L’inferno è vuoto? Von Balthasar non l’ha mai detto

inferno è vuotoVon Balthasar e l’inferno. Gli si attribuisce una citazione che però lui stesso smentì, chiarendo il suo pensiero: “Furono travisate le mie parole. Siamo continuamente sotto il giudizio di Dio”.

 

«All’Inferno non ti mandano: ci vai tu, perché tu scegli di essere lì. L’Inferno è volere allontanarsi da Dio perché io non voglio l’amore di Dio. Questo è l’Inferno. Va all’Inferno soltanto colui che dice a Dio: “Non ho bisogno di Te, mi arrangio da solo”, come ha fatto il diavolo che è l’unico che noi siamo sicuri che sia all’Inferno». In queste poche e semplici parole di Papa Francesco è racchiusa tutta la dottrina cattolica sull’Inferno.

 

Esistenza inferno: contraddizione con misericordia di Dio?

Innanzitutto, non c’è alcuna contraddizione tra l’infinita misericordia di Dio e l’esistenza dell’inferno: quando l’uomo sceglie egoisticamente di elevarsi sopra Dio, di preferirsi a Dio, di essere dio di se stesso, semplicemente viene rispettato dal Creatore, che ratifica la libera volontà dell’uomo e, accogliendo la sua volontà, lo tiene lontano da Sé. L’inferno è opera dell’uomo, non di Dio, ne abbiamo parlato approfonditamente nell’aprile scorso. In secondo luogo, il dogma cristiano ci impegna a credere che l’inferno è lo stato eterno (non un luogo, uno stato) di chi lascia questa vita in peccato mortale, ma non ci impegna a credere che qualcuno sia morto o muoia, in peccato mortale. «La dannazione», ha spiegato Giovanni Paolo II, «rimane una reale possibilità, ma non ci è dato conoscere, senza speciale rivelazione divina, se e quali esseri umani vi siano effettivamente coinvolti».

 

Hans Urs von Balthasar e la falsa citazione sull’inferno vuoto.

Da qui a sostenere, però, che l’inferno esiste ma è vuoto bisogna fare un salto enorme, ingiustificato e sbagliato. Chi lo afferma spesso fa risalire questa convinzione al celebre teologo Hans Urs von Balthasar, ma egli non volle mai dire una cosa del genere come ha spiegato recentemente anche il teologo padre Angelo Bellon. Lui stesso chiarì: «Sono state ripetutamente travisate le mie parole nel senso che, chi spera la salvezza per tutti i suoi fratelli e tutte le sue sorelle, “spera l’inferno vuoto” (che razza di espressione!). Oppure nel senso che chi manifesta una simile speranza, insegna la “redenzione di tutti” (apokatastasis) condannata dalla Chiesa, cosa che io ho espressamente respinto: noi stiamo pienamente sotto il giudizio e non abbiamo alcun diritto e alcuna possibilità di conoscere in anticipo la sentenza del giudice» (H.U. Von Balthasar, “Sperare per tutti. Breve discorso sull’inferno”, Jaca Book 1997, p.123).

Ne ha parlato in modo approfondito nel 2008 padre Giandomenico Mucci, gesuita e redattore de La Civiltà Cattolica, concludendo: «Basti questo testo a quanti ripetono per abitudine la formuletta dell'”inferno vuoto” della quale sono responsabili le fin troppo grossolane deformazioni sui giornali». Il peccato esiste, l’uomo ne è tentato in quanto indebolito dal peccato originale che si porta dentro: vuole il bene, ma sceglie il male. La misericordia di Dio è infinita e perdona tutto ma, a patto che, si percepisca il nostro essere peccatori. Per questo, si dice, Dio ama e salva gli umili. Invece, ci ha spiegato Francesco, «il corrotto non conosce l’umiltà, non si ritiene bisognoso di aiuto, maschera il suo vizio con la buona educazione, facendo sempre in modo di salvare le apparenze». .

 

Benedetto XVI: “non tutti giungono alla salvezza”.

Parole simili a quelle di Benedetto XVI: «Dio non costringe nessuno alla salvezza. Dio accetta la libertà dell’uomo. Non è un incantatore, che, alla fine, sistema tutto e realizza il suo “happy end”. E’ un vero padre; un creatore che afferma la libertà, anche quando essa lo rifiuta. Per questo la volontà salvifica di Dio non implica che tutti gli uomini giungano necessariamente alla salvezza. C’è la potenza del rifiuto. Dio ci ama. Dobbiamo solo essere tanto umili da lasciarci amare. Ma dobbiamo continuare a chiederci se non abbiamo la presunzione che vuole fare da sé; se non priviamo l’uomo creatura e il Dio creatore della loro grandezza e dignità, togliendo alla vita dell’uomo la sua serietà e riducendo Dio a un incantatore o a una sorta di nonno, rispetto al quale tutto è indifferente. Anzi, è proprio l’incondizionata grandezza dell’amore di Dio a non escludere la libertà del rifiuto e, quindi, la possibilità della dannazione» (J. Ratzinger, “Il Dio vicino”, San Paolo 2008)

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Unioni civili, interviene Bergoglio: «non confonderle con famiglia»

Francesco famigliaIl recente Sinodo sulla Famiglia ha «indicato al mondo che non può esserci confusione tra la famiglia voluta da Dio e ogni altro tipo di unione». Papa Francesco è intervenuto con queste parole, questa mattina e a suo modo, nel grande dibattito sulle unioni civili in corso in Italia, incontrando i giudici del Tribunale della Rota Romana.

Proprio due giorni fa il vaticanista disinformatore Carlo Tecce, del “Fatto Quotidiano”, aveva sostenuto che Francesco non avrebbe gradito l’uscita del card. Angelo Bagnasco contro le unioni civili e a sostegno del Family Day, tanto da non averlo voluto incontrare. Andrea Tornielli ha precisato che la motivazione del mancato appuntamento è dovuta al dover dare precedenza ad alcuni nunzi apostolici in procinto di ripartire per le rispettive sedi, ma non si esclude la volontà del Papa di non voler avvallare -come spiegato anche da Franca Giansoldati– anticipatamente ogni futura iniziativa dell’episcopato che sarà libero di proporre una riflessione svincolata. Seppur più volte è intervenuto denunciando le minacce alla famiglia, vuole fare affiorare e stimolare il dibattito tra i vescovi sulle iniziative concrete.

Massimo Franco, del Corriere della Sera, ha spiegato opportunamente che nella CEI è aperta una riflessione non tanto sul ddl Cirinnà, verso il quale c’è generale opposizione a causa dell’equiparazione al matrimonio (e per la stepchild adoption), ma sull’opportunità di una manifestazione pubblica. Mons. Nunzio Galantino, segretario della CEI, non è a favore delle piazze e lo ha detto chiaramente, come altrettanto chiaramente ha espresso però in questi mesi tutta la sua contrarietà alle unioni civili discusse in Parlamento. Al contrario, mons. Bagnasco, presidente della CEI, ritiene sia opportuno questo tipo di manifestazione (si svolgerà il 30 gennaio al Circo Massimo) e la sua uscita è stata apprezzata anche dagli arcivescovi più stimati da Papa Francesco, come il card. Gualtiero Bassetti che proprio oggi ha detto: «Davanti a numerosi fedeli e rappresentanti di movimenti ecclesiali che mi chiedevano come comportarsi, io ho detto chiaramente che quanto affermato dal comitato “difendiamo i nostri figli” è buono, e quindi partecipare alla manifestazione è cosa buona. Ma ho anche detto, ed è importante: si va per affermare la bellezza della famiglia, non per contrapporsi a qualcuno».

