Hill-, ha anche pubblicato un libro, intitolato How God Became Jesus: The Real Origins of Belief in Jesus’ Divine Nature—A Response to Bart D. Ehrman, rispondendo alle tesi di Ehrman e mostrando i suoi numerosi errori.

«La mia fede e i miei studi mi hanno portato a credere l’opposto di quello in cui crede Ehrman», ha spiegato ancora il prof. Bird. «Gesù non è stato visto come un dio greco, come Zeus che trotterellava sulla terra o un essere umano che si è trasformato in un angelo al momento della morte. Piuttosto, i primi cristiani hanno ridefinito il concetto di “un solo Dio” per la persona e l’opera di Gesù Cristo. Molti sono convinti che Gesù era solo un profeta e non ha mai affermato di essere Dio, ma uno sguardo attento ai Vangeli dimostra che il Gesù storico chiaramente esercita prerogative divine. Egli si identifica con l’attività di Dio nel mondo e credeva che nella sua persona, il Dio di Israele stava tornando a Sion proprio come i profeti avevano promesso. Queste affermazioni, quando sono studiate da vicino, sono de facto affermazioni di divinità, motivo per cui i capi religiosi del tempo si indignarono. L’evidenza mostra che Gesù ha affermato di essere Dio incarnato, e entro 20 anni dopo la sua morte e risurrezione, i cristiani lo identificando con il Dio di Israele, utilizzando il linguaggio e la grammatica del Vecchio Testamento».

Proprio su quest’ultimo tema, ovvero l’auto-dichiarata divinità di Gesù, consigliamo il libro recentemente pubblicato in italiano Gesù figlio di Dio (EDB 2015) di Gérard Rossé, ordinario di Teologia biblica presso il Sophia University Institute. «La vera storia di Gesù Cristo è una buona notizia, e ha trasformato la mia vita», ha concluso il prof. Michael Bird. «È per questo che sto combattendo per raccontarla in mezzo a una cacofonia di voci sbagliate».

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«Io, magistrato laico, vi spiego perché togliere i simboli cristiani dalle scuole è una violenza»

Crocifisso scuola 
di Bruno Ferraro*
*Presidente Aggiunto Onorario Corte di Cassazione
 
da Libero, 16/12/15
 
 
Da quando si è dilatato il fenomeno dell’immigrazione, con conseguente massiccio arrivo nel nostro Paese di migliaia di migranti di fede islamica, si assiste ciclicamente al riemergere di fondamentalismi che si ritenevano superati dalla storia.

In questa occasione mi sento dunque obbligato a fare chiarezza, soffermandomi a parlare del fondamentalismo a sfondo etnico-religioso, della giusta collocazione dei simboli religiosi nel quadro della libertà di culto, facendo tesoro dei principi costituzionali che mi sembrano (malgrado la Costituzione risalga al 1948) moderni, lungimiranti e al passo con i tempi.

Afferma dunque l’art. 19 che tutti, senza distinzione, hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di diritti contrari al buon costume. Ancor prima l’art. 3 afferma la pari dignità sociale e l’eguaglianza davanti alla legge, senza distinzione di religione, facendo obbligo alla Repubblica di rimuovere gli ostacoli che impediscono il raggiungimento della parità. Qualora si rifletta sul significato dei richiamati principi, tanti atteggiamenti si condannano da soli e prese di posizione basate su un malinteso senso del rispetto per il diritto al dissenso rivelano l’assoluta fragilità delle premesse che sono alla loro base.

Valga il vero. “L’Assessore mette un crocifisso e il Sindaco Pd lo caccia via” (ottobre 2012) per finire (si fa per dire) ai giorni nostri: “Il Preside nega il concerto di Natale” (a Rozzano); “Il Preside non autorizza la visita del Vescovo” (nel Sassarese); “Il Vescovo di Padova invita a fare tanti passi indietro per mantenerci nella pace”. Il perché del mio aperto dissenso, da giurista e non da credente, è presto detto. Intanto, come ho ricordato, libertà religiosa e libertà di culto sono massimamente tutelati dalla Costituzione, la quale non sceglie affatto di trasformare in un valore la cosiddetta laicità. Lo Stato è laico ma i cittadini fanno bene, per se stessi e per i figli, a coltivare una formazione religiosa.

