Le prove storiche della resurrezione di Gesù

Quali sono le prove a favore della risurrezione di Cristo? Cosa dicono i principali studiosi? Il sepolcro di Gesù era davvero vuoto? I discepoli videro davvero il Cristo risorto? Citando i maggiori storici degli ultimi 100 anni, in questo dossier rispondiamo a queste ed altre domande, considerando anche le obiezioni più comuni.

 
 

La resurrezione di Gesù può essere considerato un evento storico?

O è solo oggetto di fede? Oppure un mito inventato? I discepoli trovarono davvero il sepolcro vuoto? E se semplicemente inventarono tutto? Sono possibili spiegazioni naturalistiche? Le apparizioni di Gesù risorto furono allucinazioni o proiezioni psicologiche?

In questo dossier (che resterà costantemente aggiornato) abbiamo interrogato gran parte dei principali studiosi internazionali (credenti e non credenti) delle origini cristiane e citato innumerevoli pubblicazioni, giungendo ad elencare un pool di argomenti a favore della storicità della risurrezione. Inoltre, abbiamo considerato e contro-replicato alle principali obiezioni.

Precisiamo fin subito che è necessario considerare la forza cumulativa di tutti gli argomenti proposti (e non ogni argomento preso singolarmente). Consigliamo l’uso del seguente menù per muoversi agilmente tra le varie sezioni.

 

Indice

 

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

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1. LA STORICITA’ DELLA SEPOLTURA DI GESU’.

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Il primo argomento che contribuisce a dar peso al giudizio finale sulla storicità della resurrezione è quello della storicità della sepoltura.

E’ evidente che se Gesù di Nazareth non venne sepolto sarebbe impossibile dare credito ai testi cristiani quando parlano del ritrovamento del sepolcro vuoto e sarebbe molto difficile ritenere affidabili, in generale, i racconti pasquali.

Ma cosa dice la comunità accademica a proposito della sepoltura di Gesù? E’ unanimemente attestata come storica allo stesso modo in cui sono considerati avvenuti il processo, la crocifissione e la morte in croce? Si, anche se in questo caso c’è una minoranza di specialisti che effettivamente non la accredita come storica per alcuni motivi (ai quali risponderemo).

Secondo il vangelo di Marco, fu Giuseppe d’Arimatea, membro autorevole del Sinedrio ebraico, a chiedere ed ottenere la concessione da parte di Ponzio Pilato del cadavere di Cristo, seppellendolo in un sepolcro (cfr. Mc 15,42-47), probabilmente di sua proprietà. Il racconto è confermato da altre tre fonti indipendenti, con l’aggiunta di qualche piccolo dettaglio: l’evangelista Matteo (Mt 27,57-66), Luca (Lc 23,50-53) e Giovanni (Gv 19,38-42).

Come mostreremo più dettagliatamente più avanti, il più importante studioso del testo marciano, Rudolf Pesch, ha datato la fonte pre-marciana su cui si basa l’evangelista per il racconto della passione all 37 d.C., quindi «a breve distanza dai fatti narrati nell’ambito della prima comunità di lingua aramaica in Gerusalemme»1R. Pesch, Il vangelo di Marco, Paideia 1982, Vol. 2, p. 46, 45.

Sono pochi i dubbi tra la maggioranza di studiosi e storici contemporanei che la sepoltura di Gesù di Nazareth sia un evento realmente accaduto. Jacob Kremer, docente di Studi biblici del Nuovo Testamento presso l’Università di Vienna ha certificato infatti che «la maggior parte degli esegeti considera saldamente affidabili le dichiarazioni bibliche relative al sepolcro vuoto»2J. Kremer, Die OsterevangelienGeschichten um Geschichte, Katholisches Bibelwerk 1977, p. 49-50.

L’eminente Raymond E. Brown, professore emerito presso l’Union Theological Seminary di New York, la ritiene una vicenda «molto probabilmente storica»3R.E. Brown, The Death of the Messiah, 2 vol., Garden City 1994, p. 1240, a partire dal fatto che il racconto soddisfa ben tre dei criteri storici attraverso i quali gli studiosi analizzano i racconti dell’antichità.

Il “criterio della molteplice attestazione” è soddisfatto in quanto il racconto è ripreso in maniera coerente da quattro fonti indipendenti, i quali citano sicuramente delle fonti a loro precedenti (pre-evangeliche); il “criterio della dissomiglianza” è a sua volta soddisfatto in quanto la figura di Giuseppe d’Arimatea è sorprendentemente dissimile dall’atteggiamento prevalente dei primi cristiani verso il Sinedrio; ed anche il “criterio dell’imbarazzo” trova compimento in quanto risulta imbarazzante per i membri della chiesa primitiva aver valorizzato tanto positivamente un esponente di rilievo delle autorità ebraiche, responsabili morali della morte di Gesù.

La presenza di Giuseppe d’Arimatea, confermata da tutte le fonti cristiane, è ciò che rende realmente plausibile tutto il racconto: se gli evangelisti avessero inventato la sepoltura di Gesù, non avrebbero mai inserito come protagonista una figura così specifica come un membro del Sinedrio giudaico, in quanto l’invenzione non avrebbe retto di fronte all’immediata smentita da parte delle autorità ebraiche.

«Sebbene l’alta probabilità non equivalga a certezza», ha concluso Raymond E. Brown, «non c’è nulla nel racconto di base pre-evangelico della sepoltura di Gesù da parte di Giuseppe che non possa essere plausibilmente considerato storico»4R.E. Brown, The Death of the Messiah, 2 vol., Garden City 1994, p. 1240-1241.

Considerando anche che il vangelo di Marco sta citando un’antichissima fonte pre-marciana che attesta la sepoltura (ne parleremo dopo), John At Robinson, decano emerito del Trinity College dell’Università di Cambridge, ha potuto addirittura concludere che si tratta di «uno dei fatti più antichi e meglio attestati su Gesù»5J.A. Robinson, The Human Face of God, Westminster 1973, p. 131.

Anche il teologo scettico Gerd Ludemann, uno dei maggiori teorizzatori di obiezioni alternative alla risurrezione, ammette che negare la storicità di Giuseppe d’Arimatea e la sepoltura di Gesù sarebbe «andare troppo oltre»6G. Ludemann, The Resurrection of Jesus, Fortress Press 1994, p. 207.

Molti studiosi, infine, hanno argomentato che il riferimento ad Arimatea, una città poco nota e priva di significato teologico o storico, conferisce ulteriore credibilità storica alla figura di Giuseppe.

Una delle conseguenze più importanti della storicità del racconto della sepoltura, oltre al fatto di rendere armonica e coerente tutta la storia successiva (a partire dal sepolcro vuoto), è anche che l’ubicazione della tomba di Gesù era nota agli ebrei ed ai cristiani di Gerusalemme. Sicuramente la presenza storica di un membro del Sinedrio, come Giuseppe d’Arimatea, rende plausibile che le autorità ebraiche avessero informazioni sul sepolcro.

 

1.1 Obiezione: non esisteva una sepoltura individuale per i condannati.

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Come accennato, non tutti gli studiosi concordano sulla storicità della sepoltura di Gesù.

L’obiezione più in voga, almeno fino alla metà del XIX secolo, era che parlando di una sepoltura individuale si manifestava ignoranza verso i costumi giudaici e quindi gli autori dei vangeli sarebbero stati dei greci della seconda o terza generazione cristiana.

Il più noto studioso a sostenere questo è stato lo storico John Dominic Crossan, il quale ha insistito sul fatto che Gesù probabilmente non fu mai sepolto poiché le vittime della crocifissione venivano tipicamente lasciate sulla croce per essere mangiate da animali selvatici o seppellite in tombe poco profonde7J.D. Crossan, Jesus, A Revolutionary Biography, HarperSanFrancisco 1994, p. 123-26.

Il riferimento è alle regole giudaiche secondo le quali ai condannati a morte spettava una sepoltura comune, come si legge effettivamente in Mishnah Sanhedrin (contenuto nella Mishnah e nel Talmud).

Gli scavi archeologici svolti a Gerusalemme nel 1968, tuttavia, hanno portato alla luce un ossario contenuto in una tomba ebraica, al cui interno sono emersi i resti di un uomo crocifisso contemporaneo a Gesù o databile ai primi anni del cristianesimo (probabilmente alla fine degli anni 20 d.C.).

José Miguel Garcia, direttore della Cattedra di Teologia all’Università Complutense, ha riferito che tale scoperta è una prova «che non sempre i condannati a morte erano sepolti nella fossa comune» e «se le loro famiglie o gli amici richiedevano i corpi, si poteva concedere loro una sepoltura dignitosa»8J.M. Garcia, Il protagonista della storia. Nascita e natura del cristianesimo, Rizzoli 2008, p. 278.

Da questa scoperta in poi non risulta che qualche specialista ha più avanzato obiezioni alla sepoltura individuale di Gesù come descritta dai vangeli.

N.T. Wright, professore di Nuovo Testamento all’Università di St. Andrews e C.A. Evans, docente di Nuovo Testamento all’Acadia Divinity College, dopo aver studiato la letteratura ebraica antica (come il Talmud di Babilonia) hanno anche messo direttamente in discussione il fatto che i costumi giudaici non prevedessero mai una sepoltura dignitosa anche per chi moriva crocifisso.

Per gli ebrei era, anzi, un dovere concedere ai morti un’appropriata sepoltura anche per quanto riguardava «gli ebrei giustiziati dalle autorità pagane»9C.A. Evans, N.T. Wright, Gli ultimi giorni di Gesù, San Paolo 2010, p. 58, tradizione attestata in uno dei rotoli di Qumran1011QT 64,7-13a. In esso, scrivono i due studiosi, viene «posto in evidenza il requisito di seppellire il giustiziato nel giorno stesso della sua morte» per evitare la profanazione della terra, dal momento che l’uomo messo a morte è maledetto da Dio11C.A. Evans, N.T. Wright, Gli ultimi giorni di Gesù, San Paolo 2010, p. 59. Non sempre le autorità romane, tuttavia, acconsentivano le usanze ebraiche.

In un altro testo ritrovato a Qumran, il Rotolo del tempio1211QT 48,10-14, si conferma che «anche nel caso del criminale messo a morte venisse prevista un’adeguata sepoltura»13C.A. Evans, N.T. Wright, Gli ultimi giorni di Gesù, San Paolo 2010, p. 59. Così, i due studiosi hanno concluso: «Gli ordini della Scrittura, considerati insieme alle tradizioni concernenti la pietà (come esemplificato nel libro di Tobia), l’impurità corporea e l’obbligo di non profanare la terra, suggeriscono senz’ombra di dubbio che in circostanze normali (cioè in tempo di pace) nessun cadavere sarebbe dovuto rimanere insepolto: né giudeo, né pagano, né innocente né colpevole. Tutti sarebbero dovuti essere sepolti»14C.A. Evans, N.T. Wright, Gli ultimi giorni di Gesù, San Paolo 2010, p. 61.

Anche Raymond E. Brown, professore emerito di Nuovo Testamento presso l’Union Theological Seminary di New York, ha chiarito che la politica romana si adeguava spesso a quella religiosa ebraica riguardo alla sepoltura e ammetteva la possibilità di una sepoltura personale di alcuni crocifissi15R.E. Brown, The Death of the Messiah, Doubleday 1994, Vol. II, p. 1205.

Infine, l’archeologa e biblista Jodi Magness, presidente dell’Archaeological Institute of America, è anch’essa intervenuta in merito confermando: «I racconti evangelici della sepoltura di Gesù sembrano essere in gran parte coerenti con le prove archeologiche»16Jodi Magness, Stone and Dung, Oil and Spit: Jewish Daily Life in the Time of Jesus, Eerdmans 2011, p. 170.

 

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2. LA STORICITA’ DEL RITROVAMENTO DELLA TOMBA VUOTA.

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Prima degli anni ’50, l’idea del sepolcro vuoto era considerata un’offesa per l’intelligenza ed un imbarazzo per la teologia cristiana.

A partire dalla metà del secolo scorso, tuttavia, seppellito il bultmannesimo e con l’inizio della moderna fase dell’indagine sul Gesù storico, lo storico tedesco Hans von Campenhausen fu uno dei primi a difenderne la credibilità storica, seguito da talmente tante pubblicazioni che l’orientamento accademico su questo tema venne letteramente capovolto.

Il racconto innanzitutto soddisfa il criterio storico della molteplice attestazione, essendo confermato in maniera sostanzialmente identica da ben sei fonti antiche ritenute indipendenti: i quattro vangeli canonici, gli Atti degli Apostoli (At 2,29; 13,36) e, implicitamente, la Prima lettera ai Corinzi di Paolo (1Cor 15,4). In particolare quest’ultima sarà analizzata come prova a sé stante nel capitolo successivo.

Il noto studioso del Nuovo Testamento, Klaus Berger, docente all’Università di Heidelberg, ha proprio sottolineato che «i resoconti sul sepolcro vuoto sono riferiti da tutti e quattro i vangeli (e altri scritti del primo cristianesimo) in una forma indipendente l’uno dall’altro […]. Abbiamo una grande abbondanza di resoconti»17K. Berger, Ostern fällt nicht aus! Zum Streit um das ‘kritischste Buch über die Auferstehung’, Idea Spektrum 1994, p. 21-22.

Sulla base di questo punto di partenza, non pochi studiosi nel corso degli ultimi decenni sono giunti a dimostrare in maniera indiretta l’attendibilità del racconto avanzando argomenti seri, oggi condivisi dalla maggior parte dei ricercatori.

Lo ha dimostrato Gary Habermas, presidente del dipartimento di Filosofia e Teologia della Liberty University, analizzando oltre 2.000 pubblicazioni specialistiche dei principali studiosi internazionali delle origini cristiane. Ha concluso: «La maggior parte degli studiosi critici (75%) concorda sul fatto che la tomba di Gesù sia stata trovata realmente vuota»18G. Habermas, Experiences of the Risen Jesus. The Foundational Historical Issue in the Early Proclamation of the Resurrection, Journal of Theology 2006, Vol. 45. p. 288-297. Impossibile citarli tutti, limitiamoci ad alcuni.

L’eminente James Dunn, professore emerito di studi sul Nuovo Testamento all’Università di Durham, a conclusione dei suoi studi e di quelli dei suoi colleghi, ha scritto, ad esempio: «Devo dirlo chiaramente: la probabilità è dalla parte che la tomba fosse vuota. Al netto della ricostruzione storica, il peso delle prove indica fermamente tale conclusione […]. Non sono possibili spiegazioni alternative»19J.D.G. Dunn, The Evidence for Jesus, Westminster 1985, p. 68.

Wolfhart Pannenberg, docente di Teologia all’Università di Monaco, ha scritto: «Si può immaginare come dei discepoli di Gesù avrebbero potuto annunciare la sua resurrezione a Gerusalemme se fosse stato possibile contraddirli continuamente guardando il sepolcro dove era stato deposto il corpo di Gesù? Il loro annuncio non sarebbe resistito nemmeno un giorno, nemmeno un’ora, se il sepolcro vuoto non fosse stato un dato certo»20citato in H. Staudinger, Credibilità storica dei Vangeli, EDB 1991, p. 115.

A sua volta, lo storico e classicista britannico Michael Grant ha concluso: «Lo storico […] non può negare in alcun modo giustificato il sepolcro vuoto». L’applicazione dei criteri storici normalmente usati dagli studiosi indicano infatti che «le prove sono abbastanza solide e plausibili da richiedere la conclusione che la tomba sia stata effettivamente trovata vuota»21M. Grant, Jesus: An Historian’s Review of the Gospels, Collier 1992, p. 176.

L’eminente biblista austriaco Jacob Kremer, docente di Studi biblici del Nuovo Testamento presso l’Università di Vienna, ha scritto: «Di gran lunga la maggior parte degli esegeti considera affidabili le dichiarazioni bibliche relative al sepolcro vuoto»22J. Kremer, Die Osterevangelien–Geschichten um Geschichte, Katholisches Bibelwerk 1977, pp. 49-50.

C’è chi ha fatto osservare, inoltre, che il sepolcro vuoto è stato confermato indirettamente dalle stesse autorità ebraiche quando iniziarono ad accusare i cristiani di aver trafugato il corpo di Cristo (pur senza spiegare come avessero fatto).

Questa polemica trovò spazio anche dalle opere ebraiche dissacranti verso i cristiani, come le Toledot Yesu, il cui primo strato aramaico potrebbe contenere un’antica tradizione orale risalente al I secolo. In esse c’è l’involontaria ammissione che «il corpo non si trovò dopo la sepoltura»23R. Calimani, Gesù ebreo, Mondadori 2001, p. 174, 175, come ha scritto lo storico dell’ebraismo Riccardo Calimani. La spiegazione che diedero è che il corpo fu sottratto da un giardiniere, ma questo sarebbe stato impossibile da scrivere se gli ebrei fossero stati a conoscenza che il sepolcro non era vuoto.

Anche lo specialista spagnolo José Miguel Garcia ha sottolineato che «per tutto il tempo in cui hanno cercato di impedire la diffusione del cristianesimo, i membri del Sinedrio non hanno negato il dato del sepolcro vuoto, semplicemente lo hanno spiegato appellandosi alle dicerie del furto del corpo di Gesù da parte degli apostoli»24J.M. Garcia, Il protagonista della storia. Nascita e natura del cristianesimo, Rizzoli 2008, p. 279-280.

In Mt. 28,11-15, infatti, viene riportato che i sommi sacerdoti pagarono i soldati perché dichiarassero che furono i discepoli a rubare il corpo mentre le guardie dormivano. C’è chi ritiene che quest’ultimo non sia un dettaglio storico ma un’aggiunta dell’evangelista Matteo25D.J. Harrington, The Gospel of Matthew, Liturgical Press 1991, p. 407, tuttavia è stato replicato che sarebbe servito agli scopi della propaganda apologetica solo se le guardie fossero rimaste sveglie.

L’accusa delle autorità ebraiche presuppone logicamente che il corpo di Cristo effettivamente non venne ritrovato nel sepolcro. Da nessuna parte nella letteratura ebraica o pagana contemporanea agli eventi accaduti a Gerusalemme vengono citate smentite al sepolcro vuoto (e neanche teorie esplicative alternative). Non esistono nemmeno altre tradizioni funerarie concorrenti.

Un’altra argomentazione è quella che ritiene con certezza il sepolcro era vuoto perché, altrimenti, la stessa predicazione cristiana non avrebbe avuto alcun successo. E. Earle Ellis, professore emerito di Teologia presso il Southwestern Baptist Theological Seminary di Fort Worth (Texas) e fondatore dell’Institute for Biblical Research, pur assumendo che i discepoli abbiano potuto inventare dal nulla una risurrezione corporale ha scritto che «è dubbio che avrebbero generato un seguito. Una risurrezione corporale senza una tomba vuota sarebbe stata significativa quanto un cerchio quadrato»26citato in W.L. Craig, Contemporary Scholarship and the Historical Evidence for the Resurrection of Jesus Christ, Truth 1985, Vol. 1, p. 89-95.

Se la prima comunità cristiana ebbe un seguito, sia verso gli ebrei che verso i pagani, ciò implica che nessuno poté dimostrare il cadavere di Cristo nel sepolcro o in qualunque altra parte.

Se avessero potuto, le autorità ebraiche o romane avrebbero certamente bloccato sul nascere quel fastidioso movimento cristiano che mise in subbuglio Gerusalemme, bastava indicare il corpo di Gesù nel sepolcro e i discepoli non avrebbero potuto testimoniare più nulla. Se non poterono farlo è perché la tomba era realmente vuota.

 

2.1 Obiezione: furono le autorità ebraiche a sbarazzarsi del corpo di Gesù.

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Anche gli studiosi più scettici hanno dovuto ammettere che il racconto evangelico del sepolcro vuoto è storicamente inattaccabile. Così, sono ricorsi a spiegazioni alternative senza provare a mettere in dubbio la storicità della tomba vuota.

Lo specialista Gerd Ludemann, docente di Teologia all’Università di Gottinga, è uno di coloro dei tanti studiosi laici ad aver confermato la mancanza di obiezioni sostanziali alla storicità del ritrovamento del sepolcro vuoto. Tuttavia sostiene che siano state le autorità ebraiche a sbarazzarsi del corpo di Gesù per evitare di alimentare una venerazione eccessiva verso i resti mortali di quello scomodo rivoluzionario del I secolo.

E’ facile contro-replicare (come hanno fatto numerosi suoi colleghi) che risulta francamente improbabile che i membri del Sinedrio e le autorità ebraiche soffrissero di amnesia collettiva. Quando la prima comunità cristiana inizio ad annunciare improvvisamente che Gesù era risorto corporalmente, perché semplicemente non li misero a tacere rivelando dove avevano deposto il cadavere?

Lo stesso Ludemann, d’altra parte, ha riconosciuto che «gli ebrei mostrarono interesse per il luogo in cui venne deposto il cadavere di Gesù e, naturalmente, per la proclamazione di Gesù come Risorto […]. Ciò ha provocato domande sulla destinazione del suo corpo da parte di avversari o non credenti»27G. Ludemann, The Resurrection of Jesus, Fortress Press 1994, p. 116. A maggior ragione, le autorità ebraiche e romane avrebbero avuto tutto il potere per smentire i cristiani risalendo al cadavere di Cristo o annunciando pubblicamente che cosa ne avessero fatto (magari citando testimoni oculari). Eppure accusarono i cristiani di averlo sottratto.

Se avesse potuto, il Sinedrio ebraico avrebbe fatto comparire il cadavere di Gesù in una delle tante occasioni in cui Gerusalemme fu messa in subbuglio dai sermoni degli apostoli sulla risurrezione di Cristo. Ma in alcuna fonte antica ebraica o pagana i primi cristiani vengono smentiti tramite l’indicazione del cadavere o del sepolcro occupato.

Dopo aver considerato in maniera complessiva e organica gli argomenti a favore e quelli contrari, José Miguel Garcia, direttore della Cattedra di Teologia all’Università Complutense di Madrid, ha concluso: «Tutte le caratteristiche segnalate ci obbligano a concludere che la critica storica non può negare l’autenticità del ritrovamento del sepolcro vuoto»28J.M. Garcia, Il protagonista della storia. Nascita e natura del cristianesimo, Rizzoli 2008, p. 281.

 

2.2 Obiezione: furono i discepoli a rubare il corpo di Gesù.

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Essendoci pochi dubbi sulla realtà storica del sepolcro vuoto ed essendo insostenibile che siano state le autorità ebraiche a sbarazzarsi del corpo di Gesù, rimane l’obiezione che a trafugare il corpo furono i discepoli, nascondendolo o sotterrandolo chissà dove.

Effettivamente è stata la prima ed immediata reazione dei membri del Sinedrio (e ciò, come detto, implica che il sepolcro era vuoto). La polemica ha lasciato traccia negli stessi vangeli, come in Mt. 28,11-15. Questa tesi è stata poi ripresa nella forma del complotto dai deisti del XVIII secolo.

Oggi gli studiosi contemporanei non hanno problemi a respingere tale obiezione, la quale sopravvive sostanzialmente nella stampa popolare e nei blog di divulgazione antireligiosa. «Non considero la frode deliberata una spiegazione utile. Molte delle persone che affermarono questo avrebbero passato il resto della loro vita a proclamare di aver visto il Signore risorto e molti di loro sarebbero morti a causa di questo»29E.P. Sanders, The Historical Figure of Jesus, Penguin Books, 1993, p. 279-280, ha ad esempio scritto E.P. Sanders, eminente studioso di Nuovo Testamento alla Duke University.

Solitamente gli specialisti respingono questa ipotesi con diverse considerazioni decisive, ne segnaliamo solo quattro.

1) Innanzitutto, a parte le semplici accuse non ci sono basi documentali o fonti storiche a supporto e non è sufficiente ipotizzare che i seguaci di Gesù (un piccolo gruppo di pescatori, pubblicani e qualche donna) sarebbero stati psicologicamente predisposti all’astuzia delittuosa richiesta per un tale stratagemma, talmente ben organizzati da ingannare i loro contemporanei, il potere ebraico e quello romano. Nel Nuovo Testamento non c’è alcun appiglio per avanzare una psico-biografia criminale dei discepoli.

Negli scritti cristiani è proprio raccontato l’opposto: al momento della crocifissione, infatti, i discepoli erano confusi, disorganizzati, timorosi, dubbiosi e gravati dal lutto, certamente non mentalmente motivati, coordinati ​o attrezzati per progettare un’operazione degna di un film thriller. Scapparono, rinnegarono (Pietro lo fece tre volte) ed abbandonarono Gesù. A vegliarlo sotto la croce rimasero solo due donne ed un discepolo.

2) In secondo luogo, anche assumendo il trafugamento del cadavere da una tomba sigillata e probabilmente custodita da guardie armate (cfr. Mt. 28,11-15 e Mt 27,62-66), cosa avrebbero fatto del corpo? Il loro Maestro non avrebbe potuto essere sotterrato in un’anonima fossa ma avrebbero trovato una sepoltura estremamente dignitosa, che però inevitabilmente sarebbe divenuta oggetto di visite, preghiere e venerazioni più o meno clandestine. Il tutto senza che nessuno tra gli ebrei e i pagani di Gerusalemme si accorgesse (compresi parenti e conoscenti dei discepoli). Inutile sottolineare che la tomba di Gesù, meta di inevitabili pellegrinaggi, avrebbe dovuto inevitabilmente lasciare anche delle tracce archeologiche.

Inoltre, se furono così abili ed organizzati da attuare un’operazione del genere, perché si dimenticarono di fabbricare anche un alibi per sfuggire all’ovvia accusa di essere gli autori della sparizione del corpo? Più si prende realmente sul serio questa obiezione e più crolla sotto il suo stesso peso.

3) La terza questione è l’impossibilità per un ebreo del I secolo di inventare una resurrezione corporale individuale e prima della fine dei tempi, totalmente estranea e ripugnante al loro credo (ne parleremo più sotto) . Così, dopo aver pianificato il furto ed il nascondimento del corpo avrebbero inventato una inconcepibile (per loro stessi, innanzitutto) resurrezione corporale del loro Maestro, contraria alle Scritture? Chi speravano di convincere?

Come ha scritto il biblista José Miguel Garcia, «se i discepoli hanno davvero rubato il corpo di Gesù, per spiegare la sua scomparsa non avrebbero dovuto ricorrere alla difficile ipotesi della resurrezione; avrebbero potuto avvalersi della concezione ebraica del rapimento corporale in cielo, come la tradizione ebraica afferma nel caso di alcuni suoi personaggi»30J.M. Garcia, Il protagonista della storia. Nascita e natura del cristianesimo, Rizzoli 2008, p. 280. Sarebbe stato più naturale sostenere che Gesù venne corporalmente rapito, come accadde a Enoc, Elia, Esdra e Baruc nell’Antico Testamento. «Ciò nonostante», ha proseguito l’esegeta spagnolo, «gli apostoli affermarono insistentemente che il corpo di Gesù era scomparso dal sepolcro a causa della risurrezione dai morti»31J.M. Garcia, Il protagonista della storia. Nascita e natura del cristianesimo, Rizzoli 2008, p. 280.

Se avessero voluto convincere qualcuno, perché si discostarono così pesantemente dalla tradizione ebraica? Se dopo aver rubato il corpo avessero voluto affermare che Gesù era il Messia, Colui che compiva le profezie bibliche, perché inventare una resurrezione totalmente ignota ed estranea all’Antico Testamento?

N.T. Wright, professore di Nuovo Testamento all’Università di St. Andrews, ha osservato che tale invenzione da parte dei discepoli «presuppone che si sarebbero aspettati che gli altri ebrei fossero stati aperti alla convinzione che un individuo avrebbe potuto risuscitare dai morti. Ma niente di tutto questo era possibile. La gente di quel tempo avrebbe considerato una risurrezione corporale impossibile, esattamente come la ritengono molte persone del nostro tempo, seppur per motivi diversi»32N.T. Wright, Jesus, the final days, Westminster John Knox Press 2010, p. 99.

4) Infine, manca il movente. Fecero tutto questo, inventarono cose assurde per la mentalità dell’epoca, a quale scopo? Non guadagnarono nulla, persero tutto, finirono perseguitati, fustigati, imprigionati per oltre dieci anni, infine martirizzati. Nessuno sottoposto a pressioni tali avrebbe continuato a sostenere una bugia, eppure non c’è traccia di arresa, confessione o tradimento dei compagni.

«Non è così che si inventa», scrisse perfino il filosofo illuminista Jean-Jacques Rousseau.

 

2.2 Obiezione: la morte apparente di Gesù.

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Incredibilmente diversi razionalisti tedeschi, tra la fine del XVIII secolo e l’inizio del XIX secolo, sostennero l’ipotesi della morte apparente (o dello svenimento) in croce, tesi abbracciata anche dall’idealista Friedrich Schleiermacher.

Gesù non sarebbe morto sulla croce ma in qualche modo sopravvisse, fu deposto vivo nel sepolcro, dove si rianimò e scappò, convincendo i discepoli di essere risorto dai morti. Inutile dire che oggi è una tesi abbandonata da chiunque.

A parte l’inspiegabilità di una sopravvivenza alla tortura fisica ed alla crocifissione, si fatica davvero a pensare come un uomo in fin di vita abbia potuto aprire dall’interno la tomba in cui era sepolto, affrontare le guardie (sempre che ve ne fossero realmente), raggiungere i discepoli e convincerli in qualche modo di essere risorto corporalmente, suscitando l’adorazione e diventando colui che ha vinto la morte. L’unica cosa convincente in quello stato sarebbe stata la necessità di urgenti cure mediche.

E poi? Che fine avrebbe fatto? Si sarebbe sposato e avrebbe dato i diritti della sua biografa a Dan Brown? «Soltanto l’ignoranza o l’ignominia possono creare un’invenzione così lontana dalla realtà»33J.M. Garcia, Il protagonista della storia. Nascita e natura del cristianesimo, Rizzoli 2008, p. 280, ha commentato sdegnato J.M. Garcia, docente di Nuovo Testamento all’Università Complutense di Madrid.

La morte in croce di Gesù è fuori discussione per gli studiosi. «Il fatto della morte di Gesù come conseguenza della crocifissione è indiscutibile, nonostante le ipotesi di una pseudo-morte o di un inganno che talvolta vengono avanzate. Non è necessario discuterne ulteriormente»34G. Ludemann, The Resurrection of Jesus Christ: A Historical Inquiry, Prometheus 2004, p. 50, ha replicato perfino lo studioso tedesco Gerd Ludemann, uno dei pochi accademici avvezzo a tesi controverse.

Un altro studioso laico, l’eminente John Dominic Crossan, ha commentato: «La morte di Gesù per crocifissione sotto Ponzio Pilato è sicura più di qualsiasi altro fatto storico. Anche se nessun seguace di Gesù lo avesse scritto nei cento anni dopo la sua crocifissione, lo sapremmo comunque da due autori estranei ai suoi sostenitori. I loro nomi sono Flavio Giuseppe e Cornelio Tacito»35J.D. Crossan, Jesus: A Revolutionary Biography, HarperSanFrancisco 1994, p. 45, i quali riferirono come abbiamo dimostrato in un altro dossier della vita di Gesù di Nazareth.

 

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3. LE FONTI SULLA RESURREZIONE DATATE VICINO AGLI EVENTI.

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Il terzo argomento a favore dell’ipotesi storica della resurrezione è la datazione assolutamente precoce delle fonti storiche.

Se il principio vuole che più una fonte è vicina agli eventi narrati e più ha probabilità di raccontare la verità dei fatti storici, le fonti cristiane raggiungono il massimo delle probabilità di riferire il vero.

L’alta datazione delle fonti cristiane è un’evidenza è ormai acclarata dal mondo accademico e ha messo definitivamente fine alle speculazioni comuni nei secoli passati sulla creazione tardiva dei racconti pasquali.

Per decenni si sostenne che i racconti evangelici si fossero formati a seguito della sopraffazione psicologica della morte di Gesù e la contemporanea acquisizione di una graduale convinzione e consapevolezza spirituale che la sua missione non fosse terminata con la morte. Così, le comunità cristiane avrebbero iniziato progressivamente ad esplorare le Scritture ed utilizzare il linguaggio della risurrezione per articolare la propria esperienza. Verso la fine del I secolo, infine, alcuni avrebbero iniziato ad inventare storie circa un’effettiva risurrezione.

Questa interpretazione non è oggi più sostenibile. Il primo dei motivi è appunto la datazione quasi contemporaneità agli eventi delle prime fonti cristiane. Ecco quali sono:

 

3.1 L’antica fonte pre-paolina (32 d.C.).

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La prima fonte utile è quella scritta da Paolo di Tarso, un ebreo persecutore dei cristiani che si convertì improvvisamente nel 32 (o 33) d.C.36B.D. Ehrman, Did Jesus Exist?, HarperCollins Publishers 2012, p. 132, si recò a Gerusalemme per incontrare gli apostoli Pietro e Giacomo nel 35 (o 36) d.C.37B.D. Ehrman, Did Jesus Exist?, HarperCollins Publishers 2012, p. 132 e vi rimase quindici giorni (Gal 1,18-20). E’ qui che Paolo ricevette le informazioni che successivamente inserì nelle sue lettere, a partire dalla Prima lettera ai Corinzi (datata generalmente nel 50-55 d.C.).