Sostengo esplicito a mons. Bagnasco oltre che dal segretario di Stato Vaticano, Pietro Parolin, è arrivato anche da un prelato scelto direttamente dal Papa, il neo arcivescovo di Bologna mons. Matteo Zuppi, il cui endorsement avrà creato senz’altro molti mal di pancia ai tanti “cattolici adulti” che pochi mesi fa avevano esultato alla notizia della sua elezione, come Vito Mancuso, Alberto Melloni e Mauro Pesce. Completo appoggio al Family Day anche da Gianluigi De Palo, neo-presidente del Forum delle associazioni familiari, recentemente accusato da alcune testate di aver criticato l’evento del 2007 («non ho mai detto che il Family Day del 2007 è stato un fallimento. Questo termine si trova soltanto nel titolo dell’intervista che ho rilasciato»).

Questa mattina, comunque, Francesco ha voluto lanciare un ennesimo segnale (tutti i suoi interventi a favore della famiglia li abbiamo raccolti qui), molto chiaro: «Nel percorso sinodale sul tema della famiglia, che il Signore ci ha concesso di realizzare nei due anni scorsi, abbiamo potuto compiere, in spirito e stile di effettiva collegialità, un approfondito discernimento sapienziale, grazie al quale la Chiesa ha – tra l’altro – indicato al mondo che non può esserci confusione tra la famiglia voluta da Dio e ogni altro tipo di unione […]. La famiglia, fondata sul matrimonio indissolubile, unitivo e procreativo, appartiene al “sogno” di Dio e della sua Chiesa per la salvezza dell’umanità». Citando Paolo VI, l’incubo dei “cattolici progressisti”, ha proseguito: «Come affermò il beato Paolo VI, la Chiesa ha sempre rivolto “uno sguardo particolare, pieno di sollecitudine e di amore, alla famiglia ed ai suoi problemi. Per mezzo del matrimonio e della famiglia Iddio ha sapientemente unite due tra le maggiori realtà umane: la missione di trasmettere la vita e l’amore vicendevole e legittimo dell’uomo e della donna, per il quale essi sono chiamati a completarsi vicendevolmente in una donazione reciproca non soltanto fisica, ma soprattutto spirituale”». Ed in conclusione, «la Chiesa con rinnovato senso di responsabilità continua a proporre il matrimonio, nei suoi elementi essenziali – prole, bene dei coniugi, unità, indissolubilità, sacramentalità –, non come un ideale per pochi, nonostante i moderni modelli centrati sull’effimero e sul transitorio, ma come una realtà che, nella grazia di Cristo, può essere vissuta da tutti i fedeli battezzati».

Un intervento che non è stato ripreso sui rispettivi quotidiani (o blog) né dai vaticanisti “progressisti”, come Carlo Tecce e Paolo Rodari, né dai “tradizionalisti”, come Sandro Magister e Antonio Socci. Ogni schieramento porta purtroppo avanti la sua piccola battaglia, scopi diversi ma argomenti comuni: entrambe la fazioni vorrebbero far passare Papa Francesco come pontefice Lgbt e, per questo, censurano le notizie che inficiano i loro intenti. Per ora, tra i vaticanisti, soltanto Andrea Tornielli e Francesco Antonio Grana (oltre ad Avvenire, chiaramente), hanno ripreso le parole papali, seppur soltanto il secondo le ha legate al dibattito sulle unioni civili.

Facciamo anche notare altre parole odierne del Papa, comparse all’interno di un secondo discorso che ha tenuto quest’oggi, che contribuiscono ad abbattere il finto Papa inventato dalle due fazioni citate poco sopra, quello che avrebbe “cancellato il peccato” e “vietato il giudicare”: «Noi possiamo e dobbiamo giudicare situazioni di peccato ma non possiamo giudicare le persone, perché solo Dio può leggere in profondità nel loro cuore. È nostro compito ammonire chi sbaglia, denunciando la cattiveria e l’ingiustizia di certi comportamenti, al fine di liberare le vittime e sollevare chi è caduto. Il Vangelo di Giovanni ci ricorda che «la verità vi farà liberi» (Gv 8,32). Questa verità è, in definitiva, Cristo stesso, la cui mite misericordia è la misura della nostra maniera di annunciare la verità e di condannare l’ingiustizia. Solo parole pronunciate con amore e accompagnate da mitezza e misericordia toccano i cuori di noi peccatori. Parole e gesti duri o moralistici corrono il rischio di alienare ulteriormente coloro che vorremmo condurre alla conversione e alla libertà, rafforzando il loro senso di diniego e di difesa».

 

Aggiornamento 23/01/15
Il giornalista Antonio Socci ha parlato soltanto questa mattina dell’intervento del Papa su Libero, sostenendo comunque che il Pontefice sarebbe stato costretto a malincuore ad esprimersi per meri motivi di calcolo politico, avendo percepito che l’opposizione cattolica alle unioni civili è molto forte. Insomma, prima lo criticava perché non prendeva posizione sulle unioni civili (falso, poiché ne ha parlato più volte), ora che ne ha parlato lo critica perché lo avrebbe fatto per scopi politici. Comunque c’è sempre del fango da gettargli addosso e tutto fa brodo per la propria misera battaglia.

 

Aggiornamento 24/01/15
Diversi lettori ci hanno fatto ricordare che Papa Francesco intervenne anche pochi giorni prima del recente referendum sloveno sull’abrogazione del matrimonio gay, vinto dai sostenitori della famiglia. Il Papa, durante l’Udienza generale del 16 dicembre 2015, ha invitato i pellegrini sloveni a «sostenere la famiglia, struttura di riferimento del vivere sociale», esprimendo «apprezzamento all’intera Chiesa slovena in favore della famiglia» e incoraggiando «tutti, specialmente quanti hanno responsabilità pubbliche, a sostenere la famiglia, struttura di riferimento del vivere sociale».

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La peste nera e gli ebrei: a proteggerli ci provò l’Inquisizione

peste nera 
 
di Francesco Agnoli*
*scrittore e saggista

 
da Libertà e Persona, 17/01/16
 

Nel 1347-1350, come è noto, l’Europa fu devastata dalla peste nera. Si trattò di una ecatombe senza precedenti, tanto che alcuni storici sostengono che quella epidemia pose fine ad un’epoca, per aprirne una nuova. La mortalità oscillava tra i 40 e il 70% a seconda della forza degli individui colpiti e delle loro condizioni. Fu effettivamente una iraddiddio travolgente, che portò da una parte a grandi interrogativi sull’uomo e su Dio, dall’altra a splendide opere di carità e di dedizione ai fratelli, e, infine, a paure inenarrabili, a fobie ed incubi ben comprensibili.