In secondo luogo, escludere i simboli religiosi dalle scuole, violando consuetudini che si perdono nel tempo, ha il significato di un atto di violenza che nei confronti dei più piccoli che alla festa del presepe e alla presenza del crocifisso sono da sempre abituati, al pari dei canti natalizi e dell’alberto di Natale. In questo i bambini sono andati oltre ogni pregiudizio, a prescindere dal credo religioso, come pure gli adulti musulmani interpellati che hanno convenuto sulla “non offensività” dei simboli cristiani.

In terzo luogo, l’idea dell’integrazione non presuppone la cancellazione della propria identità, né questa può costituire una “provocazione”. Se così fosse, dovremmo bandire la libertà di culto, che è invece garantita dalla Costituzione. In quarto luogo, non si capisce il nesso tra pace, amicizia e fratellanza e il bando del Natale e del crocifisso dall’altra: dobbiamo allora abolire le feste scolastiche natalizie? Infine, presepe e crocifisso non sono simboli che dividono: il primo evoca il ricordo di una società bucolica fatta di persone semplici e timorate; il secondo è un clamoroso esempio di “risarcimento” nei confronti della più illustre vittima di un errore giudiziario nella storia (Gesù Cristo).

L’Associazione genitori (AGE) ha affermato che «l’inclusione non passa per la cancellazione della storia, delle tradizioni e dei simboli fondanti e identitari di un popolo e di un Paese». Tolleranza e reciproca conoscenza sì, ma non bollando il cristianesimo, che ha contrassegnato e permeato la storia e le manifestazioni artistiche e letterarie della nostra Italia. Tuteliamo quindi la libertà di culto e di religione degli altri, ma senza negare la stessa a noi medesimi!

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Testimonianze di fede e conversioni tra i lottatori del Wrestling Wwe

wrestlingNon solo Tombstones, Chockeslams e 619 (da leggere tassativamente “sixonenine”): la strada che conduce sul ring della WWE, la lega di wrestling più famosa al mondo, è attraversata di testimonianze di tafede. Oltre a (finti) calci, pugni, mosse di sottomissione (ovviamente è una lotta simulata, perché i lottatori in realtà sono bravi attori) e, purtroppo, sporadici incidenti mortali.

Riservando ad altri autori più competenti di me ogni giudizio etico-morale sul Wrestling e, più in generale, su tutti gli sport da combattimento, mi accingo con questo breve articolo a tratteggiare un breve percorso di luce tra le fitte tenebre di questo mondo in cui la violenza, seppur in gran parte simulata, è elevata ad intrattenimento delle masse.

 

La figura di Shawn Michaels non ha certo bisogno di presentazioni per gli appassioanti: atleta simbolo della WWE nel ventennio 1990-2010, tra i suoi innumerevoli premi e riconoscimenti, spiccano le Royal Rumble del 1995 e 1996 e i quattro titoli di campione del mondo. In una sua intervista rilasciata al sito Christian Post, in occasione dell’uscita dell’ultimo libro di cui è autore (“Wrestling for My Life: The Legend, the Reality, and the Faith of a WWE Superstar”; epub Edition; 2014), l’ex wrestler racconta di come ha ritrovato la fede, dopo anni di errori e dipendenze.

Nato nel 1965, Michael Shawn Hickenbottom ha debuttato nella WWE nel 1988. Cresciuto in una famiglia di fede cattolica, ha sempre ammirato la figura di Gesù Cristo, senza tuttavia aver mai provato un’esperienza profonda di fede: «Le opere buone che ogni tanto facevo mi sembravano sufficienti a tener vivo il mio profilo spirituale», ha raccontato. Durante i primi anni ‘90 l’atleta si è fatto subito notare per il comportamento estroverso, a tratti arrogante, nei confronti dei suoi colleghi, dentro e fuori dal ring. Nel suo libro ammette, inoltre, di aver cominciato a bere e ad abusare di droghe e medicine, al punto da cadere nella dipendenza da antidolorifici. Costretto al ritiro dalle scene nel 1998 a causa di un grave infortunio, ha seguito i consigli della moglie accettando di riprendere un cammino di fede.