All’interno di questa lettera gli storici (per primo fu Joachim Jeremias38J. Jeremias, Easter: The Earliest Tradition and the Earliest Interpretation, New Testament Theology 1971, p. 306) individuano ormai da decenni alcuni versetti (cfr. 1Cor 15,3-7) in cui Paolo utilizza parole non sue (tra cui i termini “apparizione”, “per i nostri peccati”, “secondo le Scritture”, “i Dodici” ecc) e che non ripeterà più nelle altre sue lunghe lettere, prova che sta citando qualcosa che gli è stato trasmesso e che lo precede.

Ecco cosa si legge in questo antichissimo brano pre-paolino:

«Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli» (1Cor 15,3-7).

L’autore condensa in poche righe i principali eventi che saranno poi raccontati dettagliatamente da tutti i vangeli, compresa la risurrezione di Cristo. Inoltre, informa di voler trasmettere ai lettori quel che lui stesso ha ricevuto (παραλαμβάνω) direttamente dai discepoli.

A quando risale la datazione di questa formula pre-paolina? B.D. Ehrman, docente di Nuovo Testamento all’Università del North Carolina, ritiene che «risalga probabilmente ad un paio di anni circa dopo la morte di Gesù»39B.D. Ehrman, Did Jesus Exist?, HarperCollins Publishers 2012, p. 132, ovvero al 32 d.C., cioè nella quasi contemporaneità degli eventi (solo 24 mesi dopo la crocifissione di Cristo).

Effettivamente Paolo dopo la conversione è realmente entrato in contatto con «informatori che parlavano per conoscenza diretta»40R. Bauckham, Jesus and the Eyewitnesses, William B. Eerdmans Publishing Company 2006 e, sempre secondo B.D Ehrman, «è una sfida al buon senso pensare che Paolo abbia trascorso più di due settimane insieme al compagno più intimo di Gesù senza apprendere nulla su di lui (per esempio, che era vissuto)»41B.D. Ehrman, Did Jesus Exist?, HarperCollins Publishers 2012, p. 146, e che era risorto ed apparso a più persone (l’agnostico Ehrman è sempre comprensibilmente a disagio nel ricordare che in questa antica formula cristiana si parla anche della resurrezione e delle apparizioni di Gesù).

Ancora Bart D. Ehrman, ha precisato meglio: «Paolo deve aver incontrato Cefa e Giacomo tre anni dopo la sua conversione, ricevendo le tradizioni che riportò nelle sue lettere, verso la metà degli anni Trenta, diciamo nel 35 o nel 36. Le tradizioni che ereditò erano, ovviamente, più vecchie e risalivano probabilmente a 2 anni dopo, circa, la morte di Gesù […]. E’ la prova che la fede nel messia crocifisso risale a pochissimo tempo dopo la morte di Gesù»42B.D. Ehrman, Did Jesus Exist?, HarperCollins Publishers 2012, p. 132, 166.

Ehrman, notoriamente agnostico, usa giustamente l’antica fonte pre-paolina come prova di un’immediata fede “nel messia crocifisso”. Il suo bias non-religioso lo porta però a trascurare che oltre alla morte in croce, questa antica fonte riferisce anche della resurrezione di Gesù e delle sue varie apparizioni post-mortem. Avrebbe infatti dovuto scrivere: “E’ la prova che la fede nel messia crocifisso e risorto risale a pochissimo tempo dopo la morte di Gesù”!

Più correttamente, in un passaggio successivo B.D. Ehrman conclude: «Non dobbiamo attendere il vangelo di Marco, datato attorno all’anno 70, per sentir parlare del Gesù storico. La prova, che traiamo dagli scritti di Paolo, combacia perfettamente con i dati forniti dalle tradizioni evangeliche, le cui fonti orali risalgono quasi certamente alla Palestina romana degli anni Trenta del I secolo. Paolo dimostra che, a pochi anni di distanza dal periodo in cui era vissuto Gesù, i suoi seguaci discutevano di quanto aveva detto, fatto e vissuto il maestro ebreo palestinese. E’ una straordinaria convergenza di prove: le fonti evangeliche e i resoconti del nostro primo autore cristiano»43B.D. Ehrman, Did Jesus Exist?, HarperCollins Publishers 2012, p. 132, 133.

Anche un altro importante studioso non credente, Gerd Lüdemann, docente all’Università di Gottinga, ha riconosciuto: «Gli elementi della tradizione citati da Paolo devono essere datati ai primi 2 anni dopo la crocifissione di Gesù, non più tardi di 3 anni. La formazione delle tradizioni di apparizione menzionate in 1Cor. 15,3-8, cade tra il 30 e il 33 d.C.»44G. Ludemann, The Resurrection of Jesus Christ: A Historical Inquiry, Promethus 2004, p. 38. Come si osserva, Ludemann non ha le stesse remore personali di Ehrman a citare le apparizioni di Gesù (“dimenticandosi” però della resurrezione).

John Dominic Crossan, eminente studioso (anch’egli notoriamente scettico) del cristianesimo primitivo e co-fondatore del Jesus Seminary, afferma invece: «Paolo scrisse ai Corinzi da Efeso all’inizio degli anni ’50 d.C. Ma al momento la fonte più probabile per la ricezione dell’antica tradizione contenuta al suo interno deriva da Gerusalemme all’inizio degli anni ’30 quando andò a visitare Cefa (Pietro) e rimase con lui quindici giorni»45J.D. Crossan, J.L. Reed, Excavating Jesus: Beneath the Stones, Behind the Texts, HarperCollins Publishers 2001, p. 254.

La datazione al 32-33 d.C. della formula pre-paolina citata da Paolo è un’opinione condivisa da molteplici studiosi del calibro di E.P. Sanders46E.P. Sanders, The Historical Figure of Jesus, Penguin 1993, p. 277, John Kloppenborg47J. Kloppenborg, An Analysis of the Pre-Pauline Formula in 1 Cor 15:3b-5 in Light of Some Recent Literature, Catholic Biblical Quarterly 1978, Vol. 40, p. 351, 360, Jerome Murphy-O’Connor48J.M. O’Connor, Tradition and Redaction in 1 Cor 15:3-7, Catholic Biblical Quarterly 1981, Vol. 43, p. 582-589, J.P Meier49J.P. Meier, A Marginal Jew: Rethinking the Historical Jesus, Doubleday 2001, Vol. 2, p. 139, Peter Stuhlmacher50P. Stuhlmacher, Jesus of Nazareth: Christ of Faith, Hendrickson 1993, p. 8, C.E.B. Cranfield51C.E.B. Cranfield, The Resurrection of Jesus Christ, Expository Times 1990, Vol. 101, p. 169, James Dunn52J.D.G. Dunn, The Evidence for Jesus, Westminster 1985, p. 70 e Pinchas Lapide53P. Lapide, The Resurrection of Jesus: A Jewish Perspective, Augsberg 1983, p. 97-99.

Nel 2006 l’eminente studioso Gary Habermas, ha raccolto in un articolo peer-review le conclusioni dei principali studiosi (anche critici, agnostici o non credenti) sulla Prima lettera ai Corinzi. Ecco la conclusione:

«Gli studiosi contemporanei concordano che l’apostolo Paolo è il principale testimone delle prime esperienze di resurrezione. Un ex avversario, Paolo, afferma che Gesù risorto gli apparve personalmente. Il consenso accademico è piuttosto attestato e poche altre conclusioni sono più ampiamente riconosciute del fatto che in 1 Corinzi 15, 3-7 Paolo registra una tradizione orale antica. Questo resoconto pre-paolino riassume il contenuto centrale dei Vangeli, cioè che Cristo morì per il peccato degli uomini, fu sepolto, resuscitò dalla morte e poi apparve a molti testimoni, sia individui che gruppi»54G. Habermas, Experiences of the Risen Jesus. The Foundational Historical Issue in the Early Proclamation of the Resurrection, Journal of Theology 2006, Vol. 45. p. 288-297

Tra gli studiosi citati da Habermas, segnaliamo il papirologo Ulrich Wilckens, professore emerito di Nuovo Testamento all’Università di Berlino, per il quale «indubbiamente la prima lettera di Paolo risale alla fase in assoluto più antica nella storia del cristianesimo primitivo»55U. Wilckens, Biblical Testimony to the Resurrection: An Historical Examination and Explanation, St. Andrew 1977, p. 2. Se per Walter Kasper, rinomato studioso del cristianesimo primitivo, 1Cor 15,2-7 era (molto ottimisticamente!) già «in uso alla fine del 30 d.C.»56W. Kasper, Jesus the Christ, Paulist 1976, p. 125, per il biblista e umanista dell’Università di Birmingham, Michael Goulder, il brano «risale a ciò che Paolo ha ricevuto quando è stato convertito, un paio d’anni dopo la crocifissione»57M. Goulder, The Baseless Fabric of a Vision, Oneworld 1996, p. 48.

Come già detto, la quasi contemporaneità della prima fonte cristiana scritta agli eventi smentisce la tesi di una costruzione teologica successiva da parte della prima comunità cristiana. Non c’era il tempo per sviluppare leggende, bugie fantasiose o elaborare una giustificazione “a posteriori” della supposta divinità, come invece è stato sempre sostenuto dal teologo Rudolf Bultmann e dalla cosiddetta “critica delle forme”.

«La convinzione che Gesù fosse risorto dai morti», ha scritto infatti Robert Funk, biblista (non credente) e co-fondatore del Jesus Seminar e del Westar Institute, «aveva già messo radici nel momento in cui Paolo si convertì intorno al 33 d.C. Dato che Gesù morì verso il 30 d.C., il tempo per il loro sviluppo fu quindi di due o tre anni al massimo»58R. Funk, What Did Jesus Really Do?, Polebridge Press 1996, p. 466.

Quando Paolo mise per iscritto 1Cor 15,3-7, inoltre, tutti i protagonisti degli eventi (ebrei e cristiani, amici e nemici) erano ancora vivi, con possibilità di clamorosa smentita in caso di informazioni errate. Anche per questo egli volle assicurarsi delle veridicità del contenuto del suo messaggio compiendo un secondo viaggio a Gerusalemme (cfr. Gal 2, 1-10) per certificare più approfonditamente quanto gli venne riferito dai testimoni oculari (cfr. Gal 2,2) e assicurare la verità dottrinale nella chiesa primitiva.

Se la prima volta incontrò Pietro e Giacomo (cfr. Gal 1, 18-20), la seconda volta confrontò le sue informazioni anche con l’apostolo Giovanni (cfr. Gal 2,9). Paolo stava chiaramente facendo un’indagine storica, intervistando i partecipanti diretti agli eventi.

Come ha notato Martin Hengel, professore emerito di Nuovo Testamento all’Università di Tubinga, «evidentemente la tradizione di 1Cor 15, 3-7 è stata sottoposta a molte verifiche»59M. Hengel, The Atonement: The Origins of the Doctrine in the New Testament, Fortress 1981, p. 38 da parte di Paolo di Tarso.

Howard Clark Kee, professore emerito di Studi biblici alla Boston University School of Theology e alla Pennsylvania University, ha concluso a sua volta che l’indagine svolta da Paolo «può essere esaminata criticamente e confrontata con altre testimonianze oculari di Gesù, proprio come si valuterebbero le prove in un tribunale moderno o in un contesto accademico»60H.C. Kee, What Can We Know about Jesus?, Cambridge University Press 1990, p. 1-2.

Se Paolo avesse riferito il falso sarebbe stato subito smentito. M.R. Licona, docente di Teologia alla Houston Baptist University, ha anche osservato che Clemente Romano (morto nel 99 d.C.) e Policarpo (69 – 155) conoscevano probabilmente in maniera diretta gli apostoli Pietro e Giovanni e si riferiscono a Paolo (e Pietro) come «alle più grandi e giuste colonne» (1Clem V,1) e ai «buoni apostoli» (1Clem V,3), e riconoscono la «sapienza del beato e glorioso Paolo», il quale «insegnò con tanta esattezza e sicurezza la parola della verità» (Lettera ai Filippesi).

Questi, osserva Licona, «non sono i giudizi che ci aspetteremmo se Paolo avesse insegnato un messaggio essenzialmente diverso da quello di Pietro e Giovanni, invece non ci sorprenderebbero se Paolo fosse stato onesto nel dire che stava predicando lo stesso messaggio degli apostoli di Gerusalemme»61M.R. Licona, What are the Primary Sources for Jesus’ Resurrection?, HBU 03/06/2016.

«Le lettere di Paolo», ha concluso M.R. Licona, «sono la voce degli apostoli di Gerusalemme sull’argomento, sono fonti primarie per la risurrezione di Gesù»62M.R. Licona, What are the Primary Sources for Jesus’ Resurrection?, HBU 03/06/2016.

 

3.2 La fonte pre-marciana (37 d.C.).

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Oltre all’antichissima tradizione pre-paolina, gli storici identificano una fonte a lui precedente di cui si è servito l’evangelista Marco. Mentre il suo vangelo è datato al più tardi al 70 d.C., la fonte da lui utilizzata risale al 37 d.C., solo 7 anni dalla crocifissione di Gesù.

A sostenerlo è stato in particolare Rudolf Pesch, il principale studioso internazionale del testo marciano, il quale ad esempio ha sottolineato la presenza di «particolari di lingua e di contenuto» che risultano più «connessi alla situazione concreta che non adattate ad una cristologia post-pasquale» ed indicano «l’origine antica del testo»63R. Pesch, Il vangelo di Marco, Paideia 1982, Vol. 2, p. 649.

E’ complicato riportare qui tutti gli elementi raccolti da Pesch, ne citiamo solo un altro. L’evangelista Marco sorprendentemente non si riferisce mai al Sommo sacerdote chiamandolo per nome, presupponendo che «gli ascoltatori della storia della passione conoscessero la situazione locale e ci induce alla deduzione, pressoché inevitabile, che Caifa rivestisse ancora la funzione di sommo sacerdote quando la storia premarciana della passione venne composta e narrata per la prima volta». Considerando che Caifa esercitò dal 18 al 37 d.C., il limite massimo «per l’origine della storia premarciana della passione va indicato conseguentemente l’anno 37 d.C.»64R. Pesch, Il vangelo di Marco, Paideia 1982, Vol. 2, p. 44, 45.

Dopo aver trattato molti altri motivi, Pesch giunge così a concludere che «nel complesso, tutti questi indizi indicano chiaramente che la storia premarciana della passione ebbe origine a breve distanza dai fatti narrati nell’ambito della prima comunità di lingua aramaica in Gerusalemme»65R. Pesch, Il vangelo di Marco, Paideia 1982, Vol. 2, p. 46, 45.

Conferme sull’antichità della fonte pre-marciana sono giunte da diversi altri studiosi, per i quali, ad esempio, il testo degli altri vangeli canonici suggerisce che il racconto di Marco non fosse la loro unica fonte, ma che utilizzarono ulteriori fonti per i racconti della sepoltura e del ritrovamento della tomba vuota.

L’eminente studioso John P. Meier scrive a sua volta che «la maggior parte dei commentatori riconosce che dietro all’attuale racconto in Mc 16, 1-8, c’è una fonte precedente del racconto della tomba vuota»66J.P. Meier, Un ebreo marginale/i>, vol. 2, Queriniana 2003, p. 1071 citando, tra gli altri, Hans von Campenhausen, Edward Lynn Bode, Ludger Schenke, Reginald H. Fuller, Xavier Léon-Dufour, Pheme Perkins ecc.

Marcus Borg, docente di Nuovo Testamento all’Oregon State University, ha spiegato che questa molteplicità di fonti indipendenti è importante perché «se una tradizione compare in una fonte antica ed in un’altra fonte indipendente, allora non solo è certamente precoce, ma è anche improbabile che sia stata inventata»67M.J. Borg, N.T. Wright, The Meaning of Jesus, Harper Collins 1999, p. 12.

 

3.3 La tradizione inclusa in Atti degli Apostoli (30-35 d.C.).

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Una terza fonte molto antica in cui viene attestato il Gesù risorto si trova nella primitiva tradizione (At 13,29-31; At 13,36-37) contenuta negli Atti degli Apostoli, un altro libro del Nuovo Testamento.

Craig Keener, professore di Nuovo Testamento all’Asbury Theological Seminary ed autore di un’opera monumentale sulla storicità degli Atti degli Apostoli (4 volumi complessivi ed oltre 4.000 pagine), è giunto alla conclusione68C. Keener, Acts an Exegetical Commentary, Baker Academic 2012 che l’autore del libro degli Atti è lo stesso del vangelo di Luca e fu un compagno di viaggio di Paolo. Da ciò ne deduce che fu in grado di riferire come testimone oculare il contenuto della predicazione di Paolo, avendo così familiarità con la prima predicazione apostolica (pertanto anche gli Atti degli Apostoli sono considerati una fonte primaria).

Il libro degli Atti è datato verso l’80 d.C. ma alcuni studiosi chiedono una retrodatazione a poco dopo il 60 d.C., in particolare osservandone la brusca interruzione dopo aver a lungo raccontano la seconda prigionia di Paolo e quand’egli ancora attendeva la sua comparizione (verso il 63 d.C.) Se gli Atti degli Apostoli fossero stati composti successivamente non si sarebbero certamente astenuti dal raccontare l’esecuzione ed il martirio di Paolo (avvenuto nel 66 d.C.)69J. Carmignac, La nascita dei vangeli sinottici, Edizioni Paoline 1986, p. 71. La retrodatazione è stata sostenuta anche dal razionalista e storico del cristianesimo Adolf von Harnack70A. Harnack, Die Apostelgeschichte, Leipzig 1908, p. 72, nota 24.

Ma non è tanto la datazione del libro degli Atti che interessa qui, piuttosto l’antica formula al suo interno. La tradizione sui fatti pasquali contenuta negli Atti degli Apostoli, infatti, vanta anch’essa un’alta datazione.

Se Gerald O’Collins della Pontificia Università Gregoriana ritiene che il testo «incorpora formule di resurrezione che derivano dagli anni Trenta»71G. O’Collins, Interpreting Jesus, Chapman 1983, p. 109-110, il teologo scozzese John Drane conclude che questo materiale «quasi certamente risale al tempo immediatamente successivo alla presunta risurrezione»72J. Drane, Introducing the New Testament, Harper and Row 1986, p. 99.

Seppur in questo caso non si riscontri la stessa unanimità di giudizio tra gli specialisti, tuttavia «la maggioranza degli studiosi conclude che alcuni di questi brani riflettano la prima predicazione del messaggio del Vangelo»73G. Habermas, Experiences of the Risen Jesus. The Foundational Historical Issue in the Early Proclamation of the Resurrection, Journal of Theology 2006, Vol. 45. p. 288-297, ha riferito Gary Habermas.

B.D. Ehrman, docente di Nuovo Testamento all’Università del North Carolina, riconosce innanzitutto che «il libro degli Atti rappresenta una tradizione indipendente»74B.D. Ehrman, Did Jesus Exist?, HarperCollins Publishers 2012, p. 108, 109 dai vangeli, inoltre «registra tradizioni che provenivano come minimo da mezzo secolo prima, risalenti alla primitiva comunità cristiana della Palestina»75B.D. Ehrman, Did Jesus Exist?, HarperCollins Publishers 2012, p. 108, addirittura «assai precedente a quello dei vangeli»76B.D. Ehrman, Did Jesus Exist?, HarperCollins Publishers 2012, p. 124, soprattutto per quanto riguarda i racconti della Pasqua.

In linea generale, tutto il testo contenuto negli Atti degli Apostoli è stato oggetto di approfonditi studi nel corso degli anni. In particolare, la scuola anglosassone ha confrontato i dati storici, geografici, politici e religiosi descritti in questo testo con le fonti antiche conosciute e ha constatato che le informazioni che essi contengono sono coerenti. Inoltre, gli studi comparativi tra gli Atti e gli autori ellenistici dimostrano che Luca è fedele a tutti i parametri della storiografia del tempo e molte delle sue informazioni esclusive sono state avvalorate dai ritrovamenti archeologici e papirologi.

Per questo l’archeologo William M. Ramsay esclamò: «Luca è uno storico con i fiocchi!»77W.M. Ramsay, The Bearing of Recent Discovery on the Trustworthiness of the New Testament, Forgotten Books 2018, p. 222, mentre L.T. Johnson, docente di Cristianesimo antico alla Candler School of Theology, ha riferito che «Luca, secondo gli standard della storiografia ellenistica, è preciso in ciò che afferma»78L.T. Johnson, The Gospel of Luke: Sacra Pagina, Michael Glazier 2006, p. 406.

Per un approfondimento su questo consigliamo in particolare gli studi di A.N. Sherwin-White79A.N. Sherwin-White, Roman Society and Roman Law in the New Testament, Oxford University Press 1962, Edward Plumacher80E. Plumacher, Lukas als hellenisticher Schriftseller. Studien zur Apostelgeschichte, Vandenhoeck & Ruprecht 1972, Martin Hengel81M. Hengel, Acts and the History of Earliest Christianity, Wipf & Stock Pub 2003, Colin J Hemer82C.J. Hemer, The Book of Acts in the Setting of Hellenistic History, Coronet Books 1989 e William Mitchell Ramsay83W.M. Ramsay, The Bearing of Recent Discovery on the Trustworthiness of the New Testament, Forgotten Books 2018.

 

3.4 La Prima lettera ai Tessalonicesi (49 d.C.).

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Una quarta fonte molto antica è un’altra lettera di Paolo, la Prima lettera ai Tessalonicesi. In essa si parla chiaramente di Dio che «ha risuscitato dai morti, Gesù» (1Tess 1,10), definito anche «suo Figlio (1Tess 1,10).

Questo scritto non fa altro che confermare quanto contenuto nella fonte pre-paolina già citata più sopra, datata a soli 2 anni dai fatti narrati. Tuttavia, è bene citare comunque anche questa seconda lettera per completare l’organicità delle fonti più antiche.

Lo studioso B.D. Ehrman, docente di Nuovo Testamento e direttore del dipartimento di Studi religiosi dell’Università del North Carolina, ha riferito che il brano paolino «è stato scritto attorno all’anno 49 d.C.»84B.D. Ehrman, Did Jesus Exist?, HarperCollins Publishers 2012, p. 124, quindi a soli 19 anni dagli eventi narrati.

In una seconda opera ha sostenuto che la Prima lettera ai Tessalonicesi può «essere plausibilmente collocata nel movimento paleocristiano degli anni ’40 e ’50 dell’era volgare, quando Paolo era attivo come apostolo e missionario»85B.D. Ehrman, The New Testament: An Historical Introduction to the Early Christian Writings, Oxford University Press 2011, p. 288. Datazione confermata anche da J.M. Garcia86J.M. Garcia, Il protagonista della storia. Nascita e natura del cristianesimo, Rizzoli 2008, p. 396, teologo spagnolo all’Università Complutense di Madrid.

Lo studioso statunitense ha anche respinto, con buone argomentazioni, la tesi minoritaria di un’interpolazione successiva: «Ritengo che sia stato Paolo a scrivere quel paragrafo della lettera ai Tessalonicesi. E’ certamente di suo pugno fino al sedicesimo versetto»87B.D. Ehrman, Did Jesus Exist?, HarperCollins Publishers 2012, p. 125.

 

3.5 Nessun altro evento antico vanta fonti storiche così vicine.

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Esistono quindi 4 fonti antichissime che riflettono in maniera coerente la predicazione della primissima comunità cristiana, immediatamente dopo la morte di Gesù. Il cuore di questa tradizione è la resurrezione di Gesù e le sue apparizioni ad alcuni discepoli.

Questo non dimostra direttamente che la resurrezione debba essere storicamente avvenuta, piuttosto che questo fu certamente ciò che dissero improvvisamente i primi apostoli dopo il ritrovamento del sepolcro vuoto, benché non si aspettassero nulla del genere e, come nessun altro ebreo loro contemporaneo, non lo ritenessero nemmeno concepibile (lo vedremo più avanti).

In secondo luogo, l’antichità delle fonti smentisce anche una costruzione teologica posteriore e tardiva degli eventi pasquali. Se esse contengono le stesse informazioni che saranno incluse successivamente dai vangeli, non esiste nessuna finzione leggendaria come invece sostennero David Friedrich Strauss e la teologia liberale dei secoli scorsi (guidata da Karl Barth e Rudolf Bultmann) fino alla seconda metà del XX secolo.

In terzo luogo, sottolineiamo che fonti storiche così vicine agli eventi sono una rarissima eccezione in tutta la letteratura antica. Qualche esempio: la prima menzione di Erodoto è di Aristotele 100 anni dopo la morte; le gesta di Augusto sono narrate 105 anni dopo la sua morte da Svetonio; la prima storia di Roma è stata scritta in greco dal senatore romano Fabio Pittore verso il 200 a.C., circa 300 anni dopo la nascita di una forma di governo repubblicano a Roma; le principali informazioni su Alessandro Magno provengono da Plutarco e sono scritte 260 anni dopo la sua morte, e la più fonte affidabile è a più di 370 anni di distanza. Eppure gli storici hanno pochi dubbi nel ritenere credibili e storici questi racconti.

Per questo, il celebre studioso John AT Robinson ha riferito che il Nuovo Testamento «è di gran lunga il libro meglio attestato di qualsiasi scrittura antica al mondo»88J.A.T. Robinson, Can we Trust the New Testament?, Eerdmans 1977, p. 36, confermato dallo scettico Helmut Koester della Harvard Divinity School quando attesta che «la critica testuale del Nuovo Testamento possieda una base molto più vantaggiosa di quella per la critica testuale degli autori classici»89H. Koester, History and Literature of Early Christianity, Fortress 1982, Vol. 2, p. 16-17.

E’ illuminante come A.N. Sherwin-White, presidente della Society for the Promotion of Roman Studies ed uno dei più importanti storici contemporanei dell’epoca romana e greca, ha spiegato che le fonti romane sono generalmente parziali e composte almeno una o due generazioni o addirittura a secoli di distanza dagli eventi che raccontano. Eppure, osserva, gli studiosi non si fanno problemi ad utilizzarle per ricostruire con sicurezza ciò che è realmente accaduto90A. N. Sherwin-White, Roman Law and Roman Society tn the New Testament, Oxford University Press 1963.

Così, nel suo famoso studio, l’eminente storico ha rimproverato i critici del Nuovo Testamento accusandoli di non capire quali inestimabili fonti storiche siano i vangeli, una molteplice attestazione indipendente scritta a poca distanza dagli eventi e contenente tradizioni risalenti alla quasi contemporaneità dai fatti. Se il “tasso di accumulazione leggendaria” viene invocato quando trascorrono più generazioni tra gli eventi ed il loro primo racconto, è esattamente l’opposto di quanto avvenne per il Nuovo Testamento. «Semplicemente non c’era tempo sufficiente per accumulare una leggenda significativa al momento della composizione dei vangeli»91A. N. Sherwin-White, Roman Law and Roman Society and the New Testament, Oxford University Press 1963, ha concluso.

 

3.6 Obiezione: San Paolo non cita la tomba vuota.

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Lo studioso Gary Habermas, presidente del dipartimento di Filosofia e Teologia della Liberty University, dopo aver svolto un’indagine su oltre 2.000 pubblicazioni accademiche che includono il tema della risurrezione di Gesù, pubblicate tra il 1975 ed il 2005 in lingua francese, tedesca ed inglese, ha concluso che una «posizione minoritaria» degli studiosi (il 25%) «accettava uno o più motivi contrari alla storicità del sepolcro vuoto»92G. Habermas, Experiences of the Risen Jesus. The Foundational Historical Issue in the Early Proclamation of the Resurrection, Journal of Theology 2006, Vol. 45. p. 288-297.

Tra gli argomenti contrari più citati c’è la mancata citazione del ritrovamento del sepolcro vuoto da parte dell’antichissima fonte pre-paolina (datata, come si è visto, 2-3 anni dopo gli eventi) contenuta nella Prima lettera ai Corinzi. Effettivamente, l’autore scrive: «…fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno» (1Cor 15,3-7).

Sembra però abbastanza implicito che la sepoltura in un sepolcro ed una successiva resurrezione corporale implichi qualcosa nel mezzo, ossia che tale sepolcro fosse stato ritrovato vuoto. Un ebreo del I secolo non avrebbe potuto pensare diversamente, pur ritenendola incomprensibile ed estranea al pensiero giudaico.

«Non c’è dubbio che sia Paolo che la formula paleocristiana da lui citata presuppongano l’esistenza della tomba vuota»93W.L. Craig, Contemporary Scholarship and the Historical Evidence for the Resurrection of Jesus Christ, Truth 1985, Vol. 1, p. 89-95, ha scritto il filosofo William Lane Craig, della Houston Baptist University di Houston.

Poiché Paolo scrisse lettere e non un racconto organico, comprensibilmente non entrò nei dettagli riguardanti la risurrezione di Gesù. La formula pre-paolina è una breve sintesi di ciò che verrà riferito più dettagliatamente in Atti degli Apostoli (cfr. At 13,28-31) e nel Vangelo di Marco (cfr. Mc 15,37-16) in maniera assolutamente coerente e corrispondente. Si veda il confronto che abbiamo graficamente creato.

Infine, la fonte pre-paolina riferisce che Gesù resuscitò “il terzo giorno”: dato che nessuno ha effettivamente assistito alla risurrezione di Gesù, come hanno fatto i cristiani a datarla “il terzo giorno?” Il terzo giorno coincise con il ritrovamento della tomba vuota da parte delle donne seguaci di Gesù, così la stessa risurrezione è stata datata a quel giorno. Ciò mostra che Paolo, riferendo l’antica formula cristiana diffusa dalla primitiva comunità di Gerusalemme, fosse a conoscenza del ritrovamento del sepolcro vuoto.

 

3.7 Obiezione: le fonti cristiane non sono imparziali.

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Un’obiezione proveniente quasi esclusivamente da ambienti antireligiosi e non accademici sostiene che le fonti cristiane non sarebbero attendibili in quanto cristiane, quindi di parte. “Non si può usare la Bibbia per provare la Bibbia!”, dicono.

Chi sostiene questa leggerezza semplicemente non conosce i metodi dell’analisi critica dei testi. Gli storici sanno bene che tutte le fonti sono “di parte” ed anche loro stessi hanno interessi ed opinioni personali non imparziali. Eppure, non hanno problemi a scindere la verità di un testo dall’apologetica, quando esse non coincidono.

Gli studiosi usano la stessa analisi critica (in molti casi perfino più severa) nell’affrontare le fonti cristiane, così come per tutti i testi antichi. E cercano di capire: chi sono gli autori? Qual è la data di composizione? Quali potrebbero essere state le loro fonti? Per chi sono stati scritti? Per quale motivo? In quale contesto? Qual era l’obiettivo dell’autore? Quali pregiudizi può avere avuto? Questo è l’esame critico e forense dei testi adottato anche per i vangeli.

Il fatto che altri cristiani, molto tempo dopo la morte degli autori, abbiano collocato i testi evangelici nel canone chiamato Nuovo Testamento non ha niente a che vedere con la veridicità dei racconti.

Gli evangelisti raccontarono e descrissero un fatto storico, pur inedito, complicato da credere e assolutamente inverosimile per i loro contemporanei, non vollero creare dei libri sacri di una religione, seppur fu ciò che avvenne in seguito. Questa “pretesa” è studiata seriamente in tutte le principali università del mondo nei corsi di studio del Nuovo Testamento.

Inoltre, se si dovessero realmente ritenere affidabili solo fonti imparziali, neutrali e disinteressate ai contenuti che raccontano, bisognerebbe eliminare tutte le opere dell’antichità. Ma anche tutti i testi che avversano il cristianesimo, antichi e moderni (i blog, gli articoli, i libri divulgativi), essendo anch’esse fonti di parte sarebbero inattendibili a priori. Le stesse persone che respingono come inaffidabili i vangeli sono soggetti per nulla imparziali. Siamo sicuri di voler procedere così?

Anche lo storico romano Tacito non fu imparziale quando scrisse l’Agricola nel 98 d.C., raccontando le gesta di suo suocero Giulio Agricola. Si tratta di un’opera di plateale favoritismo. La storia di Roma fu scritta da Tito Livio nel 9 d.C., il quale ammette di voler lodare le azioni gloriose del più grande popolo della terra, cioè i Romani. I resoconti bellici su cui lavorano gli studiosi sono scritti in prevalenza dai “vincitori” (come la Guerra d’indipendenza americana). Tutto inattendibile a priori perché imparziale?