Circa un terzo degli abitanti dell’Europa morì. Ebbene, fu in questa occasione che le comunità ebraiche conobbero una aggressione senza precedenti: molti ebrei furono accusati di avvelenare i pozzi, di essere in qualche modo la causa di questo disastro. Il meccanismo psicologico è semplice: di fronte ad un disastro, rintracciare un colpevole, un capro espiatorio, non cambia le cose ma almeno serve a fornire una “spiegazione” all’accaduto.

In verità il capro espiatorio variava da paese a paese, da epoca a epoca. In Spagna si diffuse la voce che gli avvelenatori erano, per lo più, i musulmani; in Francia gli inglesi; altrove e in altre occasioni, gli avvelenatori erano i lebbrosi, oppure gli “stranieri poveri”, considerati potenziali portatori di malattie, oppure ancora coloro che si occupavano di mestieri “in cui si producevano cattivi odori o rifiuti” … Nella Atene del V secolo, anch’essa colpita dalla peste, era accaduto lo stesso, dal momento che Tucidide ci racconta che molti ateniesi accusavano i loro nemici spartani di…avvelenare i pozzi.

Se torniamo alla peste del Trecento, e in particolare alla persecuzione degli ebrei, il luogo dove costoro furono identificati maggiormente come colpevoli, o comunque dove subirono le angherie peggiori, furono alcune aree germaniche. Scrive Rodney Stark nel suo Un unico vero Dio (Lindau 2009), che «i massacri iniziarono nella regione intorno al lago di Ginevra» e poi «l’ondata dei massacri si abbattè lungo il Reno, attraverso le città ormai familiari a questi eccidi: Spira, Magonza, Worms, Colonia. E almeno in altre sette città gli ebrei si suicidarono in massa». Nota dunque Stark che la regione lungo il fiume Reno fu la più colpita. E aggiunge che ciò è connesso con un fatto: «la prevalente debolezza sia della Chiesa che dello Stato in quella regione». Infatti proprio in queste zone sia i vertici laici che quelli religiosi con insistenza tentarono di frenare ed impedire che «le folle uccidessero gli ebrei», ma se i principi, in quei luoghi, erano deboli, anche la Chiesa lo era, vista la «concentrazione di movimenti eretici cristiani nelle stesse comunità renane».

Per comprendere meglio questo concetto, si deve pensare che più avanti, durante la caccia alle streghe di età moderna, fu ancora una volta la zona del Reno la più colpita dalle fobie popolari, e quindi la più segnata dai roghi. Ebbene, anche in questo caso, la spiegazione principale sembra questa: spesso laddove il potere statale era più forte, i panici di massa erano tenuti sotto controllo. Ancora più efficace era l’Inquisizione, dal momento che le terre in cui essa operava realmente, furono le meno colpite dalla caccia alle streghe (e agli stregoni, visto che gli uomini bruciati sul rogo furono una discreta percentuale). E’ opinione ormai diffusa tra gli storici, infatti, che l’Inquisizione abbia sostituito “la violenza della folla”, irrazionale e incontrollabile, “con il principio di legalità”, frenando così spesso gli imbestialimenti popolari.

Durante le peste del 1347, dunque, autorità religiose e civili – molto deboli – delle zone germaniche, non riuscirono nel loro intento di spegnere gli eccessi popolari. In altre zone invece, il loro intervento ebbe maggior successo. Scrive G.S Barras nella sua “Storia generale della Chiesa”: «alcuni ebrei vinti dal dolore confessarono questo delitto sotto tortura ed in un pozzo fu trovato realmente veleno; tanto bastò perché i sospetti assumessero tosto l’indole di fatto vero, ed allora in Svizzera, in Alsazia e in tutte le contrade in riva al Reno cominciò un eccidio generale di ebrei». Nella Francia meridionale, invece, Clemente VI «interpose a loro difesa (degli ebrei, ndr) la sua autorità pontificia, e con bolla del 4 luglio 1348 vietò di ascrivere agli ebrei delitti immaginari o toccarne vita o sostanze prima di sentenza del legittimo giudice». Il papa dovette nuovamente intervenire il 26 settembre con un’altra bolla, in cui spiegava che gli ebrei morivano di peste esattamente come gli altri, e che la peste si era diffusa anche laddove non vi erano comunità ebraiche. Inoltre «ordinava a tutti i vescovi di pubblicare nelle chiese una sentenza di scomunica contro coloro che li molestassero, in qualunque modo ciò fosse».

William Naphy e Andrew Spicer, nel loro “La peste in Europa” (Il Mulino 2006) aggiungono che «molti eminenti uomini di chiesa condannarono questi attacchi ispirandosi agli insegnamenti di sant’Agostino di Ippona, per il quale gli ebrei dovevano essere tollerati in quanto parte essenziale della storia cosmica del cristianesimo». Ma se in alcuni posti ebbero ascolto, in altri, soprattutto nelle regioni del Reno, non fu così. Non è un caso che le autorità civili e religiose fallirono laddove pullulavano i movimenti ereticali, portatori di una specifica visione non solo religiosa, ma anche politica e sociale. «Era a Magonza – scrive ancora Stark – che Teuda aveva riunito un seguito e aveva proclamato la data della Seconda Venuta. Solo in Renania, e soprattutto a Magonza e Colonia, i catari avevano creato delle congregazioni nel XII secolo, ed era principalmente in Renania che i valdesi tedeschi avevano trovato sostegno nel XIII secolo, in particolare a Magonza, Spira, Worms e Wurzburg. Nel XIII e nel XIV secolo fu in queste stesse città renane che fiorì l’eresia del Libero Spirito…Nel XV secolo fu qui che gli ussiti trovarono un seguito tedesco, e città come Norimberga, Magonza, Worms, Spira e Ratisbona furono nuovamente tetro di scontri. E, ovviamente, fu a Spira che per la prima volta venne usato il termine ‘protestante’ per definire coloro che seguivano Martin Lutero, e a Worms che lo stesso Lutero disse alla Dieta ‘Non posso fare altrimenti. Che Dio mi aiuti’».

Chiosiamo queste considerazioni. Contro chi se la prendevano i catari, i fratelli del Libero Spirito, i flagellanti (l’eresia più diffusa e più violentemente antisemita in Germania), gli Hussiti? Contro gli ebrei, si è detto; ma anche contro i sacerdoti cattolici e la Chiesa. Scrive G. Fourquin nel suo “Le sommosse popolari nel Medioevo”: «Il movimento dei flagellanti dei paesi germanici si scontrò violentemente contro la Chiesa e si impadronì dei suoi beni temporali, trattò brutalmente gli ecclesiastici che osarono contraddirlo, cosa considerata inammissibile dagli inviati di Dio. Ma i demoni non erano soltanto i preti, erano anche gli ebrei. Il grande massacro di israeliti dell’Occidente, che incrudelì in occasione della grande peste, fu responsabilità, in buona parte, dei flagellanti…». A confermare questa ricostruzione, due studi imprescindibili sulla violenza anti-cattolica degli eretici medievali: quello di Igor Safarevic, “Il socialismo come fenomeno storico mondiale” e quello, più celebre, di Norman Cohn, “I fanatici dell’Apocalisse”. Ricorda il Cohn che gli eresiarchi tedeschi, per lo più millenaristi fanatici, erano «nemici intransigenti della Chiesa, decisi non solo a condannare il clero, ma anche a respingere completamente la sua pretesa di autorità soprannaturale». Per questo non di rado tiravano giù dal pulpito ecclesiastici e predicatori, per bruciarli sul rogo o per lapidarli.

