Francesco: «la misericordia? Infinita, ma prima riconosci il peccato»

Il nome di Dio è misericordia«La Chiesa condanna il peccato perché deve dire la verità: questo è un peccato. Ma allo stesso tempo abbraccia il peccatore che si riconosce tale, lo avvicina, gli parla della misericordia infinita di Dio». Queste le parole di Papa Francesco contenute nel libro-intervista “Il nome di Dio è Misericordia” (Piemme 2016), curato da Andrea Tornielli.

Un testo molto bello che sa mostrare l’inesistenza di una contraddizione tra la misericordia infinita di Dio e il sacramento della Confessione e chiarisce che la Misericordia di cui parla così spesso Francesco non ha nulla a che fare con il buonismo o con presunte abolizioni del peccato, come ripetono (con molta furbizia) i giornalisti laicisti e gli improvvisati (a)teologi Antonio Socci ed Eugenio Scalfari.

Dio è misericordioso perché perdona tutto solo se c’è la consapevolezza del peccato, cioè l’accorgimento e il pentimento di aver fatto scelte o intrapreso strade contrarie alla propria felicità (lo aveva già scritto nella bolla Misericordiae Vultus). Si, perché il peccato è un inciampo sul cammino, uno sbaglio per la propria vita, una negazione della propria felicità. E’ peccato perché è contro noi stessi, innanzitutto. E poi contro Dio, perché Lui ci ha creato perché fossimo lieti, compiuti. Non bisogna evitare il peccato perché “facciamo scontento Dio”, come qualche catechista dice ai bambini. Ma perché facciamo scontenti noi stessi, innanzitutto, allontanandoci dal nostro bene e, quindi, da Dio.

“Ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione”, si legge nel Vangelo di Luca (15, 7). «Seguendo il Signore», commenta Papa Francesco, «la Chiesa è chiamata a effondere la sua misericordia su tutti coloro che si riconoscono peccatori, responsabili del male compiuto, che si sentono bisognosi di perdono. La Chiesa non è al mondo per condannare, ma per permettere l’incontro con quell’amore viscerale che è la misericordia di Dio».

Illuminante anche la riflessione del Pontefice sulla differenza tra peccatore e corrotto. «La corruzione è il peccato che invece di essere riconosciuto come tale e di renderci umili, viene elevato a sistema, diventa un abito mentale, un modo di vivere», ha spiegato Francesco. «Non ci sentiamo più bisognosi di perdono e di misericordia, ma giustifichiamo noi stessi e i nostri comportamenti. Il peccatore pentito, che poi cade e ricade nel peccato a motivo della sua debolezza, trova nuovamente perdono, se si riconosce bisognoso di misericordia. Il corrotto, invece, è colui che pecca e non si pente, colui che pecca e finge di essere cristiano, e con la sua doppia vita dà scandalo. Il corrotto non conosce l’umiltà, non si ritiene bisognoso di aiuto, conduce una doppia vita. Il corrotto si stanca di chiedere perdono e finisce per credere di non doverlo più chiedere. Non ci si trasforma di colpo in corrotti, c’è un declino lungo, nel quale si scivola e che non si identifica semplicemente con una serie di peccati».

Si può essere peccatori ma non corrotti. Un esempio evangelico è Zaccheo, un grande peccatore ma che non aveva il cuore corrotto, tant’è che riuscì a convertirsi quando Gesù scelse di andare a casa sua, scandalizzando i giornalisti tradizionalisti di allora. «Nel suo cuore peccatore aveva qualcosa che lo salvava dalla corruzione. Era aperto al perdono, il suo cuore avvertiva la propria debolezza, e questo è stato lo spiraglio che ha fatto entrare la forza di Dio». La “Chiesa in uscita”, spesso invocata dal Papa, è Gesù che non ha remore di “uscire” ad incontrare Zaccheo, guardandolo come un uomo ferito mentre da tutti veniva considerato come un ladro, e questo sguardo nuovo su di sé gli ha permesso di percepire il suo peccato e convertirsi. «Il peccatore, nel riconoscersi tale», ha concluso Francesco, «in qualche modo ammette che ciò a cui ha aderito, o aderisce, è falso. Il corrotto, invece, nasconde ciò che considera il suo vero tesoro, ciò che lo rende schiavo, e maschera il suo vizio con la buona educazione, facendo sempre in modo di salvare le apparenze».

Francesco non inventa nulla ma ribadisce quanto scritto nel Catechismo: la Chiesa condanna il peccato e abbraccia il peccatore. Correttamente Sandro Magister, il vaticanista più strumentalizzato dagli anti-papisti sedicenti difensori della Tradizione, ha scritto: «Francesco, papa della tradizione».

La redazione

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Dentro al Corano si nascondono anche i testi evangelici

Corano bibbia 
 
 
di Lorenzo Fazzini*
*direttore di Editrice Missionaria Italiana (EMI)

da Avvenire, 07/01/15

 

Il Corano è stato dettato da Allah, è increato e sceso direttamente dal Cielo. Questa è la vulgata classica che comunemente si conosce del libro sacro del miliardo e più di fedeli islamici. La critica letteraria e testuale del Corano, così come vige nella cultura occidentale in ambito biblico, è considerata pressoché preclusa in ambito islamico, appunto perché il Corano è “disceso” già composto dal cielo.

Ma davvero non c’è discussione su questo, neppure in casa islamica? Non sembra proprio se si prende e si consulta quello che alcuni osservatori del mercato editoriale, alla scorsa Buchmesse di Francoforte, hanno definito “il libro religioso dell’anno”. Raccoglie undici saggi di altrettanti studiosi, tra i più specializzati in questioni islamiche, provenienti da prestigiose università di ogni dove ( Tel Aviv, Atene, Gerusalemme, Parigi, Bruxelles, Londra). Tema, Controverses sur les écritures canoniques de l’islam (“Controversie sulle scritture canoniche dell’islam”, Editions du Cerf, pagine 448, euro 35), testo poderoso curato da Daniel De Smet, direttore di ricerca al Cnrs, e Mohammad Ali Amir-Moezzi, titolare della cattedra di teologia e esegesi coranica classica all’Ecole Pratique des Hautes Etudes di Parigi, studioso sciita apprezzato a livello mondiale. A pubblicare il tomo – con autori di diverse estrazioni culturali, anche ebraiche – è la cattolicissima casa editrice dei domenicani transalpini, guidata da qualche tempo da un valente studioso ortodosso, Jean-François Colosimo.