«Per lo stesso motivo, si dovrebbe dubitare anche dei dati biografici di Socrate, trasmessi dai suoi discepoli Senofonte e Platone», ha commentato José Miguel Garcia, dell’Università Complutense di Madrid. «Che dire della veridicità delle gesta compiute da Cesare, narrate dall’imperatore stesso, giacché si tratta di informazioni che provengono da testimoni di parte? Nessuno studioso serio ha messo in discussione il valore di queste fonti per la ricostruzioni di tali avvenimenti storici»94J.M. Garcia, Il protagonista della storia. Nascita e natura del cristianesimo, Rizzoli 2008, p. 18.

Anche B.D. Ehrman, presidente del Dipartimento di Studi religiosi dell’Università della North Carolina, è intervenuto nel merito, commentando:

«Le storie su Gesù raccontate dagli evangelisti hanno peso né più né meno degli scritti di qualsiasi altro biografo antico (Svetonio, per esempio, o Plutarco) o forse, per fare un paragone più appropriato, di chiunque abbia scritto la biografia di una figura religiosa, per esempio Filostrato e il suo resoconto della vita di Apollonio di Tiana. Noi non accantoniamo i primi resoconti sulla Guerra di indipendenza perché sono stati scritti da americani. Teniamo conto della loro parzialità ma non ci rifiutiamo di utilizzarli come fonti storiche. Altrimenti significa sacrificare le nostre principali via di accesso al passato, e per ragioni meramente ideologiche, non storiche […]. Indipendentemente dal fatto che siano ritenuti o meno fonti storiche ispirate, i Vangeli possono essere considerati e utilizzati come fonti storiche importanti»95B.D. Ehrman, Did Jesus exist?, HarperCollins Publishers 2012, pp. 74, 75.

Con la sua proverbiale ironia, anche il filosofo francese Jean Guitton sottolineò l’assurdità di questa obiezione: «Gli increduli negano che i Vangeli siano documenti storici perché, dicono, sono scritti da credenti, cioè da uomini che prima degli avvenimenti non credevano, ma cambiarono opinione perché gli avvenimenti che raccontano li portò a modificare il loro primo stato d’animo […]. Gli increduli sono difficili, cosa richiedono perché risultiamo onesti davanti ai loro occhi? Esigono documenti scritti da testimoni che, avendo visti gli stessi avvenimenti, non concedano ad essi alcun significato. E’ contraddittorio»96J. Guitton, Gesù, Elledici 1997, p. 134.

Osserviamo inoltre che all’inizio del suo vangelo, Luca scrive di averlo pubblicato perché Teofilo (l’uomo a cui indirizza il suo testo) «possa conoscere la verità sulle cose su cui sei stato informato» (Lc 1,4). Qual è il problema? Era normale ed abituale dichiarare in maniera trasparente la tesi che si voleva difendere fin dall’inizio dell’opera, e l’evangelista era in buona compagnia con tutti gli storici antichi e romani.

Infine, ricordiamo ancora che la datazione delle fonti cristiane nell’imminenza degli eventi è un’eccezione unica rispetto a tutte le opere dell’antichità citate finora. Dal 48 d.C. al 70 d.C. (quindi dai 18 ai 40 anni dopo la morte di Cristo), Paolo di Tarso scrisse 13 lettere (di cui 6 certamente attribuibili a lui) che confermano totalmente il contenuto dei vangeli, e sia queste lettere che gli evangelisti includono tradizioni ancora più antiche, quasi contemporanee agli eventi. Nessun’altra biografia dell’antichità è meglio attestata di quella di Gesù di Nazareth.

Inoltre, abbiamo già sottolineato che nella Prima lettera ai Corinzi, Paolo cita un’antica formula (1Cor 15, 3-8) che gli storici datano a soli 2-3 anni dopo gli eventi (quindi 32 o 33 d.C.) e che include la resurrezione e le apparizioni post-mortem. Oltre a ciò, dal 70 al 90 d.C. (quindi dai 20 ai 70 anni dopo i fatti), gli evangelisti scrivono i loro racconti in perfetta coerenza con le lettere di Paolo, utilizzando fonti pre-evangeliche che vantano una datazione molto alta, risalenti ai primi vent’anni dagli eventi narrati.

Se il principio cardine dell’indagine storica è che più i testi sono vicini agli eventi narrati (e tanto meglio quanti più testi concordano l’un l’altro), più aumenta la probabilità che raccontino eventi realmente storici, i testi cristiani soddisfano in pieno questo principio. La loro datazione precoce impedisce qualunque possibilità di creazione teologica successiva e lo sviluppo di una leggenda inventata.

 

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4. LE DONNE COME TESTIMONI DELLA RESURREZIONE.

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Un quarto argomento utilizzato dagli studiosi rende fortemente poco plausibile la possibilità di una finzione letteraria degli eventi pasquali. La prima comunità cristiana infatti sostenne che furono alcune donne a trovare il sepolcro vuoto e ad assistere alla prima apparizione di Gesù risorto.

Maria Maddalena, in particolare, è indicata da tutti e quattro gli evangelisti come testimone principe della crocifissione e della sepoltura di Gesù (cfr. Mc 15, 40-41) e come una delle testimoni del sepolcro vuoto (cfr. Mc 16, 1-8). La tradizione matteana e giovannea arrivano a presentarla anche come destinataria di un’apparizione del Gesù risorto (cfr. Mt 28, 8-10; Gv 20, 11-18), prima che lo stesso Gesù si manifesti al gruppo dei maschi. L’importante ruolo delle donne è confermato anche negli Atti degli Apostoli (cfr. At 2,29 e 13,29).

Eppure, è risaputo che nel giudaismo dell’epoca le donne godevano di scarso valore. Lo storico ebreo Flavio Giuseppe scrisse che «la donna è inferiore a tutto. Perciò deve ubbidire, non al fine di essere umiliata, ma di essere guidata»97Flavio Giuseppe, AP 2, 199-203. Le donne non venivano nemmeno ammesse come testimoni nei tribunali ebraici, proprio perché la loro testimonianza non aveva peso, né valore.

«Che piaccia o no», scrivono N.T. Wright, professore di Nuovo Testamento all’Università di St. Andrews e C.A. Evans, docente di Nuovo Testamento all’Acadia Divinity College, «le donne nel mondo antico non erano affatto considerate validi testimoni oculari»98C.A. Evans, N.T. Wright, Gli ultimi giorni di Gesù, San Paolo 2010, p. 105.

Chi mai poteva essere così sciocco da affidare il cuore del messaggio evangelico a delle testimoni che, per definizione, non si ritenevano credibili? Inoltre, se fosse stato possibile manipolare i testi evangelici in un secondo momento, questo dettaglio sarebbe stato subito cancellato o modificato (aggiungendo anche degli uomini come testimoni oculari). Anche ammettendo che gli apostoli fossero riusciti a trafugare il cadavere di Gesù, ingannando tutti, com’è possibile che rovinassero tutto affidando la testimonianza oculare a delle donne? Oltretutto una nota ex indemoniata come Maria Maddalena.

L’eminente biblista statunitense J.B. Meier, dopo aver sottolineato che il protagonismo delle donne negli eventi pasquali è inevitabilmente storico e soddisfa il criterio storico della molteplice attestazione (come già indicato), si è soffermato sul criterio dell’imbarazzo: «Sembra inverosimile che la tradizione cristiana primitiva abbia fatto di tutto per gettare dubbi» sui racconti della risurrezione e della prima apparizione di Gesù, affidando «senza nessuna ragione evidente» la testimonianza a una donna. «A quale scopo sarebbe servita una tale invenzione? La vulnerabilità di una testimone donna che era una ex indemoniata non è passata inosservata agli occhi dei critici maschi dei vangeli, da Celso nel II secolo a Ernest Renan nel XX»99J.P. Meier, Un ebreo marginale, Queriniana 2008, Vol. 2, p. 785.

Effettivamente il filosofo greco Celso scrisse un libello contro i cristiani deridendoli: «I Galilei credono a una risurrezione testimoniata soltanto da qualche femmina isterica»100Celso, Il discorso vero, Adelphi 1987.

Ben Witherington III, noto biblista e membro di spicco della Society for the Study of the New Testament, ha commentato a sua volta che «è difficile credere che i primi cristiani potessero inventarsi la storia che Gesù apparve per la prima volta ad alcune donne. Nel mondo patriarcale in cui vivevano quei cristiani, francamente, non è credibile che un gruppo con una tale mentalità potesse inventarsi una storia simile»101B. Witherington, Una reposicion de la resurreccion, in P. Copan, Un sepulcro vacio, Voz de Papel 2008, p. 183-184. Non c’è dubbio che se l’episodio fosse stato inventato, i testimoni sarebbero uomini.

Nel 2020 anche Gerhard Lohfink, docente di Nuovo Testamento all’Università di Tubinga, ha osservato: «Nella storia della tomba vuota c’è anche un’osservazione che si presenta come una sorta di “fiancheggiamento storico”: essa viene scoperta da donne i cui nomi sono citati. Se questa storia fosse fittizia, non avrebbe coinvolto le donne ma gli uomini. Infatti, le testimonianze delle donne non contavano molto nel mondo di allora. Per lo storico, questa è un’indicazione che il racconto non può essere semplicemente eliminato storicamente».

Lo studioso Raymund Schwager, preside della facoltà di Teologia all’Università di Innsbruck, ha confermato la consuetudine tra gli specialisti nel valutare positivamente per la storicità del racconto il ruolo delle donne alla crocifissione e alla mattina di Pasqua102R. Schwager, Die heutige Theologie and das leere Grab Jesu, Zeitschrift für Katholische Theologie 1993, p. 436. Ed anche lo specialista (scettico) Gerd Ludemann definisce «storicamente certo»103G. Ludemann, What Really Happened To Jesus: A Historical Approach to the Resurrection, Westminster John Knox Press 1995, p. 66 che furono le donne a trovare il sepolcro vuoto.

Un altro argomento collegato a questo è riferito da José Miguel Garcia, direttore della Cattedra di Teologia all’Università Complutense di Madrid. «E’ decisamente sorprendente il fatto che tali cristiani tentino di offrire come prova della resurrezione un fatto che di per sé non è una prova sufficiente nemmeno per loro stessi»104J.M. Garcia, Il protagonista della storia. Nascita e natura del cristianesimo, Rizzoli 2008, p. 277. Nei racconti evangelici, infatti, né le donne né gli apostoli interpretano il fenomeno del sepolcro vuoto come una “prova della risurrezione” (Maria di Magdala pensò infatti che il corpo di Gesù fosse stato rubato, cfr. Gv 20,2). «Se si afferma che sono state le donne a trovare il sepolcro vuoto, la mattina in cui sono state a visitarlo», ha concluso Garcia, «è perché realmente è stato così».

La prima comunità cristiana e gli evangelisti riportarono quanto effettivamente accadde, senza preoccuparsi degli aspetti più imbarazzanti e controproducenti del racconto. Ciò aggiunge plausibilità al fondamento storico degli eventi pasquali.

 

4.1 Obiezione: le donne si recarono alla tomba sbagliata.

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Lo studioso scettico Gerd Ludemann, sempre molto attivo nelle “proposte alternative”, pur riconoscendo che il ruolo femminile nei racconti della resurrezione smentisce l’ipotesi di un ipotetico falsario, ha sostenuto tuttavia che le donne avrebbero semplicemente sbagliato sepolcro105G. Ludemann, Die Auferstehung Jesu, in A. Bommarius, Fand die Auferstehung wirklich statt?, Parega Verlag 1995, p. 21. Si tratta, in realtà (come lo stesso Ludemann ammette), di una tesi già avanzata da Kirsopp Lake, eminente studioso di Nuovo Testamento alla Harvard Divinity School.

Secondo Lake, le donne trovarono effettivamente un sepolcro vuoto (non si può negare!), ma non era quello di Gesù di Nazareth. Inoltre, fraintesero pure molto maldestramente (forse agitate per lo shock?) le parole di un giovane all’interno che cercò di essere d’aiuto (cfr. Mc 16,5-7), corsero via e riferirono ai discepoli quella strana esperienza. Gli apostoli, in maniera ancor più sconclusionata, trassero da questo racconto la deduzione che Gesù fosse risorto dai morti.

E’ bene ricordare innanzitutto che lo stesso Lake non credette molto in questa ipotesi, riportandola solo una volta nei suoi numerosi libri sul Gesù storico. Inoltre non l’ha mai considerato un argomento per dubitare dei racconti pasquali. Infine, l’ipotesi di Lake non ha generato alcun seguito (o quasi, vedi Ludemann) tra gli specialisti della materia.

Questa obiezione soccombe al fatto che se davvero le donne avessero sbagliato sepolcro, le autorità ebraiche sarebbero state fin troppo felici di sottolinearlo pubblicamente quando i discepoli iniziarono a predicare la risurrezione. Sarebbe bastato indicare il vero sepolcro di Gesù, con il corpo all’interno.

Infine, l’ipotesi della tomba sbagliata ha bisogno di assumere per vere altre ipotesi non verificate: le donne non si accorsero dell’errore, non capirono le parole di Gesù risorto, i discepoli capirono male e tradussero il racconto delle donne in una (per loro inspiegabile) risurrezione corporale e le autorità ebraiche non sottolinearono pubblicamente l’errore. Più un’ipotesi richiede di adottare ipotesi aggiuntive, tanto meno è da ritenere credibile.

Quella della tomba sbagliata è un’obiezione goliardica, priva di un contesto argomentativo. Ha lo stesso valore di chi ipotizzasse che a far sparire il corpo di Gesù furono i soldati di guardia davanti al sepolcro come ripicca verso le autorità romane per il loro basso salario. Senza premurarsi la garanzia di appigli storici e documentali ognuno può sostenere le obiezioni più bizzarre.

 

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5. DETTAGLI RISCHIOSI ED ASSENZA DI ABBELLIMENTI TEOLOGICI.

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Se il ruolo centrale delle donne come testimoni oculari è stato considerato un argomento a sé stante, non si tratta dell’unico elemento fortemente “rischioso” del racconto in relazione alla sua credibilità.

Inoltre, legato a questo, consideriamo anche che i racconti pasquali sono (quasi) totalmente privi di teofanie ed abbellimenti teologici, come invece ci si aspetterebbe in un racconto tardivo per il quale ci fu il tempo di un’interpretazione teologica e scritturistica.

 

5.1 Dettagli rischiosi e nessun timore di smentite.

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Chi predicò la resurrezione di Gesù non ebbe paura di smentite, inserendo dettagli e riferimenti ben precisi. Al contrario, quando si crea una leggenda a posteriori, si evita di riferirsi troppo specificatamente a fatti, luoghi e persone per evitare di essere contraddetti.

Ricordiamo che le prime fonti della resurrezione sono vicinissime ai fatti narrati (datate dai 2 ai 19 anni dopo gli eventi). Quasi tutti i testimoni oculari erano ancora vivi, non solo i discepoli ma anche le autorità ebraiche e gli antagonisti pagani del primo cristianesimo. Impossibile inventare o aggiungere dettagli falsi.

L’esegeta spagnolo José Miguel Garcia ha osservato ad esempio che l’evangelista Marco cita il ruolo di Giuseppe d’Arimatea, «membro autorevole del Sinedrio» (Mc 15,42-47), nella sepoltura di Gesù. «Se si tratta di un racconto inventato in epoca più tarda, risulta sorprendente che venga offerto un dato così concreto. La finzione richiederebbe giocoforza un’informazione imprecisa, difficilmente contestabile da un punto di vista obbiettivo»106J.M. Garcia, Il protagonista della storia. Nascita e natura del cristianesimo, Rizzoli 2008, p. 277, 278. Se i Vangeli avessero inventato una figura così specifica come un membro del Sinedrio giudaico, non avrebbero potuto reggere contro l’immediata smentita.

Anche il riferimento alla sepoltura individuale di Gesù (come già visto) fu una mossa azzardata per un ipotetico falsario. Infatti, se pur fosse possibile per gli ebrei concedere tale privilegio ad un uomo crocifisso, raramente veniva concesso dalle autorità romane e tutti a quel tempo lo sapevano. Eppure gli evangelisti non temettero di includere la sepoltura individuale a Gesù nonostante fosse un’usanza praticata ma poco diffusa.

Un altro dettaglio riferito dagli evangelisti è il ritrovamento del sepolcro vuoto dopo tre giorni. Un pericoloso e preciso riferimento temporale che individua esattamente il giorno del ritrovamento (la domenica). Un falsario sarebbe rimasto sul vago. C’è chi ha provato a spiegarlo rifacendosi a formule dall’Antico Testamento, secondo le quali il popolo d’Israele sarebbe stato rigenerato e Dio, «dopo due giorni ci ridarà la vita e il terzo ci farà rialzare e noi vivremo alla sua presenza» (cfr. Os 6,2).

Ma i biblisti facilmente replicano che il brano allude alla rigenerazione spirituale d’Israele, non ad una resurrezione corporale che avverrà il terzo giorno: la stessa tradizione rabbinica interpreta così il brano107J.M. Garcia, Il protagonista della storia. Nascita e natura del cristianesimo, Rizzoli 2008, p. 279. Gli evangelisti parlano del “terzo giorno” semplicemente perché fu allora che le donne realmente trovarono il sepolcro vuoto.

Anche le 500 persone testimoni del Gesù risorto citate nell’antico credo pre-paolino (1Cor 15,3-7) possono essere viste come un dettaglio rischioso, soprattutto se siamo quasi nell’imminenza dei fatti. Furono forse gli uditori dei primi discorsi della chiesa primitiva? Alcuni sono conosciuti dallo stesso Paolo (che ha appreso l’informazione dei primi apostoli), in quanto sa che erano morti nel frattempo. Gli apostoli non temettero smentite da nessuno.

Il filosofo francese Jean Guitton osservò a tal proposito che «non si trattò di un mito raccontato in modo vago da cantori popolari, ma di una storia subito predicata in pubblico, nello stesso tempo, negli stessi luoghi, nelle medesime circostanze. Se tale predicazione ha potuto compiersi senza essere, fin dall’inizio, respinta e dimostrata falsa, questo avvenne perché si era davvero verificato in quegli stessi luoghi e sotto gli occhi dei contemporanei un qualche avvenimento strano e inspiegabile, ma innegabile che per la sua evidenza s’era imposto tanto agli amici quanto agli avversari»108J. Guitton, Gesù, Elledici 1996, p. 96.

 

5.2 Assenza di interpretazioni teologiche.

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Un’altra osservazione rilevante spesso riferita dai biblisti e dagli studiosi del cristianesimo antico riguarda l’assenza di qualunque abbellimento o colorazione teologica nei racconti pasquali.

Fin nei racconti precedenti dell’arresto, processo e crocifissione di Gesù sono presenti diversi richiami anticotestamentari, citazioni ed allusioni teologiche. Eppure, la comunità accademica non ha alcun dubbio che siano stati eventi certamente storici, sapendo scindere i fatti dalle interpretazioni teologiche degli autori.

A maggior ragione, ciò è ancor più vero nei racconti pasquali, laddove (sorprendentemente) sparisce ogni traccia di teofanie ed abbellimenti teologici lasciando spazio solo alla cruda sequenza cronologica dei fatti.

«Nei racconti pasquali notiamo la strana assenza della Scrittura. Che ne è di tutte quelle allusioni scritturistiche?», si sono domandati N.T. Wright, professore di Nuovo Testamento all’Università di St. Andrews e C.A. Evans, docente di Nuovo Testamento all’Acadia Divinity College. «Nessuna menzione di brani specifici né la benché minima eco dell’Antico Testamento»109C.A. Evans, N.T. Wright, Gli ultimi giorni di Gesù, San Paolo 2010, p. 104.

La spiegazione più probabile per i due studiosi è che questi racconti, ancora una volta, «riflettano la primissima testimonianza oculare e si svilupparono in un momento in cui non ci si chiedeva ancora se quella insolita catena di eventi adempisse o meno qualcuna delle Scritture. Erano forse troppo impazienti di raccontare ai loro amici, vicini e familiari le cose straordinarie che avevano visto e udito. Consideriamo dunque l’assenza scritturistica in questione una sorta di argomento probante per indicare che le storie debbano essere ricondotte alla primissima tradizione orale»110C.A. Evans, N.T. Wright, Gli ultimi giorni di Gesù, San Paolo 2010, pp. 104, 105.

I tratti apologetici sono abbondanti nei racconti tardivi e leggendari della letteratura antica, mentre nei vangeli la risurrezione non è nemmeno descritta, nessun testimone diretto, nessuna riflessione teologica sul trionfo di Gesù sul peccato e sulla morte, alcun uso di titoli cristologici o profezie bibliche adempiute, nessuna descrizione del Signore risorto.

L’unico accenno di interpretazione teologica è quando due evangelisti su quattro (Matteo e Luca) citano una figura angelica (o due figure, per Luca) che comunica alle donne recatesi al sepolcro quanto è avvenuto (Marco cita invece la presenza di un “giovane”, cfr. Mc 16,5-7, mentre Giovanni non riferisce alcun messaggero, cfr. Gv 20,1-10). Alcuni studiosi lo ritengono un espediente letterario per fornire al destinatario degli scritti una minima interpretazione della tomba vuota. Ma in generale, la narrazione è decisamente disadorna, allontanando anche qui qualunque sospetto di una leggenda creata a posteriori.

C.A. Evans e N.T. Wright fanno anche notare l’assenza della futura speranza cristiana. «Quasi in qualunque altro punto del Nuovo Testamento», come negli scritti composti verso la fine del I secolo, «laddove si trovi gente che parla della risurrezione di Gesù, la si trova anche a parlare della futura risurrezione e della speranza finale che un giorno tutti risorgeranno come Gesù. I vangeli, però, non dicono niente del tipo: “Gesù è risorto, quindi c’è una vita dopo la morte”; oppure: “Gesù è risorto, quindi noi andremo in cielo quando saremo morti”. O ancora: “Gesù è risorto, quindi noi risorgere alla fine”. No, nella misura in cui si chiama in causa l’interpretazione di Matteo, Marco, Luca e Giovanni, l’evento non ha altro significato che è un evento accaduto»111C.A. Evans, N.T. Wright, Gli ultimi giorni di Gesù, San Paolo 2010, pp. 109, 108.

E’ sufficiente confrontare questi asettici resoconti evangelici con quelli evidentemente leggendari contenuti nei vangeli apocrifi del II secolo. Ad esempio, nel vangelo di Pietro (datato per i più prudenti alla prima metà del II secolo112G. Barbaglio, Gesù ebreo di galilea, EDB 2002, p. 68) si legge:

«I soldati videro aprirsi i cieli e due uomini scenderne vestiti di grande splendore e avvicinarsi al sepolcro. La pietra che era stata addossata alla porta, rotolando via da sé, si scostò da una parte e il sepolcro si aprì ed entrambi i giovani vi entrarono. Come videro ciò, i soldati destarono il centurione e gli anziani, poiché anche questi stavano là di guardia. E mentre spiegavano loro quanto avevano visto, di nuovo vedono tre uomini uscire dal sepolcro, e i due sorreggevano l’altro e una croce li seguiva; e la testa dei primi due si spingeva fin al cielo, mentre quella di colui che conducevano per mano sorpassava i cieli» (VgPt 35-40).

E’ proprio rifacendosi all’evidente tratto leggendario di questi racconti (al contrario di quelli dei vangeli canonici) che il controverso ufologo italiano Mauro Biglino può sostenere le sue fanta-teorie del Gesù alieno!

J.P. Meier docente di Nuovo Testamento all’Università di Notre Dame, ha scritto: «L’evento di Gesù che risorge dai morti non è mai raccontato direttamente. In questo i vangeli canonici divergono marcatamente nella loro sobrietà dai tardivi vangeli apocrifi, come il Vangelo di Pietro, del secolo II d.C.»113J.P. Meier, Un ebreo marginale, Queriniana 2003, Vol. 2, p. 917.

 

5.3 Obiezione: i discepoli di Gesù si inventarono tutto.

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Al di fuori del mondo accademico molte persone nemmeno prendono in considerazione che i racconti evangelici dicano qualcosa di vero. Non importa l’antica datazione delle fonti primarie, non interessa che siano un’eccezione rispetto ai testi storici del passato. Pregiudizialmente sarebbe tutta un’invenzione leggendaria. Si tratta dell’ipotesi della frode deliberata.

Questa ipotesi non trova alcun credito tra gli storici e studiosi professionisti delle origini cristiane, che siano cristiani, atei, ebrei o agnostici. Offriamo comunque qualche breve risposta, pur consapevoli che chi avanza questa obiezione è già orientato a priori senza un impegno serio di approfondimento.

Anche chi è a digiuno di storia ed analisi critica concorda che si mente o si inventa per un interesse personale (guadagno economico, guadagno in relazioni, guadagno di potere). Nessuno è disposto a continuare a raccontare il falso se a causa di questo sta perdendo tutto, compresa la vita. Ebbene, i primi cristiani ebbero tutto da perdere (e persero tutto!) nel sostenere la risurrezione di Cristo.

Quasi tutti i membri delle prime comunità cristiane subirono per oltre dieci anni persecuzioni, lapidazioni, frustate in pubblico, umiliazioni, disonori sociali e prigionia. Vennero rifiutati dalle loro famiglie, dati in pasto ai leoni come divertimento pubblico (dato confermato nel 2018 per quanto riguarda il Colosseo di Roma), perdettero il loro status sociale, il loro lavoro, il loro salario ed infine vennero quasi tutti martirizzati, uno dopo l’altro.

Nonostante questo, non c’è notizia che qualcuno abbia alzato le braccia dicendo: “Ok, è tutto falso, ci siamo inventati tutto, ora lasciatemi in pace”. Non esiste nella storia antica un altro gruppo che, pur assolutamente pacifico, fu perseguitato così tanto e così a lungo per una persuasione tanto radicata. Impossibile credere che stessero mentendo su tutto.

«Non considero la frode deliberata una spiegazione utile», ha concluso E.P. Sanders, celebre docente di Nuovo Testamento alla Duke University. «Molte delle persone che affermarono questo avrebbero passato il resto della loro vita a proclamare di aver visto il Signore risorto e molte di loro sarebbero morte a causa di questo»114E.P. Sanders, The Historical Figure of Jesus, Penguin Books, 1993, p. 279-280.

In secondo luogo, nessun ebreo avrebbe mai inventato qualcosa di simile alla resurrezione di Gesù. Come vedremo, ciò che iniziò a dire quel piccolo gruppo di ebrei pescatori (probabilmente analfabeti) dopo la morte di Gesù era un’idea sconosciuta ed estranea alla cultura giudaica e anticotestamentaria. Da dove l’hanno presa? Se avessero voluto convincere i loro contemporanei perché inventare una leggenda simile, inserendo tra l’altro dettagli ancor più controproducenti ed altamente a rischio di smentite? Né la letteratura pagana, né le Scritture ebraiche poterono essere usate come fonte d’inspirazione.

C’erano altre cose che avrebbero potuto dire, in coerenza con le Scritture. Ecco come lo spiegano N.T. Wright, professore di Nuovo Testamento all’Università di St. Andrews e C.A. Evans, docente di Nuovo Testamento all’Acadia Divinity College:

«Ci si sarebbe potuto aspettare che immaginassero Gesù risorto risplendente come una stella: il che, dopo tutto, è ciò che il testo popolare di Dn 12 dice in merito al popolo che risorge dai morti. I cristiani però non fecero così, nessuno dei racconti della risurrezione ne fa cenno. Anzi, Gesù appare come un essere umano avente un corpo come tutti gli altri: può essere scambiato per un giardiniere (Gv 20,15) o per un compagno di viaggio lungo la via (Lc 24, 13-35). Nessuno avrebbe inventato in questo modo, un simile racconto è senza precedenti. Nessun testo biblico predisse che la risurrezione avrebbe avuto a che fare con una tale categoria di corpo. Nessuna teologia speculativa tracciò un simile sentiero, tale che gli evangelisti potessero seguirlo»115C.A. Evans, N.T. Wright, Gli ultimi giorni di Gesù, San Paolo 2010, p. 107.

Secondo alcuni i vangeli di Luca e Giovanni sarebbero stati scritti alla fine del I secolo per contrastare il docetismo, l’eresia secondo la quale Gesù non era un vero essere umano ma vi somigliava solamente. Certamente includono descrizioni del Cristo molto “umano”, che mangia un pesce arrostito sulla spiaggia ed invita Tommaso a toccare le ferite dei chiodi, ma questi racconti «sono gli stessi in cui Gesù appare e scompare, trascende il materiale ed infine ascende al cielo. Quei racconti sono così estremamente peculiari ed il tipo di peculiarità che posseggono non è tale da poter essere inventata. Sembra quasi che gli autori dei vangeli si stessero sforzando di descrivere una realtà per la quale sentivano di non avere un linguaggio adeguato»116C.A. Evans, N.T. Wright, Gli ultimi giorni di Gesù, San Paolo 2010, p. 107, 108.

Infine, i racconti evangelici degli eventi pasquali contengono numerose contraddizioni, come vedremo nell’apposito paragrafo. Se si fossero messi d’accordo per inventare una storia del genere, o si fossero copiati l’un l’altro, sicuramente non si sarebbero contraddetti, gettando ancora più dubbi sull’autenticità. La contraddizione è proprio ciò che bisogna evitare quando si inventa e, secondo aspetto, meglio stare sul vago senza arricchire il racconto da dettagli e riferimenti storici che possano essere facilmente smentiti. Anche in questo caso gli evangelisti fecero proprio l’opposto.

 

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6. NESSUNA VERSIONE ALTERNATIVA PLAUSIBILE.

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Nel corso della storia sono state offerte varie spiegazioni alternative degli eventi pasquali (le più plausibili sono citate in questo dossier): la teoria del complotto, la teoria della morte apparente, la teoria delle allucinazioni e così via. Ma tutte queste diverse versioni sono state respinte dagli studiosi contemporanei.

Questo può essere sostenuto come argomento a favore della storicità della versione originale degli eventi pasquali, seguendo il seguente principio: più un’opzione fallisce, più sono probabili le altre. E più è convincente un’opzione, più le altre lo sono meno.

Il criterio storico della “superiorità rispetto alle ipotesi rivali” è infatti preso molto seriamente dagli studiosi che indagano sulla storicità di un racconto rispetto alle versioni alternative. Nessuna delle tante spiegazioni alternative alla resurrezione proposte nel corso della storia ha mai raggiunto uno status di plausibilità accettabile ed al momento non esiste nessun’altra spiegazione realmente in competizione con quella esposta dalle fonti primarie.

Nonostante lo scetticismo, Stephen T. Davis, professore emerito di Filosofia al Claremont McKenna College, individua proprio nell’incapacità dei critici di fornire una possibile spiegazione naturalistica alla successione degli eventi pasquali una delle prove che la risurrezione di Gesù è «la spiegazione più plausibile di questi fatti»117S.T. Davis, Faith and Philosophy, Vol. 2, No.3, 06/1985, p. 152, 153.

Inoltre, non esistono nemmeno versioni cristiane alternative. Ovvero, fonti antiche scritte da cristiani in un periodo più o meno contemporaneo a quelle originali che contengano attestazioni alternative, diverse ed in competizione. Come ha ricordato William L. Craig, docente di Filosofia al Talbot School of Theology di Los Angeles, «da nessuna parte compaiono tradizioni in conflitto tra loro»118W.L. Craig, J.P. Moreland, Jesus Under Fire, Zondervan 1995, p. 149. Ad esempio, non esistono tradizioni funerarie concorrenti (né cristiane, né ebraiche, né pagane).

Eppure, tutti i racconti antichi riguardanti ad esempio le divinità pagane, oltre ad essere palesemente leggendarie e prive di fatti ritenuti storici (nemmeno dagli stessi autori), sono tramandate con molte versioni alternative le une dalle altre. Al contrario, non c’è alcun resoconto contrastante da parte di qualche discepolo di Gesù, qualche familiare, qualche testimone oculare (ma anche qualche antagonista, ebreo o pagano) sui racconti pasquali. Le uniche variazioni note sono i vangeli apocrifi, chiaramente dipendenti dai vangeli canonici, non contemporanei alle fonti primarie e senza dubbio leggendari.

Non esistettero nemmeno “cristianesimi diversi”, dove ogni comunità contraddiceva l’altra come ci si aspetterebbe se tutto fosse nato da favole o leggende inventate a Gerusalemme. Uno dei principali biblisti contemporanei, J.P. Meier docente di Nuovo Testamento all’Università di Notre Dame, ha spiegato infatti che «non ci fu un periodo in cui parti di tradizione su Gesù circolavano in una chiesa priva della più ampia griglia costituita dalla vita, morte e risurrezione di Gesù»119J.P. Meier, Un ebreo marginale, Queriniana 2008, Vol. 1, p. 118, fondata sui testi del Nuovo Testamento.