Cohn ricorda che papa Clemente VI scriveva che la maggioranza degli eretici «o dei loro seguaci, sotto un’apparenza di pietà, pongono mano a imprese crudeli ed empie, spargendo il sangue di ebrei che la pietà cristiana accoglie e sostiene»; aggiunge che in Germania «dovunque le autorità avevano protetto gli ebrei», sia i principi che i tribunali inquisitorali, ma spesso senza alcun successo. «Gli ebrei – scrive ancora il Cohn – non erano comunque i soli a venire uccisi: molti membri del clero perirono per mano delle orde escatologicamente ispirate» che credevano di eliminare l’Anticristo stesso, visto spesso come un ebreo, ma anche come il figlio di un vescovo e di una monaca cattolici. Non fu dunque Lutero “il primo a battere sull’idea dell’Anticristo” ma ereditò un luogo comune tra i movimenti ereticali tedeschi del periodo a lui precedente.

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Ipocrisia LGBT: gli italiani a favore del ddl Cirinnà? Ma non erano omofobi?

ipocrisiaQuando la comunità Lgbt voleva a tutti i costi far approvare la legge contro l’omofobia, gli italiani venivano descritti -con la complicità dei grandi quotidiani- come un popolo di navigatori, poeti e criminali omofobi. Messo da parte il ddl Scalfarotto, l’obiettivo sono diventate le unioni civili ed improvvisamente anche gli italiani sono diventati un popolo gayfriendly, pronto e desideroso di approvare non soltanto le unioni civili, ma anche tutto il corollario di istanze Lgbt (invece le statistiche dicono il contrario. Proprio oggi un ennesimo sondaggio ha stabilito che l’87% delle donne è contro l’adozione gay).

L’Espresso nel luglio 2014 pubblicava fantomatiche classifiche dove l’Italia, senza il ddl Scalfarotto, appariva il Paese nemico delle persone omosessuali: «Discriminazione, paura e aggressioni» era il clima che si respirava nel Belpaese. Oggi, sempre sul Gruppo l’Espresso, una coppia omosessuale descrive minuziosamente quanto invece l’Italia sia arcobaleno, mai nessuna discriminazione subita perché «gli italiani sono molto più avanti delle legge dello Stato». E il dilagante fenomeno dell’omofobia? Sparito, addirittura l’idraulico, il panettiere e perfino «l’impiegata dell’anagrafe ci ha detto: “Ma che bella famiglia!».

Su Repubblica, fino al 2014, quasi ogni giorno si ospitavano interviste di coppie omosessuali maltrattate «solo perché gay» e appelli contro l’inarrestabile fenomeno italiano dell’omofobia. Oggi, sempre su Repubblica, soltanto interviste a sorridentissime coppie omosessuali che chiedono una legge sulle unioni civili perché si sentono già accettate dalla popolazione, perché «la società da questo punto di vista è più avanti delle leggi». Ritornello già sentito. Perfino al catechismo della “figlia” «siamo state accolte a braccia aperte», perché anche la Chiesa è aperta alle nozze trans e organizzerà il prossimo Gay Pride.

Ieri la presidente delle Famiglie Arcobaleno, Marilena Grassadonia, elencava i motivi per approvare urgentemente una legge che contrastasse il fenomeno dell’omofobia perché in Italia  le persone omosessuali non «siano oggetto di omofobia e discriminazioni». Oggi, sempre la Grassadonia, racconta che i suoi bambini non subiscono alcuna discriminazione, l’obiettivo è il ddl Cirinnà e quindi lo slogan è cambiato: «Le leggi ci respingono come famiglia, la società invece ci accoglie». E se i giornalisti parlano di “utero in affitto”, lei si arrabbia: «Non va detto così! Si chiama Gpa». Anzi, meglio non chiamarlo nemmeno sia mai che qualcuno capisse davvero di cosa si tratta.

Un mese fa, altra coppia gay e stesso messaggio: «Nel quartiere qualcuno si è accorto di loro e le reazioni sono state genuine e calorose», scrive il giornalista. «Non ci aspettavamo altro che quelle, onestamente», spiega Fabio, uno dei due omosessuali. L’omofobia? Non esiste, «il mondo reale è molto diverso da quello che alcuni personaggi vogliono farci credere con i loro commenti bigotti e ipocritamente anticonformisti. La gente che incrociamo ogni giorno è solo curiosa di sapere come abbiamo avuto Luca, poi esternano gioia per questa nascita. Nessuno si è mostrato disgustato e inorridito» dell’utero in affitto. Ma dove sono finite tutte le classifiche dell’Italia maglia nera dell’omofobia? Non è più tempo di parlarne. D’altra parte, che i quotidiani siano in ostaggio della comunità Lgbt è emerso chiaramente quando hanno censurato la notizia sul vittorioso referendum a favore della famiglia in Slovenia.

Il culmine lo ha raggiunto Giuseppina La Delfa, fondatrice delle Famiglie Arcobaleno, che meno di un anno fa spiegava l’inutilità del padre e della madre perché i genitori «non importa se siano uno, due o diciotto». Si, anche diciotto genitori: chi sei tu per giudicare? Non fanno male a nessuno, meglio dei bambini in orfanotrofio e ricordati che love is love. Nel 2013 scriveva: «C’è urgente bisogno di provvedimenti: prima di tutto una legge che punisca severamente i reati di omofobia. E questa legge non può tardare più. L’omofobia si semina nella mente dei bambini già nella scuola materna. Bisogna restituire dignità e visibilità alle nostre persone, alle nostre coppie, alle nostre famiglie e ai nostri figli». Ma i dati dicono cosa diversa, in Italia l’omofobia non esiste e la legge infatti è stata accantonata senza troppi sconvolgimenti nel mondo Lgbt, tanto che nessuno più ne parla. Oggi l’obiettivo sono le unioni civili e anche il racconto di Giuseppina La Delfa è cambiato: «Mai una frase omofoba, mai un cenno di discriminazione verso i nostri figli. È difficile crederci, pensando che siamo al Sud, in un piccolo paese, ma è così. Anzi la nostra casa è diventata un punto d’incontro, i genitori sono ben felici che i loro bambini frequentino i nostri».

Scusi, cara fondatrice delle Famiglie Arcobaleno, ma non era lei a dire che l’omofobia toglieva dignità ai vostri figli? Non era lei a definire urgente un provvedimento legislativo per frenare i “cenni di discriminazione” che oggi dice non essere mai esistiti? Ipocrisia arcobaleno.