Molteplici gli spunti, anche curiosi, da questo volume, certamente dedicato agli specialisti, ma di cui un’edizione italiana sarebbe auspicabile. Primo dato: il Corano è un testo letterario come altri, in cui poter rintracciare influenze letterarie, tradizioni culturali diverse, debiti testuali, e altro. Esempi? A bizzeffe. Joan Van Reeth mette a confronto i versetti evangelici in cui Gesù si auto-presenta come inviato del Padre e l’auto-presentazione di Issa (il nome arabo di Gesù) nella sura coranica 3. Le somiglianze portano Van Reeth a chiosare: «Questo dettaglio prova in maniera incontestabile che il Corano è un’opera scritturistica e che il redattore del Corano aveva il testo evangelico davanti a sé, o almeno lo aveva presente in testa, dal momento che il Profeta cita le affermazioni di Gesù con le loro caratteristiche formali proprie».

Ancora. I residui biblici, sia apocrifi che canonici (tra cui i Salmi), così come di testi cristiani più recenti, sono numerosi nel Corano: il Vangelo dello pseudo Matteo, frammenti delle profezie di Montano e delle sue profetesse, gli scritti siriaci di San Efrem segnalano le contaminazioni che l’islam ha ricevuto dal primo cristianesimo. E che fanno dire a Van Reeth, citando lo studioso Claude Gillot: «Maometto e la sua comunità conoscevano dell’ebraismo, del cristianesimo, del manicheismo e dello gnosticismo molto più di quello che spesso erano disponibili a riconoscerlo». Già il biblista tedesco Joachim Gnilka aveva indagato, anni fa, come da titolo di un suo libro, su quali fossero i «cristiani del Corano», ovvero a quali comunità appartenessero i cristiani citati nel libro sacro islamico. Van Reeth suggerisce che l’influenza delle comunità siriache manichee – presenti nell’Arabia del tempo – sulla composizione di Maometto: «I generi letterari esegetici e parenetici presenti nel Corano lo sono anche nell’opera di Mani, visto che quest’ultimo ha scritto lettere, omelie e salmi».

Tra le controversie che il titolo dell’opera edita da Cerf va annoverata vi è appunto l’origine unicamente divina, senza intermediazioni umani, del Corano. Questa visione, segnala Daniel De Smet, viene contestata all’interno della stessa umma se è vero che la tradizione ismaelita considera tutto ciò alla stregua di un “simbolo”: «Ai loro occhi solo gli esoterici prendono, per ignoranza, alla lettera un tale racconto ». Anche per i musulmani ismaeliti considerare l’idea che Dio “parla” è una «forma di antropomorfismo», da rigettare in toto. Altra questione-calda è quella della traduzione del sacro testo: se il Corano è parola di Dio, ed è arrivata in una lingua precisa, l’arabo, esso può venir tradotto in altri idiomi? L’andaluso Ibn Hazm (morto nel 1064) era categorico, riferisce Meir Michael Bar-Asher: «Colui che legge il Corano in un altra lingua che Dio non ha inviato tramite l’intermediazione del suo profeta, non legge il Corano». Ma come si concilia questa con «l’ammissione universale, attestata in numerosi versetti coranici, che il messaggio di Maometto è rivolto a tutta l’umanità e non solo agli arabi?». Lo stesso autore (docente di studi islamici all’Università ebraica di Gerusalemme) segnala che «la traduzione del Corano della setta degli Ahmadi, per esempio, è stata messa all’indice dall’università di Al-Azhar». Lo stesso è capitato per la versione turca: «Aver pubblicato nel 1932 una traduzione turca senza l’originale arabo fu un fatto senza precedenti e ha suscitato critiche molto severe da parte delle autorità religiose islamiche».

È poi da notare, come fa Amir-Moezzi, che le discussioni intramusulmane non si limitano alla redazione del Corano, ma investono anche la comprensione degli Hadith, i detti di Maometto trasmessi dalla tradizione. Tali detti hanno una duplice matrice, da un lato «elementi che potremmo qualificare mistici, iniziatici e, si potrebbe dire, magici, largamente tributari dei movimenti gnostici e manichei, così come delle correnti del pensiero neoplatinico della tarda antichità». Dall’altra parte, gli stessi detti maomettani presentano una «tradizione teologico-giuridico razionalista». Una compresenza che fa dunque propendere per un’origine letteraria composita e non uniforme di tali detti.

Si accennava ai debiti cristiani dell’islam, in particolare di Maometto. È curioso venir a sapere che esistono ipotesi di studio secondo le quali la Mecca non era un santuario pagano, poi islamizzato da Maometto, come spesso riferito dalla tradizione islamica più ortodossa, bensì fosse in precedenza una chiesa cristiana, costruita dalla tribù dei Gurhum installatasi alla Mecca. A tal proposito, Van Reeth fa notare che quando Maometto entra nella Kaaba, vi trova degli affreschi che rappresentano Abramo, Gesù, Maria e degli angeli. Fatto impossibile in un tempio pagano. E inoltre, da un punto di vista architettonico, vi si rintraccia una forma absidale rivolta a est. Lo studioso fa notare un altro dettaglio pro-cristianesimo: il nonno di Maometto, ’Abd al-Muttalib, avrebbe esercitato un ruolo cultuale importante in questo tempio cristiano.

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Gli italiani restano contrari al ddl Cirinnà

Siamo quindi arrivati alla resa dei conti: il 26 gennaio prossimo inizierà al Senato la discussione del ddl Cirinnà, che propone unioni civili solamente per persone omosessuali, completamente omologate al matrimonio (con tanto di adozione del figlio del partner). Micaela Campana, responsabile nazionale del Partito Democratico al Welfare e Terzo Settore, ha subito dichiarato: «Il Pd, appena dopo l’approvazione delle unioni civili, non può che incamminarsi sulla strada del matrimonio gay». E’ quello che è accaduto in tutti i Paesi che hanno poi regolamentato le nozze per persone dello stesso sesso.

Lo aveva già chiarito anche il sottosegretario del Pd, Ivan Scalfarotto, affermando: «Il matrimonio gay precede le unioni civili. Sono due cose diverse e l’una viene logicamente prima dell’altra». Curioso leggere in queste ore le sue motivazioni del perché si è rifiutato di partecipare ad un dibattito sulle unioni civili al liceo Giulio Cesare: «il rappresentante degli studenti ha voluto specificarmi che il dibattito avrà chiaramente una controparte composta da membri di un’associazione in difesa della famiglia naturale, questo perché (giustamente) non mi è stata concessa l’opportunità di organizzare un dibattito a senso unico». Un rappresentante dei cittadini che interviene soltanto se gli si garantisce un dibattito a senso unico: ognuno tragga le sue conclusioni. Ancora più chiaro Rosario Crocetta, presidente PD della Regione Sicilia: «partirei con una legge sulle unioni civili. Una volta diffuso il modello di famiglia omosessuale, aprirei un dibattito sulle adozioni».