Infine, nemmeno il rifiuto del soprannaturale è una valida spiegazione alternativa. Questi racconti si trovano allo stesso livello del racconto della crocifissione, ad esempio. Qualsiasi storico, in quanto storico, può porre la domanda: “Che ne è stato fatto del corpo di Gesù di Nazareth?”, con la stessa semplicità con cui può chiedere: “Come è morto Gesù di Nazareth?”. Se si respinge la forza delle prove cumulative per la sepoltura di Gesù, il ritrovamento del sepolcro vuoto (e le attestazioni del Gesù risorto), occorre avere prove almeno altrettanto convincenti di teorie alternative.

 

6.1 Obiezione: i miracoli non possono accadere.

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Questa obiezione ha più a che fare con il naturalismo metodologico che con l’indagine storica. Gli eventi miracolosi non possono verificarsi, quindi ci dev’essere senz’altro una spiegazione naturale alternativa alla resurrezione di Gesù.

Si tratta di un’affermazione filosofica, sulla quale è parzialmente inciampato anche l’importante studioso (agnostico) B.D. Ehrman, quando ha scritto: «C’è un fraintendimento comune sul mio punto di vista. Ciò che affermo sulla risurrezione di Gesù o di altri suoi miracoli, o di qualunque altro miracolo (di Apollonio di Tiana o di Elia), è lo stesso che avevo quando ero un cristiano, quando credevo in Dio, quando credevo che i miracoli potevano accadere. Ora ho la stesso punto di vista di allora, quindi non è un punto di vista ateo. La mia visione è che anche se i miracoli sono accaduti in passato -diciamo semplicemente che concedo che siano accaduti- non c’è modo di stabilire se sono avvenuti utilizzando le discipline storiche»120B.D. Ehrman, in Ehrman–Licona Dialogue on the Historical Reliability of the New Testament, The Best Schools 2016.

Pur essendo corretto quanto riferisce Ehrman, il problema di queste obiezioni ai miracoli è non cogliere che si sta valutando l’ipotesi che Gesù sia risorto dai morti in modo soprannaturale, non in modo naturale! Non c’è motivo di ritenere improbabile che Dio abbia potuto risuscitare Gesù dai morti, la vera obiezione non è l’impossibilità dei miracoli piuttosto l’impossibilità o l’improbabilità dell’esistenza di un Creatore dell’Universo. Se Dio esiste, esistono i miracoli.

Lo ha spiegato con maggior eleganza Richard Swinburne, professore emerito di Filosofia all’Università di Oxford:

«Se non c’è Dio, l’ultima determinante di ciò che accade nel mondo sono le leggi di natura, e che qualcuno morto da 36 ore ritorni in vita è una chiara violazione di quelle leggi, ed è quindi impossibile. Ma se c’è un Dio del tipo tradizionale, le leggi della natura operano solo perché lui le fa operare ed ha il potere di sospenderle per un momento o per sempre. Quindi, se Gesù è risorto dai morti, Dio lo ha risuscitato»121R. Swinburne, The Probability of the Resurrection of Jesus, Philosophia Christi 2013, Vol. 15, p. 11.

Considerando che l’ipotesi dell’esistenza di Dio non risulta essere né impossibile, né improbabile (ancora oggi desta curiosità chi sostiene graniticamente il contrario), conseguentemente non è possibile affermare che la risurrezione di Gesù sia impossibile o improbabile da un punto di vista strettamente filosofico.

Va poi considerato che il dibattito è focalizzato non sulla probabilità della resurrezione di per sé e senza alcun elemento di prova, ma solo in seguito ad una serie di fatti storici che implicano l’ipotesi della risurrezione come migliore spiegazione (quello che stiamo facendo in questo dossier).

Il noto teologo Michel R. Licona sostiene che anche dal punto di vista storico si può indagare la resurrezione come ipotesi, senza valicare i confini tra storia e teologia: «Se l’ipotesi della Resurrezione è migliore nel soddisfare i criteri storici rispetto alle ipotesi alternative, lo storico può affermare che Gesù è risorto dai morti, pur non essendo in grado di sostenere che Dio sia stata la causa della rinascita miracolosa di Gesù alla vita (anche se potrebbe comunque suggerire che l’ipotesi di Dio è la miglior candidata alla causa). Quindi, si è liberi di suggerire che non ci sono prove sufficienti per confermare che Gesù è risorto dai morti, oppure che c’è un’ipotesi migliore per spiegare la sua resurrezione. Ma, in linea di principio, non vi è alcuna buona ragione per cui gli storici non possono indagare su una pretesa di miracolo»122M.R. Licona, in Ehrman–Licona Dialogue on the Historical Reliability of the New Testament, The Best Schools 2016.

Chiaramente il dibattito tra filosofi e storici è aperto su questo tema. Presentiamo una terza posizione.

L’ha esposta J.P. Meier, uno dei maggiori biblisti contemporanei e docente di Nuovo Testamento all’Università di Notre Dame: «Simili questioni, come il fatto che i miracoli possano accadere, sono legittime in ambito filosofico e teologico, ma sono illegittime o quanto meno irrisolvibili all’interno di un’indagine storica che voglia limitarsi alla documentazione empirica e alle deduzioni razionali che da tale documentazione si possono trarre»123J.P. Meier, Un ebreo marginale, vol. 2, Queriniana 2003, p. 600.

Secondo Meier, è sbagliato sia perseguire una finalità apologetica aprioristicamente a favore dei miracoli che «perseguire un approccio critico alla storia» assolutamente naturalistico, per il quale «i miracoli non possono accadere e quindi non accadono»124J.P. Meier, Un ebreo marginale, vol. 2, Queriniana 2003, p. 600, 601. Infatti, «il giudizio dell’ateo è altrettanto filosofico e teologico come quello del credente, determinato da una particolare visione del mondo e non un giudizio derivato semplicemente, solamente e necessariamente dall’analisi della documentazione»125J.P. Meier, Un ebreo marginale, vol. 2, Queriniana 2003, p. 607.

Fino a dove può spingersi uno storico? La risposta di J.P. Meier non è così distante da quella di Licona:

«Lo storico può accertare se un evento straordinario ha avuto luogo in un contesto religioso, se qualcuno ha sostenuto che si è trattato di un miracolo, e -ammesso che vi sia documentazione sufficiente- se una iniziativa umana, o forze fisiche dell’universo o l’errore di percezione, l’illusione o la frode possano spiegare l’episodio. Se tutte queste spiegazioni vengono escluse, lo storico può concludere che un evento di cui si sostiene da parte di alcuni che è un miracolo non ha una spiegazione ragionevole o causa adeguata in qualsivoglia attività umana o forza fisica. Andare oltre a tale giudizio e affermare o che Dio ha agito direttamente per realizzare questo evento sorprendente, o che Dio non l’ha fatto, vuol dire andare al di là di quello che ogni storico può affermare nella sua capacità di storico ed entrare nell’ambito della filosofia e della teologia»126J.P. Meier, Un ebreo marginale, vol. 2, Queriniana 2003, p. 608.

Questi tre studiosi, le cui posizioni non sono per forza inconciliabili tra loro, sono comunque concordi nel sostenere che sia in ambito filosofico che in quello prettamente storico non si può aprioristicamente negare la possibilità dell’esistenza dei miracoli.

Un ulteriore problema con l’obiezione “anti-miracolistica” (già accennato da Meier) è che è estremamente dogmatica, non conciliabile con un’indagine storica libera da preconcetti. I naturalisti impediscono a priori che le spiegazioni soprannaturali possano anche esistere come ipotetiche nel pool delle varie opzioni da indagare, violando così i criteri standard di ricerca che chiedono di non scartare alcuna ipotesi a priori, indipendentemente da quanto sia scomoda o inaccettabile per la visione soggettiva del ricercatore e per l’orientamento culturale dominante in cui vive.

Innumerevoli filosofi, inoltre, hanno respinto in generale la negazione della possibilità dell’esistenza dei miracoli, ad esempio Rodney D. Holder127R.D. Holder, Hume on Miracles: Bayesian Interpretation, Multiple Testimony, and the Existence of God, British Journal for the Philosophy of Science 1998, Vol. 49, p. 60-62, direttore del Faraday Institute di Cambridge; George N. Schlesinger128G.N. Schlesinger, Miracles and Probabilities 1987, Vol. 21, p. 219-232, docente di Filosofia alla University of North Carolina; John Earman129J. Earman, Bayes, Hume, and Miracles, Faith and Philosophy 1993, Vol. 10, p. 293, 305-306, professore emerito di Filosofia all’Università di Pittsburgh; Richard Otte130R. Otte, Schlesinger and Miracles, Faith and Philosophy 1993, Vol. 10, p. 93, 97, professore emerito di Filosofia alla University of California at Santa Cruz.

Infine, osserviamo che solitamente chi si appella al naturalismo metodologico chiama in causa le antiche asserzioni di David Hume e Immanuel Kant. Ma, come spiegato da Thomas V. Morris, già docente all’Università di Notre Dame, «nei riferimenti che i teologi fanno a Kant o a Hume, il più delle volte troviamo questi filosofi semplicemente menzionati. Raramente, se non mai, vediamo un resoconto di quali argomenti si suppone abbiano usato per la presunta demolizione dei miracoli»131T.V. Morris, Philosophy and the Christian Faith, University of Notre Dame Press 1988, p. 34.

Stephen T. Davis, professore emerito di Filosofia al Claremont McKenna College, pur respingendo la resurrezione per motivi filosofici (mentre storicamente la ritiene «la spiegazione più plausibile»132S.T. Davis, Faith and Philosophy, Vol. 2, No.3, 06/1985, p. 152, 153), riconosce tuttavia che «è generalmente riconosciuto che Hume sopravvaluta la sua tesi. Non si può escludere a priori la possibilità dei miracoli»133S.T. Davis, Faith and Philosophy, Vol. 2, No.3, 06/1985, p. 148.

Ed effettivamente, nonostante sia ben nota la legge generale che i morti rimangano tali, questo non può escludere automaticamente un caso specifico se esistono prove convincenti in difesa di una tale eccezione.

Per inciso, l’argomento di Hume contro i miracoli è stato confutato già nel XVIII secolo da Gottfried Less e George Campbell, e numerosi filosofi contemporanei lo rifiutano come fallace, a partire da Richard Swinburne134R. Swinburne, The Concept of Miracle, Macmillan 1970, John Earman135J. Earman, Bayes, Hume, and Miracles, Faith and Philosophy 1993, George Mavrodes136G. Mavrodes, Miracles and the Laws of Nature, Faith and Philosophy 1985, Antony Flew137A. Flew, Did Jesus Rise from the Dead, Harper & Row 1987 e William Alston138W. Alston, God’s Action in the World, Cornell University Press 1989.

 

6.2 Obiezione: gli studiosi sono tutti cristiani.

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Un’obiezione ancor più superficiale viaggia solitamente sui social e sul web in generale: i docenti universitari ed i ricercatori specializzati nelle origini cristiane, nello studio biblico e del Nuovo Testamento e nelle fonti cristiane, sarebbero cristiani. Perciò, le loro conclusioni non avrebbero significato.

Chi avanza questa opinione dimostra di non conoscere il sistema di pubblicazione accademico, che aborrisce il principio d’autorità e si fonda sulla dimostrazione (o argomentazione) oggettiva e razionale delle tesi di fronte alla comunità scientifica. L’orientamento personale del singolo non conta nulla in ambito strettamente scientifico (altro sono le divulgazioni popolari), l’autorevolezza in ambito accademico è creata solo dalla validità tecnica del contenuto e dal consenso generale delle proprie tesi tra gli studiosi.

Inoltre, è falso che tutti gli storici del cristianesimo sono cristiani. Gary Habermas, autore di un imponente studio di revisione di migliaia di pubblicazioni specialistiche degli ultimi cinquant’anni, ha precisato che «i cristiani tradizionali costituiscono solo una piccola percentuale degli studiosi»139G. Habermas, Experiences of the Risen Jesus. The Foundational Historical Issue in the Early Proclamation of the Resurrection, Journal of Theology 2006, Vol. 45. p. 288-297.

Tra i maggiori specialisti dello studio delle prime fonti cristiane vi sono studiosi di ogni credo (e con varie sensibilità di credo): progressisti, protestanti, ebrei, evangelici, agnostici, cattolici, atei, scettici, cristiani nominali e iper-tradizionalisti. E, tuttavia, «anche la maggioranza degli studiosi non credenti»140G. Habermas, M.R. Licona, The Case for the Resurrection of Jesus, Kregel Publications 2004, p. 149, riferisce Habermas (citando nomi, cognomi e opere), accetta una buona parte delle conclusioni sulla storicità degli eventi pasquali, fermandosi chi molto, chi poco prima, dell’ipotesi soprannaturale. Alcuni di essi sono citati anche in questo dossier (Geza Vermes, Michael Goulder, Gerd Lüdemann, John Dominic Crossan, B.D. Ehrman, Pieter F. Craffert, Dale Allison ecc.).

A ben vedere, inoltre, lo stesso conflitto di interesse risulta allora presente anche negli studiosi dichiaratamente atei o scettici. Indipendentemente dalle loro pubblicazioni, infatti, si saprebbe già in anticipo che rifiutano l’ipotesi della resurrezione come reale. Lo stesso dicasi per gli studiosi ebrei, islamici o induisti. Chi rimarrebbe autorizzato a poter studiare il Gesù storico?

Se pensiamo a B.D. Ehrman, agnostico e docente di Nuovo Testamento all’Università del North Carolina, abbiamo già sottolineato la sua ritrosia a ricordare che l’antica fonte pre-paolina (datata a 2 anni dopo gli eventi) includa anche la resurrezione di Gesù. In un’altra occasione ha scritto: «In tutte le tradizioni giunte a noi, Cefa e Giacomo sono sempre schierati dalla stessa parte. Sono due ebrei, credono nella risurrezione di Gesù, guidano attivamente la comunità ecclesiale della loro città»141B.D. Ehrman, Did Jesus Exist?, HarperCollins Publishers 2012, p. 152. Poche pagine prima aveva riferito: «Simon Pietro e Giacomo sono due ottime persone da conoscere se si vuole sapere qualcosa del Gesù storico»142B.D. Ehrman, Did Jesus Exist?, HarperCollins Publishers 2012, p. 145.

In quest’ultimo caso Ehrman ha riconosciuto Pietro e Giacomo come fonti attendibili per conoscere il Gesù storico, sottolinea che Pietro è proprio la fonte di Paolo, quando quest’ultimo riferisce della resurrezione di Gesù ma, nonostante questo, per motivi personali sceglie di sospendere il giudizio (o darne uno negativo) sulla realtà della storicità della resurrezione. Fino al ritrovamento del sepolcro vuoto, tuttavia, condivide le tesi degli studiosi cristiani.

 

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7. UN EBREO NON POTEVA INVENTARE LA RESURREZIONE DI GESU’.

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Uno degli argomenti ritenuti più “forti” e statisticamente più citati a favore della storicità della resurrezione emerge dallo studio del pensiero giudaico del I secolo.

Per un ebreo del I secolo sarebbe stato impossibile inventare la resurrezione di Gesù a causa del background giudaico, non l’avrebbe nemmeno compresa. Né loro, né le persone a cui si rivolgevano. Oltretutto, nessuno si aspettava nemmeno che il Messia atteso da Israele potesse essere crocifisso e maledetto da Dio in croce, tanto meno che potesse risorgere corporalmente prima della fine dei tempi.

A volte si dà per scontato che nel I secolo fosse familiare il concetto di resurrezione com’è per noi oggi e ci si dimentica che i primi cristiani non erano rabbini di Gerusalemme, teologi, esegeti dell’Antico Testamento o alte autorità ebraiche, ma un piccolo gruppo di umili pescatori ebrei, pubblicani e qualche donna, provenienti dai piccoli e poveri villaggi della Galilea. Probabilmente erano anche analfabeti.

Nessuno avrebbe inventato dal nulla qualcosa di così inedito per l’ebraismo e per le Scritture stesse come la resurrezione di Gesù. Ed anche se mai avessero anche potuto idearla, chi avrebbero sperato di convincere? Come se non bastasse, lo abbiamo visto, hanno anche aggiunto dettagli per accrescere ancora più dubbi (come il ruolo centrale delle donne).

«Per gli ebrei quella pretesa -al cuore della professione di fede cristiana- era assurda, offensiva e potenzialmente blasfema», ha scritto lo studioso americano B.D. Ehrman. «Eppure era proprio ciò che, poco prima dell’anno 32, andava dicendo di Gesù un gruppetto di cristiani. E’ quasi impossibile spiegare un’asserzione simile, in quel luogo, in quell’epoca, tra quella gente»143B.D. Ehrman, Did Jesus Exist?, HarperCollins Publishers 2012, p. 172.

Joachim Jeremias, docente di Nuovo Testamento presso l’Università di Gottinga, ha a lungo esaminato la letteratura ebraica antica, concludendo: «Nell’antico ebraismo non esisteva l’attesa di una risurrezione come un evento della storia. Certamente erano conosciute le risurrezioni dei morti, ma queste erano semplicemente rianimazioni per il ritorno alla vita terrena. Da nessuna parte nella letteratura giudaica si trova qualcosa di paragonabile alla risurrezione di Gesù»144J. Jeremias, Die älteste Schicht der Osterüberlieferungen, in Resurrexit, Libreria Editrice Vaticana 1974, p. 194.

Questo è stato confermato anche da N.T. Wright, eminente professore di Nuovo Testamento all’Università di St. Andrews ed uno tra i principali esperti del mondo anglosassone. Anch’egli è autore di una vasta indagine sul pensiero del popolo ebraico del I secolo:

«A differenza dei greci e dei romani la morte non era vista dai Giudei come la liberazione dal mondo materiale, ma come una tragedia. Secondo l’insegnamento ebraico ci sarebbe stata una risurrezione corporale di tutti i giusti nel momento in cui Dio avrebbe rinnovato il mondo intero e rimosso tutta la sofferenza e la morte. La risurrezione, tuttavia, era solo una parte del completo rinnovamento del mondo e l’idea di un individuo resuscitato, nel bel mezzo della storia, mentre il resto del mondo continuava ad essere gravato dalla malattia, dal decadimento e dalla morte, era inconcepibile. Se qualcuno avesse detto ad un ebreo del primo secolo: “E’ stato risuscitato dai morti!”, la risposta sarebbe: “Sei pazzo? Come può essere? La malattia e la morte sono scomparse? La vera giustizia è stata ristabilita in tutto il mondo? Il lupo si è riconciliato con l’agnello? Ridicolo!”. L’idea stessa di una resurrezione individuale sarebbe stata letteralmente impossibile da immaginare sia da un ebreo che da un greco»145N.T. Wright, Jesus, the final days, Westminster John Knox Press 2010, p. 99.

Per gli ebrei il Messia avrebbe sconfitto i nemici di Israele, ricostruito il tempio, restaurato il trono di Davide e compiuto le profezie ebraiche. Non sarebbe stato vergognosamente giustiziato come un “maledetto da Dio” dal tribunale ebraico.

L’ignominiosa esecuzione di Gesù fu una smentita clamorosa agli occhi degli ebrei sul fatto che fosse l’atteso Messia di Israele. Egli era semplicemente un altro pretendente fallito, non una novità per quei tempi (si pensi a Simone Bar Giora). Solitamente i seguaci avevano solo due alternative: rinunciare o trovare un nuovo Messia.

Alcuni gruppi del giudaismo, quando il loro leader veniva ucciso, semplicemente trovarono un nuovo Messia, «magari suo fratello, suo cugino, suo nipote o suo figlio», ha spiegato C.A. Evans, docente di Nuovo Testamento all’Acadia Divinity College. «Il più autorevole capo nella prima Chiesa era Giacomo, fratello del Signore. Era una figura assai rispettata dai cristiani e dalle autorità giudaiche, un uomo di preghiera, un eccellente maestro. Tutti sapevano che era uno dei familiari di Gesù, eppure nessuno si sognava di dire che fosse il Messia. Secondo l’usanza avrebbero dovuto farlo, ma se non lo fecero è per via di una buonissima ragione: credevano che Gesù fosse davvero il Messia, E l’unico motivo valido per credere una cosa del genere di qualcuno che era stato crocifisso era che egli fosse veramente risorto dai morti»146C.A. Evans, N.T. Wright, Gli ultimi giorni di Gesù, San Paolo 2010, p. 102.

Il solo fatto di considerare Gesù crocifisso il Messia era assurdo. «Gesù fu talmente diverso dalle aspettative di tutti i Giudei riguardo al Figlio di Davide, che i suoi stessi discepoli trovarono quasi impossibile riferire a lui l’idea del Messia»147M. Burrows, More Light on the Dead Sea Scrolls, Viking Press 1958, p. 68, ha scritto Millar Burrows, una delle principali autorità sui rotoli del Mar Morto e professore emerito alla Yale Divinity School.

A sua volta Donald Juel, docente di Nuovo Testamento al Luther Seminary di Saint Paul e membro della Society for the Study of the New Testament, ha sottolineato che «l’idea di un Messia crocifisso non è solo senza precedenti nella tradizione ebraica; è così contrario all’intera narrazione biblica di una liberazione dalla linea di Davide, così poco in armonia con la costellazione dei testi biblici che termini come “scandalo” e “follia” sono le uniche risposte appropriate. L’ironia è l’unico mezzo per raccontare una storia del genere tanto risultò essere controintuitiva»148D.H. Juel, The Trial and Death of the Historical Jesus, Word and World Luther Seminary 1997, p. 105.

Lo stesso Paolo riconobbe che la predicazione del Messia atteso come Gesù, crocifisso e risorto, era «pietra d’inciampo per gli ebrei e stoltezza per i pagani» (1 Cor. 1,21-22). Anche i pagani, non solo gli ebrei, respingevano totalmente l’idea di una risurrezione corporale. «L’antico paganesimo racchiude ogni genere di teorie», ha dichiarato N.T. Wright, «ma quando viene menzionata la risurrezione la risposta è fermamente negativa: noi sappiamo che non succede»149N.T. Wright, Conferenza intitolata a James Gregory, Università di Durham 2007.

Su questo è intervenuto anche Ben Witherington III, docente di Nuovo Testamento all’Asbury Theological Seminary, sorpreso dal linguaggio usato dai primi cristiani: «Perché una comunità che cerca di attirare i gentili costituirebbe una storia della risurrezione, addirittura sottolineando una risurrezione corporale di Gesù? Questa nozione non era affatto parte del regolare lessico pagano dell’aldilà. In effetti, come suggerisce Atti 17, i pagani erano più propensi a ridicolizzare un’idea del genere»150B. Witherington, New Testament History, Baker Academic 2001, p. 165.

Gli storici sanno che quel gruppo di ebrei pescatori non avrebbe mai potuto creare dal nulla o attingere dalla letteratura precedente, pagana o ebraica uno spunto per la resurrezione di Gesù. Lo scrive B.D. Ehrman, docente di Nuovo Testamento e direttore del dipartimento di Studi religiosi dell’Università del North Carolina:

«La morte e la resurrezione di Gesù sono un evento unico, tra le antiche divinità del Vicino Oriente non si riscontra nulla di simile. Chiunque pensi che Gesù si stato plasmato prendendo a modello tali divinità deve portare qualche prova -di qualunque genere- che gli ebrei palestinesi furono influenzati» da quei racconti. In ogni caso, «le differenze tra Gesù e gli dei di morte e rinascita dimostrano che Gesù non fu plasmato con le loro caratteristiche, persino nel caso che ai suoi tempi ci fossero persone che parlavano di quelle divinità […]. La morte e risurrezione di Gesù vanno considerate un evento unico. Inoltre, la morte è stata ritenuta un sostituto dell’espiazione dei peccati. Tra le antiche divinità del Vicino Oriente non si riscontra nulla di simile»151B.D. Ehrman, Did Jesus Exist?, HarperCollins Publishers 2012, p. 228, 234.

Anche Mariano Herranz Marco, professore di Esegesi del Nuovo Testamento e di Lingue Semitiche e Orientali al Seminario di Madrid e noto esponente della Scuola esegetica spagnola, ha osservato che «nel giudaismo la resurrezione dai morti era attesa come un evento che avrebbe avuto luogo alla fine dei tempi; resurrezione dai morti e fine del mondo erano strettamente collegate tra loro».

Al contrario, poco dopo la morte di Gesù gli apostoli iniziano a proclamare qualcosa di radicalmente diverso, cioè che «il mondo va avanti come prima, e ciò nonostante questi uomini annunciano che è iniziata la resurrezione dai morti, che in Gesù risorto è già iniziata la fine del mondo e la nuova creazione»152M.H. Marco, Los evangelios y la critica historica, Ediciones Cristiandad 1978, p. 180-181. Nella letteratura antica «abbiamo, sì, racconti di risurrezioni di morti, in cui il defunto torna alla vita che la morte aveva interrotto, ma la resurrezione di Gesù predicata dagli apostoli è radicalmente diversa»153M.H. Marco, Los evangelios y la critica historica, Ediciones Cristiandad 1978, p. 180-181.

Se il biblista tedesco Ben Witherington III ritiene che «non vi sono motivi validi per pensare che questi racconti sulle apparizioni avessero la propria origine nell’Antico Testamento, che a stento menziona il concetto della resurrezione dai morti»154B. Witherington, Una reposicion de la resurreccion, in P. Copan, Un sepulcro vacio, Voz de Papel 2008, p. 294, anche il teologo (laico) Gerd Lüdemann riconosce che «l’analisi storica porta all’origine brusca della fede pasquale dei discepoli»155G. Lüdemann, Zwischen Karfreitag und Ostern in Osterglaube ohne Auferstehung?, Freiburg: Herder 1995, p. 27.

Qualche accenno anticotestamentario alla resurrezione è stato identificato da John Dominic Crossan, professore emerito di Studi religiosi alla DePaul University, nell’esaltazione ebraica: «All’interno della tradizione ebraica vi furono certamente persone sante che ascesero al cielo piuttosto che essere consegnate ad una tomba terrena, ad esempio Enoch tra i Patriarchi o Elia tra i profeti. L’equivalente greco-romano era l’apoteosi: le monete augustee mostravano lo spirito di Giulio Cesare ascendere come una stella verso l’alto, prendendo posto tra le divinità celesti. Quelli erano gli unici casi individuali, senza alcun rapporto con il destino di tutti gli altri. Se i discepoli avessero voluto dire questo di Gesù, avrebbero usato i termini propri di esaltazione, ascensione, apoteosi. Non di risurrezione»156J.D. Crossan, J.L. Reed, Excavating Jesus: Beneath the Stones, Behind the Texts, HarperCollins Publishers 2001, p. 259-260.

Citiamo inusualmente anche le parole di un importante matematico, John C. Lennox, professore emerito all’Università di Oxford. Dopo essersi a lungo documentato su questo, ha riferito che «i primi cristiani non erano un gruppo di creduloni, ignari delle leggi di natura e perciò pronti a credere a qualunque storia miracolosa. La prima opposizione al messaggio cristiano della risurrezione di Gesù Cristo provenne non dagli atei ma dai sommi sacerdoti sadducei dell’ebraismo». Questi devoti ebrei, ha proseguito Lennox, «quando per la prima volta udirono l’affermazione secondo cui Gesù era risorto non ci credettero. Avevano abbracciato una visione del mondo che negava la possibilità della risurrezione fisica di chiunque, tanto meno quella di Gesù Cristo»157J.C. Lennox, Fede e scienza, Arsenia 2009, p. 249.

Un’altra conferma arriva da Ulrich Wilckens, importante docente di Nuovo Testamento all’Università di Berlino: «Da nessuna parte i testi ebraici parlano della risurrezione di un individuo che avviene già prima della risurrezione finale dei giusti; da nessuna parte la partecipazione dei giusti alla salvezza dipende dalla loro appartenenza al Messia, che sarebbe resuscitato in anticipo “primizia di coloro che sono morti”(1Cor 15,20)»158citato in W.L Craig, Contemporary Scholarship and the Historical Evidence for the Resurrection of Jesus Christ, Truth 1985, Vol. 1, p. 89-95.

Per gli ebrei la resurrezione sarebbe stata spirituale e sarebbe avvenuta dopo la fine del mondo e per tutti i membri del popolo d’Israele. Dio avrebbe risuscitato i giusti dalla morte e li avrebbe ricevuti nel Suo Regno. Al contrario, la risurrezione di Gesù annunciata dai suoi seguaci ebrei è stata corporale, nella storia e ad una singola persona.

Uno degli studenti di Rudolf Bultmann, Heinrich Schlier, docente di Nuovo Testamento all’Università di Bonn, abbandonò le tesi scettiche del maestro per aderire convintamente alla divinità di Cristo. «Il racconto che fa il Nuovo Testamento della risurrezione», scrisse, «non ha alcun carattere mitologico, non può essere portato alcun valido parallelo tratto dalle religioni e dalla mitologia antica. Inoltre non viene in alcun modo presentata come un miracolo. E’ piuttosto […] descritta come un avvenimento reale sui generis di inusitata forza e portata»159H. Schlier, Breve rendiconto. Il racconto autobiografico della conversione al cattolicesimo di uno dei più grandi esegeti del XX secolo, 30 giorni 1999, p. 51, 52.

Qualcuno obietta che lo stesso Gesù di Nazareth fece risorgere dalla morte la figlia di Giairo (Mc 5,22-24), il figlio della vedova di Nain (Lc 7,11-15) e Lazzaro (Gv 11,1-44). Quindi non sarebbe stata una cosa sconosciuta. José Miguel Garcia, specialista del Nuovo Testamento, ha risposto che il racconto evangelico «esprime con chiarezza che si tratta di un ritorno alla vita temporale, quindi soggetta alla morte».

La stessa sorella di Lazzaro, Marta, infatti, rispose così quando Gesù le annunciò la resurrezione di suo fratello: «So che risusciterà nell’ultimo giorno» (Gv 11,24). Non aveva idea che il fratello stava per essere riportato in vita in quel momento. Quando Gesù annuncia ai suoi discepoli che sarebbe risorto dai morti, loro pensano che intenda alla fine del mondo (cfr. Mc 9,9-13). Questo è ciò che credevano gli ebrei.

Anche J.P. Meier, celebre biblista americano, ha sottolineato l’unicità del fenomeno: «La risurrezione specifica di Gesù è fondamentalmente diversa nel contenuto: non è pensata in termini di un “ritorno” alla vita terrena. In questo i vangeli concordano con Paolo: “Cristo, essendo stato risuscitato dai morti, non morrà mai più, la morte non ha più potere su di lui” (Rm 6, 9-10) […]. Inoltre, durante il suo ministero pubblico, Gesù stesso è stato l’agente che ha risuscitato alcuni dalla morte. Invece, il Nuovo Testamento attribuisce la risurrezione di Gesù all’azione di Dio Padre»160J.P. Meier, Un ebreo marginale, vol. 2, Queriniana 2003, p. 916. Ed anche la forma letteraria è diversa: «Sorprendentemente, non esiste in assoluto alcun racconto sulla risurrezione di Gesù, l’evento non è mai raccontato direttamente. In questo i vangeli canonici divergono marcatamente nella loro sobrietà dai tardivi vangeli apocrifi»161J.P. Meier, Un ebreo marginale, vol. 2, Queriniana 2003, p. 917.

Lo studioso italiano Mauro Pesce, antropologo ed ordinario di Storia del Cristianesimo all’Università di Bologna, ha inoltre osservato che «dal punto di vista storico, religioso o antropologico, è chiaro che il veggente “vede” solo ciò che gli consentono gli schemi culturali che possiede»162C. Augias, M. Pesce, Inchiesta su Gesù, Mondadori 2006, p. 58. Gli schemi culturali ebraici dei discepoli non poterono produrre ciò che annunciarono.

A distanza di un secolo dagli eventi, Tertulliano scrisse a proposito della resurrezione di Cristo: «Credo ciò, perché è un fatto assurdo». Egli impiegò una forma argomentativa classica dell’aristotelismo secondo la quale tanto più un evento è improbabile, quanto meno probabile è il fatto che qualcuno lo creda, senza l’intervento di una prova stringente.

Il filosofo della scienza David C. Lindberg, già presidente della History of Science Society, ha spiegato a tal proposito che «in altri termini, la resurrezione dei morti è un fatto così improbabile che gli apostoli non avrebbero prestato fede alla resurrezione di Cristo, se non si fossero trovati di fronte un’evidenza tanto incontestabile, che, nel caso in questione, l’improbabile doveva essere accaduto. Tale verità rende la Resurrezione di Cristo più probabile di qualche altro evento, la cui realtà sia stata accettata meramente sulla base di una generica plausibilità»163D.C. Lindberg, R.L. Numbers, Dio e natura. Saggi storici sul rapporto tra cristianesimo e scienza, La Nuova Italia 1994, p. 14.