«Ho capito che si può credere senza troppi problemi alla figura storica di Gesù. Ma riconoscerlo come il Figlio di Dio attraverso il quale possiamo essere riconciliati con l’Onnipotente, è tutta un’altra cosa». In “Wrestling for my life” Michaels racconta che nel 2002, dopo aver sconfitto le sue dipendenze, forte di una fede rinnovata e seriamente determinato ad essere un buon padre e marito, è tornato finalmente sul ring. Il profondo cambiamento, racconta, è stato subito notato dai colleghi e amici di sempre: “Triple H” e “Stone Cold” Steve Austin. Un ritorno durato 8 anni, nel 2010 si è ritirato definitivamente delle scene per dedicarsi completamente alla sua famiglia.

 

Un’altra testimonianza simile è quella di Taryn Terrell (“Tiffany” per i fan), giovane wrestler statunitense. In un recente video postato su Youtube ha raccontato di aver accantonato «il desiderio di vivere una vita cristiana», nonostante l’educazione alla fede ricevuta sin da bambina. «Ho vissuto nel peccato. Non ero una brava persona: mi vergogno di quello che ero e delle decisioni che ho preso. Molte volte ho pensato: “Come faccio a essere una cristiana?”; “Come può Dio accettare una come me?». Smessi i panni di “Tiffany” per la WWE, oggi Taryn milita nella TNA (probabilmente la seconda lega di wrestling più famosa al mondo). Il suo approccio alla vita è radicalmente cambiato: da giugno di quest’anno, infatti, ha deciso di intraprendere un percorso di riavvicinamento alla fede.

«Quello che non avevo capito sull’essere salvati era che avrei potuto ottenere il perdono», ha proseguito la nota lottatrice. «Avrei potuto realmente essere perdonata per tutti i peccati che avevo commesso». La vera conversione è arrivata «quando a giugno un direttore spirituale mi ha chiesto se credevo di potermi salvare. Ancora una volta io ho dato la stessa risposta: “Sì, certamente. Credo in Dio e nel Paradiso”. E’ stato in quel momento che lui mi ha risposto: “Ottimo, ma essere cristiani significa credere in Gesù Cristo. Credere che è morto sulla croce per i nostri peccati, che è risorto e ritornerà ancora. Questo è il tuo biglietto per il paradiso». Soltanto dopo qualche giorno di riflessione ha intuito l’importanza salvifica della Passione dei Gesù: «Ricordo che stavo guidando. Mia figlia era seduta dietro e all’improvviso ho avuto la sconvolgente sensazione che Qualcuno fosse veramente morto per me. Non stiamo qui a parlare di uno che ha detto: “Ok, sei perdonata”, ma di qualcuno che ha realmente sofferto ed è morto, così che noi potessimo essere perdonati».

«Questo è l’inizio del mio viaggio», ha concluso Taryn rivolta agli spettatori. «Questa sono io, una cristiana giovane, che ti offre una testimonianza perché fino a ieri mi trovavo anche io dall’altra parte chiedendomi: “Che senso ha tutto questo? Andrò in paradiso? Ho veramente bisogno di relazionarmi con Dio? Non basta essere buoni, compiere opere buone? No, non è sufficiente. Abbiamo bisogno di un rapporto intimo con Dio».

 

Anche il celeberrimo (e super tatuato) Rey Misterio, wrestler pluridecorato della WWE oggi sotto contratto per la AAA (federazione messicana di lucha libre), si è sempre dichiarato cattolico, arrivando ad attribuire alla bontà divina i suoi successi nel mondo del wrestling: «Credo fermamente che Dio abbia un disegno per ognuno di noi. E il mio scopo, in definitiva, è stato quello di essere un performer, un intrattenitore per il nostro pubblico. Ringrazio Dio ogni giorno per tutto quello che ha donato a me e alla mia famiglia».