Il progetto (già svelato da noi) è dunque chiaro e pubblicamente dichiarato: le “unioni civili” sono solamente un trampolino di lancio per il matrimonio omosessuale -alla faccia di chi considera le unioni civili il “male minore”- ed, infine, alle adozioni per le coppie dello stesso sesso. Il tutto in modo graduale per dare al pollo il tempo giusto di cuocersi a puntino. Strategia dovuta poiché gli italiani, di nozze e adozioni gay, non ne vogliono proprio sapere e, seppur oggi siano diventati maggiormente favorevoli alle unioni civili (etero) in seguito all’ossessiva campagna dei media, rimangono comunque contrari al simil-martimonio proposto dal ddl Cirinnà (disegno di legge incostituzionale, come ha rilevato Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte Costituzionale).

Questo emerge da tutti gli istituti di ricerca: per Ipr Marketing il 74% degli italiani è favorevole al riconoscimento delle coppie di fatto etero (non unite in matrimonio), ma solo il 46% è favorevole alle unioni gay (contro il 40%). I favorevoli alle adozioni si riducono al 50% per le coppie di fatto e al 15% per le unioni gay. Conferma che arriva anche dall’istituto Piepoli: alle adozioni Lgbt è contrario il 73% dei cittadini. L’istituto Ipsos di Nando Pagnoncelli ha rilevato la contrarietà del 55% degli italiani al ddl Cirinnà (sopratutto alla stepchild adoption) e solo il 38% sarebbe favorevole.

sondaggio

 

L’istituto Ferrari Nasi & Associati ha sottolineato che solo il 29% è favorevole alle unioni come simil-matrimonio e all’ipotesi di adozione in esso contenuta (ovvero il ddl Cirinnà), mentre il 51% è favorevole al riconoscimento delle unioni civili come istituto a sé. Renato Mannheimer, fondatore di Ispo, ha spiegato che «la maggioranza resta contraria al simil matrimonio per i gay, e resta, soprattutto, una forte contrarietà all’adozione, anche fra i favorevoli alle unioni. La ragione? Credo perché di mezzo ci sono i bambini e gli italiani sono molto sensibili su questo».

Anche per ribadire tutto questo, dopo il successo del Family Day del 20 giugno scorso (che ha creato grossi problemi al “cattolico boy scout” Matteo Renzi), il 30 gennaio 2016 il popolo della famiglia tornerà nuovamente in piazza, probabilmente in piazza San Giovanni (con probabile presenza di diversi parlamentari del Pd). La CEI ha chiarito la ferma contrarietà al ddl Cirinnà, il segretario mons. Nunzio Galantino lo ha ribadito in queste ore (confermando quanto detto nell’ottobre scorso), spiegando però che non c’è bisogno di “vescovi-piloti” che organizzino manifestazioni, anche se «non lasceremo soli quanti nelle sedi opportune e nel rispetto delle proprie competenze vorranno dare un loro contributo costruttivo». Una risposta al condivisibile appello promosso su La Croce da Mario Adinolfi.

E’ probabile che per mons. Galantino le manifestazioni di piazza non siano più sedi opportune, poiché avrebbero perso di efficacia (si attende comunque la prolusione del card. Bagnasco del 25 gennaio, vigilia del dibattito parlamentare). Eppure è l’unico modo che ha il popolo di far sentire la sua voce, anche perché -come dimostrano i sondaggi citati- il simil-matrimonio promosso dal ddl Cirinnà è una bandiera dell’opinione pubblica, non dei cittadini. Lo ha spiegato Giuseppe De Rita, fondatore del Censis: «quello sulle unioni civili è un grande mutamento di pensiero dell’opinione pubblica», a cui non corrisponde «un altrettanto consenso sociale. Penso che, negli ultimi mesi, ci sia stata una tale mobilitazione dell’opinione pubblica su questo tema da far venire il sospetto che non ci sia altro, in una sorta di accettazione passiva verso ciò che afferma la maggioranza. L’umore sociale invece potrebbe essere differente. Nelle dinamiche sociali vince chi riesce ad organizzare un ampio consenso dell’opinione pubblica che, attenzione, non significa consenso della maggioranza del corpo sociale».

La redazione

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L’ora di religione in crescita tra gli studenti delle superiori

Ora di religioneMolti studiosi si stanno convincendo che la nostra sarebbe, non più un’epoca di secolarizzazione, ma di “post-secolarizzazione”. Questo perché è indubbio il fenomeno del “ritorno religioso”, cioè del ripristino di una massiccia religiosità (o spiritualità religiosa), seppur istintiva e meno legata alle grandi religioni.

Inoltre, diversi dati indicano che proprio le società secolarizzate sono a rischio estinzione: lo ha stabilito proprio un anno fa il “Pew Research Center”, prevedendo nel corso dei prossimi quattro decenni un declino dei cosiddetti “non credenti” dal 16% attuale al 13%.

Molti opinionisti obiettano facendo notare l’aumento del numero dei “none”, ovvero coloro che non indicano alcuna “preferenza religiosa”. Eppure il sociologo americano Claude Fischer, docente presso l’Università della California, ha fatto notare che la maggior parte di chi non dichiara l’appartenenza ad alcuna religione, nelle indagini sociologiche non si rivela né come ateo né come agnostico ma dice di credere in Dio e prega, almeno occasionalmente.

Quindi, quello che sembra scontato alla fine non lo è affatto. Allo stesso modo, a molti sembrerà indubitabile che le statistiche sui frequentanti dell’ora di religione nelle scuole abbiano intrapreso una irrecuperabile strada di decrescita, sopratutto nelle scuole superiori dove gli studenti scelgono autonomamente se frequentarla o meno. Ancora una volta non sembra essere così.

Gli esperti di Tuttoscuola, la rivista più autorevole sul mondo scolastico italiano, hanno infatti analizzato il trend degli iscritti all’ora di religione degli ultimi quindici anni, rilevando un complessivo calo del 5,5% rispetto al 2001. Una contrazione che però ha riguardato gli ordini di scuola dalla materna alle medie, mentre proprio alle superiori -dove la scelta viene effettuata direttamente dai ragazzi- i numeri sono in deciso aumento. Se, infatti, nel 2013-2014 erano stati 2.082.938 (l’80,7% del totale) gli studenti che avevano deciso di avvalersi dell’Irc, nel 2014-2015 sono stati 2.109.607, cioè 26.668 in più. Aspetteremo i dati dello scorso anno per capire se vi è stata una inversione di tendenza.