La redazione

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Il medico abortista Gian Benedetto Melis: «la vita? Inizia alla nascita»

Gianbenedetto MelisPochi giorni fa Papa Francesco è tornato a combattere l’aborto spiegando che «le persone non sono più sentite come un valore primario da rispettare e tutelare, specie se povere o disabili, se “non servono ancora” – come i nascituri –, o “non servono più” – come gli anziani». Poco tempo prima, sempre parlando dei bambini, aveva condannato quando «si sfruttano o si uccidono prima di nascere».

Gian Benedetto Melis, responsabile del reparto di Ostetricia e Ginecologia del Policlinico di Monserrato (Cagliari) ha ironizzato sulla posizione della Chiesa: «Per la Chiesa è omicidio pure prendere la pillola…». Si, se si tratta della pillola abortiva, poiché quello della Chiesa è un giudizio coerente. Battute ordinarie, quelle di Melis, per chi è lontano dalla Chiesa e caricaturizza i suoi pronunciamenti per poterli deridere.

La cosa sorprendente, però, è che il medico in questione si dichiara credente, cattolico e praticante. E orgoglioso procuratore di aborti: «Nessuna contraddizione, sono due cose separate. Il problema morale riguarda la mia coscienza, la quale mi dice che devo fare tutto ciò che è possibile per salvare le donne e proteggere i loro diritti. Al contrario, mi sentirei in colpa se non facessi il mio dovere». Peccato che, subito dopo, sia lui stesso a contraddirsi spiegando che le richieste di interrompere la gravidanza non sono dovute alla vita in pericolo, ma «l’indigenza è una motivazione che riscontro spessissimo. Il fatto che non si abbia un lavoro, né i mezzi per andare avanti, induce tante donne a fare questa scelta».

Problemi risolvibili, dunque (e la legge chiede di risolverli prima di optare per l’interruzione di gravidanza), non c’è alcuna donna da salvare perché per fortuna l’aborto terapeutico -che il dott. Melis cita per tranquillizzare la sua coscienza- è un evento ormai molto raro. Lo ha certificato anche il Guttmacher Institute, scoprendo che il 74% delle interruzioni di gravidanza è dovuto alla paura che un bambino cambierebbe la vita della donna, il 73% per problemi economici, il 48% perché la madre è single. Solo il 13% degli aborti avviene perché la madre ha dubbi sulla sua salute e il 3% perché si hanno dubbi su quella del bambino.

Si rimane allibiti anche a leggere un’altra affermazione: «Io credo che la vita incominci al momento della nascita, ma non sto a discutere se è vita quella dell’embrione e quella dei gameti vicini nelle tube». Stupore che aumenta se si considera che il dott. Melis è ordinario di Ginecologia e Ostetricia nella Facoltà di Medicina a Cagliari. Ancora una volta è lui stesso a contraddirsi spiegando l’impegno per la prevenzione delle gravidanze indesiderate: a cosa serve prevenire l’aborto se tanto si elimina una non-vita, come lui ha definito quella del nascituro?

Qualcuno si stupisce? Forse esiste un modo di difendere l’aborto senza cadere in contraddizione? Il dott. Melis lo ha dimostrato: no, non esiste.

La redazione

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«Voltaire? Un impostore, il più intollerante tra gli illuministi»

VoltaireIl celebre storico Pierre Chaunu, professore di Storia Moderna alla Sorbonne e membro dell’”Institut de France” ha spiegato che «il bilancio della Rivoluzione francese è largamente negativo», sempre che si vogliano guardare realmente i fatti. Il mondo senza i moti rivoluzionari sarebbe «molto migliore». Un tabù dirlo, ancora oggi.

Gli ideali (Liberté, Fraternitè, Egalité) erano nobili ma «non furono altro che principi giudeo-cristiani» maldestramente copiati dai giacobini francesi, valori che vennero comunque oscurati dai «massacri compiuti sotto la Rivoluzione. Se si sommano le perdite della guerra e le perdite anteriori, si arriva per un Paese di 27 milioni di abitanti qual’era allora la Francia ad un totale che è nell’ordine di milioni». Senza considerare il Regime del Terrore, la ghigliottina e la Legge del sospetto (per la quale si veniva incarcerati soltanto se si veniva sospettati di aver compiuto reati politici).

Il settimanale Tempi ha intervistato recentemente Marion Sigaut, storica e scrittrice, specializzatasi all’Università di Parigi VI e diventata un’esperta dell’Era dei Lumi e, sopratutto, di Voltaire. Il suo ultimo lavoro è proprio sull’autore del Trattato della tolleranza, e lo ha intitolato: “Voltaire. Une imposture au service des puissants” (KontreKulture 2014). Ovvero: “Voltaire. Un’impostura al servizio dei potenti”, perché Voltaire -ha spiegato- «fu il più intollerante tra i suoi contemporanei. Lottò tutta la vita per far chiudere alla Bastiglia coloro che non gradiva e per proibire gli scritti che gli facevano ombra. Ciò che definì la sua lotta per la tolleranza consistette, esclusivamente, nell’accusare falsamente i cattolici di intolleranza al fine di predicare la tolleranza a loro discapito. Il Trattato sulla tolleranza è un tessuto di menzogne. Una vergogna».

Parole durissime che però trovano conferma tra gli studiosi. «Non volevo lavorare su Voltaire, ma l’ho incrociato nel corso delle mie ricerche poiché è imprescindibile quando ci si interessa al Settecento», ha proseguito la storica francese. «Sono rimasta sbalordita nello scoprire il divario che separa ciò che si dice da ciò che fu. Incredibile. La menzogna è talmente enorme che la voglia di ripristinare il vero mi si è imposta. Bisognava dire la verità. L’infatuazione per Voltaire è la misura dell’enormità menzognera che il sistema proferisce sul nostro passato. Il pubblico ama un Voltaire che non è mai esistito. Ciò che realmente ammira è l’intelligenza, la generosità, il coraggio, l’impegno per delle buone cause, tutto ciò che gli si fa credere che Voltaire abbia difeso. La bugia è troppo grossa».

«Il sistema presente», ha proseguito la Sigau, «ci fa credere che i Lumi furono un movimento redentore del popolo, che la Rivoluzione Francese fu un’insurrezione popolare, che Voltaire difendeva la libertà di espressione, che i re erano tiranni e che la religione cattolica fu barbarica. La realtà è tutto il contrario. I Lumi furono un movimento elitario e pieno di disprezzo nei confronti del popolo, la Rivoluzione una serie di colpi di Stato sanguinari e barbari, Voltaire un mostro, i nostri re dei protettori e la religione cattolica il pilastro dei più bei valori della nostra civiltà. Criticare Voltaire significa riscoprire la libertà di pensiero».

Voltaire non era soltanto nemico del popolo (cattolico), ma combatteva gli stessi illuministi come accadde con Rousseau: «Voltaire frequentava soprattutto nobili e privilegiati e sdegnava la denuncia radicale delle ineguaglianze sociali da parte di Rousseau. Non si trattò solo di uno scontro intellettuale. Voltaire arrivò a denunciare Rousseau. Lo voleva in galera. E non esitò a toccare con brutalità anche la sfera della vita privata del suo rivale. Fu un confronto diseguale, che vide Rousseau emarginato e calunniato».