In linea con questo, N.T. Wright, professore di Nuovo Testamento all’Università di St. Andrews e C.A. Evans, docente di Nuovo Testamento all’Acadia Divinity College, hanno spiegato:

«Dopo l’esecuzione di Gesù di Nazareth nessuno avrebbe mai affermato che egli fosse il Messia dopo due giorni, tre giorni, tre settimane o anche tre anni a meno che non accaduto qualcosa di straordinario: qualcosa capace di convincere del fatto che Dio lo avesse riscattato; qualcosa di più importante del semplice andare in cielo in qualche stato di esaltazione gloriosa. E’ questo che credevano succedesse ai martiri, e c’erano molte maniere diverse per parlarne. Avrebbero quindi quasi certamente detto che Gesù sarebbe risorto dai morti in futuro, ma mai che una tal cosa fosse già avvenuta»164C.A. Evans, N.T. Wright, Gli ultimi giorni di Gesù, San Paolo 2010, p. 102.

Val la pena citare integralmente anche le parole del filosofo Wiliiam Lane Craig:

«Tra i fatti riguardanti Gesù generalmente accettati dagli studiosi storici, c’è l’improvvisa e sincera persuasione dei descipoli che Gesù era risorto dai morti nonostante avessero ogni predisposizione contraria e che le credenze ebraiche sull’aldilà impedivano a chiunque di risorgere nella gloria e nell’immortalità prima della risurrezione generale dei morti alla fine del mondo. E né la storia della trasfigurazione né la storia biblica della strega di Endor sono racconti di resurrezione dai morti. Poiché questo è esattamente ciò che i primi discepoli giunsero a credere, sorge la domanda su cosa li abbia indotti a credere a qualcosa di così poco ebreo e altamente stravagante. Perché non raccontare che apparve loro in gloria, proprio come Elia e Mosè?»165W.L. Craig, Resurrections prior to the World’s End?, Reasonable Faith 12/02/2017.

I discepoli dopo la morte di Gesù si apprestavano ad attendere il giorno finale in cui tutti i giusti d’Israele sarebbero stati innalzati da Dio alla gloria. Nel frattempo avrebbero probabilmente conservato con cura la tomba del loro Maestro come un santuario, dove far risiedere i suoi resti mortali. Nessuno aveva idea o poteva lontanamente immaginare che egli sarebbe risorto corporalmente dopo tre giorni.

 

7.1 Obiezione: i vangeli copiarono dagli dei pagani di morte e rinascita.

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E’ nota l’attività dei cosiddetti miticisti, i sostenitori del mito di Cristo, nel citare presunti parallelismi tra Gesù ed innumerevoli divinità pagane, egizie, greche e romane.

Nessun miticista è uno storico di professione, si tratta prevalentemente di scrittori, blogger, spiritualisti, atei militanti e autodidatti. Una delle più note degli ultimi decenni è stata Dorothy Murdock (nota anche con lo pseudonimo di Acharya S). Molti dei loro libri dipendono dagli scritti di uno spiritista del XIX secolo di nome Gerald Massey. La lontananza dei miticsti dagli studiosi seri è simile a quella tra i creazionisti biblici e la comunità scientifica.

Le divinità di “morte e rinascita” del Vicino Oriente antico più citate dai miticisti sono Horus, Mitra, Dioniso, Apollonio di Tiana, Krishna e Choni. Tutte sarebbero nate il 25 dicembre in una grotta da una madre vergine, fecero miracoli, insegnarono pubblicamente, ebbero dodici apostoli, morirono crocifisse e risorsero dai morti. Ogni miticista sostiene il proprio parallelismo tra Gesù ed una particolare divinità, criticando il parallelismo di un altro miticista con un’altra divnità.

A breve dedicheremo un dossier per ogni divinità pagana usata dai miticisti come fonte di inspirazione per la storia di Gesù. In questa sede ci limitiamo a citare qualche studioso serio che si è occupato di analizzare questi fantomatici parallelismi.

Ad esempio, Tryggve Mettinger, docente di Bibbia ebraica presso l’Università di Lund (Svezia), al termine del suo monumentale studio comparativo sulle divinità e i miti precristiani, ha scritto:

«Gli dei di morte e rinascita erano strettamente legati al ciclo stagionale, la loro morte e il loro ritorno furono visti come riflessi nei cambiamenti della vita vegetale. La morte e la risurrezione di Gesù è invece un evento unico, non ripetuto e non correlato ai cambiamenti stagionali. La morte di Gesù è presentata nelle fonti come atto di espiazione per i peccati mentre non ci sono prove di questo per gli dei morenti e risorgenti. Non c’è, per quanto ne so, nessuna prova che la morte e la risurrezione di Gesù siano un costrutto mitologico, che attinge ai miti e ai riti degli dei morenti e risorgenti del mondo antico. La fede nella morte e risurrezione di Gesù conserva il suo carattere unico nella storia delle religioni. L’enigma rimane»166T.N.D. Mettinger, The Riddle of Resurrection. Dying and Rising Gods in the Ancient Near East, Wiksell International 2001, p. 220, 221.

Uno dei principali studiosi che si è occupato più recentemente dei miticisti è Bart D. Ehrman, studioso (agnostico) delle origini del Cristianesimo e presidente del dipartimento di Studi religiosi dell’Università del North Caroline. Dopo aver replicato ai vari parallelismi tra Gesù di Nazareth e le innumerevoli divinità pagane, ha concluso:

«Una delle tesi più ricorrenti nella letteratura miticista vuole che Gesù sia stato inventato dai primi cristiani, che erano profondamente influenzati dalla concezione predominante del dio di morte e rinascita assai diffusa nelle religioni pagane del mondo antico. Gesù sarebbe la versione ebraica. Vi sono seri dubbi che nel mondo pagano vi fossero realmente divinità di morte e rinascita e, in caso affermativo, che avessero qualcosa in comune con la morte e la rinascita di Gesù. L’opinione un tempo condivisa che gli dei di morte e rinascita fossero diffusi nell’antico mondo pagano è caduta in disgrazia tra gli studiosi […]. Una delle ragioni per cui gli studiosi non credono che Gesù sia stato plasmato con le caratteristiche di una di quelle divinità è anche l’assenza di prove a testimonianza del fatto che qualche suo seguace fosse al corrente della loro esistenza nel tempo e nel luogo in cui Gesù sarebbe stato inventato. La morte e la resurrezione di Gesù sono un evento unico, tra le antiche divinità del Vicino Oriente non si riscontra nulla di simile. Chiunque pensi che Gesù si stato plasmato prendendo a modello tali divinità deve portare qualche prova -di qualunque genere- che gli ebrei palestinesi furono influenzati. Le differenze tra Gesù e gli dei di morte e rinascita dimostrano che Gesù non fu plasmato con le loro caratteristiche, persino nel caso che ai suoi tempi ci fossero persone che parlavano di quelle divinità»167B.D. Ehrman, Did Jesus Exist?, HarperCollins Publishers 2012, p. 225-235.

 

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8. ATTESTAZIONE STORICA DELLE APPARIZIONI DI GESU’

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Il verdetto sostanzialmente unanime degli studiosi contemporanei delle origini cristiane, nonostante i vasti disaccordi in altre aree, è che risulta storicamente affidabile che i discepoli di Gesù furono assolutamente persuasi del fatto che Gesù fosse vivo, risorto dai morti ed apparso a loro (questo non significa automaticamente sostenere che realmente apparve a loro, non sarebbe infatti dimostrabile direttamente in quanto evento trascendente).

Ancora meglio, «tutti gli studiosi critici concordano sul fatto che queste convinzioni dei discepoli siano completamente storiche»168G. Habermas, Experiences of the Risen Jesus. The Foundational Historical Issue in the Early Proclamation of the Resurrection, Journal of Theology 2006, Vol. 45. p. 288-297, ha spiegato lo studioso americano Gary Habermas.

Una delle conclusioni più chiare in merito riteniamo sia quella di E.P. Sanders, celebre docente di Nuovo Testamento alla Duke University:

«Che i seguaci di Gesù (e poi lo stesso Paolo) abbiano avuto apparizioni del Risorto è, a mio giudizio, un dato di fatto. Quale sia stata la realtà che ha dato origine a tali esperienze non lo so. Non considero la frode deliberata una spiegazione utile. Molte delle persone che affermarono questo avrebbero passato il resto della loro vita a proclamare di aver visto il Signore risorto e molte di loro sarebbero morte a causa di questo. Inoltre, un inganno calcolato avrebbe dovuto produrre una grande unanimità. Invece, sembra che ci siano stati dei concorrenti: “L’ho visto per primo!”; “No! Io l’ho visto prima”. La tradizione di Paolo, secondo cui 500 persone hanno visto Gesù contemporaneamente, ha portato alcuni suggerire un’isteria di massa. Ma l’isteria di massa non spiega le altre tradizioni […]. Dopo la sua morte, i suoi seguaci hanno vissuto quella che hanno descritto come la “resurrezione”: l’aspetto di una persona viva ma trasformata dopo che era effettivamente morta. Lo credettero, lo vissero e morirono per questo»169E.P. Sanders, The Historical Figure of Jesus, Penguin Books, 1993, p. 279-280.

Anche l’agnostico Bart D. Ehrman, docente di Nuovo Testamento all’Università del North Carolina, ha ammesso:

«Perché alcuni discepoli affermarono di aver visto Gesù vivo dopo la sua crocifissione? Non dubito affatto che alcuni discepoli abbiano affermato questo. Non abbiamo nessuna delle loro testimonianze scritte, ma Paolo, scrivendo circa venticinque anni dopo, indica che questo è ciò che hanno affermato, e non credo che se lo stia inventando. E conosceva almeno un paio di loro, li incontrò solo tre anni dopo gli eventi (Gal. 1,18-19) […]. Così, per lo storico, il cristianesimo inizia dopo la morte di Gesù, non con la risurrezione stessa, ma con la fede nella risurrezione»170B.D. Ehrman, The New Testament: A Historical Introduction to the Early Christian Writings, Oxford University Press 2004, p. 276, 282.

In un’altra sua opera, sempre B.D. Ehrman (pur optando da agnostico per spiegazioni naturalistiche e non soprannaturali), ha riconosciuto: «Possiamo dire con assoluta certezza che alcuni dei suoi discepoli hanno insistito sul fatto che Gesù apparve loro molto presto, convincendoli che era stato risuscitato dai morti»171B.D. Ehrman, Jesus: Apocalyptic Prophet of the New Millennium, Oxford University Press 1999. p. 230. Ha quindi aggiunto: «Gli storici, ovviamente, non hanno alcuna difficoltà a parlare della fede nella risurrezione di Gesù, poiché questa è una questione di dominio pubblico»172B.D. Ehrman, Jesus: Apocalyptic Prophet of the New Millennium, Oxford University Press 1999. p. 231.

Infine, nel 2014, sempre B.D. Ehrman ha concluso che a livello personale crede che «furono le visioni, e nient’altro, a portare i primi discepoli a credere nella risurrezione»173B.D. Ehrman, How Jesus Became God: The Exaltation of a Jewish Preacher from Galilee, Harper One 2014, p. 183-184. In contemporanea al suo libro, un volume divulgativo scritto da alcuni suoi colleghi diretti174M.F. Bird, C.A. Evans, S. Gathercole, C.H. Hill, How God Bevened Jesus: The Real Origins of Belief in Jesus’ Divine Nature. A Response to Bart D. Ehrman, Zondervan Academic 2014, ha analizzato e replicato punto per punto alle sue conclusioni.

I resoconti delle apparizioni soddisfano alcuni dei criteri storici utilizzati dagli studiosi nell’analisi dei racconti, a partire dal “criterio della molteplice attestazione“: l’apparizione a Pietro è attestata indipendentemente da Paolo e Luca (1Cor 15,5; Lc. 24,34); quella ai dodici da Paolo, Luca e Giovanni (1Cor 15,5; Lc. 24,36-43; Gv. 20,19-20); l’apparizione alle discepole da Matteo e Giovanni (Mt. 28,9-10; Gv. 20,11-17); le apparizioni ai discepoli in Galilea da Marco, Matteo e Giovanni (Mc 16,7; Mt. 28,16-17; Gv. 21).

Del “criterio dell’imbarazzo” abbiamo già parlato osservando che le prime testimoni oculari furono le donne, la categoria di persone ritenuta meno credibile all’epoca.

Gli storici non possono concludere che l’origine di quelle attestazioni fu una manifestazione realmente soprannaturale di Gesù risorto, tuttavia la comunità accademica ritiene che storicamente qualcosa di importante, di improvviso e di totalmente inaspettato accadde realmente ai discepoli e li trasformò. Non ebbero dubbi sul fatto che avessero visto Gesù risorto, pur non potendo concepire una resurrezione corporale individuale nella storia (come abbiamo visto).

Come ha scritto Luke Johnson, importante studioso di Nuovo Testamento e Origini Cristiane presso la Candler School of Theology, «è necessaria una sorta di potente esperienza trasformativa per generare il tipo di movimento che fu il primo cristianesimo e quel tipo di letteratura che è il Nuovo Testamento»175L. Johnson, The Real Jesus, Harper San Francisco 1996, p. 136.

Allo stesso modo James Dunn, professore emerito di Studi sul Nuovo Testamento all’Università di Durham, ha scritto: «Oggi è quasi impossibile contestare che nelle radici storiche del cristianesimo risiedano alcune esperienze di visione dei primi cristiani, che essi intesero come apparizioni di Gesù, risuscitato da Dio dai morti»176citato in M.R. Licona, Paul Meets Muhammad: A Christian-muslim Debate on the Resurrection, Baker Pub Group 2006, p. 121.

Gary Habermas, presidente del dipartimento di Filosofia e Teologia della Liberty University, ha svolto un encomiabile lavoro raccogliendo oltre 2.000 contributi dei principali esegeti e storici del cristianesimo antico (credenti e non) sulle attestazioni delle apparizioni di Gesù177G. Habermas, Experiences of the Risen Jesus. The Foundational Historical Issue in the Early Proclamation of the Resurrection, Journal of Theology 2006, Vol. 45. p. 288-297.

Ne citiamo alcuni, i più significativi:

Reginald H. Fuller, professore emerito di Nuovo Testamento al Virginia Theological Seminary di Alexandria (Stati Uniti), si riferisce ad esempio alla fede dei discepoli nella risurrezione di Gesù come «uno dei fatti più indiscutibili della storia», convinto che i discepoli abbiano vissuto esperienze reali, caratterizzate come apparizioni o visioni di Gesù risorto, «indipendentemente che queste esperienze possano essere spiegate in modo naturale o soprannaturale»178R. Fuller, The Foundations of New Testament Christology, Scribner’s 1965, p. 142.

Nella sua importante opera, l’eminente teologo luterano Wolfhart Pannenberg ha esaminato i tentativi di fondare la cristologia del Nuovo Testamento nelle pretese di autorità pre-pasquali di Gesù, concludendo che l’unico fondamento della cristologia presentata dagli evangelisti è la risurrezione di Gesù. Essa dà anche un senso alla missione verso i Gentili come espressione dell’escatologia ebraica. Infine ha concluso che le attestazioni delle apparizioni di Gesù risorto e del sepolcro vuoto sorsero indipendentemente e si completano a vicenda, ritenendo la risurrezione «storicamente molto probabile, e […] da presupporre fino a quando non appariranno prove contrarie»179W. Pannenberg, Jesus. God and Man Priebe 1968, p. 105.

Dopo aver messo per iscritto l’antica formula pre-paolina (1Cor, 15,3-7), risalente al 32 d.C. circa, Paolo afferma che Gesù risorto apparve personalmente anche a lui (cfr. 1Cor. 9,1; 15:8; ripetuto anche in Gal. 1:16). Anche qui è ampio il consenso degli studiosi che l’ex persecutore dei cristiani ebbe realmente una visione (vera? Allucinogena?).

E’ stato riconosciuto perfino da Michael Martin, filosofo (ateo) della Boston University, quando scrive: «Abbiamo solo un resoconto contemporaneo di un testimone oculare di un’apparizione di Gesù dopo la risurrezione, vale a dire quella di Paolo»180M. Martin, The Case Against Christianity, Temple University 1991, p. 81.

Indipendentemente dalla natura di tali apparizioni (naturale, allucinogena, proiezioni soggettive o soprannaturale), il fatto che i discepoli riferiscano e fossero totalmente persuasi di aver visto il Gesù risorto «è qualcosa su cui sia il credente che il non credente possono essere d’accordo», ha scritto Reginald H. Fuller, professore emerito di Nuovo Testamento al Virginia Theological Seminary di Alexandria (Stati Uniti). «Lo storico più scettico può postulare una spiegazione diversa da quella data dagli stessi discepoli per rendere conto delle loro stesse esperienze e, naturalmente, sono state proposte sia opzioni naturali che soprannaturali»181R. Fuller, The Foundations of New Testament Christology, Scribner’s 1965, p. 142, 181.

La convinzione che Gesù sia stato visto vivo dopo la sua crocifissione si può ritenere storicamente accertata. Helmut Koester, docente di Nuovo Testamento e Cristianesimo primitivo all’Harvard Divinity School, ha scritto infatti che le apparizioni di Gesù «non possono essere messe in discussione in maniera convincente»182H. Koester, Introduction to the New Testament, Fortress 1982, Vol. 2, p. 84

Anche Traugott Holtz, studioso di Nuovo Testamento all’University di Halle-Wittenberg ha confermato a sua volta che «l’esperienza di risurrezione dei discepoli […] è in effetti un evento storico innegabile»183T. Holtz, Kenntnis von Jesus und Kenntnis Jesu: Eine Skizze zum Verhaltnis zwischen historisch-philologischer Erkenntnis und historisch-theologischem Verstandnis, Theologische Literaturzeitung 1979, Vol. 104, p. 10.

Perfino lo studioso scettico Gerd Ludemann, docente di Nuovo Testamento presso l’Università di Göttingen, ha riconosciuto che «può essere considerato storicamente certo che Pietro ed i discepoli ebbero esperienze dopo la morte di Gesù in cui Gesù è apparso loro come il Cristo risorto»184G. Ludemann, What Really Happened to Jesus: A Historical Approach to the Resurrection, Westminster John Knox 1995, p. 80.

Sull’impossibilità di liquidare le apparizioni come leggendarie, anche Norman Perrin, rinomato studioso di Nuovo Testamento all’Università di Chicago, ha scritto: «Più studiamo la tradizione per quanto riguarda le apparizioni, più solida inizia ad apparire la roccia su cui esse si basano»185citato in W.L Craig, Contemporary Scholarship and the Historical Evidence for the Resurrection of Jesus Christ, Truth 1985, Vol. 1, p. 89-95.

Interessante il commento della studiosa ebrea Paula Fredriksen, professore emerito di Scritture presso la Boston University

«So che nei loro termini quello che videro fu Gesù risuscitato. Questo è quello che dicono i discepoli. Tutte le prove storiche che abbiamo in seguito attestano la loro convinzione che questo è ciò che hanno visto. Non sto dicendo che abbiano davvero visto Gesù risorto. Non c’ero, non so cosa abbiano visto. Ma come storica so che devono aver visto qualcosa. La convinzione dei discepoli di aver visto il Cristo risorto […] ha fondamenta storiche, fatti conosciuti indubitalmente della prima comunità dopo la morte di Gesù»186P. Fredriksen, Jesus of Nazareth: King of the Jewish, Vintage 2000.

Nel 2018 un altro studioso (laico), Giorgio Jossa, professore di Storia del Cristianesimo e Storia della Chiesa Antica presso l’Università degli Studi di Napoli, ha preso posizione riguardo le apparizioni post-mortem di Gesù, spingendosi fino al limite concesso dall’oggettività storica: «Per il credente, Gesù è resuscitato. Lo storico non può affermarlo. Può dire: i discepoli hanno avuto un’esperienza straordinaria; si è verificato un evento che ha ridato senso alla loro missione»187G. Jossa, Voi chi dite che io sia? Storia di un profeta ebreo di nome Gesù, Paideia 2018.

Un ultimo argomento segnalato dagli studiosi a favore della credibilità dei racconti delle apparizioni è la conversione dell’apostolo Giacomo, descritto come scettico verso lo stesso Gesù prima che morisse crocifisso (cfr. Mc. 3,21 31-35; Mc. 6,3, Gv. 7,5). Non molto tempo dopo Giacomo è uno dei capi della chiesa di Gerusalemme e viene incontrato da Paolo di Tarso durante le sue due visite (Gal 1,18-19; Gal 2,1-10; At 15,13-21). Morì martire a causa della sua fede in Cristo, come riferisce lo storico ebreo Flavio Giuseppe.

Come abbiamo spiegato nel paragrafo dedicato ai cambiamenti improvvisi che si verificarono, lo scetticismo di Giacomo è storicamente fondato andando a soddisfare i criteri storici della molteplice attestazione, quello dell’imbarazzo ed il criterio della coerenza. Come spiegare questa conversione se non con quanto citato nell’antichissima dichiarazione pre-paolina: «…poi apparve a Giacomo» (1Cor 15,7)?

Dopo aver analizzato le principali pubblicazioni storiche su Gesù, Gary Habermas ha scritto:

«Nessuno studioso critico dubita che le convinzioni dei discepoli riguardo al Gesù risorto abbiano causato la loro trasformazione radicale, arrivando ad essere disposti a morire per esse. Il loro cambiamento repentino non evidenzia di per sé la realtà delle apparizioni del Gesù risorto, ma è una chiara indicazione che i discepoli ritennero realmente aver avuto esperienza del Gesù risorto»188G. Habermas, Experiences of the Risen Jesus. The Foundational Historical Issue in the Early Proclamation of the Resurrection, Journal of Theology 2006, Vol. 45. p. 288-297.

Le spiegazioni alternative devono rendere conto di questa convinzione radicata, improvvisa e ben storicamente attestata.

 

8.1 Obiezione: l’evangelista Marco non parla delle apparizioni di Gesù.

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Questa è obiezione è vera, il vangelo di Marco (il più antico) non parla delle apparizioni di Gesù dopo la morte ed il ritrovamento del sepolcro vuoto. Lo abbiamo sottolineato anche nel paragrafo dedicato alle contraddizioni tra gli evangelisti.

Gli studiosi sono infatti convinti che l’autentico testo di Marco si concluda con il versetto 16,9 ed i brani successivi, in cui si riferiscono le apparizioni di Gesù risorto, siano un’aggiunta posteriore (da ciò si evince che gli specialisti sanno perfettamente individuare e scindere il testo autentico dalle interpolazioni successive!).

Tuttavia, nessuno afferma che Marco non fosse a conoscenza delle apparizioni, piuttosto l’opinione comune è che l’evangelista non aveva intenzione di terminare così bruscamente il suo racconto ma non fu in grado di portarlo a compimento, forse a causa di una malattia, della prigionia o della morte. Un’altra ipotesi molto accreditata è che il finale di Marco sia andato perduto.

Nelle note della Bibbia di Gerusalemme, infatti, si legge:

«Tra il versetto 8 ed il versetto 9 c’è nel racconto una soluzione di continuità. D’altronde, si fatica ad accettare che il secondo Vangelo nella prima redazione si arrestasse bruscamente al versetto 8. Da qui la supposizione che la fine originaria sia scomparsa per una causa a noi sconosciuta e che la fine attuale sia stata redatta per colmare la lacuna. Essa si presenta come un riassunto sommario delle apparizioni del Cristo risorto, la cui redazione è sensibilmente diversa dallo stile abituale di Marco, concreto e pittoresco. Tuttavia, l’attuale fine è stata conosciuta fin dal II secolo da Taziano e da Ireneo e ha trovato posto nella stragrande maggioranza dei manoscritti greci e traduzioni dei primi secoli. Se non si può provare che ha avuto Marco per autore, resta sempre, secondo l’espressione di Henry Barclay Swete, un’autentica reliquia della prima comunità cristiana».

Nel suo noto studio, N. Clayton Croy, docente di Nuovo Testamento al Trinity Lutheran Seminary, ha addirittura sostenuto che anche l’inizio, oltre che la fine, sia andato perduto del Vangelo originale di Marco189N.C. Croy, The Mutilation of Mark’s Gospel, Abingdon 2003.

Michael R. Licona, docente di Teologia presso la Houston Baptist University, ha comunque osservato190M.R. Licona, in Ehrman–Licona Dialogue on the Historical Reliability of the New Testament, The Best Schools 2016 che nel testo sicuramente attribuibile all’evangelista Marco compare un accenno a quelle che saranno le successive apparizioni di Gesù, in particolare quando lo stesso Gesù risorto, nelle sembianze di un giovane, annuncia alle donne recatesi al sepolcro la resurrezione e le invita ad andare a riferirlo ai discepoli, perché «Là lo vedrete, come vi ha detto» (Mc. 16,7).

Anche se Marco non parla delle apparizioni, interrompendo bruscamente il racconto per qualche motivo, la fonte pre-paolina (1Cor 15,3-7) a lui antecedente già le riferisce a solo 2 anni di distanza dagli eventi.

Per questo lo studioso statunitense Michael R. Licona ha concluso:

«Le tradizioni sulle apparizioni compaiono molto presto nelle lettere di Paolo, e possono essere ricondotte ai discepoli i Gesù con un buon grado di certezza. Paolo probabilmente scrisse prima di Marco e se gli Atti degli Apostoli sono affidabili (cfr. capitoli 12 e 15)», e la maggior parte degli studiosi li considera affidabili191M.R. Licona, What are the Primary Sources for Jesus’ Resurrection?, HBU 03/06/2016, «Marco conosceva Paolo e aveva viaggiato con lui durante uno dei suoi viaggi missionari. E’ molto probabile quindi che avesse abbastanza familiarità con le tradizioni che Paolo menziona. Allora, perché non Marco non ne parla? E’ difficile dare una risposta, anche se ho il sospetto che la fine del suo vangelo sia andata persa. Non lo possiamo sapere. Ma affermare che Marco non fosse a conoscenza delle apparizioni è del tutto speculativo e, a mio parere, un’idea sbagliata»192M.R. Licona, in Ehrman–Licona Dialogue on the Historical Reliability of the New Testament, The Best Schools 2016.

 

8.2 Obiezione: i discepoli ebbero delle allucinazioni.

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Se gli storici contemporanei ritengono storicamente affidabili i racconti sulle apparizioni di Gesù, quindi che il gruppo dei seguaci di Gesù realmente ne proclamò la resurrezione a partire dal 30 d.C., quale fu la natura di queste apparizioni?

Molti studiosi dicono: “Si, è vero che i racconti dei discepoli sulla apparizioni di Gesù sono autenticamente storici, ma questo non significa che ebbero realmente delle visioni soprannaturali”, nonostante essi furono convinti del contrario. Le ipotesi degli studiosi scettici, «i cui tentativi raggiunsero l’apice nel pensiero del XIX secolo»193G. Habermas, Experiences of the Risen Jesus. The Foundational Historical Issue in the Early Proclamation of the Resurrection, Journal of Theology 2006, Vol. 45. p. 288-297 vertono su una serie di teorie naturalistiche.

Prima accettano l’indubitabile storicità dei racconti delle apparizioni di Gesù e poi virano in una direzione naturale per spiegarne la natura, in alternativa alla resurrezione194H.C. Kee, What Can We Know about Jesus?, Cambridge University Press 1990, p. 1-2.

L’ipotesi naturale più citata è quella delle allucinazioni (singole o di gruppo) di cui sarebbero stati vittime i discepoli, una tesi popolare nel XIX secolo ma che si è progressivamente spenta nella prima metà del XX secolo. Oggi è un’opzione minoritaria in ambito accademico.

I più noti studiosi contemporanei a sostenere apertamente la strada naturalistica sono Gerd Ludemann195G, Ludemann, The Resurrection of Jesus, Fortress 1994, Michael Goulder196M. Goulder, The Baseless Fabric of a Vision, in G. D’Costa, Resurrection Reconsidered, Oneworld 1996, p. 48 e Jack Kent197J. Kent, The Psychological Origins of the Resurrection Myth, Open Gate Press 1999. Più agnosticamente B.D. Ehrman non ha preso una posizione netta, sostenendo genericamente l’improbabilità dei miracoli198B.D. Ehrman, in Ehrman–Licona Dialogue on the Historical Reliability of the New Testament, The Best Schools 2016.

Il teologo non credente Gerd Ludemann, pur non dubitando della storicità dei racconti delle apparizioni, ritiene che tutto sarebbe iniziato dall’apostolo Pietro che, consumato dalla colpa del rinnegamento di Gesù, avrebbe trovato sollievo psicologico nel proiettare una visione di Gesù credendolo risorto dai morti ed al quale avrebbe chiesto perdono199G. Ludemann, Die Auferstehung Jesu, in A. Bommarius, Fand die Auferstehung wirklich statt?, Parega Verlag 1995, p. 25.

L’esperienza di Pietro avrebbe poi contagiato tutti gli altri discepoli i quali, pur non condividendo il suo trauma, ebbero a loro volta allucinazioni del Signore risorto. Solo quando le autorità ebraiche si opposero chiedendo dove fosse il corpo di Gesù «si sarebbe immediatamente riferito che le donne avevano trovato il sepolcro vuoto ed in seguito che Gesù era apparso anche a loro»200G. Ludemann, Die Auferstehung Jesu, in A. Bommarius, Fand die Auferstehung wirklich statt?, Parega Verlag 1995, p. 174, 175.

Nel frattempo, anche Paolo di Tarso avrebbe lottato interiormente con il rimorso del perseguitare i cristiani, che generò in lui una segreta attrazione per il messaggio cristiano. Secondo Lüdemann, «se si fosse stati in grado di visitare Paolo prima della sua apparizione vicino a Damasco, l’analista avrebbe probabilmente rilevato una forte inclinazione a Cristo nel suo subconscio; infatti, l’assunto che fosse inconsciamente cristiano non è così inverosimile»201G. Ludemann, Die Auferstehung Jesu, in A. Bommarius, Fand die Auferstehung wirklich statt?, Parega Verlag 1995, p. 26.

Sulla strada verso Damasco la lotta repressa sarebbe così esplosa in un’allucinazione di Gesù, portandolo alla conversione di quella fede che un tempo perseguitava. «Il complesso di colpa sorto con la persecuzione è stato risolto attraverso la certezza di essere in Cristo»202G. Ludemann, Die Auferstehung Jesu, in A. Bommarius, Fand die Auferstehung wirklich statt?, Parega Verlag 1995, p. 26, 27.

Occorre sottolineare il coraggio e la determinazione di Gerd Ludemann nel sostenere orgogliosamente, in solitudine, tesi di questo tipo. Questa ricostruzione era già in voga negli anni ’20 con Emmanuel Hirsch, Klaus Berger ha infatti commentato l’opera di Lüdemann sostenendo che contiene quasi esclusivamente antiche teorie riesumate e riscaldate, le stesse che dominarono la scuola di Bultmann per oltre 50 anni203K. Berger, Ostern fällt nicht aus! Zum Streit um das ‘kritischste Buch über die Auferstehung’, Idea Spektrum 1994, p. 21.

Analizzando questa obiezione, si osserva che non soddisfa i criteri usati dagli storici per valutare la credibilità di un’ipotesi. Non ha un sufficiente criterio esplicativo, in quanto obbliga a moltiplicare la formulazione di altre ipotesi, cercando un collegamento acritico tra esse, per giustificare l’assunto iniziale dell’allucinazione di Pietro. Una teoria è tanto più artificiosa in proporzione al numero di ipotesi aggiuntive che richiede di adottare. Inoltre non offre alcuna spiegazione per il ritrovamento del sepolcro vuoto.

La tesi non ha nemmeno potere esplicativo: sceglie arbitrariamente che Pietro sia stato il primo a vedere l’apparizione di Gesù (mentre per le fonti cristiane la cronologia inizia dalle donne). Assume che l’allucinazione di Pietro (e quella di Paolo) derivi da un complesso di colpa, ma non spiega come poterono “contagiarsi a catena” tutti gli altri discepoli (singoli, gruppi, in vari luoghi e circostanze diverse), privi di complessi di colpa. Tra essi anche lo scettico Giacomo, del quale ritiene comunque «certo»204G. Ludemann, The Resurrection of Jesus, Fortress Press 1994, p. 109 che sperimentò un’apparizione.

L’ipotesi non soddisfa nemmeno il criterio della plausibilità. Pur in assenza di dati sufficienti, Lüdemann si improvvisa psicoanalista (ma gli storici rifiutano la scrittura di psico-biografie!) e teorizza il presunto complesso di colpa di Pietro e Paolo. Se Paolo concede solo pochissimi passaggi autobiografici nelle sue lettere, le informazioni sulla psiche di Pietro sono, per ammissione dello stesso Lüdemann, «incomparabilmente peggiori».

Si tratta quindi di congetture fantasiose sulla loro psiche, criticate anche dallo storico del cristianesimo primitivo, Martin Hengel: «Lüdemann […] non riconosce i limiti dello storico»205M. Hengel, A.M. Schwemer, Paul between Damascus and Antioch, John Knox Press 1997, p. 342.

Un altro limite della tesi del complesso di colpa è che, stando ai testi, Pietro non sentiva di aver deluso il Signore, ma di essere stato deluso da lui! Ludemann fatica ad entrare nella mentalità di un ebreo del I secolo che ha visto fallire la pretesa messianica del suo leader, morto ignobilmente sulla croce e quindi maledetto da Dio.