Nicola Incampo, consulente della Cei per l’Irc, ha spiegato che laddove l’ora di religione «è adeguatamente presentata e valorizzata nel Piano dell’offerta formativa, gli avvalentisi aumentano. L’importante è far capire alle famiglie che non si tratta di un’ora di catechismo, che è un’altra cosa e, è bene ricordarlo, non si fa a scuola». Cosa significa adeguatamente presentata? Lo ha spiegato il card. Angelo Bagnasco, presidente della Cei: «L’insegnamento della religione cattolica è l’esposizione della storia e della dottrina cristiana; è l’affronto dei grandi temi dell’uomo e della vita. Introduce non solo agli universali interrogativi dell’esistenza, ma anche offre a tutti – cristiani e non cristiani – la possibilità di comprendere la società e la cultura del nostro Paese e dell’Europa».

La redazione

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David Bowie: «Ero disperato, persi il filo diretto con Dio»

David BowieIn questi giorni la morte del cantante David Bowie è la notizia presente su tutti i media. Tutti, giustamente, stanno ricordando quanto lo stile eclettico del “Duca Bianco” abbia influenzato miriadi di artisti, tanto che la rivista “Rolling Stone” lo ha inserito al 23esimo posto tra i 100 migliori cantanti di sempre.

Una «personalità musicale mai banale», ha commentato L’Osservatore Vaticano. Nella vita privata, tuttavia, non è mai mancato l’eccesso, sessuale (bisessuale), sopratutto, e i fiumi di droga. Elton John ha raccontato che era “generoso”, «forniva cocaina in quantità, organizzava festini a tre o a quattro e contribuiva ad un’atmosfera di perversione generalizzata. Ma era troppo sensibile per sopportare a lungo quella roba».

Ci ha sempre colpito osservare come coloro che per il mondo “ce l’hanno fatta” -ricchi, famosi, potenti, idoli di intere generazioni- hanno poi constatato in prima persona che, comunque, non era mai abbastanza. Comunque c’è sempre bisogno di “altro”, comunque la felicità non arriva, tanto che va ricercata artificialmente e disperatamente nell’eccesso e nella droga. “Quid animo satis?, domandava Sant’Agostino. “Cosa basta all’animo dell’uomo”? A Bowie, come Michael Jackson o Freddie Mercury, bastava il cenno di una mano per essere adulati da milioni di fans: eppure non bastava nemmeno questo e le loro vite, caratterizzate dalla trasgressione, sono un grido alla ricerca di un significato che possa davvero compiere le esigenze strutturali dell’uomo. Quel “qualcosa” che possa rispondere all’infinito bisogno di compimento che tutto il loro successo, tragicamente, amplificava.

Noi, dalla nostra esperienza di cristiani, più che di qualcosa parliamo di Qualcuno, l’unico che introduce l’infinito dentro noi, creature finite. Esattamente come Sant’Agostino che, rivolgendosi a Dio, dice: «Ci hai fatti per te, o Signore, e il nostro cuore è inquieto finché in Te non risposa». (Confess. 1, 1, 1). Qualche intuizione di questo la aveva probabilmente anche lo stesso David Bowie, fu lui infatti a commentare la scelta di inginocchiarsi durante un concerto nello stadio londinese di Wembley, recitando la preghiera del Padre Nostro per le vittime dell’Aids: «Non sono una persona in cerca di pubblicità, non sono mai stato un artista popolare e non credo di aver mai fatto scelte “facili”. E’ un dato di fatto che molte mie canzoni abbiano la stessa struttura della preghiera classica e come tali, forse, possono essere considerate. Mi è sembrato un gesto naturale. Sono preghiere per riuscire a trovare me stesso».

Ma preghiere rivolte a chi?, ha domandato l’intervistatore. «Personalmente non l’ho mai nascosto, ho una fede incrollabile nell’esistenza di Dio anche se non conosco il suo nome –se cioè si chiama Budda o Gesù- né che cosa vuole da me. Il gesto spontaneo di preghiera nasce semplicemente dalla mia incessante ricerca di trovare il sottile legame che ho con Dio. Sono consapevole che nei momenti di disperazione (droga e idea del suicidio) non tenevo stretto quel filo diretto con Dio. Perderlo infatti equivale ad essere persone disperate» (citato in G. Mattei, “Anima Mia”, Piemme 1998). «Mi rivolgo più spesso a Lui e più invecchio e più Lui diventa un punto di riferimento», ha detto più recentemente.

In queste ore si assiste alla solita mitizzazione post-mortem degli organi di informazione. Noi vogliamo invece ricordarlo con queste parole, quelle che lo rendono un uomo come tutti, impegnato -come tutti- a fare i conti con il suo destino, con il suo bisogno di senso e di felicità, con le sue coerenze e incoerenze, con la sua musica e i suoi eccessi, con il suo desiderio di cercare, per non disperare, “il filo diretto di Dio”. Un compagno di viaggio, insomma.

 

Qui sotto la preghiera del Padre Nostro durante il concerto

 

La redazione

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Nuovo dossier UCCR: che fine ha fatto Emanuela Orlandi?

Emanuela OrlandiDopo le vacanze natalizie avremmo dovuto subito riprendere l’aggiornamento del sito web, tuttavia abbiamo preferito concludere il nostro ultimo dossier, pubblicato oggi. Ci siamo occupati, ancora una volta, della sparizione di Emanuela Orlandi, che da oltre trent’anni non trova soluzione, lasciando senza risposta numerosi interrogativi.

Un caso unico, caratterizzato da una fitta rete di rivendicazioni di presunti rapitori, di telefonate e comunicazioni anonime, ritrovamenti di oggetti ed effetti personali di Emanuela, ma mai una prova certa e indubitabile della sua detenzione. Richieste assurde da parte dei sedicenti sequestratori ma, allo stesso tempo, anche dettagli effettivamente precisi sulla ragazza. Decine di investigatori hanno studiato inutilmente il caso di Emanuela, cittadina vaticana scomparsa il 22 giugno 1983 davanti al Senato della Repubblica italiana, a cui si legò in seguito anche la sparizione di Mirella Gregori, cittadina italiana. Vicende che hanno subito due archiviazioni, nel 1997 e nel 2015, con proscioglimento di tutti gli indagati.

In questi anni sono emerse diverse ipotesi di soluzione del caso e nel nostro dossier abbiamo voluto proprio occuparci di esse, analizzandole e valutando la loro credibilità, i loro punti forti e punti deboli. Abbiamo tuttavia anche consigliato, a chi non avesse confidenza con il “caso Orlandi”, di partire con il nostro primo dossier sulla sparizione della cittadina vaticana, una sorta di cronologia dei fatti che cerchiamo di tenere continuamente aggiornata. In questo secondo dossier invece, come dicevamo, oltre ad aver chiarito tutti gli aspetti controversi della vicenda (compreso il ruolo del Vaticano), abbiamo lasciato spazio soltanto alle principali ipotesi di soluzione che sono state proposte.