Purtroppo oggi emerge pubblicamente soltanto l’antisemitismo, il razzismo di Voltaire e la falsa attribuzione della frase “Non sono d’accordo con ciò che dite ma mi batterò fino alla morte perché abbiate il diritto di dirlo”. Ma c’è ben altro da sapere su di lui e sugli anni bui dell’Illuminismo.

La redazione

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Età e dimensioni Universo non sono obiezione a Dio

UniversoL’Universo é apparso miliardi di anni fa e l’esistenza umana sembra davvero un semplice blip sul calendario cosmico, esistono un gran numero di galassie, enormi quantità di stelle, pianeti e altre entità astronomiche, la terra stessa ha miliardi di anni eppure gli esseri umani hanno iniziato ad esistere solo da un periodo relativamente recente di tempo.

Queste evidenze scientifiche sono statisticamente le più trattate dalle persone di fede atea quando giustificano la loro posizione esistenziale. Eppure, è proprio attraverso la ricerca scientifica che si può replicare: John Barrow e Frank Tipler, nel loro capolavoro intitolato “Il principio antropico” (Adelphi 2002), hanno ben spiegato che le dimensioni e l’età dell’Universo sono proprio ciò che dovremmo aspettarci di osservare. Infatti, un universo corrispondente a dati differenti sarebbe rimasto vuoto e disabitato poiché in un tempo più breve di 15 miliardi di anni gli elementi pesanti (ossigeno e carbonio), indispensabili sia per la costituzione della terra che per i composti organici di cui è fatta la materia vivente, non avrebbero avuto il tempo e lo spazio necessari per formarsi in quantità sufficiente nelle nucleo-sintesi stellari.

Come ha scritto Owen Gingerich, docente di Astronomia e Storia della scienza all’Università di Harvard, «invece di denunciare il carattere marginale e assolutamente effimero dell’umanità all’interno di un universo immenso e antichissimo, bisognerebbe spiegare che in un universo più piccolo e più giovane la nostra comparsa non sarebbe stata possibile, dal momento che non vi sarebbe stato il tempo per “cuocere” a fuoco lento gli elementi necessari alla vita» (O. Gingerich, “Cercando Dio nell’Universo”, Lindau 2007, p.17).

Questa spiegazione, com’è comprensibile, fa sorgere una seconda domanda: perché Dio ha scelto un tale universo piuttosto che produrre miracolosamente le stelle e i pianeti, l’uomo e la natura in un solo attimo? Qui si esce dal campo scientifico e si chiede di entrare nella mente di Dio, è comunque possibile rispondere come ha fatto il filosofo William Lane Craig, della Talbot School of Theology di Los Angeles, osservando che probabilmente il Creatore ha voluto appositamente creare un passato non illusorio al nostro mondo. Si potrebbe anche aggiungere che un universo sorto improvvisamente, già formato, senza una sua naturale evoluzione, avrebbe irrimediabilmente compromesso la libertà degli esseri viventi, costretti e forzati a credere in Lui. Quale Padre sarebbe soddisfatto se costringesse il figlio ad amarlo? Senza la libertà di riconoscere o meno Dio, il Creatore avrebbe forgiato un burattino, non un uomo.

Per questo il noto fisico inglese Paul Davies ha commentato: «Secondo la mia opinione e quella di un crescente numero di scienziati, la scoperta che la vita e l’intelletto sono emersi come parte dell’esecuzione naturale delle leggi dell’universo è una forte prova della presenza di uno scopo più profondo nell’esistenza fisica. Invocare un miracolo per spiegare la vita è esattamente quello di cui non c’è bisogno per avere la prova di uno scopo divino nell’universo» (P. Davies, Conferenza pronunciata a Filadelfia su invito della John Templeton Foundation e diffusa da Meta List on “Science and Religion”).

A chi denuncia la poca efficienza di un tale universo, osservando lo spreco di spazio e di tempo, bisognerebbe ricordare -come ha fatto giustamente il già citato filosofo americano- che l’efficienza è un valore solo per chi ha un tempo e/o risorse limitate, una condizione che è inapplicabile a Dio. Egli va considerato piuttosto come un artista, «che spruzza la sua tela cosmica di colori abbaglianti e creazioni. La vastità e la bellezza dell’universo mi parlano della maestosa grandezza di Dio e della sua meravigliosa condiscendenza nell’amare e nel prendersi cura di noi». Effettivamente è soltanto osservando un Universo del genere -finemente sintonizzato alla comparsa della vita e dominato dall’ordine, non dal caos- che può sorgere lo stupore e l’umiltà dell’uomo, che porta a dire: «Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissate, che cosa è l’uomo perché te ne ricordi e il figlio dell’uomo perché te ne curi?» (Salmo 8).

E’ soltanto osservando il nostro Universo che Albert Einstein può affermare: «Noi siamo nella situazione di un bambino che è entrato in una immensa biblioteca piena di libri scritti in molte lingue. Il bambino sa che qualcuno deve aver scritto quei libri, ma non sa come e non conosce le lingue in cui sono stati scritti. Sospetta però che vi sia un misterioso ordine nella disposizione dei volumi, ma non sa quale sia. Questa mi sembra la situazione dell’essere umano, anche il più intelligente, di fronte a Dio. La convinzione profondamente appassionante della presenza di un superiore potere razionale, che si rivela nell’incomprensibile universo, fonda la mia idea su Dio» (citato in Isaacson, “Einstein: His Life and Universe”, Simon e Schuster, pag. 27). Un Universo differente, non avrebbe fatto volgere al cielo gli occhi del pastore errante dell’Asia, descritto da Leopardi, nessuno avrebbe sentito la sproporzione della sua finitezza con l’immensità dell’Universo di cui è parte, chiedendosi il significato di questo e che senso abbia lui stesso, la sua stessa esistenza. Nessuno, per concludere, avrebbe colto la domanda infinita di senso che abita noi, esseri finiti.

Bisogna quindi smentire l’idea che la vastità dello spazio e l’età dell’Universo siano una valida obiezione a Dio. E’ proprio vero il contrario, come ha spiegato il celebre evoluzionista Kenneth R. Miller, docente di Biologia presso la Brown University: «il nostro mondo è infinitamente più vasto, più complesso, più vario e creativo di quanto avessimo mai creduto prima, in un certo senso questo approfondisce la nostra fede e il nostro apprezzamento per l’Autore di tale opera, l’autore di questo universo fisico».

La redazione

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Ecco perché il cristianesimo non è una religione…

Si parla sempre di religione cattolica, non è sbagliato. Ci mancherebbe. Anche nel cristianesimo ci sono riti, preghiere, dottrina, ci sono i sacerdoti. In questo senso c’è tutto quello che c’è in una religione. Solo che questo legame non lo abbiamo stabilito noi.

Don Luigi Giussani, un sacerdote e un grande educatore che ha fatto scoprire la fede a moltissime persone, per spiegare questo faceva un disegno alla lavagna. Una lunga riga orizzontale, con una freccia: la linea della storia. Sopra la riga, in alto, piazzava una “X”, come l’incognita delle equazioni: il Mistero, Dio. Poi, tante frecce che partivano da punti diversi della riga per avvicinarsi alla “X”. Le spiegava così: «Sono le religioni, che nascono in certi momenti storici come tentativi dell’uomo di conoscere la “X”, di svelarne il volto». Tentativi nobili, ma impossibili: il Mistero è troppo più grande delle capacità dell’uomo.