Come ha scritto Hans Grass, teologo dell’Università di Marburg, «una delle maggiori debolezze dell’ipotesi della visione soggettiva delle allucinazioni è che non riesce a prendere sul serio quale catastrofe fu la crocifissione per la fede dei discepoli in Gesù»206H. Grasse, Ostergeschehen und Osterberichte, Vandenhoeck & Ruprecht 1970, pp. 233-243.

Pietro non lottava con la propria colpa ma con le aspettative messianiche deluse e, come già detto, non esisteva in lui in quanto ebreo alcuna speranza di una resurrezione corporale dopo la morte, né rispetto al Messia né rispetto ad un singolo individuo.

Rispetto a quanto scrive sulla “devozione cristiana inconscia” di Paolo di Tarso (classico accenno freudiano), Ludemann la percepisce in Romani 7,7-25. Tale interpretazione è stata sconfessata da tutti gli interpreti e commentatori paolini contemporanei e lo stesso teologo tedesco ha dovuto ammettere che la sua tesi «è respinta quasi ovunque»207G. Ludemann, The Resurrection of Jesus, Fortress Press 1994, p. 80. Infine, trascura radicalmente la testimonianza dello stesso Paolo quando riferisce di non aver avuto alcun rimorso quand’era un ebreo castigatore dei cristiani («per me era un guadagno», Fil 3:4-14).

Christopher Bryan, docente di Nuovo Testamento alla University of the South di Sewanee, ha scritto:

«Anche ammettendo che le visioni descritte da Lüdemann fossero comuni nell’antichità (e in un certo senso, più furono comuni, più forte diventa questa obiezione), né allora né nel presente sono normalmente considerate prove di risurrezione. Al contrario, sono considerate nel peggiore dei casi delle allucinazioni e nel migliore autentiche comunicazioni di conforto con i defunti dall’oltretomba. Ma in nessun caso sono e furono considerate dichiarazioni che il defunto è risorto dai morti»208C. Bryan, The Resurrection of the Messiah, Oxford University Press 2011, p. 163-164.

Anche Raymond Edward Brown, professore emerito presso l’Union Theological Seminary di New York, si riferisce a queste ipotesi come «accuse gratuite», sottolineandone la superficialità209R.E. Brown, An Introduction to New Testament Christology, Paulist, 1994, p. 163, mentre James Dunn, professore emerito di studi sul Nuovo Testamento all’Università di Durham, sostiene che queste «interpretazioni alternative non forniscono una spiegazione più soddisfacente»210J.D.G. Dunn, The Evidence for Jesus, Westminster 1985, p. 76.

Un altro argomento utile a respingere l’obiezione delle allucinazioni è far ricorso a quanto dice la letteratura scientifica in proposito. Le allucinazioni sono associate a malattie mentali o droghe, ma nel caso dei discepoli sembra mancare la precedente predisposizione psicobiologica. Inoltre, essendo proiezioni della propria mente non possono contenere nulla che non si conosca già, in qualche modo. E, come già detto, la risurrezione di Gesù differiva totalmente dalla concezione giudaica dei discepoli.

Considerando il loro background giudaico, avrebbero potuto proiettare psicologicamente un Gesù glorificato “nel seno di Abramo”, nel luogo in cui secondo l’Antico Testamento avrebbero riposato i giusti d’Israele fino alla loro risurrezione escatologica finale. Ma nessuno di loro riferì visioni del genere. L’inferenza “è risorto dai morti”, così naturale alle nostre orecchie, sarebbe stata del tutto innaturale per un ebreo del I secolo. Figuriamoci se avrebbe potuto essere oggetto di un’allucinazione. «Non è necessario dimostrare che questa fede e questa mentalità non erano la predisposizione adatta per la proclamazione fatta dagli apostoli»211J.M. Garcia, Il protagonista della storia. Nascita e natura del cristianesimo, Rizzoli 2008, p. 292, ha spiegato José Miguel Garcia.

Anche il biblista Ben Witherington III è intervenuto sull’obiezione delle allucinazioni:

«Le teorie secondo le quali gli apostoli ebbero delle allucinazioni o delle visioni presentano alcuni aspetti equivoci. In primo luogo, in tutte le narrazioni i discepoli dubitarono, abbandonarono e alla fine rinnegarono Gesù, ad eccezione probabilmente di alcune sue seguaci. E’ difficile credere che si trovassero in condizioni psicologiche tali da creare fantasie su un Gesù risorto. Le loro speranze erano svanite in meno di tre giorni a causa della sua crocifissione. In secondo luogo, non è necessario alludere ad un’allucinazione di massa poiché tutte le tradizioni in nostro possesso indicano che Gesù apparve in tempi e luoghi diversi, per ultimo San Paolo. Non conosco nessun elemento valido che possa far pensare a un’allucinazione contagiosa»212B. Witherington, Una reposicion de la resurreccion, in P. Copan, Un sepulcro vacio, Voz de Papel 2008, p. 181.

Nello studio realizzato da J.W. Bergeron e da G.R. Habermas, coadiuvati dagli psicologi e psichiatri C.J. Dietzen, S.L. Marlow e G.A. Sibcy, è stata direttamente confutata “l’ipotesi psichiatrica” come spiegazione delle apparizioni di Gesù.

Studiando i tratti comportamentali emergenti dai testi evangelici, gli autori hanno smentito l’ipotesi di allucinazioni, del disturbo di conversione e delle visioni relative al lutto. Queste tesi, hanno scritto i ricercatori, sono sostenute «principalmente da persone che non hanno competenze in ambito medico. Di conseguenza, l’analisi di possibili cause psicologiche per questi sintomi allucinatori è generalmente viziata e spesso assente. Da una ricerca completa su Pubmed della letteratura medica dal 1918 al 2012 per quanto questo argomento, non sono presenti articoli scientifici sulle ipotesi che avvalorerebbero i sintomi allucinatori per quanto riguarda le apparizioni».

La letteratura scientifica «non è in grado di spiegare gli incontri simultanei di gruppo dei discepoli con il risorto Gesù», ha scritto Gary A. Sibcy, psichiatra del Piedmont Psychiatric Center. «Ho esaminato la letteratura professionale (articoli di riviste e libri peer-reviewed) scritta da psicologi, psichiatri e altri professionisti del settore sanitario nel corso degli ultimi due decenni e non ho trovato un singolo caso documentato di un’allucinazione di gruppo». Infine, l’indagine ha respinto anche l’eziologia del dolore e del lutto, impossibili da conciliare, tra l’altro, con «il lancio di una diffusa campagna di proclamazione pubblica della resurrezione di Gesù sulla base di tali illusioni da lutto».

Gli autori dello studio hanno quindi concluso:

«I discepoli erano certi che Gesù fosse risorto dopo la sua morte per crocifissione. Le loro esperienze erano personali e hanno avuto un chiaro effetto sulla loro psiche, tuttavia queste esperienze del Gesù risorto non possono essere ridotte a puri fenomeni psicologici. Le ipotesi allucinatorie per il racconto biblico della resurrezione di Gesù sono incoerenti rispetto alle variegate patologie neuro-psichiatriche alla base dei sintomi allucinatori. Inoltre, è incompatibile con l’attuale comprensione psichiatrica che allucinazioni personali possano essere sperimentate in modo identico all’interno di un gruppo. Le ipotesi psichiatriche non offrono spiegazioni accettabili per i singoli o per i simultanei incontri di gruppo dei discepoli con il Gesù risorto. Dobbiamo concludere, quindi, che tentare di spiegare le relazioni dei discepoli con il Gesù risorto è un’azione clinicamente non plausibile e storicamente poco convincente».

La tipologia delle apparizioni è stata così molteplice, inoltre, che non può essere spiegata da un’unica causa naturale. «La tradizione di Paolo, secondo cui 500 persone hanno visto Gesù contemporaneamente, ha portato alcuni suggerire un’isteria di massa», ha commentato infatti E.P. Sanders, celebre docente di Nuovo Testamento alla Duke University. «Ma l’isteria di massa non spiega le altre tradizioni»213E.P. Sanders, The Historical Figure of Jesus, Penguin Books, 1993, p. 279-280.

Lo studioso e rabbino ebreo Pinchas Lipide ha dubitato fortemente delle ipotesi naturali, scrivendo: «Se quella banda spaventata di apostoli poteva improvvisamente cambiare da un giorno all’altro in un’impresa missionaria piena di baldanza… allora nessuna visione o allucinazione è sufficiente per spiegare una simile trasformazione rivoluzionaria»214P. Lapide, The Resurrection of Jesus: A Jewish Perspective, Fortress Press 1988, p. 125.

Anche N.T. Wright, professore di Nuovo Testamento all’Università di St. Andrews e C.A. Evans, docente di Nuovo Testamento all’Acadia Divinity College, hanno riflettuto su questa obiezione:

«Supponiamo, per ipotesi, che i discepoli abbiano visto -o pensino di aver visto- qualcuno che hanno scambiato per Gesù. La cosa in sé non avrebbe originato i racconti che oggi possediamo: nel mondo antico tutti davano per scontato che si potessero avere strane esperienze di incontro con i morti; ne sapevano almeno quanto noi in merito a visioni, fantasmi e sogni; sapevano inoltre che quando si piange una persona morta di recente si può, a volte, arrivare rapidamente a scorgere l’apparizione di una figura simile alla persona estinta. Non si tratta per nulla di una scoperta moderna: la letteratura antica ne è piena. Esisteva un linguaggio specifico per questa categoria di fenomeni, ed esso non menzionava la “resurrezione”: descriveva piuttosto queste situazioni come un tipo di esperienza angelica (cfr. At 12). Senza una tomba vuota la gente sarebbe stata pronta a dire che si trattasse del suo “angelo”. E invece non lo fece: disse anzi che egli sia risorto dai morti -non è più morto, ma vivo»215C.A. Evans, N.T. Wright, Gli ultimi giorni di Gesù, San Paolo 2010, p. 109, 110.

 

8.3 Obiezione: fu il fervore religioso dei discepoli a produrre le visioni.

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Il lavoro maggiore di replica alle obiezioni naturali fornite dagli studiosi scettici del XIX secolo è stato svolto da altri studiosi scettici, in quanto ciascun sostenitore delle teorie naturalistiche criticò le tesi “alternative” altrui.

«Vi è una spiegazione naturalistica diversa per ogni scettico che cerca di spiegare le origini del cristianesimo»216D.B. Wallace, Fact Checking Dan Barker: From our Recent Debate on June 6, 2015, www.danielbwallace.com, 01/08/2015, ha commentato ironico D.B. Wallace, docente ordinario al Dallas Theological Seminary.

Diversi studiosi scettici rifiutano infatti la spiegazione della risurrezione di Cristo ma anche la tesi allucinatoria affermando che le apparizioni di Gesù risorto sarebbero piuttosto proiezioni soggettive del subconscio, scaturite dalla fede e dal desiderio dei discepoli irriducibili ad accettare di credere che tutto fosse finito con la morte del loro Maestro.

E’ la famosa testi sostenuta dallo storico francese Charles Guignebert217G. Guignebert, Jésus, Paris 1933 e, prima di lui, da Ernest Renan218E. Renan, Vita di Gesù, Feltrinelli 1989 a metà dell’XVIII secolo, convinto dell’autosuggestione dei discepoli provocata dall’affetto e dalla mitizzazione. E’ la fede che ha originato le apparizioni o sono le apparizioni che hanno fatto scaturire la fede dei dicepoli nel Cristo?

Anche in questo caso sono pochi i veri specialisti delle studio delle origini cristiane a sostenere ipotesi simili, d’altra parte le fonti primarie cristiane mostrano i discepoli, subito dopo la morte di Gesù, esattamente all’opposto di persone convinte nella sua vittoria sulla morte.

José Miguel Garcia, docente di Nuovo Testamento all’Università Complutense di Madrid, ha scritto: «I racconti evangelici descrivono i discepoli in preda allo sconforto e all’avvilimento per la condanna e la morte di Gesù; pieni di timore, si rinchiudono nella sala superiore dove celebrarono l’ultima cena. Sono le apparizioni di Gesù che hanno fatto nascere la fede nei suoi seguaci»219J.M. Garcia, Il protagonista della storia. Nascita e natura del cristianesimo, Rizzoli 2008, p. 291.

Anche l’eminente biblista tedesco Gerhard Lohfink, professore di Nuovo Testamento all’Università di Tubinga, ha osservato:

«Tutte queste ricostruzioni coincidono nell’affermare che nelle anime dei discepoli zampilla la fede, e la fede produce le visioni. Ma, invece, il Nuovo Testamento dice proprio il contrario: soltanto le apparizioni del Resuscitato fecero nascere la fede nella resurrezione. E’ inconcepibile che uno storico serio possa travisare un’affermazione così chiara delle fonti -soprattutto della testimonianza personale di san Paolo- per leggervi esattamente l’opposto»220G. Lohfink, Die Auferstehung Jesu und die historische Kritik, BibLeb 1968, p. 49.

Inoltre, come spiegare tramite la proiezione di fede la conversione e l’apparizione avuta da Paolo di Tarso, noto persecutore della prima comunità cristiana? Quale predisposizione alle visioni “generate dalla fede”? Formatosi alla scuola del rabbino Gamaliele, detestava Gesù ed i cristiani in quanto bestemmiatori pubblici eppure si convertì inspiegabilmente ed improvvisamente smise di combatterli, sacrificò tutto, sopportò le persecuzioni, predicò instancabilmente il Vangelo di città dopo città fino a Roma, quando venne imprigionato e morì come martire.

L’opinionista televisivo Corrado Augias, citando il pensiero del teologo viennese Adolf Holl, è arrivato addirittura a sostenere che l’«afflato religioso nella sua forma più estrema e meno istituzionale», si concentrerebbe in visioni molto vivide e collettive. Così, i discepoli si sarebbero convinti ed esaltati «gli uni con gli altri, in qualche caso aiutati da erbe o da fumi, e arrivano a materializzare una figura, umana o soprannaturale, riuscendo effettivamente a vederla lì fra loro. Potrebbe essere una spiegazione»221C. Augias, M. Pesce, Inchiesta su Gesù, Mondadori 2006, p. 57.

Il livello argomentativo si abbassa notevolmente, sottolineiamo solo che non c’è alcuna prova in letteratura scientifica che “l’afflato religioso” produrrebbe visioni soprannaturali, sia perché -ancora una volta- esse furono rivendicate da persone scettiche sulla divinità di Gesù (Giacomo), antagonisti ai cristiani (Paolo) ed in generale ad ebrei devoti per nulla predisposti nel vedere Gesù risorto in quel modo a causa del loro background giudaico (tutti i discepoli).

Lo studioso italiano Mauro Pesce, antropologo ed ordinario di Storia del Cristianesimo all’Università di Bologna, solitamente sostenitore di tesi controverse, in questo caso si è limitato ad ammettere: «Si è ipotizzato che l’apparizione alla Maddalena possa essersi verificata come esito di una crisi o di un dolore intollerabile. Non ci sono elementi per ipotizzarlo»222C. Augias, M. Pesce, Inchiesta su Gesù, Mondadori 2006, p. 58. E ancora: «Dal punto di vista storico, religioso o antropologico, è chiaro che il veggente “vede” solo ciò che gli consentono gli schemi culturali che possiede»223C. Augias, M. Pesce, Inchiesta su Gesù, Mondadori 2006, p. 58. E’ effettivamente corretto, gli schemi culturali giudaici dei discepoli non poterono produrre le visioni di Gesù, inconcepibilmente (per loro e per tutti i loro contemporanei) risorto.

In un’intervista del 2020 lo studioso Gerhard Lohfink, docente all’Università di Tubinga, replicando all’obiezione delle visioni soggettive, ha risposto accettando fino in fondo la provocazione:

«Si sostengono elementi psicogeni nelle apparizioni pasquali? In altre parole, si ritiene che nell’anima, nel profondo dell’anima dei discepoli, siano sorte immagini e parole che hanno mostrato loro Gesù come il Risorto. Potrei non escluderlo affatto! I teologi dicono che quando Dio agisce lo sempre per “cause secondarie”, cioè attraverso la creazione, le forze e le strutture del mondo. Si potrebbe allora presumere che abbia rivelato il Gesù risorto attraverso i poteri interiori dell’anima dei testimoni pasquali, senza violare le leggi della creazione. Non ho alcun problema a considerare i processi interiori dell’anima nelle esperienze pasquali dei discepoli. Ciò che è decisivo è che Dio stesso agisce attraverso questi processi nell’anima e riveli il risorto».

Due altre autorità internazionali sulle origini del cristianesimo, N.T. Wright, professore di Nuovo Testamento all’Università di St. Andrews e C.A. Evans, docente di Nuovo Testamento all’Acadia Divinity College, hanno concluso:

«I discepoli sarebbero stati così disturbati dalla catastrofica sconfitta e dalla morte di Gesù che finirono per anelare alla resurrezione come ad un modo per fronteggiare la loro amarezza. L’ipotesi non è per nulla plausibile come racconto storico di qualcosa che accadde nel I secolo. Siamo a conoscenza di svariati altri movimenti il cui il leader -colui sul quale tutti avevano riposto le loro speranze- era stato ucciso: in nessuno caso tali movimenti si trovarono a soffrire di quella benedetta malattia del XX secolo chiamata “dissonanza cognitiva”, per la quale essi sarebbero stati indotti a proclamare storie su qualcosa di glorioso al solo scopo di fare i conti con la propria afflizione. Non è così che si fa la storia»224C.A. Evans, N.T. Wright, Gli ultimi giorni di Gesù, San Paolo 2010, p. 111.

I due specialisti si riferiscono ai teologi liberali come Rudolf Bultmann e Edward Schillebeeckx, per i quali le menti dei discepoli davanti al sepolcro erano così piene di luce che non ebbe importanza se ci fosse stato un corpo o meno. «In quel momento Schillebeeckx smise di essere uno storico del I secolo e divenne uno scrittore fantasy del XX secolo», commentano C.A Evans e N.T. Wright. «La gente del I secolo sapeva un bel po’ di cose su menti riempite di luce, e così via. Aveva un linguaggio specifico per parlarne. Ma tutto questo non ha niente a che fare con il dire che qualcuno sia risorto dai morti»225C.A. Evans, N.T. Wright, Gli ultimi giorni di Gesù, San Paolo 2010, p. 112.

Anche lo studioso (laico) John Dominic Crossan, professore emerito di Studi religiosi alla DePaul University e già presidente della Society of Biblical Literature, ha spiegato che anche ammettendo l’ipotesi di una visione soggettiva essa sarebbe comunque fortemente diversa dal concetto di resurrezione come la affermarono fin da subito i primi cristiani:

«La risurrezione non è la stessa cosa dell’apparizione. La domanda non è se capitino apparizioni o visioni, perché questo accadeva normalmente nel mondo antico; per esempio Ettore, appare da morto ad Anchise alla fine della guerra di Troia ed all’inizio dell’Eneide di Virgilio. Ed anche nel mondo moderno accade: il Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders-IV non le ritiene dei disturbi mentali ma caratteristiche comuni del lutto. Ciò potrebbe accadere dopo la morte o la scomparsa improvvisa, tragica o terribile di una persona amata. Quindi, anche se nessun testo cristiano avesse menzionato apparizioni o visioni di Gesù dopo la sua crocifissione, avremmo potuto tranquillamente ipotizzarne il verificarsi. Ma, questo è il vero punto, l’apparizione non è la stessa cosa della risurrezione e nemmeno qualcosa di lontanamente simile»226J.D. Crossan, J.L. Reed, Excavating Jesus: Beneath the Stones, Behind the Texts, HarperCollins Publishers 2001, p. 259-260.

Stephen T. Davis, professore emerito di Filosofia al Claremont McKenna College, rispondendo alle tesi naturalistiche avanzate dal filosofo (ateo) Michael Martin, ha concluso che «tutte le ipotesi alternative che conosco sono storicamente deboli; alcune sono così deboli che crollano sotto il loro stesso peso una volta esplicitate […]. Le teorie alternative che sono state proposte non sono solo più deboli, ma molto più deboli nello spiegare le prove storiche disponibili»227S.T. Davis, Is Belief in the Resurrection Rational? A Response to Michael Martin, Philo 1999, Vol. 2, p. 57-58.

Sostenere con convinzione la tesi naturalistica, al contrario delle aspettative, si è rivelato molto più difficile del previsto e questo spiega anche il motivo per cui «la stragrande maggioranza degli studiosi critici rifiuta questa opzione»228G. Habermas, Experiences of the Risen Jesus. The Foundational Historical Issue in the Early Proclamation of the Resurrection, Journal of Theology 2006, Vol. 45. p. 288-297. Non pochi studiosi hanno concluso che ogni opzione naturalistica proposta genera più problemi di quanti ne voglia risolvere.

Così, il teologo Hans Küng, professore emerito all’Università di Tubinga, ha concluso: «Non fu la fede dei discepoli a risuscitare Gesù, ma fu il resuscitato a condurli alla fede»229H. Küng, Essere cristiani, Rizzoli 2012, p. 421. John A.T. Robinson, decano emerito del Trinity College dell’Università di Cambridge, ha scritto invece: «E’ davvero molto difficile ignorare le apparizioni di Gesù e trovare comunque una spiegazione credibile»230J.A.T. Robinson, Can We Trust the New Testament?, Eerdmans 1977, p. 124.

 

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9. INSPIEGABILI CAMBIAMENTI DOPO LA MORTE DI GESU’

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Un ulteriore argomento che induce a ritenere l’evento della resurrezione il più plausibile è l’altrimenti inspiegabilità degli improvvisi e radicali cambiamenti che si verificarono nel comportamento dei discepoli che seguirono Gesù fino all’arresto avvenuto nel giardino del Getsemani.

Le fonti primarie descrivono i seguaci di Gesù come disillusi, impauriti di essere a loro volta catturati e giustiziati, per questo si dileguano velocemente e nemmeno si presentano ai piedi della croce (a parte «il discepolo più amato», Gv 19,26 che, secondo la tradizione fu Giovanni). Addirittura l’apostolo più carismatico, Cefa (detto Pietro), rinnegò Gesù tre volte, dicendo di non averlo mai conosciuto.

E’ una descrizione che gli storici valutano come certamente storica in quanto imbarazzante per gli stessi discepoli essere così rappresentati. Se non fosse stato vero, non sarebbe mai stato scritto.

Soltanto pochi giorno dopo la sepoltura di Gesù, tuttavia, questi devoti ebrei mettono improvvisamente in discussione le secolari usanze ebraiche, sfidano il giudizio del Sinedrio (la voce di Dio, per gli ebrei), cambiano la dottrina ebraica fino a prima seguita, osano contraddire le leggi di Mosé sul giorno sacro (da sabato a domenica), il tutto pubblicamente, apertamente.

La resurrezione di Gesù ha cambiato il corso della storia, dicono, e lo ripetono senza ottenere nulla in cambio, subendo per decenni persecuzioni, lapidazioni, incarcerazioni ed infine il martirio. Come si può altrimenti spiegare una tale trasformazione?

 

9.1 Sfida al Sinedrio (cioè al giudizio di Dio).

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«Per ogni fedele ebreo», ha ricordato José Miguel Garcia, docente di Nuovo Testamento all’Università Complutense di Madrid, «la condanna del Sinedrio rappresentava il giudizio di Dio. E tale giudizio stabilì che Gesù era un bestemmiatore, un miscredente, un maledetto da Dio»231J.M. Garcia, Il protagonista della storia. Nascita e natura del cristianesimo, Rizzoli 2008, p. 274.

Ma allora, «com’è possibile che alcuni giudei non accettarono come definitivo il giudizio del Sinedrio?», si è chiesto lo studioso. «E poi, com’è possibile che quegli uomini, subito dopo la morte del loro Maestro, osarono predicare che la pienezza della vita umana viene concessa ai seguaci di Gesù? Ossia, come si spiega il fatto che riconoscano pubblicamente questo condannato dal tribunale supremo ebraico come il salvatore degli uomini?»232J.M. Garcia, Il protagonista della storia. Nascita e natura del cristianesimo, Rizzoli 2008, p. 274.

Per la legge dell’Antico Testamento (seguita dai giudei, compresi i discepoli) chiunque viene condannato ed appeso ad un albero è maledetto da Dio (cfr. Dt. 21.23) e gli ebrei applicarono questo verdetto anche ai condannati da crocifissione. Visto attraverso gli occhi di un seguace ebreo di Gesù del primo secolo, la crocifissione non era affatto la morte del proprio amato Maestro, ma una vera catastrofe. Significava che, lungi dall’essere l’Unto di Dio, Gesù di Nazareth era stato rinnegato da Dio. Avevano seguito l’uomo sbagliato che Dio stesso aveva rifiutato nei termini più inequivocabili.

«Oggi è difficile capire quanto fosse offensiva, per la maggioranza degli ebrei del I secolo, l’idea di un messia crocifisso», ha scritto B.D. Ehrman, docente di Nuovo Testamento all’Università del North Carolina. «Se è difficile pensare che siano stati gli ebrei a inventare l’idea di un messia crocifisso, da dove spunta? Dalla realtà storica»233B.D. Ehrman, Did Jesus Exist?, HarperCollins Publishers 2012, p. 165. E ancora: «La sua morte smentì, in modo radicale, tutto ciò che i suoi seguaci avevano pensato e sperato, poiché, evidentemente, Gesù era tutto fuorché il messia. Poi però accadde qualcos’altro»234B.D. Ehrman, Did Jesus Exist?, HarperCollins Publishers 2012, p. 165.

Nel primo secolo vi furono molti altri “rivoluzionari” che finirono giustiziati e crocifissi, ma, ha scritto N.T. Wright, eminente professore di Nuovo Testamento all’Università di St. Andrews, «nonostante la delusione, i loro seguaci mai sostennero che il loro eroe era stato risuscitato dai morti. La risurrezione non era concepibile come evento privato. I rivoluzionari ebrei il cui leader era stato ucciso dalle autorità e che erano riusciti a fuggire all’arresto, avevano solo due opzioni: rinunciare alla rivoluzione o trovare un altro leader. Affermare che il leader era tornato in vita, semplicemente non era un’opzione ragionevole. A meno che, naturalmente, fosse accaduto davvero così»235N.T. Wright, Jesus, the final days, Westminster John Knox Press 2010, p. 100-108.

«Il fatto sorprendente della risurrezione», ha aggiunto l’esegeta spagnolo J.M. Garcia, risulta «l’unica ragione veramente esplicativa dell’esistenza della predicazione cristiana»236J.M. Garcia, Il protagonista della storia. Nascita e natura del cristianesimo, Rizzoli 2008, p. 275.

Il card. Joseph Ratzinger, anch’egli fine studioso del Gesù storico, ha osservato che «i discepoli si lasciarono travolgere da un fenomeno che si palesava loro, da una realtà inaspettata, inizialmente pure incomprensibile, e la fede nella risurrezione è scaturita da questo travolgimento e cioè da un avvenimento che precedeva il loro pensare e volere, che anzi lo rovesciava»237J. Ratzinger, in H. Schlier, Sulla risurrezione di Gesù Cristo, Morcelliana 1971. Questo li spinse a mettere in discussione perfino il giudizio del supremo tribunale ebraico.

 

9.2 Sfida al credo ebraico ed alla legge di Mosè.

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Un altro improvviso cambiamento, testimoniato dalle fonti primarie fin dai primi giorni dopo la morte di Gesù, è la sorprendente celebrazione della domenica come “giorno del Signore” da parte dei primi membri della Chiesa (cfr. At 20,7; 1Cor 16,2).

Se ancora oggi la riteniamo il giorno di riposo è perché improvvisamente alcuni ebrei del I secolo hanno sostenuto che Gesù era risorto di domenica, mentre «per gli ebrei il giorno sacro è il sabato, come stabilito dalla legge mosaica»238J.M. Garcia, Il protagonista della storia. Nascita e natura del cristianesimo, Rizzoli 2008, p. 276.

Volendo prescindere dall’evento della risurrezione, ha osservato lo studioso spagnolo José Miguel Garcia, «non avrebbe spiegazione il cambiamento della celebrazione del giorno sacro. E’ invece comprensibile se il cambiamento è dovuto al giorno in cui è avvenuto il ritrovamento del sepolcro vuoto e sono iniziate le apparizioni, cioè quando hanno avuto la prova tangibile della resurrezione di Gesù»239J.M. Garcia, Il protagonista della storia. Nascita e natura del cristianesimo, Rizzoli 2008, p. 277.

Richard Swinburne, professore emerito di Filosofia all’Università di Oxford, ha a sua volta sottolineato che le comunità cristiane si diffusero molto rapidamente oltre Gerusalemme, entro tre o quattro anni dagli eventi della Passione e «portarono con sé le loro usanze, inclusa la celebrazione dell’Eucaristia. Tutte le prove che abbiamo suggeriscono che c’era un’usanza universale di celebrare l’Eucaristia di domenica, il primo giorno della settimana. Questa dovette essere anteriore alla diffusione, altrimenti avremmo sentito parlare di controversie su quando celebrarla e istruzioni date dall’alto (analogamente al modo in cui vi furono controversie sulla circoncisione e sul consumo di carne, risolte dal Concilio di Gerusalemme descritto in At. 15)»240R. Swinburne, The Probability of the Resurrection of Jesus, Philosophia Christi 2013, Vol. 15, p. 21.

Se Gesù non fosse risorto e i discepoli avessero inventato tutto o aver voluto tenere memoria delle sue gesta, «ci sarebbero stati altri giorni in cui sarebbe stato più naturale celebrare l’Eucaristia, ad esempio nel giorno dell’originale Ultima cena, che fu probabilmente un giovedì e non certo una domenica», ha proseguito Swinburne. «Non esiste un’origine plausibile della sacralità della domenica al di fuori del cristianesimo. C’è solo una semplice spiegazione di questa usanza universale e deriva al più tardi dai primi due o tre anni dopo la Resurrezione. L’Eucaristia venne celebrata di domenica sin dai primi anni del cristianesimo perché i cristiani credevano che l’evento cristiano centrale della Resurrezione si fosse verificato di domenica»241R. Swinburne, The Probability of the Resurrection of Jesus, Philosophia Christi 2013, Vol. 15, p. 21.

I seguaci di Gesù non erano teologi, esegeti o alti esponenti dell’ebraismo. Improvvisamente e senza una ragione adeguata, questo gruppo di umili pescatori sfidò il Sinedrio (quindi il giudizio di Dio) e osò correggere la legge mosaica sul sabato. Gli stessi che poco prima scapparono impauriti, rinnegarono Gesù e si dispersero amareggiati e delusi. «L’analisi delle testimonianze e degli avvenimenti può portare a concludere che senza il fatto reale della resurrezione, molte cose rimarrebbero senza spiegazione»242J.M. Garcia, Il protagonista della storia, BUR 2008, p. 274, ha infatti concluso José Miguel Garcia dell’Università Complutense di Madrid.

L’eminente studioso Larry Hurtado, docente di Cristianesimo primitivo e docente emerito di Lingua letteratura e teologia del Nuovo Testamento presso l’Università di Edimburgo, ha osservato inoltre che «nei primi ambienti cristiani, Gesù è oggetto di espressioni di devozione che sono esclusivamente riservati solo a Dio e che, semplicemente, non hanno alcuna analogia nella tradizione ebraica del periodo del Secondo Tempio. In parole povere, questo culto del Gesù risorto fu una radicale innovazione nella religione monoteistica ebraica»243L. Hurtado, How on Earth Did Jesus Become a God? Historical Questions about Earliest Devotion to Jesus, Grand Rapids 2005, p. 47–48.

Gli specialisti Craig A. Evans, docente di Nuovo Testamento e direttore del programma di specializzazione presso l’Acadia Divinity College e N.T. Wright, professore di Nuovo Testamento all’Università di St. Andrews, hanno sottolineato anche l’improvvisa centralità della resurrezione nella predicazione apostolica al contrario della marginalità in cui è sempre stata considerata la resurrezione finale ed escatologica nel pensiero ebraico. Nei testi ebraici del giudaismo del Secondo Tempio (597 a.C. – 70 d.C), c’è infatti una certa credenza nella resurrezione finale del popolo di Dio (totalmente diversa da quella rivendicata dagli apostoli) ma non è comunque «una credenza così importante»244C.A. Evans, N.T. Wright, Gli ultimi giorni di Gesù, San Paolo 2010, p. 93.

Gli autori dei rotoli di Qumran, nemmeno credevano a qualche tipo di risurrezione finale o comunque non era un tema significativo e lo spazio dedicato nei loro testi non è per nulla paragonabile «allo spazio assegnato ad altri temi»245C.A. Evans, N.T. Wright, Gli ultimi giorni di Gesù, San Paolo 2010, p. 93. Al contrario, improvvisamente dal 30 d.C., per un piccolo gruppo di devoti ebrei la risurrezione di un uomo e nella storia, diventa incredibilmente il focus di tutto.