Parliamo dell’ (1) dell’allontamento volontario seguito da una probabile morte delle ragazze, probabilmente legata al successivo inserimento di elementi esterni, autori del depistaggio, intenzionati a sfruttare il caso e intenzionati affinché a Emanuela e Mirella accaddesse davvero qualcosa perché rimanessero lontane da casa. Parliamo dell’ipotesi (2) della Banda della Magliana, interessata a ricattare il Vaticano per recuperare il denaro investito nel Banco Ambrosiano (tesi che escluderebbe però Mirella Gregori), così come dell’ipotesi (3) della “pista internazionale”, legata alla ostpolitik vaticana e all’intervento dei servizi segreti dell’Est affinché Agca ritrattasse le accuse di complicità dell’attentato verso i bulgari.

Abbiamo dato ampio spazio sopratutto alla tesi (4) di Marco Fassoni Accetti, comparso nel 2013 e autoaccusatosi di essere il telefonista principale e il regista dei “finti sequestri” delle due ragazze. L’uomo ha in qualche modo riunito tutte e tre le precedenti tesi: allontanamento volontario, seppur sotto inganno, delle ragazze -la cui sorte è sconosciuta anche a lui stesso-, con la complicità degli uomini di De Pedis a causa di interessi comuni (lo Ior), il cui obiettivo principale era la ritrattazione di Agca e la politica estera del Vaticano verso i Paesi comunisti. Riteniamo la sua versione quella più interessante e verosimile e lo spieghiamo approfonditamente nel dossier, in quanto il racconto organico dell’uomo riesce effettivamente a resistere ai, seppur numerosi, “punti deboli” che comunque non mancano nemmeno alla sua ricostruzione. Per ultimo, non ci sentiamo nemmeno di escludere (5) la tesi della “regia unica”, sopratutto osservando la puntualità della comparsa di tesi e supertestimoni proprio nel momento in cui il caso Orlandi perdeva di attenzione mediatica.

Tutte queste ipotesi e tesi hanno abbastanza luce da non poter essere messe da parte e abbastanza buio da non poter essere avvalorate con certezza. Ecco un’altra caratteristica unica di questa vicenda.

 

Clicca qui per consultare il dossier:
“Emanuela Orlandi: tutte le ipotesi per risolvere il caso”

 
 

La redazione

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UCCR: i 20 articoli più letti nel 2015

Logo UCCR + scrittaInizia un nuovo anno, è tempo di bilanci. Auguriamo a tutti un felice 2016, anche per quest’anno ci terremo compagnia offrendo ai lettori notizie, ragioni e riflessioni su molte tematiche, quelle più importanti nella vita dell’uomo.

La fede, la ragione, la vita, la morte, la Chiesa, il senso religioso, la sessualità, il matrimonio, la famiglia, la preghiera, l’essere cattolici, il cristianesimo e la sua storia, la storicità dei Vangeli. Di questo parliamo e di questo vogliamo rendere ragione, per quanto possiamo, con le nostre competenze e con i nostri limiti, desiderosi di crescere e unirci ai tanti amici che già lo fanno con ottimi risultati nei rispettivi spazi sul web.

Prima di elencare gli articoli del 2015 che sono stati più letti e condivisi, ricordiamo che UCCR è presente su Facebook con contenuti inediti (cioè con notizie che non trovate sul sito web) tramite la pagina ufficiale e il gruppo ufficiale. E’ presente su Twitter e su Youtube e, per chi lo volesse, è possibile sostenere economicamente il nostro lavoro tramite un’offerta libera (recandosi a questa pagina), un segno concreto di ringraziamento per chi si sentisse beneficiato dal nostro quotidiano impegno. Per chi se lo sentisse, inoltre, accogliamo nuovi articolisti, così come vorremmo aumentare il numero di traduttori (italiano-inglese) per espanderci anche al di fuori dell’Italia. Chiunque fosse interessato può scrivere a:   redazione@uccronline.it.

 

Qui sotto i venti articoli più letti durante il 2015, quelli più visitati e che statisticamente hanno interessato di più.

1) Sapete cosa è accaduto alla bambina in questa fotografia? (gennaio 2015)
L’incredibile storia di Kim Phuc Phan Thi, arrivata al perdono grazie alla conversione.

2) Ecco cosa c’è dietro l’antipapismo di Antonio Socci (gennaio 2015)
Uno dei primi articoli che abbiamo dedicato alle accuse del giornalista di Libero.

3) Il pugno di Antonio Socci a Papa Francesco e a Medjugorje (gennaio 2015)
Ecco perché il giornalista di Libero ha smesso di citare Medjugorje.

4) Violenta la compagna dopo la lezione di educazione sessuale (gennaio 2015)
Significativo esempio del perché è importante che sia la famiglia ad occuparsi di questo.

5) Cari fratelli cattolici, la nostra divisione ci fa perdere lucidità (giugno 2015)
I motivi della nostra lunga pausa estiva.

6) «Chi si oppone al matrimonio gay è socialmente pericoloso!» (maggio 2015)
Il laico Brendan O’Neill prende posizione contro l’intolleranza del mondo Lgbt.

7) Noi non siamo Charlie Hebdo e quelli non sono veri musulmani (gennaio 2015)
Il nostro giudizio sull’attentato terroristico avvenuto in Francia contro la rivista satirica.

8) Passione, morte e risurrezione di Gesù: fatti accertati anche dalla storia (aprile 2015)
Un piccolo resoconto storico dei principali eventi degli ultimi giorni di Gesù.

9) Povero Odifreddi, cacciato dai matematici e dai letterati  (aprile 2015)
Dopo il “Festival della Matematica”, il matematico incontinente è stato allontanato anche dal premio letterario Campiello.

10) Caro Obama, non ci vergogniamo affatto delle Crociate (febbraio 2015)
Ecco quello che dicono gli storici del Medioevo.

11) La conversione dell’astrofisica Salviander: «ho percepito un ordine nell’Universo (giugno 2015)
La scienziata americana ha raccontato la sua affascinante storia.

12) Perché il mondo Lgbt ha bisogno di negare l’esistenza della teoria del gender? (aprile 2015)
Cambio di tattica, hanno capito che conviene sostenerla senza definirla chiaramente.

13) La morte di Giordano Bruno? Brutto episodio, ma smontiamo la leggenda anticlericale (febbraio 2015)
Lo storico laico Luigi Firpo e il suo “Processo a Giordano Bruno”.

14) Cari irlandesi, non illudetevi: le unioni gay rimangono eticamente contro l’uomo (maggio 2015)
Il nostro giudizio sul referendum irlandese.