Conoscere fino in fondo Dio, per noi, è impossibile. «A meno che…». E lì disegnava una freccia che faceva il percorso inverso: dalla “X” a un punto della riga. «A meno che in un certo momento della storia non sia Dio a rivelarsi. A rendersi incontrabile da noi». Il cristianesimo è proprio questo. Un uomo che, in un certo momento della storia, dice: io sono la via, la verità e la vita. Io sono Dio.

E’ un caso unico. Non ce ne sono altri nella storia. Maometto, Buddha, Confucio e i fondatori delle varie religioni sono in qualche modo profeti. Annunciano Dio agli uomini. Dicono: ho capito qualcosa in più di Dio e ve lo spiego. E magari lo fanno anche in maniera accattivante, tanto è vero che attorno a loro si creano folle di persone che li seguono. Gesù no. Lui non si limita a dire: vi spiego chi è Dio. Lui dice di essere Dio. Delle due l’una: o era pazzo, o quello che diceva di essere è vero. Non ci sono vie di mezzo.

Attenzione, però: se quello che dice è vero, cambia completamente il nostro modo di entrare in rapporto con Dio. Invece di restare un mistero assoluto, che richiede sforzi immani di comprensione e una serie di tentativi di immaginarselo destinati a restare insoddisfatti, Dio diventa qualcosa di semplice, di incontrabile da tutti. Anche dai semplici, dai poveri, da chi non ha studiato. Anzi, sotto questo aspetto è davvero una rivoluzione enorme perché proprio le persone più semplici e aperte, quelle che non hanno delle loro teorie da difendere, paradossalmente sono avvantaggiate.

Lo stesso don Giussani faceva questo esempio. Immagina di avere davanti una grande pianura piena di cantieri. Ovunque ci sono gruppi di persone che costruiscono torri altissime che vanno verso il cielo, ognuno è un progetto diverso disegnato da un architetto diverso; ognuno con il suo staff di ingegneri e capomastri che seguono i lavori; ognuna con migliaia di operai che portano travi e mattoni. Intorno, qua è là, si vedono le macerie di altre torri, già crollate. Ma architetti e manovali continuano a lavorare senza fermarsi perché hanno tutti la stessa speranza: «Con questa torre arriveremo a vedere in faccia Dio». A un certo punto, sulla cima di una collina che dà sulla pianura, spunta un uomo. Guarda per un bel po’ quel cantiere infinito, quel brulicare di formichine che si affannano a correre qua e là. Poi grida: «Fermatevi!».

Gli operai del cantiere più vicino lo sentono e si fermano, incuriositi. Poi gli altri, e gli altri ancora. Alla fine, sulla pianura c’è un silenzio totale. Ascoltano tutti quell’uomo. «Il lavoro che state facendo è bellissimo. Ma è triste. Perché nessuna delle vostre torri, neanche la più alta, può arrivare a Dio». Brusio, vociare. Poi, di nuovo silenzio. E l’uomo prosegue: «Ma Dio ha avuto pietà di voi e dei vostri sforzi. Ha deciso di venire Lui da voi per farsi conoscere». Silenzio totale, pieno di tensione. «Sono io che vi parlo». Urla, strepiti, parolacce. Sopratutto da architetti e ingegneri: «E’ un pazzo, lasciatelo perdere». «Ma che volete mettere questo matto con i nostri progetti? Su, tornate al lavoro. Non perdiamo tempo!». E si rimettono tutti a lavorare. Tutti, tranne qualcuno degli operai. Non hanno un loro progetto da difendere, con la loro firma sopra. Ma vogliono davvero arrivare a Dio. Si guardano in faccia, incuriositi: «E’ se fosse vero?». Così abbandonano il cantiere e vanno verso la collina, per vedere se quell’uomo ha ragione o no.

L’annuncio cristiano è così, rivolto a tutti. Possibile a tutti. Ma sopratutto a chi è più semplice. In uno dei passi del Vangelo, Gesù dice: «Beati i poveri di spirito, perché di essi è il Regno dei cieli» (Mt 5,3). Cioè i semplici, quelli che non hanno teorie da difendere davanti a Dio. Per questo, la notte di Natale i primi ad arrivare davanti alla grotta non sono stati i sacerdoti e gli studiosi -quelli che pure sapevano che il Messia “doveva nascere a Betlemme di Giudea”-, sono stati i pastori. I più semplici furono i primi a riconoscere che c’era qualcosa di misterioso in quel bambino. Ecco, il cristianesimo è questo: è l’annuncio che quel bambino, nato la notte di Natale in quel posto e in quel momento preciso della storia, è Dio.

Il cristianesimo non è una morale, né una serie di regole da rispettare. E’ semplicemente credere a questo fatto, farne esperienza personale. E seguirlo. Cioè, stare con Lui. Benedetto XVI lo ha detto benissimo: «All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la decisione decisiva». Si diventa cristiani perché ci si imbatte in un fatto, anzi in una Persona. Un Uomo fatto di carne ed ossa come noi: Gesù.

 

di Davide Perillo, tratto da La fede spiegata a mio figlio (Piemme 2007, p. 31)

 

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Lo psichiatra Paolo Crepet: «la gestazione per altri? Nazismo puro»

E’ abbastanza surreale il fatto che nel grande dibattito che è emerso sull’utero in affitto e sulla gestazione per altri da parte di fantomatiche “donne generose”, sia i favorevoli che gli oppositori concentrino le loro attenzioni soltanto sulla donna, sul suo diritto o non diritto di trasformarsi -dietro pagamento di denaro o in modo gratuito- in una incubatrice per produrre bambini da dare ad altri.

Davvero pochi coloro che, come nel grande dibattito sull’aborto, spostano l’attenzione sui bambini. Ne abbiamo già parlato in un altro articolo: nessuno si accorge che i bambini non possono essere trattati come “pacchetti regalo”? Il problema più evidente, scrivevamo, è il “regalo di neonati” operato dalle “mamme generose occidentali”, pratica altrettanto indegna quanto l’affitto degli uteri delle povere donne indiane. Ricordavamo la profonda relazione che si instaura tra la mamma e il bambino nei nove mesi di vita prenatale (il bonding madre bambino), tanto determinate da condizionare il futuro di questo essere umano, una volta nato. Un’intima conoscenza che viene improvvisamente lacerata quando il figlio, una volta nato, viene strappato dalla madre per essere “regalato” con un fiocchetto in testa alle coppie, gay o etero, più bisognose. Sempre ammesso che il “prodotto” non abbia difetti, altrimenti verrà scartato.

Siamo grati per questo al noto psichiatra Paolo Crepet che, durante la puntata televisiva del 12/01/16 di Tagadà, ha voluto ribadirlo in modo molto chiaro: «c’è un problema psicologico, non giuridico: voi siete mamme e non ve lo devo dire io che quei nove mesi non sono solo una questione di crescita biologica. Ci sono migliaia di studi che testimoniano che tra la mamma e il bambino che ha in pancia si stabilisce una relazione affettiva». Alle repliche scandalizzate dell’imbarazzante Wladimiro Guadagno, in arte Luxuria (opinionista di punta dei programmi trash come l’Isola di Adamo ed Eva), Crepet ha replicato: «le donne che chiedono ad altre di portare avanti, per loro, la gravidanza? Orribile, nazismo, nazismo puro. Voi parlate dei diritti degli adulti e non dei diritti dei bambini».