Questa mutazione è un mistero anche antropologico in quanto «le credenze circa la vita dopo la morte sono notoriamente tra le cose di una cultura che maggiormente resistono al cambiamento», riflettono i due studiosi. «La gente potrebbe cambiare idea sul proprio credo, ma ciò che essa crede sulla morte tende a mantenersi pressoché immutato»246C.A. Evans, N.T. Wright, Gli ultimi giorni di Gesù, San Paolo 2010, p. 114.

«Se si prova a togliere dal Nuovo Testamento la risurrezione – la risurrezione corporea- ci si rende conto di come tutti gli altri argomenti, uno dopo l’altro, si trovino a collassare»247C.A. Evans, N.T. Wright, Gli ultimi giorni di Gesù, San Paolo 2010, p. 94, hanno concluso i due studiosi. «La tomba vuota e gli incontri con Gesù risultano solidamente fondati come dati storici. Sono l’unica possibile spiegazione per i racconti pasquali e per quelle mutazioni del Credo ebraico che si svilupparono così rapidamente»248C.A. Evans, N.T. Wright, Gli ultimi giorni di Gesù, San Paolo 2010, p. 114.

 

9.3 Il cambiamento del discepolo scettico Giacomo.

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Alcuni studiosi si sono soffermati a lungo anche sul cambiamento sorprendente di Giacomo, descritto dai vangeli fortemente scettico verso Gesù durante il suo ministero pubblico (cfr. Mc. 3,21 31-35; Mc. 6,3, Gv. 7,5). Eppure, non molto tempo dopo la crocifissione di Gesù, lo stesso Giacomo, fratello di Gesù, è uno dei leader della primitiva comunità cristiana di Gerusalemme e viene incontrato da Paolo di Tarso durante le sue due visite (cfr. Gal 1,18-19; Gal 2,1-10; At 15,13-21). Lo storico ebreo Flavio Giuseppe riferisce infine che Giacomo morì martirizzato per la sua fede in Gesù Cristo.

Secondo il biblista americano John P. Meier l’incredulità di Giacomo è un dato storico poiché soddisfa sia il criterio della molteplice attestazione di fonti indipendenti che il criterio dell’imbarazzo, dal momento che era imbarazzante per la chiesa primitiva essere guidata da un familiare di Gesù autore di affermazioni «profondamente offensive» riguardanti lo stesso Gesù. In misura minore, conclude Meier, soddisfa anche il criterio della coerenza con la chiamata frequente di Gesù a porre Dio davanti alla propria famiglia249J.P. Meier, A Marginal Jew: Rethinking the Historical Jesus, Doubleday 2001, Vol. 2, p. 68-71.

Nonostante Giacomo fosse uno stretto familiare di Gesù (“fratello” o “cugino” di Gesù, «non c’è una certezza assoluta […]», ma «l’opinione più probabile è che i fratelli e le sorelle di Gesù fossero veri fratelli», anche se «l’idea che fossero affini o parenti in senso largo certamente non è esclusa»250J.P. Meier, Un ebreo marginale, Queriniana 2008, p. 324-325 251J.A. Fitzmyer, A Christological Catechism. New Testament Answers, Paulist Press International 1981, p. 73), Giacomo non fu nemmeno presente ai piedi della croce.

Come spiegare questo radicale cambiamento se non con quanto riferito dall’antichissima formula pre-paolina: «…poi apparve a Giacomo» (1Cor 15,7)?

Sorprendentemente, Reginald H. Fuller, professore emerito di Nuovo Testamento al Virginia Theological Seminary di Alexandria (Stati Uniti), ha dichiarato che se gli scritti cristiani non avessero fatto riferimento all’apparizione della risurrezione avuta da Giacomo, «avremmo dovuto inventarne una noi»252R. Fuller, The Formation of the Resurrection Narratives, Macmillan 1980, p. 10 per rendere adeguatamente conto della sua improvvisa conversione e della sua promozione ad sua posizione di leadership nella chiesa di Gerusalemme!

«La maggior parte degli studiosi contemporanei», ha certificato infine Gary Habermas, «inclusi molti piuttosto scettici»253G. Habermas, Experiences of the Risen Jesus. The Foundational Historical Issue in the Early Proclamation of the Resurrection, Journal of Theology 2006, Vol. 45. p. 288-297, non ha dubbi sulla storicità della conversione di Giacomo e ritiene che l’apparizione personale di Gesù sia la spiegazione più plausibile. Si veda ad esempio Helmut Koester254H. Koester, Introduction to the New Testament, Fortress 1982, Vol. 2, p. 84, Robert Funk255R. Funk, Honest to Jesus, Harper Collins 1996, p. 33, Peter Stuhlmacher256P. Stuhlmacher, The Resurrection of Jesus and the Resurrection of the Dead, Ex Auditu 1993, Vol. 9, p. 49 e E.P. Sanders257E.P. Sanders, But Did it Happen?, The Spectator 1996, Vol. 276, p. 17.

 

9.4 Nessun guadagno personale, disposti al martirio.

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Anche ipotizzando che i discepoli in qualche modo inventarono la resurrezione di Gesù, avrebbero potuto reggere solo per qualche periodo. Ma perché farsi perseguire ed ammazzare per una menzogna? Senza alcun guadagno personale. Questo è un altro fatto privo di giustificazioni per chi vuole negare la storicità della risurrezione.

Perché lasciare la famiglia, il lavoro, i propri beni, la propria terra per andare in giro a raccontare “favole artificiosamente inventate”? Oltretutto, sostenendo tesi totalmente blasfeme ed assurde sia per loro stessi che per le persone a cui si rivolgevano, piene di dettagli che alimentavano solo i dubbi (come la testimonianza delle donne).

Perché continuare con queste predicazioni per decenni, le stesse menzogne ripetute e che causavano ai discepoli solo una vita d’inferno, clandestinità, persecuzioni, prigionia, lapidazioni, sdegno sociale, solitudine, atroci sofferenze ed infine il supplizio del martirio? Il «loro vero, umano e comodo interesse sarebbe stato il tacere»258G. Siri, La Rivelazione, Studium 1940, p. 91, scrisse giustamente il card. Giuseppe Siri.

Lo scrittore italiano Antonio Socci ha a sua volta giustamente osservato:

«Se Gesù era morto e basta -e la sua era stata la morte dei criminali, dei maledetti, una morte di cui vergognarsi- certo non poteva dare loro più nulla, se non dei guai: l’unica cosa sensata da fare era evitare di finire anch’essi nel mirino, voltare pagina, mettersi al sicuro. E, terrorizzati com’erano quel venerdì (per paura avevano lasciato solo Gesù dall’arresto fino al Calvario), in effetti pensavano solo a stare nascosti e aspettare il momento buono per fuggire da Gerusalemme e tornare in Galilea. Cosa accadde di così sconvolgente da trasforare dei poveri individui terrorizzati, che si sentivano braccati, in temerari che sfidano apertamente le autorità nelle piazze, senza più paura di nulla, pronti a tutto? Cosa vissero di così enorme da capovolgere il loro terrore in ardente coraggio? Cosa si verificò per produrre in loro un così clamoroso cambiamento, da renderli tutti pronti a subire, con semplicità e decisione, il martirio? L’unica ipotesi plausibile è che davvero Gesù sia tornato, vivo, risorto fra loro. Questo è l’unico fatto che può spiegare un così repentino e stupefacente cambiamento. Se non hanno mai voluto rinnegare ciò che affermavano di aver visto e toccato con mano, se non se lo sono rimangiato neanche di fronte ai tormenti degli aguzzini, significa che dovevano esserne ben certi e che doveva essere tutto vero»259A. Socci, Indagine su Gesù, Rizzoli 2008, p. 269.

Da impauriti discepoli di un Maestro fallito, crocifisso, umiliato e maledetto da Dio con la croce a leoni pronti al martirio per non rinnegare ciò che avevano visto i loro occhi. Si può spiegare senza ipotizzare l’avvenimento di qualcosa di imponente e travolgente?

E’ così che l’eminente studioso britannico NT Wright ha concluso: «Questo è il motivo per cui, come storico, non riesco a spiegare l’ascesa del cristianesimo primitivo a meno che Gesù sia risorto, lasciando una tomba vuota dietro di lui»260N.T. Wright, The New Unimproved Jesus, Christianity Today, 13/09/1993.

Il giurista americano Simon Greenleaf (convertitosi dallo scetticismo alla fede cristiana proprio studiando le fonti storiche della resurrezione), fondatore della Harvard Law School, ha sottolineato l’unicità nella storia di questi eventi:

«Propagandando questa nuova fede, anche nella maniera più pacifica e inoffensiva, [i primi cristiani ricevettero] scherni, opposizioni […] fino alla morte crudele. Eppure, propagandarono con zelo proprio questa fede, e sopportarono tutte quelle sofferenze senza esitazione, anzi con gioia. Mentre l’uno dopo l’altro venivano messi barbaramente a morte, i sopravvissuti [continuarono] semplicemente la loro opera con accresciuto vigore e determinazione […]. Le cronache delle guerre militari forniscono a mala pena un esempio di una simile costanza e pazienza eroica e di un tale coraggio invincibile […]. Anche se fosse moralmente possibile che essi si siano ingannati in merito, ogni motivazione umana cooperava per portarli a riflettere e a riconoscere il loro errore. Da queste [considerazioni] non c’è scampo se non nella perfetta convinzione e ammissione che erano uomini onesti, che testimoniavano ciò che avevano accuratamente osservato […] e che ben sapevano essere la verità»261S. Greenleaf, The Testimony of the Evangelists, Kregel 1995, p. 31, 32

«L’imprescindibile fondamento della comunità cristiana è Gesù risorto, la sua viva presenza»262J.M. Garcia, Il protagonista della storia. Nascita e natura del cristianesimo, Rizzoli 2008, p. 281, ha osservato J.M. Garcia.

A causa di questo, e senza ottenere nulla in cambio, subirono ogni sorta di persecuzione. «Gli scritti del Nuovo Testamento ci fanno vedere che la Chiesa nascente è un edificio sorretto dalla resurrezione come un principio imprescindibile»263M.H. Marco, Los evangelios y la critica historica, Ediciones Cristiandad 1978, p. 16, ha concluso l’importante esegeta della scuola di Madrid, Mariano Herranz Marco.

C.F.D. Moule, docente di Nuovo Testamento dell’Università di Cambridge, infine, ha osservato: «Se la nascita dei Nazareni, fenomeno innegabilmente attestato dal Nuovo Testamento, squarcia un grande buco nella storia, un buco delle dimensioni e della forma della Resurrezione, con cosa si propone spiegarlo lo storico laico? La nascita e la rapida ascesa della Chiesa cristiana resta un enigma irrisolto per qualsiasi storico che si rifiuti di prendere sul serio l’unica spiegazione offerta dalla Chiesa stessa»264citato in W.L. Craig, Contemporary Scholarship and the Historical Evidence for the Resurrection of Jesus Christ, Truth 1985, Vol. 1, p. 89-95.

 

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11. LE CONTRADDIZIONI TRA GLI EVANGELISTI.

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L’ultimo argomento a favore della storicità dei racconti pasquali dei vangeli è paradossalmente usato da molti studiosi contro l’attendibilità storica.

Esistono infatti differenze e contraddizioni tra i quattro evangelisti a proposito della narrazione dei fatti avvenuti dopo la morte di Gesù. «Lettore, tu che sei serio e amico della verità, dimmi davanti a Dio: potresti accettare come unanime e sincera una testimonianza, rispetto a un argomento così importante, che così spesso e con tanta chiarezza si contraddice in quanto a persone, tempo, luogo, modo, fine, parole, narrazione?»265citato in C.H.Talbert, Reimarus: Fragment, Wipf & Stock Pub 1971, p. 197, scrisse l’illuminista Hermann Samuel Reimarus, basandosi proprio sulle discrepanze tra i quattro vangeli.

Più recentemente, è stato Bart D. Ehrman, docente di Nuovo Testamento presso l’University of North Carolina ad assumere la leadership tra i principali studiosi che indicano tali discrepanze per dubitare dell’attendibilità storica.

Soprattutto nei brani che parlano del sepolcro vuoto e delle apparizioni di Gesù risorto (molto più che negli altri racconti della passione, i quali riflettono uno schema più fisso e coerente), gli evangelisti presentano dati e particolari discordanti tra loro, difficilmente armonizzabili. Li riassumiamo brevemente:

a) A scoprire la tomba vuota furono Maria di Magdala, Maria di Giacomo e Salomé come scrive Marco (Mc 16,1); oppure Maria di Magdala e l’altra Maria, secondo Matteo (Mt 28,1); oppure tre donne, secondo Luca (Lc 24,10); oppure solo Maria di Magdala, come riporta Giovanni (Gv 20,1-2)?

b) Chi apparve alle donne recatesi al sepolcro, annunciano la resurrezione? Un giovane, come scrive Marco (Mc 16,5), un angelo, come riporta Matteo (Mt 28,2-3) oppure due angeli, secondo Luca (Lc 24,4) e Giovanni (Gv 20,12)?

c) Le donne non dissero niente a nessuno, come scrive Marco (Mc 16,8), oppure no, come riferiscono gli altri evangelisti (Mt 28,8; Lc 24,22-24)? E’ evidente che secondo gli avvenimenti successivi gli apostoli vennero informati dalle stesse donne.

d) Il sepolcro era custodito da alcuni guardiani, come scrive Matteo (Mt 27,62-66)? Perché gli altri evangelisti non riportano nulla a proposito?

e) Vi sono poi divergenze minori, come l’ora del ritrovamento del sepolcro vuoto, lo scopo della visita delle donne, il modo in cui la pietra si è ribaltata dall’entrata del sepolcro.

f) Secondo l’antica fonte pre-paolina (1Cor 15,1-8), i destinatari delle apparizioni di Gesù dopo la risurrezione furono Pietro, i dodici apostoli, 500 fratelli assieme, Giacomo e Paolo; Marco invece conclude bruscamente il suo racconto senza citare alcuna apparizione (sono state formulate alcune alcune spiegazioni in proposito); Matteo racconta delle apparizioni alle donne al sepolcro (Mt 28,9-10) e agli undici apostoli (senza Giuda) su un monte della Galilea (Mt 28,16-20); Luca racconta l’apparizione ai discepoli di Emmaus (Lc 24,13-35), agli undici apostoli (senza Giuda) nel cenacolo (Lc 24,36-49) ed allude a un’apparizione concessa a Pietro (Lc 24,24-34); Giovanni riferisce un’apparizione a Maria di Magdala al sepolcro (Gv 20,11-18), una ai discepoli senza Tommaso (Gv 20,18-19), un’altra ai discepoli con Tommaso presente (Gv, 20,24-29) e un’apparizione ad alcuni discepoli sul lago di Tiberiade (Gv 21,1-14).

Di fronte a ciò alcuni critici affermano che queste discrepanze sono un chiaro segnale del fatto che siano testimonianze poco attendibili, sarebbero narrazioni di fede e non una storia realmente accaduta.

 

10.1 Proposte di soluzione alle contraddizioni.

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Esistono molte risposte che risolvono molte di queste contraddizioni e, soprattutto, argomentano che proprio la loro presenza andrebbe a favore della storicità degli eventi e contro l’ipotesi di un’invenzione da parte degli evangelisti.

Sono stati pubblicati interi libri sullo studio di queste discrepanze, ne citiamo solo una come esempio che risolve l’enigma di chi furono le donne che trovarono il sepolcro vuoto. Mentre Marco, Matteo e Luca parlano di due o tre donne (pur non concordando sempre sui nomi), Giovanni in controtendenza riferisce solo Maria di Magdala (Gv 20,1).

Il teologo americano M.R. Licona, docente presso la Houston Baptist University, ha risolto spiegando che probabilmente la scelta di Giovanni è un «dispositivo letterario utilizzato anche da Plutarco, cioè puntare il riflettore su un certo attore. Nel suo racconto sulla risurrezione, penso che Giovanni stia illuminando Maria di Magdala pur essendo comunque a conoscenza della presenza di altre donne»266M.R. Licona, in Ehrman–Licona Dialogue on the Historical Reliability of the New Testament, The Best Schools 2016.

Infatti, ha spiegato lo studioso, è sufficiente andare al versetto successivo (Gv 20,2) per leggere che Maria corre dai discepoli e riferisce: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». A chi si riferisce con quel “noi”? Molto probabilmente alle altre donne presenti assieme a lei non citate da Giovanni (ma citate dagli altri evangelisti).

Diversi anni fa è stata proposta anche un’ipotesi di soluzione radicale che ha diviso però la comunità scientifica. L’importante scuola esegetica di Madrid sostenne infatti il substrato semitico (aramaico) alla base dei vangeli, la lingua parlata da Gesù e dagli apostoli. Le contraddizioni sarebbero frutto di semplici errori di traduzione che svaniscono se riportati nel loro originale aramaico. Questo vale anche per alcune affermazioni incomprensibili contenute nei vangeli.

Gli esegeti spagnoli, correggendo gli errori della traduzione greca, hanno ad esempio risolto le (apparentemente) incomprensibili ingiunzioni di silenzio da parte di Gesù sulla sua realtà divina (cfr. Mc 5,40 e Mc, 8,30). Perché avrebbe dovuto intimare il silenzio? Sembra contraddittorio. Oppure al terrore delle donne che trovano il sepolcro vuoto ed escono fuggendo, come riferito dall’evangelista Marco. Da cosa scappano o di cosa avrebbero avuto paura?

E’ impossibile in questa sede riprendere dettagliatamente i contenuti delle loro pubblicazioni e le soluzioni (spesso illuminanti!) da loro offerte, rimandiamo direttamente ad esse consigliando in lingua italiana: La nascita dei Vangeli sinottici (San Paolo 2009) di J. Carmignac e La vita di Gesù nel testo aramaico dei Vangeli (Rizzoli 2005) di J.M. García.

Il teologo e storico ebreo Pinchas Lapide, ad esempio, applicando questa tesi pare aver risolto brillantemente l’enigma della metafora di Gesù sul “cammello” che passa in una “cruna di un ago” (Mt 19,24). Sembra apparentemente un’iperbole eccessiva: cosa c’entra il cammello con l’ago? Lapide scoprì che il testo semitico originale parlava di una gomena (un grosso cavo usato dai pescatori) e non di un cammello, ma, «a causa di una consonante sbagliata nel testo originale ebraico la gomena (gamta) della parabola diventa un cammello (gamal)»267P. Lapide, Bibbia tradotta, Bibbia tradita, EDB 1999.

«Per trovare una spiegazione di queste anomalie e incongruenze è necessario ricorrere al sostrato aramaico della tradizione evangelica»268J.M. Garcia, Il protagonista della storia. Nascita e natura del cristianesimo, Rizzoli 2008, p. 296, ha spiegato J.M. Garcia, uno degli esponenti della scuola esegetica di Madrid.

Questa tesi ha trovato molta opposizione nella comunità scientifica ed oggi la tendenza è di ritenerla un’ipotesi non verificata o contraddetta. Difficile però valutare la genuinità di opposizioni sorprendentemente così feroci verso una dignitosa ipotesi scientifica alternativa, il sospetto di molti è che un nutrito gruppo di oppositori (pochi sono quelli realmente esperti di lingua semitica) non sia a suo agio con una delle conseguenze dell’accettazione di questa tesi: la retrodatazione dei vangeli stessi, oggi comunemente indicata tra gli anni 60 e 90 d.C.

Il substrato semitico, infatti, li collocherebbe immediatamente a ridosso degli avvenimenti descritti, accreditando gli evangelisti come contemporanei ai protagonisti degli eventi o addirittura testimoni oculari. Secondo Stefano Alberto, docente di Teologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, sarebbe proprio questa la ragione della veemente e pregiudiziale «ostilità» di una parte del mondo accademico verso questa ipotesi.

Secondo José Miguel Garcia, docente all’Università Complutense di Madrid, la scarsità delle pubblicazioni contemporanee sul substrato semitico rispetto al passato «si deve in parte alla decadenza degli studi umanistici e filologici, ma anche a ragioni ideologiche. Ammettere il substrato semitico dei Vangeli e di altri libri del Nuovo Testamento, mette in questione certi schemi esistenti sull’evoluzione e lo sviluppo della primitiva tradizione cristiana. Certamente la dimenticanza di questo dato favorisce il permanere di certi schemi e cliché di interpretazione esegetica, ma soprattutto ostacola la comprensione viva dei testi sacri. Perché le traduzioni sbagliate hanno introdotto in essi non solo oscurità o stranezze, ma a volte hanno occultato dati significativi e bellissimi della vita reale o della teologia, che rimasero sepolti sotto le macerie di traduzioni sbagliate»269J.M. Garcia, Per la storicità dei vangeli: Gesù Figlio di Dio nel Vangelo di Marco, Centro Culturale di Milano 03/10/2002.

Tanti esperti hanno invece aderito alla tesi del substrato semitico dei vangeli, ad esempio: Charles Cutler Torrey270C.C. Torrey, The Translations Made from the Original Aramaic Gospels, 1912, docente di Lingue semitiche alla Yale University; Maurice Casey271M. Casey, Aramaic Sources of Mark’s Gospel, Cambridge University Press 1999, professore emerito di Nuovo Testamento all’Università di Nottingham, Claude Tresmontant, filosofo della Sorbona di Parigi, Jean Héring, biblista della Facoltà Teologica a Strasburgo272J. Hering, Remarques sur les bases aramèennes et hébraiques des évangiles synoptoques, 1966; J. de Zwaan, autore di John Wrote in Aramaic pubblicato sul Journal of Biblical Literature; David Flusser, storico del primo cristianesimo all’Università ebraica di Gerusalemme ecc.

In Italia a schierarsi a favore è stato Paolo Sacchi, professore di Filologia biblica all’Università di Torino e luminare in studi giudaici, per il quale che «il testo greco derivi da una traduzione ebraica è semplicemente ovvio. Basta conoscere il greco e l’ebraico per accorgersene»273P. Sacchi, intervista a A. Socci, Vangeli, parla così la storia, Rizzoli 1995. A conferma vi sono anche numerose ricerche realizzate da studiosi ebrei, come Zwi Perez Chajes, biblista e rabbino a Vienna e Trieste274Z.H.P. Chajes, Judisches in den Evangelien Moritz Rosenfeld ed. 1919 ed il già citato Pinchas Lapide275P. Lapide, Bibbia tradotta, Bibbia tradita, EDB 1999.

Tanti altri studiosi ritengono invece che fossero le fonti pre-evangeliche (non i vangeli direttamente) ad essere scritte in aramaico e quindi tradotte (spesso con errori) in greco dagli evangelisti276Helmut Heinrich Koester, Ancient Christian Gospels: Their History and Development, Trinity Press 1990. Il principale biblista contemporaneo, J.P. Meier, docente di Nuovo Testamento all’Univeristà di Notre Dame, ha riconosciuto che il substrato aramaico è «riflesso nei quattro Vangeli», tanto che diversi detti «sono proprio estranei all’ebraico e al greco»277J.P. Meier, Un ebreo marginale, Queriniana 2006, vol. 1, p. 261-263.

 

10.2 Le contraddizioni non alterano il racconto.

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Non tutte le contraddizioni vengono risolte dagli studiosi e l’ipotesi del substrato semitico non risulta verificata pienamente. Ma qual è il vero “peso” delle contraddizioni all’interno del racconto? Alterano realmente il racconto?

No, le discordanze tra gli evangelisti si verificano su dettagli più o meno superficiali, senza compromettere l’organicità dei fatti. Al contrario, gli evangelisti sono assolutamente concordi sull’ossatura del racconto, sui fatti principali e salienti, anche se possono variare dei particolari a seconda delle testimonianze primarie a cui attinsero.

Lo stesso B.D. Ehrman, molto critico su questo, ammette che si tratta in gran parte di «piccole, piccole differenze […]. So che alcuni di voi stanno leggendo queste istanze di discrepanze e non ne sono affatto impressionati»278B.D. Ehrman, in Ehrman–Licona Dialogue on the Historical Reliability of the New Testament, The Best Schools 2016. Effettivamente le difficoltà del testo greco non rappresentano, in sé, un’obiezione sostanziale, piuttosto una provocazione ed una sfida intellettuale per i ricercatori.

Anche il teologo Michael R. Licona ha confermato:

«Vi sono effettivamente alcune discrepanze che non hanno spiegazione, ma anch’esse non alterano la sostanza complessiva delle storie in cui appaiono […]. Abbiamo ragione di credere che gli evangelisti presentano un ritratto simile di Gesù come Figlio unico e divino di Dio, che è venuto a portare il regno di Dio, offrire la salvezza, che fu crocifisso, e sconfisse la morte»279M.R. Licona, in Ehrman–Licona Dialogue on the Historical Reliability of the New Testament, The Best Schools 2016.

Nessuno per esempio mette in dubbio l’affondamento del Titanic, eppure i sopravvissuti si contraddissero l’un l’altro. C’è chi riferì di aver visto la nave rompersi in due prima di affondare e chi disse che fosse affondata intatta.

«Come avrebbero potuto sbagliarsi?», si è chiesto retoricamente Licona, imitando chi si stupisce delle discrepanze degli evangelisti sugli eventi pasquali. «E’ stata la notte più terrificante della loro vita, guardavano intensamente una nave lunga 800 piedi e sentivano le urla di chi era ancora a bordo, amici, familiari e colleghi. Non so come hanno fatto a sbagliarsi, ma nessuno ha citato le testimonianze contraddittorie concludendo che il Titanic non è affondato! La differenza riguardava un dettaglio periferico che non cambia l’essenza della storia e coloro che hanno ascoltato le loro testimonianze apprendevano il nocciolo accurato di ciò che era accaduto nel suo complesso. Allo stesso modo, praticamente tutte le differenze nei Vangeli riguardano dettagli periferici. Non ci sono vangeli che riferiscono che Gesù non è stato crocifisso o che la tomba era occupata dal cadavere di Gesù o che non è risorto»280M.R. Licona, in Ehrman–Licona Dialogue on the Historical Reliability of the New Testament, The Best Schools 2016.

 

10.2 Errori e manomissioni sono comuni nelle testimonianze antiche.

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Se dovessimo considerare “storicamente affidabile” un documento solo se è privo di errori, allora dovremmo gettare via tutta la letteratura antica (e non solo).

Michael R. Licona, docente di Teologia presso la Houston Baptist University, ha osservato ad esempio che gli storici romani Sallustio e Tacito hanno «spostato gli eventi dal loro contesto originario, trapiantandoli in un altro al fine di evidenziare un particolare aspetto», ma senza «distorcere intenzionalmente la “verità” dei fatti».

Anche Svetonio, pur considerato uno dei migliori storici di Roma, nella sua storicamente affidabile Vita dei Cesari ha usato in modo a volte indiscriminato le fonti ed inserito, di tanto in tanto, storie leggendarie.

Sono operazioni letterarie comuni all’epoca, presenti anche nei vangeli. E’ nota ad esempio la manomissione volontaria dell’evangelista Giovanni sulla data e sull’ora della crocifissione per enfatizzare teologicamente che Gesù è l’agnello pasquale. Innanzitutto, questo dimostra che gli storici sanno riconoscere e sottolineare le interpolazioni nei testi evangelici e ne tengono conto nell’analisi sulla storicità.

In secondo luogo, quello di Giovanni è «uno degli espedienti letterari tra i più comuni all’epoca», riferisce Licona, «utilizzati anche da storici greci, romani ed ebrei»281M.R. Licona, in Ehrman–Licona Dialogue on the Historical Reliability of the New Testament, The Best Schools 2016.

Uno simile è stato utilizzato anche dal regista del film Apollo 13 (1995), pellicola solitamente elogiata per la sua accuratezza storica. Per esigenze cinematografiche la vita degli astronauti è stata resa molto più difficile di quanto realmente accaduto, facendo anche pronunciare ai protagonisti parole mai dette realmente (come la famosa frase: “Il fallimento non è contemplato!”).

Chi pretende che i racconti evangelici siano privi di qualsiasi licenza compositiva che alteri i dettagli, dovrebbe allora «escludere non solo i Vangeli, ma tutta l’antica letteratura storica ma questo rende il termine “storicamente affidabile” privo di significato»282M.R. Licona, in Ehrman–Licona Dialogue on the Historical Reliability of the New Testament, The Best Schools 2016.

M.R. Licona ha quindi concluso:

«Dato che tra 1.000 anni ci sarà un diverso modo di scrivere e raccontare, sarebbe ingiusto se gli storici del futuro considerassero inaffidabile la storia dei primi anni del XXI secolo, solo perché oggi non abbiamo gli stessi standard di scrittura che avranno loro. Per questo occorre pensare all’attendibilità storica alla luce delle convenzioni letterarie appartenenti al genere storico dell’epoca in cui è stato scritto, e non attraverso le moderne convenzioni che richiedono una precisione quasi forense. Ovviamente, questo non significa che l’autore non abbia incluso un piccolo numero di storie leggendarie ma che una larga maggioranza di ciò che viene riportato è vero. Naturalmente, la “licenza artistica” ha i suoi limiti ed alcuni autori sono andati così lontani che riteniamo inaffidabile ciò che hanno scritto. Se leggiamo i Vangeli dal punto di vista dei dispositivi compositivi utilizzati da alcuni dei più fini biografi storici di quel periodo, la maggior parte delle contraddizioni tra gli evangelisti si scioglie. La domanda non è se i Vangeli sono di “ispirazione divina”, “infallibili” o “senza alcun errore”, ma se risultano storicamente affidabili sulla vita, gli insegnamenti e la risurrezione di Gesù. L’attendibilità storica ​​non richiede che tutto quanto riportato dagli autori si è verificato esattamente come descritto, né che gli autori non debbano aver incluso un piccolo numero di storie leggendarie, teofanie, o errori. “Attendibilità storica” ​​significa che una grande maggioranza di ciò che viene riportato è vero nella misura in cui i lettori ottengono il nocciolo accurato di ciò che si è verificato. I Vangeli, essendo conformi a questo, sono storicamente affidabili»283M.R. Licona, in Ehrman–Licona Dialogue on the Historical Reliability of the New Testament, The Best Schools 2016.

 

10.2 Le contraddizioni sono indice di autenticità.

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Dopo aver indicato quali contraddizioni evangeliche creano problemi ai critici dell’autenticità e aver spiegato l’errore nel ritenere che alterino l’affidabilità del racconto, sottolineiamo perché, al contrario, la loro presenza è a favore della storicità degli eventi narrati.

Perché degli ipotetici falsari, così finemente organizzati da inventare i racconti pasquali senza ricevere smentite, sarebbero dovuti inciampare in un racconto con dettagli in contraddizione gli uni con gli altri?

«Un inganno calcolato avrebbe dovuto produrre una grande unanimità», ha scritto E.P. Sanders, celebre docente di Nuovo Testamento alla Duke University. «Invece, sembra che ci siano stati dei concorrenti: “L’ho visto per primo!”; “No! Io l’ho visto prima”»284E.P. Sanders, The Historical Figure of Jesus, Penguin Books, 1993, p. 279-280.

In altre parole, se i discepoli di Gesù (o gli evangelisti che misero per iscritto la loro testimonianza oculare), avessero voluto inventare una leggenda comune sulla resurrezione di Cristo, non si sarebbero contraddetti. Tanto meno se un evangelista avesse inventato e gli altri avessero copiato.

Avrebbero innanzitutto raccontato un mito plausibile e comprensibile agli occhi dei loro interlocutori che speravano di convincere (non una resurrezione corporale estranea alle Scritture!), in secondo luogo il racconto sarebbe stato privo di dettagli controproducenti (vedi il ruolo delle donne), senza dettagli precisi e riferimenti storici facilmente smentitili ed infine in perfetta coerenza gli uni con gli altri, accompagnando il tutto da abbellimenti teologici e compimento delle profezie. Gli evangelisti fecero esattamente l’opposto!

Non sono pochi gli studiosi che per questo hanno sostenuto che proprio la presenza di contraddizioni (seppur superficiali e non impattanti sull’organicità del racconto) è un argomento a favore della genuinità e storicità dei fatti narrati.

Craig A. Evans, docente di Nuovo Testamento e direttore del programma di specializzazione presso l’Acadia Divinity College e N.T. Wright, professore di Nuovo Testamento all’Università di St. Andrews, hanno scritto, ad esempio: «Come ogni buon avvocato dovrebbe sapere, quando succedono spesso cose eccitanti e drammatiche, i testimoni oculari non si trovano d’accordo su di esse. Ciò non significa che non sia successo nulla: piuttosto è vero il contrario. A nostro avviso questo è quanto dovremmo concludere»285C.A. Evans, N.T. Wright, Gli ultimi giorni di Gesù, San Paolo 2010, p. 89 di fronte alle varie discrepanze tra i racconti pasquali.

Anche Mauro Pesce, ordinario di Storia del Cristianesimo all’Università di Bologna, ha osservato: «La mia opinione è che queste discordanze depongano piuttosto a favore della loro genuinità»286C. Augias, M. Pesce, Inchiesta su Gesù, Mondadori 2006, p. 58.