15) Suicidi gay? Il dott. Gandolfini ha ragione, non dipendono dall’omofobia (aprile 2015)
L’Espresso tenta di diffamare il noto neurochirurgo, il quale però dice il vero.

16) Il segretario di Ratzinger: «chi dubita di Papa Francesco ha poco senso della Chiesa» (febbraio 2015)
Nuova presa di distanza dal “soccismo” da parte di mons. Georg Gaenswein.

17) La nuova pubblicità della “Pampers”: un inno alla vita! (video) (febbraio 2015)
Ecco il video della nuovo spot, gioia per i difensori della vita.

18) Darwin Day 2015, intervista al prof. Galleni: «possiamo ancora chiamarlo Creatore» (febbraio 2015)
La nostra intervista al noto Zoologo dell’Università di Pisa.

19) Fabiola Gianotti: «Io credo in Dio, scienza e fede sono compatibili» (gennaio 2015)
Il video in cui la prestigiosa scienziata parla della sua fede religiosa.

20) Nessuna similitudine tra Gesù, Mitra e altre divinità pagane (marzo 2015)
Gli studiosi smontano le tesi anticristiane.

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E’ il Natale di chi? Di Colui che si è reso incontrabile perché la vita rifiorisca

natale 2015 2Non ha sdegnato di esser vestito di caduche spoglie e provar gli affanni di funerea vita. Seppur lontano dalla fede cristiana, pochi sanno richiamarci come Giacomo Leopardi al vero senso del Natale, l’incarnazione di Dio tra gli uomini.

Ci riferiamo alla poesia “Alla sua donna”, che il poeta dedica alla Bellezza che traluce dal volto della donna, cioè ciò di cui la donna è segno. L’Ideale reso, da Leopardi, un Qualcuno a cui rivolgersi, di cui ha nostalgia, che sente lontano. «Se dell’eterne idee l’una sei tu, cui di sensibil forma sdegni l’eterno senno esser vestita, e fra caduche spoglie provar gli affanni di funerea vita; o s’altra terra ne’ superni giri fra’ mondi innumerabili t’accoglie. E più vaga del Sol prossima stella t’irraggia, e più benigno etere spiri; di qua dove son gli anni infausti e brevi, questo d’ignoto amante inno ricevi».

Fu il teologo milanese don Luigi Giussani a percepire per primo l’inconsapevole portata cristiana di questi versi. «Questa è stata la strofa che mi ha travolto – lo posso dire – la vita», ha raccontato. «Perché questa è una sublime preghiera. Mi sono detto: che cosa è questa Bellezza col B maiuscolo, la Donna col D maiuscolo? E’ quel che il cristianesimo chiama Verbo, cioè Dio. La Bellezza col B maiuscolo, la Giustizia col G maiuscolo, la Bontà col B maiuscolo, è Dio. La preghiera dell’uomo a che Dio gli diventi compagno ed esperienza. Allora, non solo questa Bellezza non ha sdegnato rivestire l'”eterno senno” di carne umana, non solo non ha sdegnato di “provar gli affanni di funerea vita”, ma è diventato Uomo ed è morto per l’uomo» (L. Giussani, “Le mie letture”, Bur 2008, p.30)

Il grido di Leopardi è una preghiera perché questo Ideale gli diventi compagno, anche se si accorge di essere un suo ignoto amante. Da cristiani diciamo che Leopardi cercava Colui che già si era reso incontrabile dagli uomini. “Venne tra i suoi e i suoi non l’hanno accolto”, dice il vangelo di Giovanni (Gv 1,11). «Ignoto amante fra i suoi, venne a casa sua e i suoi non l’hanno riconosciuto», annota con amarezza don Giussani.

Leopardi è l’uomo moderno che corre frenetico in queste ore per gli ultimi acquisti, gli ultimi preparativi. C’è da festeggiare il Natale. Natale di chi? Non si sa, ma va festeggiato,  tutto dovrà essere perfetto. Cosa attendiamo con tanto fermento? Cambierà forse qualcosa passate le feste? Il Natale trasformato in uno dei tanti idoli in cui, inconsapevolmente, l’uomo ripone la speranza di un cambiamento, di un’esperienza di soddisfazione. Un bene, un senso che riempia la vita. Cittadini del mondo, ci dice San Paolo, «passando infatti e osservando i monumenti del vostro culto», ho visto alberi addobbati a sfinimento, luci accecanti e code infinite nei centri commerciali. «Quello che voi adorate senza conoscere, io ve lo annunzio». Egli è entrato nel mondo «per mezzo di un uomo» (At 17,22).

Il Senso della nostra esistenza non ha sdegnato di provar gli affanni di questa vita. La vita rifiorisce dall’incontro con Lui, come ha descritto bene Alda Merini. Mi ha «enormemente sorpreso che da una riva all’altra di disperazione e passione ci fosse un uomo chiamato Gesù. Io lo conosco: ha riempito le mie notti con frastuoni orrendi, ha accarezzato le mie viscere, imbiancato i miei capelli per lo stupore. Mi ha resa giovane e vecchia a seconda delle stagioni, mi ha fatta fiorire e morire un’infinità di volte. Ma io so che mi ama e ti dirò, anche se tu non credi, che si preannuncia sempre con una grande frescura in tutte le membra come se tu ricominciassi a vivere e vedessi il mondo per la prima volta. E questa è la fede, e questo è Lui, che ti cerca per ogni dove anche quando tu ti nascondi per non farti vedere» (A. Merini, “Corpo d’amore – un incontro con Gesù”).

Vogliamo vivere il Natale come noti -non ignoti- amanti di Lui, ricominciando a vivere come fosse la prima volta. Auguriamo lo stesso a tutti i nostri lettori e alle loro famiglie. Il sito web sospenderà l’aggiornamento fino al 3 gennaio 2016. Auguri!

 

natale 2015 2

 

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«Siamo induisti ma a Natale diventeremo cattolici: la Chiesa ci ama e rispetta»

conversioni nepalMentre molti occidentali cercano se stessi nelle filosofie orientali e induiste i giovani indù si convertono al cattolicesimo: «La mia vita è cambiata completamente da quando ho incontrato Dio. Tutta la mia famiglia è indù», ha raccontato il giovane nepalese San Shrestha. «In questa religione noi non abbiamo il permesso di sollevare la testa perché apparteniamo alla casta povera. Non potete immaginare le discriminazioni e il disprezzo che siamo costretti a subire in ogni circostanza, sia se vogliamo bere un bicchiere d’acqua sia se vogliamo recarci al tempio per onorare le divinità».