Invitiamo ad osservare l’evidente disagio di Monica Cirinnà, madrina del ddl che introdurrà proprio la possibilità dell’utero in affitto e della maternità surrogata in Italia, e della conduttrice Tiziana Panella, che voleva chiaramente impostare la puntata a favore delle istanze Lgbt ed invece il tutto si è trasformato in un clamoroso autogol. Grazie all’intervento dello psichiatra Paolo Crepet.

 

Qui sotto il video della puntata (pubblicato anche sul nostro canale Youtube)

 

Aggiornamento 18/01/16
Il noto psichiatra ha ribadito il concetto in un’intervista: «Se due gay che stanno insieme e decidono di andare in Usa o in Canada, ovvero dove si può andare, e si affitta un utero – perché è di questo che si tratta – e si torna in Italia dopo nove mesi con un bambino, io lo trovo nazista. E alla signora Luxuria ho detto chiaro che questo è un pensiero nazista».

 

Aggiornamento 21/01/16
Crepet ha chiarito ancor meglio il suo pensiero in un’altra intervista: «C’è un’enorme quantità di studi sulla relazione emotiva che c’è tra il feto e la mamma durante i nove mesi di gravidanza. Non è un oggetto che hai nella pancia; è un essere umano vivente che ha delle relazioni con te. Quindi mi chiedo come si possa pensare che questo non debba essere importante». Parla di «nazismo nel senso che l’eugenetica è la scienza genetica e i nazisti volevano che tutti i bambini fossero biondi con gli occhi chiari. C’è anche un’altra cosa particolarmente indisponente secondo me: la pratica dell’utero in affitto è una cosa che si può fare solo se si hanno i soldi. Quindi due gay operai della Fiat non possono accedervi. In ogni caso, lei capisce bene, che se due signori gay andassero in California o in Canada ad affittare un utero, non cercherebbero una signora grassa, ma troverebbero qualcosa che si addice alla loro razza. Questo si chiama “eugenetica”, una prassi molto amata dai nazisti».

La redazione

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I “problemi” dell’Italia e la cultura cattolica: ci sono legami?

Bandiera italianaQualunque italiano si è trovato almeno una volta -a torto o a ragione- a fare o ad ascoltare una lamentela sui grandi “mali” italiani, dallo scarso senso civico alla dilagante corruzione (non solo politica), dalla mafia all’omertà verso i mafiosi, dall’evasione fiscale a tutto l’elenco di brutture che hanno rovinato il nostro Belpaese.

Secondo alcuni pensatori, come il giornalista Mario Missiroli, in Italia sarebbe mancata la Rivoluzione protestante che avrebbe rivoluzionato le coscienze, come sarebbe accaduto altrove. Il che equivale ad un’accusa al retroterra religioso italiano, cioè la cultura cattolica, che avrebbe indebolito la coscienza degli italiani.

In ogni caso, la sua tesi è stata ridimensionata da Giovanni Belardelli, ordinario di Storia delle dottrine politiche dell’Università di Perugia: «si tratta di una spiegazione tanto apparentemente suggestiva quanto sostanzialmente indimostrabile. Per farlo bisognerebbe poter sostenere che gli stessi limiti che caratterizzano la cultura e i comportamenti degli italiani si riscontrano in tutti i Paesi di tradizione cattolica. Una simile spiegazione oltretutto scoraggia dal cercare in altre direzioni le ragioni di certi tratti profondi della nostra cultura». Secondo Belardelli «nella storia della Penisola avrebbe pesato, più che l’assenza della Riforma protestante, un forte potere statale capace di affermare la propria supremazia e di disciplinare la società, introducendovi determinati comportamenti, obblighi e regole di vita».

Mentre condividiamo completamente la risposta del prof. Belardelli, lo stesso non possiamo dire del suo secondo affondo, anch’esso è una tesi tutta da dimostrare: l’invocazione di uno Stato forte (un Stato eitco?) con il compito di educare e disciplinare la società è stato a lungo sperimentato con esiti disastrosi, pensiamo alle dittature novecentesche. Una forte disciplina statale è ancora oggi presente in Cina, ad esempio, non proprio un esempio di culla della libertà.

Inoltre, la storia dimostra che Lutero ha semplicemente riconsegnato la Chiesa in mano ai principi tedeschi, rendendo la religione uno strumento del regno. I riformatori religiosi, infatti, diventarono anche i capi della vita politica e molti pensatori (Jacques Maritain, ad esempio) hanno accusato la Riforma di essere stata la causa della predisposizione dello Stato assoluto, la grande miccia delle ideologie totalitarie. Esattamente l’opposto della laicità e dell’indipendenza dello Stato: non a caso ancora oggi nel Regno Unito, paese a tradizione protestante, il capo dello Stato è contemporaneamente capo della Chiesa anglicana (seppur ridotto ad un potere formale). Il re di Norvegia è anche il capo costituzionale della Chiesa protestante norvegese (ed è obbligato a professare la fede luterana), fino al 2000 in Svezia il luteranesimo era la religione di Stato, ancora oggi in Danimarca la Chiesa luterana è la religione statale con finanziamenti annuali da parte dello Stato, il Sovrano danese, il Ministro per gli affari del culto e il parlamento hanno ruoli all’interno della Chiesa luterana. Come ha spiegato mons. Luigi Negri, arcivescovo di Ferrara-Comacchio, «il protestantesimo è responsabile di aver eliminato la grande distinzione della salvaguardia sia di libertà di coscienza che dell’uso corretto della vita socio politica dello stato» (L. Negri, False accuse alla chiesa, Piemme 1997, p. 230). Il protestantesimo inteso come struttura religiosa, non c’è alcuna accusa ai nostri fratelli protestanti.

Il prof. Marco Moschini, docente di Filosofia presso l’Università di Perugia, ha aggiunto anche che «furono proprio i cattolici, invece, a dare all’Italia il suo periodo di miglior benessere, attraverso la solidarietà nella ricerca del bene comune e di una economia che non fosse né un capitalismo arrivista né socialista. Quando in Italia c’era uno Stato massonico, quello unitario appena formato, furono proprio i cattolici a dimostrare vivacità e novità, non solo con l’attività magisteriale della Chiesa, ma anche con quella politica e sociale. Chi ideò le cooperative sociali intese come costruzione di bene comune, propugnando il sostegno collaborativo, e la creazione di una economia non capitalistica né socialista?». E ancora: «La Chiesa ha sempre proposto riferimenti sociali di sostegno, Gregorio XVI aiutò a preparare una serie di personalità amministrative cattoliche, poi finite nello stato sabaudo, che diedero un contributo fondamentale». Ha quindi concluso: «Insomma, l’arretratezza dell’Italia per colpa dei cattolici è una grande menzogna».

La redazione

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