 

La lista di questi insoliti testimoni della fede in Gesù Cristo sarebbe ancora lunga, ma vorrei concludere con la star di tutti tempi, l’unico wrestler conosciuto anche da chi il Wrestling non lo ha mai seguito: Terry Bollea aka “Hulk Hogan”. Una vita di eccessi, successi, e rabbia che lo hanno portato sul ciglio del baratro. A seguito dell’arresto del figlio nel 2007 e dell’abbandono della moglie dopo 22 anni di matrimonio, Hogan è stato sul punto di togliersi la vita, pistola alla mano. All’improvviso, ha raccontato in una intervista per la CNN, «mi sono reso conto che tutto quello di cui avevo bisogno era qui, dentro di me: la felicità, la fede e la mia religione. Lo spirito di Cristo era in me. In quel momento ho realizzato di aver sempre avuto tutto il necessario. Non appena ho ritrovato la fede sono ripartito e ora la mia vita sta andando in una direzione che è così positiva e ho così tante brave persone intorno a me».

 

Storie come tante, uomini e donne feriti dalla vita, con le loro coerenze ed incoerenze ma in cerca come tutti di una risposta alla ineludibile domanda di significato. Si, anche nel Wrestling c’è chi, tra un superkick e un atomic drop, riesce a fermarsi un attimo e -come ha fatto Tiffany- riflettere: «No, niente è sufficiente. Abbiamo bisogno di un rapporto intimo con Dio».

Filippo Chelli

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Utero in affitto e “donne generose”: ma i bimbi non sono pacchi regalo

Utero in affittoTutti condannano la maternità surrogata, ma si gioca sull’equivoco che sarebbe lecito quando è una “libera scelta” di una donna generosa. Si evita lo sfruttamento della madre, ma rimane immorale trattare i bambini come oggetti da regalare, come fossero pacchi natalizi. La voce delle femministe.

 
 
 

No all’utero in affitto ma sì alle “donne generose”?

In seguito al polverone suscitato dal coraggioso appello delle femministe (rosse) di Se non ora quando – Libere, fortemente contrario alla maternità surrogata, la posizione mediatica che è maggiormente emersa è stata ben coordinata.

Da un lato sostenere tale indignazione ma, contemporaneamente, approvare la cosiddetta gestazione per altri, definendo cioè come «atto di libertà» la scelta di una “donna generosa” di partorire un bambino per regalarlo -senza passaggio di denaro- ad una coppia di amici gay (o etero).

 

No all’utero in affitto, si alle “donne generose”?

Un esempio è quello di Corrado Augias (già contrario al matrimonio tra persone dello stesso sesso), che dopo aver criticato l’utero in affitto ha commentato: «Diverso il caso quando l’utero viene ‘affittato’ come gesto d’amore; tale fu il caso di due sorelle, di cui si lesse tempo fa, in cui una delle due, sterile, chiese all’altra di farle nascere un figlio. L’amore, ecco una parola che segna, ancora una volta, il discrimine».

Un altro caso paradigmatico è quello dell’on. Ivan Scalfarotto, punta di diamante dell’associazionismo Lgbt, che ha così commentato la dura condanna odierna del Parlamento Europeo della maternità surrogata: «Brava l’Europa che condanna l’utero in affitto nei Paesi poveri, ma leggo di donne che lo fanno per le sorelle, che portano avanti la gravidanza per amicizia, affetto. Che lo fanno per libera scelta».

Emanuele Trevi sul Corriere parla di «contratto fra esseri umani liberi e consapevoli», da una parte la madre generosa e dall’altra la coppia gay di amici di famiglia.

 

I neonati non si regalano per generosità

Le sorelle che si regalano i bambini per amicizia e solidarietà? Nessuno si accorge che i bambini non possono essere trattati come “pacchetti regalo”? Oltre al fatto che queste fantomatiche “donne generose” ricevono comunque una ricompensa economica, come ha ammesso una di loro rivelando di aver guadagnato 20mila dollari.