San è un dalit, appartiene cioè all’ultima casta del sistema religioso (e quindi sociale) induista. Sono detti “intoccabili” perché nessuno li vuole toccare avendo paura di perdere la purità. Il sistema delle caste indiano divide infatti la società in quattro gruppi principali a seconda dello status sociale: bramini (casta sacerdotale e studiosi), Kshatriya (governanti e casta guerriera), Vaishyas (mercanti e proprietari terrieri) e Shudra (operai e fornitori di servizi). Il quinto gruppo è quello dei Dalit, considerati privi di valore e spiritualmente impuri.

L’unica istituzione al mondo che si occupa di loro è la Chiesa cattolica, il 13 dicembre ha indetto la Giornata per la Liberazione dei Dalit, invitando anche i fratelli protestanti. Molti induisti non sopportano (né capiscono) la carità cristiana e la critica della divisione in caste, sono frequenti e quasi quotidiani gli omicidi verso i cristiani, bambini compresi e gli assalti a chiese e campus religiosi.

«Questo tipo di discriminazioni non sono presenti nel cristianesimo», ha raccontato Sonika, amica di San. «Quando entro in una chiesa, mi sento più rispettata e avverto che siamo tutti uguali» . Ha incontrato la fede grazie alla suore di Madre Teresa di Calcutta: «Le suore lavoravano in modo altruistico per i bisognosi. Da quel momento sono andata alla ricerca della Chiesa cattolica e ora sono pronta a farne parte. Voglio ricevere il rito del battesimo e condividere la mia esperienza e le parole di Cristo in tutta la società». San Shrestha e Sonika, 26 e 22 anni, riceveranno il battesimo nella notte di Natale assieme ad altri 10 giovani. Quest’ultima ha anche aggiunto: «La religione cattolica mi rispetta e apprezza di più rispetto alla tradizione culturale dell’induismo, dove le classi povere non possono sollevare la testa e sono soggette a ogni tipo di odiosa discriminazione».

Da più di due anni frequentano il catechismo presso la cattedrale dell’Assunzione di Kathmandu. «Entrambi i miei genitori sono di religione indù e io sono cresciuto con le stesse tradizioni», ha raccontato invece San. «Quando ho sentito parlare dei fedeli cattolici, che sono pochi in Nepal ma vivono in modo più dignitoso, mi sono interessato a comprenderne il motivo. Così ho capito che alla base di tutto vi sono la fede in Cristo e nella misericordia di Dio. Da solo ho cercato la cattedrale e qui ho trovato più amici rispetto alla mia famiglia e ai miei parenti». Ha frequentato il liceo e l’università, «ma lì nessuno mi ha insegnato la vita vera e il vero modo di vivere. Da quando partecipo al catechismo, mi è stata mostrata la vera parte di vita che ci rende felici e apprezzati. Se Gesù non avesse progettato di accogliermi, avrei vissuto un’esistenza piena di superstizioni e di credenze religiose».

Lo stesso Gandhi, ha raccontato Vittorio Messori, si rese conto dell’immorale condizione dei dalit e che essa «non era che il riflesso sociale di una prospettiva religiosa con al suo cuore la reincarnazione. Non si è “intoccabili” per caso, ma per scontare colpe delle vite precedenti: dunque, intervenire su questo piano sociale “sacro” è blasfemo. Così che la cura che Gandhi stesso consigliò -e che praticò- fu di robuste iniezioni di cristianesimo nell’induismo». Gandhi ebbe infatti una formazione occidentale, britannica, cristiana: «la sua intuizione, la sua nobilità», ha proseguito Messori, «fu quella di rivestire di categorie orientali contenuti che sono evangelici. Come confermò egli stesso più volte, senza il Dio di Gesù la sua dottrina non era pensabile. Dunque, più che un “maestro di induismo” (come vuole l’ingenuo luogo comune) fu un grande maestro nell'”inculturare” i valori del Dio biblico in Oriente» (V. Messori, “Qualche ragione per credere”, Ares 2008, p. 174).

«Senza lo studio di Cristo, la mia vita era diventata incompleta», ammise infatti il Mahatma. «Ci sono stati momenti nei quali non sapevo dove andare. Mi sono rivolto alla Bibbia, in particolare al Nuovo Testamento, e ho ricevuto forza dal suo messaggio. Rifiuto di credere che esista ora, o che sia esistita in passato, una persona sulla quale non abbiano mai influito gli esempi di Gesù, anche senza rendersene conto. La vita di tutte le persone è stata più o meno cambiata dalla sua presenza, dalle sue azioni e dalle parole pronunciate dalla sua voce divina. Credo che Gesù appartenga non solo al cristianesimo, ma al mondo intero, a tutte le razze e a tutti i popoli». Non a caso Gandhi venne assassinato non da un bieco colonialista occidentale, ma da un fanatico indù, che lo accusò di “modernismo”, di “occidentalismo”, di “evangelismo” e di “cedimento all’Europa cristiana”.

La redazione

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Il funerale religioso a Piergiorgio Welby? Perché fu giusto non concederlo

gelli e welbyDopo la morte di Licio Gelli, ex gran maestro della loggia massonica P2, avvenuta nei giorni scorsi, molti opinionisti si sono scandalizzati per i funerali religiosi concessi, osservando che lo stesso non avvenne per Piergiorgio Welby, morto nel dicembre del 2006 dopo una grave e lunga malattia, a cui venne staccato il respiratore che lo teneva in vita.

La questione in realtà è già stata chiarita più volte, lo sanno bene i promotori di queste puntuali polemiche, interessati non tanto ad una risposta ma semplicemente a tenere sotto fuoco la Chiesa e contemporaneamente sperare di calendarizzare in Parlamento una legge sull’eutanasia. Ad essi si è aggiunto il prete mediatico Mauro Leonardi, da buon narciso sempre ossessionato dal numero di like e condivisioni dei suoi post più delle intenzioni per le messe.

Riprendiamo le motivazioni espresse alla stampa dal sacerdote che ha celebrato i funerali di Gelli (senza alcun simbolo massonico): «A me ha detto che si è convertito e che alla fine ha rinnegato la massoneria. Altrimenti sarebbe stato scomunicato e niente funerali in chiesa». Anche durante l’omelia del funerale, don Bargellini, ha spiegato: «Ha avuto una lunga vita, Licio, e le lunghe vite sono grandi occasioni per capire che non siamo onnipotenti, ma siamo fragili e di riconoscere i nostri errori. Dio ci permette un cammino di conversione, di verità, quella del Vangelo. Ognuno di noi è chiamato a vedere il volto del Signore». Per Gelli si parla dunque di conversione e rinnegamento della massoneria. Falsità? Bugia? Chi ha l’arroganza e le prove per smentire e giudicare con quale pensieri e riflessioni intime è morto quest’uomo? Certo, era scomunicato in quanto appartenente la Massoneria, ma anche gli scomunicati se rinnegano le loro colpe possono ricevere le esequie.

Caso diverso, invece, quello di Piergiorgio Welby. La Chiesa ha un diritto canonico che regola la questione sacramenti per i defunti, come ha ricordato il professor Vincenzo Pacillo, associato di diritto ecclesiastico presso l’Università di Modena. Il canone 1007 del Codice di Diritto Canonico (CDC), infatti, proibisce il conferimento dell’Unzione degli infermi a «coloro che ostinatamente perseverano in un peccato grave manifesto». Peccato manifesto che si riverbera anche sulla disciplina delle Esequie ecclesiali: «Se prima della morte i peccatori manifesti non diedero alcun segno di pentimento, devono essere privati delle esequie ecclesiastiche» (can. 1184, 1, 3° CDC). «Presentandosi qualche dubbio, si consulti l’Ordinario» (can. 1184, 2). «A chi è escluso dalle esequie ecclesiastiche, deve essere negata anche ogni Messa esequiale» (can. 1185 CDC)

Mentre il confessore di Gelli ha rilevato il suo pentimento e il rinnegamento della Massoneria, questo non accadde per Welby il quale pretese lucidamente fino all’ultimo di essere privato della vita, contrapponendosi alla dottrina cattolica, invocando oltretutto una legge politica sull’eutanasia. Come si legge nel comunicato della Diocesi di Roma, «il Vicariato di Roma precisa di non aver potuto concedere tali esequie perché, a differenza dai casi di suicidio nei quali si presume la mancanza delle condizioni di piena avvertenza e deliberato consenso, era nota, in quanto ripetutamente e pubblicamente affermata, la volontà del Dott. Welby di porre fine alla propria vita, ciò che contrasta con la dottrina cattolica (vedi il Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 2276-2283; 2324-2325). Non vengono meno però la preghiera della Chiesa per l’eterna salvezza del defunto e la partecipazione al dolore dei congiunti». Così come confermato in seguito anche dal card. Camillo Ruini, mentre il card. Ersilio Tonini ha ancor meglio precisato: «se fosse stato soltanto suicidio, la Chiesa ha pietà infinita perché nessuno di noi sa cosa accade in quel momento. Quel che non è ammesso è se il suicidio è studiato al fine di favorire una legge sull’eutanasia». Infatti, ha proseguito mons. Tonini, «Piergiorgio Welby non ha avuto diritto a funerali cattolici perché il suo suicidio è stato concepito e realizzato con l’obiettivo di promuovere una legge sull’eutanasia». Con tanto di lettera al presidente Napolitano.

Occorre anche considerare che la Chiesa è la prima ad essere contraria all’accanimento terapeutico, si legge infatti nel Catechismo: «L’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all’accanimento terapeutico. Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente».

E il funerale di i Vittorio Casamonica, legato ad affari malavitosi e criminali? Innanzitutto occorre osservare che non ha mai riportato condanne penali a titolo personale, inoltre, come ha affermato il prete anti-mafia don Luigi Ciotti, «non è qui ovviamente in discussione il diritto di una famiglia di celebrare i funerali di un suo membro e la partecipazione di amici e conoscenti: grave è l’evidente strumentalizzazione di un rito religioso per rafforzare prestigio e posizioni di potere». Il problema, infatti, fu la strumentalizzazione del funerale. Lo ha chiarito monsignor Giuseppe Marciante, vescovo ausiliare di Roma Est, dove è compresa la parrocchia di San Giovanni Bosco dove sono state celebrate le esequie: «Il Vicariato non era stato avvertito. Lo sapeva solo il parroco, ma non sapeva che dietro ci sarebbe stata quella propaganda mafiosa. Nessuno ci ha avvisati, nemmeno le forze dell’ordine. Certo, se avessimo avuto il sentore di uno show di quel tipo, avremmo preso delle precauzioni. Non avremmo assolutamente accettato di fare quel funerale. Avremmo suggerito una preghiera in casa oppure sempre in casa si sarebbe potuto celebrare il rito della raccomandazione dei defunti. Per farle un esempio, ricorda il caso Priebke? La Chiesa risponde di ciò che succede dentro la chiesa, non può rispondere di ciò che succede fuori. Del resto i Casamonica non avevano chiesto nessun permesso per fare quel tipo di manifestazione e non possiamo fare i gendarmi, facciamo i pastori. In chiesa si sono attenuti a quelle norme di sobrietà».

Concludendo, quelli di Gelli e di Welby sono due casi completamente diversi, ingiusto paragonarli e confrontarli. Così come fu legittimo per Welby manifestare platealmente le sue richieste e usare la propria morte come riteneva giusto fare, così fu legittimo per la Diocesi di Roma non concedere i funerali a chi dimostra lucidamente e deliberatamente di non accettare la posizione della Chiesa. E’ anche una forma di rispetto per le sue idee e convinzioni espresse più volte con chiarezza. Ricordando che nessuno è obbligato ad essere cattolico, facciamo infatti presente che probabilmente Piergiorgio nemmeno desiderava essere sepolto con benedizione cattolica.

Quello di Welby fu un doloroso caso estremo, parliamo tuttavia di scelta legittima a rifiutare i funerali e non tanto di giustezza poiché fu una decisione dolorosa presa dai responsabili del Vicariato di Roma in un preciso momento, in un preciso contesto. «Quel funerale», ha spiegato il teologo Silvano Sirboni, «sarebbe stato un palcoscenico su cui dare pubblicità a posizioni sull’eutanasia inaccettabili. Non fu un atto dettato dalla dottrina ma da ragioni di opportunità. Fu una decisione dolorosa, effetto delle polemiche che avevano preceduto il caso. Sarebbe stato ben diverso, ne sono certo, se quella morte non fosse stata strumentalizzata dalla politica». La decisione della Chiesa va rispettata in quanto lecita e coerente con il diritto canonico, così come ancor di più va rispettato il dolore, la sofferenza e l’agonia di Welby, anche se non ci sembra legittimo usare la sua vita e la sua morte come bandiera politica (anche se lui stesso sarebbe stato d’accordo). «Proposta in nome della pietà e della dignità umana», ha spiegato il laico Claudio Magris«l’eutanasia può divenire facilmente un’obbrobriosa anche se inconscia igiene socialePiergiorgio Welby ha liberamente, consapevolmente chiesto di morire. Qualsiasi filosofia o religione si professi, non si può non essere scossi da questa sua volontà e non sentirla vicina […]. Si può rispettare un gesto compiuto contro la legge che lo vieta, ma senza per questo voler spianare la strada alla trasgressione delle leggi vigenti, favorendo così un caos feroce».

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