Ma il problema vero è il “regalo di neonati” operato dalle mamme generose occidentali, pratica altrettanto indegna quanto l’affitto degli uteri delle povere donne indiane.

Un figlio strappato dal grembo materno in cui è nato e cresciuto per nove mesi, durante cui ha sviluppato una relazione fortissima con la madre che la medicina definisce “vita prenatale” o “bonding“. Gli studi scientifici hanno dimostrato che il legame madre-feto è talmente intenso e continuo che arriva ad influenzare la vita del bambino anche dopo la nascita.

Come ha spiegato Anna Della Vedova, psicologa dell’Università di Brescia, «i vissuti relativi alle esperienze intrauterine e all’investimento emotivo delle stesse si pongono come la base più antica e profonda nella formazione del sé».

Da considerare non c’è dunque soltanto la schiavitù della donna, perché la maternità surrogata comporta anche una violentissima ingiustizia verso i bambini, trattati come oggetti, sradicati dal corpo materno nel quale si sono formati e con il quale hanno strutturato un intimo rapporto d’affetto, il più intimo della loro vita.

 

La voce delle femministe contro gestazione per altri

Lo hanno ricordato anche le stesse femministe di “Se non ora quando”: «Il percorso di vita che una donna e il suo futuro bambino compiono insieme è un’avventura umana straordinaria. I bambini non sono cose da vendere o da “donare”»..

Parole simili a quelle della filosofa californiana Rivka Weinberg: «Non si può trattare una persona come una cosa, anche se la si scambia gratis».

Chiarissimo il pensiero di Ritanna Armeni: «Nessuna donna accetterebbe di fare un figlio per altri come donazione gratuita: per nove mesi se l’è cresciuto dentro, con lui ha instaurato la più stretta relazione che si possa avere con un altro essere umano. La maternità però non è semplicemente un utero che si noleggia, non compri un organo ma una relazione! Ci parlano tanto di quanto è importante fin dal primo momento il rapporto madre e figlio, poi quando fa comodo ignoriamo tutto?».

Anche l’ex ministro della Sanità, Livia Turco, dello stesso parere: « Da quando in qua esiste il diritto a un figlio? Avere un figlio non significa fabbricare qualcosa». Bisogna imparare «quanto di umanamente straordinario c’è nella relazione tra una madre e il figlio che mette al mondo. Portare in grembo un figlio per cederlo ad altri su commissione è una forma di arretramento spaventoso. E questo va detto chiaramente ai giovani, ingannati dai media e superficiali, che non immaginano a cosa ci porterà questa logica individualista se non ci fermiamo in tempo».

La più bella intervista sul tema è quella alla filosofa Elisa Grimi, docente presso l’Université de Neuchâtel e direttrice della rivista Philosophical News. Andrebbe letta integralmente, riportiamo solo un passaggio: «una gravidanza richiede tempo, e in quel tempo la vita si forma nella vita, in un tutt’uno, infinitamente misterioso, un tempo carico di attesa. Pertanto il presente non può essere salvato da una iniziativa umana, ma dal riconoscere a chi appartiene la vita. E il figlio ha una sola madre».

Il fenomeno della maternità surrogata, dunque, è un crimine sia quando c’è di mezzo lo sfruttamento delle donne e l’acquisto economico del loro utero, pratica che fortunatamente nessuno più difende, sia -soprattutto- quando a essere ingravidata (gestazione per altri, gpa) è una donna che per libera scelta decide di sfornare un bambino e regalarlo, in un moto di generosità, ai bisognosi, così come farebbe per un pacco natalizio.

La più famosa femminista europea, Sylviane Agacinski, lo ha ben ricordato annunciando un convengo nel Parlamento francese per l’abolizione universale dell’utero in affitto: «I bambini sono persone, non si tratta di cose» da regalare con generosità a chi non ne ha.

La redazione

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