 

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11. QUANTO CONTA LA STORICITA’ PER LA FEDE CRISTIANA?

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Dopo aver presentato le dieci “prove” della resurrezione, sottolineiamo che anche tra i cristiani persiste il dubbio se la fede abbia necessità di basarsi su prove e argomenti razionali.

Riteniamo molto appropriata la risposta data da Ben Witherington III, docente di Nuovo Testamento all’Asbury Theological Seminary e membro di spicco della Society for the Study of the New Testament:

«Una persona che rinunci ai fondamenti storici della fede sta rinunciando alla possibilità di una reale continuità tra la propria fede e quella di Pietro, Paolo, Giacomo, Giovanni, Maria Maddalena o Priscilla. La prima comunità cristiana aveva un forte interesse per la realtà storica, in particolare la realtà storica di Gesù e della sua risurrezione. Era radicata in essa»287B. Witherington, New Testament History, Baker Academic 2001, p. 167.

Lo studio dell’autenticità delle fonti cristiane è davvero imprescindibile alla fede cristiana, in particolare per quanto riguarda i “racconti pasquali”, dove viene descritta la risurrezione di Gesù. E’ vero che i vangeli sono anche libri di fede, ma ciò non significa che la loro testimonianza non sia storica.

Anzi, la fede cristiana consiste principalmente nell’annuncio di un fatto singolare: l’incarnazione di Dio nell’umanità di Gesù, vale a dire una fede essenzialmente storica. Per questo lo studio della storicità dei Vangeli nasce proprio dall’esigenza della ragionevolezza della fede, per evitare di ridurla a credenza generica o sentimentalismo.

Come ha risposto Gerhard Lohfink, docente di Nuovo Testamento all’Università di Tubinga, «la fede ha sempre qualcosa a che fare con la ragione e con la cognizione ragionevole. Le prove della risurrezione di Gesù sono importanti affinché le mie convinzioni non diventino irrazionali».

 

11.1 Si può dimostrare storicamente la risurrezione di Gesù?

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Ma la risurrezione di Cristo può essere provata dagli storici? Nessun evento soprannaturale o trascendente per sua natura può essere oggetto diretto di ricerca storica (o scientifica), quello è il campo della filosofia e della teologia.

L’avvenimento della risurrezione, al contrario dell’esistenza di Gesù di Nazareth, non può essere comprovato con gli stessi strumenti, va oltre i mezzi comunemente utilizzati dagli storici. Per questo più che “prove” è opportuno parlare di “argomenti”.

L’eminente biblista J.P. Meier ha scritto in proposito: «Benché sia un avvenimento reale avvenuto a Gesù Cristo, l’evento della risurrezione non è avvenuto nel tempo e nello spazio e perciò non dovrebbe essere chiamato storico»288J.P. Meier, Un ebreo marginale, vol. 1, Queriniana 2008, p. 186.

Eppure, poiché tale avvenimento sarebbe avvenuto ad un uomo, ha inevitabilmente anche lasciato delle tracce visibili ed accessibili dagli storici. Infatti, come ha scritto Mariano Herranz Marco, esponente di spicco della Scuola esegetica spagnola, «in un certo senso, lo storico può dimostrare l’evento della resurrezione di Gesù: la sua analisi delle testimonianze e degli avvenimenti può portare a concludere che senza il fatto reale della resurrezione molte cose rimarrebbero senza spiegazione»289M.H. Marco, Los evangelios y la critica historica, Ediciones Cristiandad 1978, p. 164.

Ovvero, l’ipotesi della resurrezione diventa storicamente plausibile tanto più riesce a giustificare adeguatamente quelle tracce storiche (accertate come storiche), molto più delle spiegazioni alternative.

 

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12. CONCLUSIONE E RIEPILOGO DELLE PROVE.

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Abbiamo presentato dieci argomenti, quelli che riteniamo più validi a favore della storicità della resurrezione. Inoltre, è stata offerta una replica dettagliata a tutte le principali obiezioni avanzate nella storia dagli studiosi scettici.

Come in un tribunale, è la forza cumulativa di tutte le prove, non di ogni singola prova, che è la base del risultato. Nessun singolo elemento di prova è sufficiente per raggiungere un verdetto, ma la forza complessiva di tutti gli argomenti può essere sufficiente a giustificare con sicurezza un giudizio ed al di là di ogni ragionevole dubbio.

Come ha sottolineato il filosofo William Lane Craig: «Queste prove in sé non sono inaccessibili allo storico, non sono miracolose, è la risurrezione di Gesù ad essere la più adeguata spiegazione di queste prove».

Il dibattito è focalizzato non sulla probabilità della resurrezione di per sé e senza alcun elemento di prova, ma solo in seguito ad una serie di fatti storici che implicano l’ipotesi della risurrezione come spiegazione migliore.

In questa chiave di lettura ci troviamo di fronte ad eventi che vantano una serie corposa di “prove” che non ha eguali per alcun altro evento storico avvenuto nell’antichità.

Le riassumiamo, raggruppandole:

– Le prime fonti storiche indipendenti degli eventi risalgono a 2-7 anni dopo i fatti narrati (1Cor 15,2-7, fonte pre-marciana e formula inclusa negli Atti degli Apostoli), escludendo una creazione tardiva: nessun altro fatto storico antico vanta un’attestazione migliore;

– Il ritrovamento del sepolcro vuoto vanta un’alta attendibilità storica determinata dagli studiosi contemporanei (e la non sostenibilità delle spiegazioni naturalistiche alternative);

– La convinzione dei discepoli di aver visto Gesù risorto è ritenuta storicamente reale: certamente videro qualcosa (le spiegazioni naturalistiche alternative non raggiungono la plausibilità);

– Lo studio del pensiero giudaico ha escluso ogni possibilità che la resurrezione di Cristo potesse essere inventata dagli ebrei, inspirata dalle Scritture o dalle divinità egizie o pagane;

– I racconti includono dettagli controproducenti (ruolo centrale delle donne), precisi riferimenti geografici-temporali e contraddizioni tra i vari evangelisti sui dettagli del racconto: nessun falsario avrebbe mai inventato qualcosa del genere;

– I racconti della resurrezione sono privi di abbellimenti teologici ed interpretazione bibliche, come invece avviene nella creazione di miti e leggende (vedi vangeli apocrifi);

– Non esiste al momento alcuna obiezione convincente o una spiegazione alternativa adeguata a spiegare la complessità degli eventi ritenuti storici, l’ipotesi della resurrezione è nettamente superiore rispetto alle ipotesi rivali;

– L’improvvisa conversione di Paolo di Tarso, noto persecutore dei cristiani e poi testimone oculare del Gesù risorto, è ritenuta certamente storica;

– La testimonianza di Paolo di Tarso sulla convinzione del Gesù risorto della prima comunità cristiana è ritenuta certamente storica, avendo intervistato per due volte i testimoni oculari degli eventi;

– Senza l’ipotesi della resurrezione restano inspiegabili improvvisi mutamenti avvenuti subito dopo la morte di Gesù: la repentina conversione dell’apostolo Giacomo, dall’incredulità alla leadership della chiesa primitiva; la sorprendente ed improvvisa trasformazione dei discepoli, da impauriti e rinnegatori di Gesù a promotori instancabili della risurrezione e delle apparizioni del Gesù risorto fino al martirio; l’autorità improvvisa dei discepoli nello sfidare le secolari usanze ebraiche, tra cui il giudizio divino del Sinedrio (fondato biblicamente), la legge biblica di Mosè sulla sacralità del sabato e l’aver posto al centro della loro fede la resurrezione (tema poco o per nulla considerato nel pensiero ebraico e comunque considerato in maniera totalmente diversa).

 

Di fronte a tutto questo, l’eminente studioso Gary Habermas ha inevitabilmente concluso che ciò «produce una linea di prove semplicemente sbalorditiva ed interconnessa quasi sconosciuta nei documenti antichi»290G. Habermas, Experiences of the Risen Jesus. The Foundational Historical Issue in the Early Proclamation of the Resurrection, Journal of Theology 2006, Vol. 45. p. 288-297.

«L’ipotesi che Gesù sia risorto corporalmente dai morti possiede un’ineguagliabile capacità di spiegare gli eventi che sono al cuore stesso del primo cristianesimo»291C.A. Evans, N.T. Wright, Gli ultimi giorni di Gesù, San Paolo 2010, p. 114, hanno scritto Craig A. Evans, docente di Nuovo Testamento e direttore del programma di specializzazione presso l’Acadia Divinity College e N.T. Wright, professore di Nuovo Testamento all’Università di St. Andrews.

A sua volta anche l’importante biblista statunitense Daniel B. Wallace, docente ordinario al Dallas Theological Seminary e fondatore del Center for the Study of New Testament Manuscripts, ha riconosciuto che «la risurrezione di Gesù di Nazareth è la sola spiegazione che adeguatamente spiega tutti i dati ed ogni spiegazione alternativa naturale è morta un migliaio di volte nel corso degli ultimi 200 anni. Non vedo alcuna spiegazione naturalistica alternativa»292D.B. Wallace, Fact Checking Dan Barker: From our Recent Debate on June 6, 2015, www.danielbwallace.com, 01/08/2015.

In aggiunta a questi “argomenti”, il teologo tedesco Wolfhart Pannenberg, docente all’Università di Monaco di Baviera, ha osservato: «La risurrezione di Gesù acquisisce un significato ulteriormente decisivo, non solo perché qualcuno è stato risuscitato dai morti, ma perché quel qualcuno fu Gesù di Nazareth, la cui esecuzione venne istigata dagli ebrei perché aveva bestemmiato contro Dio. La pretesa autoritaria di Gesù di essere Dio fu blasfema per le orecchie ebraiche»293W. Pannenberg, Jesus — God and Man, Priebe 1968, p. 67.

Ovvero, tutto quanto detto finora viene amplificato ulteriormente se si considera che il protagonista di questa resurrezione non fu un uomo qualunque, ma Gesù di Nazareth. Cioè l’unico uomo storicamente vissuto che pretese di essere figlio di Dio, le cui parole hanno sconvolto la storia ed i suoi insegnamenti (prima della resurrezione) rimangono misteriosamente attuali in ogni epoca per credenti e non.

 

Un’ultima riflessione. Se anche qualcuno avesse potuto immortalare in un video a prova di dubbio il momento della resurrezione di Gesù di Nazareth, questo non avrebbe cambiato la vita degli uomini che hanno creduto in Lui fino ad oggi. Non avrebbe persuaso, affascinato, attratto a sé e non avrebbe dissolto la tristezza nel mondo.

Per chi crede, infatti, è solo la Sua presenza permanente, misteriosa, nel corso della storia, che può entusiasmare e dare un senso ultimo alla vita degli uomini.

Ciò si evince dalla vita dello studioso ebreo Pinchas Lapide che, alla fine dei suoi studi, giunse alla conclusione che l’evidenza storica suggerisce fortemente la resurrezione di Gesù di Nazareth294P. Lapide, The Resurrection of Jesus. A Jewish Perspective, Augsburg 1983, p. 130. Tuttavia, questo non cambiò la sua visione del mondo, rimase scettico sull’incarnazione e sul fatto che Gesù fosse il Messia. Sebbene la conversione non avvenne, permise comunque alle prove storiche di alterare in qualche modo il suo orizzonte e di abbandonare la corrente ebraica sadducea (mentre i farisei credevano ad una resurrezione finale nel giorno del Giudizio). Scrisse infatti:

«Per quanto riguarda la futura risurrezione dei morti, io sono e rimango un fariseo. Per quanto riguarda la risurrezione di Gesù la domenica di Pasqua, sono stato per decenni un sadduceo. Ora, non lo sono più»295P. Lapide, The Resurrection of Jesus. A Jewish Perspective, Augsburg 1983, p. 125.

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Giovanni Battista: esistenza storica e il battesimo di Gesù

E’ realmente esistito Giovanni Battista? Era un esseno? Gesù era suo cugino? Un suo seguace? E’ vero che gli ha “preparato la strada”, come la Chiesa usa dire? E’ storicamente avvenuto il battesimo di Gesù? In questo accurato dossier storico sulla figura del Battista rispondiamo a queste e altre domande, avvalendoci dei contributi di importanti studiosi

 
 

Un dettagliato dossier storico, finora unico sul web, sulla figura di San Giovanni Battista.

Nell’indagare l’esistenza storica del Battista non si può prescindere dalla monumentale opera di John Paul Meier, docente di Nuovo Testamento presso l’Università di Notre Dame, il quale ha dedicato 438 pagine ad analizzare minuziosamente la letteratura scientifica finora pubblicata sulla storicità di tutto ciò che riguarda il Battista, una delle figure-chiave nella vita di Gesù Cristo.

Papa Francesco ha definito l’incontro tra Gesù e il Battista «un fatto storico decisivo»1Angelus, 15/01/2017.

Effettivamente, San Giovanni Battista è un personaggio molto importante nel cristianesimo, venerato da tutte le Chiese e una delle figure più rilevanti dei Vangeli: l’unico che esercitò un grande e singolare influsso sul ministero di Gesù di Nazareth, tanto da farsi battezzare da lui presso il fiume Giordano e proseguire, Gesù stesso, tale prassi battesimale.

Per queste ragioni abbiamo a lui dedicato un intero dossier storico, convinti che «non comprendere il Battista significa non comprendere Gesù, una massima confermata negli studi di recenti studiosi»2J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, p. 17.

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

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1. L’ESISTENZA STORICA DI GIOVANNI BATTISTA.

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Giovanni Battista fu un personaggio storicamente esistito?

Per rispondere a questa domanda dobbiamo innanzitutto verificare in quali fonti storiche è descritta la sua figura e quale attendibilità storica hanno i passi che lo riguardano.

 

1.1 Le fonti storiche su Giovanni Battista.

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Applicando il criterio storico della molteplice attestazione occorre subito dire che la sua figura è citata nelle fonti indipendenti di Marco, nella fonte Q (una fonte pre-cristiana utilizzata probabilmente dagli evangelisti Marco e Luca), Giovanni e forse un detto di Matteo (Mt 21,32) (è citato anche negli Atti degli Apostoli, i quali vanno considerati dipendenti dal vangelo di Luca).

Il Battista compare anche in una fonte extra-cristiana, ovvero le Antichità giudaiche3Flavio Giuseppe, Antichità giudaiche 18,5,2 & 116-119 dello storico giudeo-romano Flavio Giuseppe, il cui resoconto sul Battista è presente in tutti i manoscritti principali dell’opera4J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, pp. 31, 32 e nessuno studioso contemporaneo mette in dubbio l’autenticità del passo.

Il ritratto fornito da Flavio Giuseppe non contraddice i quattro vangeli ma risulta privo di ogni proclamazione escatologica e messianica, tuttavia risulta essere totalmente indipendente dai quattro vangeli.

Ecco come Flavio Giuseppe presenta Giovanni Battista:

«In questi giorni un uomo vagava tra i giudei vestito con abiti insoliti, poiché portava avvolte in pelli tutte le parti del corpo non ricoperte dai suoi capelli. Inoltre, a giudicare dal suo aspetto, egli sembrava proprio un selvaggio. Quest’uomo si recò dai giudei e li invitò alla libertà, dicendo: “Dio mi ha inviato per insegnarvi la via della legge, mediante la quale vi potrete liberare dal grande sforzo di provvedere a voi stessi. Nessun mortale regnerà su di voi, soltanto l’Altissimo che mi ha inviato”. All’udire questo, la gente si rallegrò; e tutta la Giudea, la regione che attornia Gerusalemme, lo seguì. Egli non fece altro che immergerli nella corrente in piena del Giordano per poi lasciarli andare, facendo loro notare che dovevano smettere di compiere opere inique e promettendo che avrebbero ricevuto un re, che li avrebbe liberati e avrebbero conquistato tutti i popoli, che non erano ancora loro sudditi, mentre nessuno di coloro dei quali stiamo parlando sarebbe stato vinto. Alcuni lo ingiuriarono, ma altri, persuasi, gli credettero. In seguito fu condotto da Archelao, presso il quale si erano riuniti uomini esperti nella legge, costoro gli chiesero chi era e dove era stato per tutto questo tempo. A questa domanda, egli rispose così: “Io sono puro, perché lo spirito di Dio è penetrato in me, e nutro con il mio corpo con canne, radici e trucioli”. Allora, colto da collera, insorse Simone, uno scriba di discendenza essena, che esclamò: “Noi leggiamo ogni giorno i libri divini. Ma tu, che sei appena uscito dai boschi come una bestia selvatica, come osi insegnare a noi e sedurre il popolo con i tuoi sermoni scandalosi?”. E si slanciò in avanti con l’intenzione di fargli del male. Ma, egli, rimproverandoli, disse: “Io non vi rivelerò il segreto che si cela dentro i vostri cuori, perché voi non lo avete voluto. Perciò una sventura inenarrabile si abbatterà su di voi e sui vostri disegni”. E dopo aver parlato così, si trasferì nell’altra parte del Giordano e, poiché nessuno osava rimproverarlo, faceva esattamente ciò che aveva fatto prima»5Flavio Giuseppe, Antichità giudaiche 18,5,2 & 116-119.

 

Come ha notato J.P. Meier, tra gli studiosi non ci sono molti dubbi sull’autenticità del brano, sia perché è letteralmente e teologicamente senza legami con il racconto su Gesù, sia perché diverge dai quattro vangeli (senza però contraddirli formalmente) nella presentazione del ministero di Giovanni e nella sua morte.

Scrive Meier: «E’ arduo immaginare che un copista cristiano abbia potuto interpolare due passi su Gesù e il Battista nel libro 18 delle “Antichità”, presentando la comparsa di quest’ultimo sulla scena dopo la morte di Gesù, senza nessun legame con lui e consacrandogli una trattazione più estesa e più encomiastica rispetto a Gesù. Non desta sorpresa, perciò, che siano pochi i critici contemporanei a mettere in dubbio l’autenticità del passo sul Battista»6J.P. Meier, Un ebreo marginale, vol. 2, Queriniana 2003, p. 34.

Il filosofo morale praticante abluzioni rituali, secondo la descrizione di Flavio Giuseppe «concorda in una certa maniera»7J.P. Meier, Un ebreo marginale, vol. 2, Queriniana 2003, p. 121 con il materiale di Luca sul Battista (Lc 3, 10-14). Le due presentazioni sono indipendenti tra loro e molto somiglianti8J. Ernst, Johannes der Täufer, De Gruyter 1989, p. 257.

 

1.2 Il criterio dell’imbarazzo applicato a Giovanni Battista.

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A favore della storicità del Battista viene utilizzato anche il criterio dell’imbarazzo, poiché Giovanni Battista è, per molte ragioni, un elemento imbarazzante per gli evangelisti.

Innanzitutto perché si trattò di un ministero autonomo ed indipendente da Gesù (anzi, addirittura precedente), che riscosse rispetto e popolarità a prescindere da Gesù, tanto da generare un gruppo religioso indipendente dal cristianesimo, i settari battisti, che, addirittura, entrò in polemica con i primi cristiani. Oltretutto, lo stesso Gesù decise di sottomettersi al Battista tramite il battesimo per il perdono dei peccati.

E’ evidente che per i primi cristiani, la figura del Battista costituiva una pietra d’inciampo: «E’ illogico che gli evangelisti (e le loro fonti prima di loro) si siano presi l’onere e la briga di creare un problema colossale per le loro teologie, inventando di sana pianta il personaggio di Giovanni il Battista. In breve, tanto i vangeli quanto Flavio Giuseppe possono essere assunti come testimoni della storicità dell’esistenza e del ministero del Battista»9J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, pp. 17-19.

 

1.3 Le certezze storiche su Giovanni Battista.

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Unendo le informazioni offerte dalle varie fonti cristiane ed extra-cristiane, indipendenti tra loro, è possibile giungere ad alcune certezze storiche relative a Giovanni Battista:

  1. Attorno al 28 d.C. in Palestina comparve un asceta ebreo di nome Giovanni, soprannominato il Battista a motivo dell’insolito rito di battezzare altri giudei basandosi sulla sua autorità, segno della loro conversione dalle iniquità del passato e della decisione di vivere una vita nuova, moralmente pura;
  2. Attirò grandi folle ma anche l’attenzione di Erode Antipa, tetrarca della Galilea, che decise di arrestarlo e giustiziarlo;
  3. L’esecuzione ebbe luogo nell’anno 30 d.C. (oppure nel 33 d.C. secondo i vangeli, nei quali Giovanni muore prima di Gesù);
  4. “Alcuni giudei” (per Flavio Giuseppe) e “i discepoli del Battista” (secondo i Vangeli) continuarono a riunirsi nel nome di Giovanni anche dopo la sua morte, e gli Atti degli Apostoli citano una progressiva rivalità tra i discepoli cristiani e quelli del Battista.

 

1.4 Le incertezze sull’infanzia di Giovanni Battista.

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Per quanto riguarda il racconto dell’infanzia del Battista, così come lo è quello di Gesù, la questione è molto complicata e, per diversi motivi, non c’è una robusta base storica.

E’ davvero arduo per gli storici risalire a dati certi sulle origini e sul retroterra di Giovanni Battista prima della sua comparsa in scena10J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, p. 39, anche se vi sono studiosi che ritengono possibile affidarsi al vangelo di Luca per delineare, pur sommariamente, notizie sulla nascita e i primi anni del Battista11C. Scobie, John the Baptisst, SCM 1964, pp. 49-59J.S. Sint, Die eschatologie des taufers, die taufergruppen und die polemik der evangelien 1964, pp. 55-56.

Joseph Ernst, professore di Nuovo Testamento all’Università di Paderborn, ritiene che i racconti dell’infanzia di Giovanni e di Gesù contenuti nel vangelo di Luca ebbero un proprio sviluppo autonomo, anche se ritiene difficile determinare come queste due unità indipendenti vennero assemblate insieme12J. Ernst, Johannes der Täufer, De Gruyter 1989, p. 116, opinione non distante dal biblista Walter Wink per il quale non si dovrebbe pensare a un racconto dell’infanzia di Gesù che imita un precedente racconto dell’infanzia del Battista o viceversa. Al contrario, «i racconti di Gesù e di Giovanni si svilupparono insieme, sin dall’inizio, come un’indissolubile unità»13W. Wink, John the Baptist, Wipf and Stock 2000, pp. 71, 72.

Uno dei pochi dati biografici sull’infanzia di Giovanni Battista che potrebbe rivendicare una certa storicità è riportato dall’evangelista Luca: Giovanni era figlio di un sacerdote che prestava servizio nel tempio di Gerusalemme.

Lo storico Joseph Ernst ha convinto14J. Ernst, Johannes der Täufer, De Gruyter 1989, pp. 269-272 molti suoi colleghi dell’attendibilità storica delle origini di Giovanni in una famiglia sacerdotale e, in quanto figlio unico, aveva l’obbligo solenne di subentrare al padre nella sua funzione e garantire, mediante matrimonio e figli, la continuità della stirpe sacerdotale.

Anche per J.P. Meier questo dato risulta plausibile, da ciò ne consegue che Giovanni Battista, ad un certo punto, possa aver rifiutato tale vocazione e gli obblighi familiari e sacerdotali, inoltrandosi nel deserto sentendosi chiamato ad operare come profeta del giudizio15J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, p. 43.

Un gesto radicale e carismatico in linea con l’azione ed il suo messaggio, almeno come vengono presentati nelle tradizioni di Marco e della fonte Q, la cui convergenza con la ipotetica rottura familiare non viene però mai sottolineata dagli evangelisti.

 

1.5 La morte di Giovanni Battista.

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Per quanto riguarda invece la prigionia e la morte del Battista, le fonti si differenziano sulla causa, ma condividono un nucleo storico.

L’evangelista Marco individua16Mc 6,17-29 // Mt 14,3-12 la causa dell’arresto di Giovanni Battista nei suoi rimproveri verso il matrimonio irregolare di Erode Antipa con Erodiade, precedentemente sposata con uno dei fratelli dello stesso Antipa.

Nel resoconto di Flavio Giuseppe tale connessione è indiretta e vengono indicati i timori politici di Antipa, preoccupato che l’influenza di Giovanni sulle masse giudaiche potesse portare ad un’insurrezione.

Le due fonti non si contraddicono ed è possibile ammettere un’armonizzazione di cause.

Ciò che rimane storicamente affidabile è che il profeta ascetico ed escatologico che ebbe un influsso importante su Gesù, andò incontro a morte violenta per mano del sovrano ebreo della Galilea, proprio nel luogo dove Gesù stava esercitando gran parte del suo ministero.

 

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2. DATAZIONE E CONTENUTO DEL MINISTERO DI GIOVANNI BATTISTA

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Ci occupiamo ora di stabilire quale sia la data maggiormente condivisa dagli studiosi dell’inizio del ministero di Giovanni Battista e quale fosse il suo contenuto e il suo messaggio.

 

2.1 La datazione dell’inizio del ministero di Giovanni Battista.

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Il riferimento che si può utilizzare per datare l’inizio del ministero del Battista è il vangelo di Luca, che indica in modo preciso il quindicesimo anno di Tiberio (Lc 3,1-6), quindi un qualunque anno tra il 26 e il 29 d.C.

Luca è coerente con tutti i principali storici romani -Tacito, Svetonio e Dione Cassio- che iniziano a contare gli anni dal governo di Tiberio dal 14 d.C., anno della morte di Augusto.

Ma quale calendario utilizzò Luca? Quello giuliano, quello lunare giudaico, quello siromacedone o quello egiziano?

Tenendo conto che l’evangelista scrive per un uditorio colto greco-romano, impersonato “dall’illustre Teofilo” (Lc 1,3 e At 1,1), secondo Meier «sembra improbabile che abbia utilizzato un calendario giudaico o egiziano»17J.P. Meier, Un ebreo marginale, volume 1, Queriniana 2006, p. 376. Potrebbe invece aver utilizzato il calendario giuliano o quello siromacedone, infatti per entrambi il quindicesimo anno di Tiberio cade al 28 d.C..

In generale, infatti, gli studiosi che se ne sono occupati18U. Holzmeister in Chronologia vitae Christi, 1933G. Ogg, Chronology of the New Testament, 1940J. Blinzler, Der Prozess Jesu, 1960 considerano questa data in modo convenzionale come l’inizio del ministero del Battista, anche se non vi è certezza definitiva. L’errore sarebbe, in ogni caso, piccolo poiché le altre possibilità sarebbero il 27 o il 29 d.C. (ad esempio il biblista Harold Hoehner avvalora il 29 d.C.19H.W. Hoehner in Chronological Aspects of the Life of Christ, 1977).

La posizione più condivisa dagli studiosi rimane il 28 d.C. E’ in questa data che iniziò il ministero di Giovanni Battista.

 

2.2 Il contenuto del ministero di Giovanni Battista.

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Essendo questo un dossier di analisi storica non ci soffermiamo troppo sul contenuto del ministero del Battista, in quanto non incide particolarmente sui nostri obbiettivi.

Potremmo riassumere il ritratto del Battista che emerge dalle fonti storiche20J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, p. 17 descrivendolo come un profeta ebreo del I secolo che proclama un messaggio escatologico venato da tratti apocalittici.

Giovanni prefigurò un imminente e terribile giudizio su Israele dal quale ogni peccatore avrebbe potuto scampare solo con un pentimento interiore, una concreta conversione della vita esteriore e mediante l’accoglienza di un battesimo amministrato da lui stesso.

E’ arduo capire cosa Giovanni si aspettasse nel prossimo futuro attraverso questo giudizio e questa salvezza. Egli parlò della venuta di un personaggio a lui superiore, di «uno più forte», che avrebbe battezzato con lo Spirito Santo, a differenza del mero rituale d’acqua da lui eseguito. Il linguaggio vago utilizzato lascia misteriosa tale figura e probabilmente «la profezia di Giovanni restava oscura persino a lui stesso»21J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, p. 18.

Certamente il suo messaggio ebbe un impatto non indifferente sui giudei del suo tempo, come d’altra parte segnala anche Flavio Giuseppe. Non a caso il tetrarca di Galilea, Erode Antipa, pensò di ucciderlo per evitare che la sua influenza portasse a una rivolta popolare.

 

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3. GIOVANNI BATTISTA ERA CUGINO DI GESU’?

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La questione della possibile parentela tra Gesù di Nazareth e Giovanni Battista richiede l’interrogazione dei racconti dell’infanzia di Gesù, nei quali i due sono effettivamente presentati come cugini.

L’evangelista Luca, infatti, accenna ad una parentela tra Maria, madre di Gesù, ed Elisabetta, madre di Giovanni Battista utilizzando un termine molto vago: synghenìs (Lc 1,36).

Per problematiche impossibili da affrontare in questo contesto, tali racconti non hanno la stessa autorevolezza storica di quelli riguardanti il Gesù adulto e non possono essere pienamente accettati come storicamente affidabili.

Volendo comunque rispondere al quesito se siano stati cugini, J.P. Meier osserva che «è una conclusione logica del racconto lucano che Luca stesso non trae mai»22J.P. Meier, Un ebreo marginale, volume 1, Queriniana 2006, p. 211.

Nessun altro evangelista accenna mai alla parentela tra i due e in alcun passo del Nuovo Testamento si sostiene che l’uno fosse cugino dell’altro.

 

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4. GIOVANNI BATTISTA ERA UN ESSENO DI QUMRAN?.

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A partire dalla scoperta dei rotoli del Mar Morto, parecchi studiosi avvallano la tesi che Giovanni Battista potesse essere stato educato a Qumran fin dalla giovinezza23A. Geyser, The Youth of John the Baptist, Novum Testamentum 1956, pp. 70-75J. Robinson, The Baptism of John and the Qumran Community, The Harvard Theological Review 1957, pp. 11-27.

 

4.1 Differenze e somiglianze tra gli esseni e Giovanni Battista.

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James H. Charlesworth, professore di New Testament Language al Princeton Theological Seminary ritiene plausibile24J.C. Charlesworth, John the Baptizer and the Dead Sea Scrolls, Baylor University Press 2006, pp. 1-35 sostenere che Giovanni Battista abbia avuto contatti con la comunità essena di Qumran basandosi sulla comunanza della vita ascetica, il rifiuto di stili di vita ordinari, la forma di sacerdozio, la comunanza con il deserto di Giuda in cui operavano, l’utilizzo di riti di purificazione interiore e il presentimento dell’imminente arrivo definitivo di Dio nella storia

Tuttavia, scrive Charlesworth, «ci sono anche importanti differenze che collidono con l’assunzione che il Battista fosse un membro attivo della comunità di Qumran»25J.C. Charlesworth, John the Baptizer and the Dead Sea Scrolls, Baylor University Press 2006, pp. 1-35.

Eccone alcune: (1) Giovanni esortava Israele a pentirsi e aveva un progetto missionario mentre la comunità di Qumran era più interiormente concentrata alla predestinazione di essere i “Figli della Luce”; (2) i membri di Qumrna svilupparono termini unici per descrivere la loro fede che gli autori del Nuovo Testamento mai attribuiscono a Giovanni; (3) i “bagni rituali” che praticavano a Qumran erano differenti dal battesimo nel fiume di Giovanni.

Anche per il biblista J.P. Meier questa ipotesi non è affatto impossibile, tuttavia lo ritiene un «ritratto romantico»26J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, p. 18 e pensa sia doveroso sottolineare diverse differenze significative tra Qumran e Giovanni.

Innanzitutto, spiega l’eminente studioso, «Giovanni non pratica le frequenti lustrazioni dei membri di Qumran, ma un battesimo irripetibile che amministra personalmente. La sua stessa persona è intimamente identificata con quest’unico genere di lavacro rituale al punto che solo lui, tra i molti giudei del suo tempo che praticavano riti di purificazione, viene denominato “il Battista”»27J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, pp. 45,46.

Mentre a Qumran, ad esempio, chi doveva purificarsi si lavava da sé, Giovanni si riservava invece il ruolo centrale e insolito di immergere i candidati (baptistés significa infatti «colui che tuffa», «colui che immerge»). Diversamente da Qumran e dal giudaismo in generale (il battesimo dei proseliti, ad esempio), altrettanto raro era che il battesimo di Giovanni fosse amministrato una volta sola28J. Gnilka, Die essenische Tauchbilder, Revue de Qumrân 1961, p. 199, rivelando indubbiamente un più esplicito carattere escatologico.

Il prof. Hartmut Stegemann ha osservato che «fino al momento dell’entrata in scena di Giovanni, non era mai accaduto né nel giudaismo né nel mondo circostante che qualcuno avesse battezzato altre persone»29H. Stegemann, Gli esseni, Qumran, Giovanni Battista e Gesù. Una monografia, EDB 1996, p. 313. Anche il biblista italiano Giuseppe Barbaglio sottolinea lo stesso punto: «Tra i movimenti giudaici di rinnovamento e spiritualità battista del tempo l’originalità di Giovanni è indubbia»30G. Barbaglio, Gesù ebreo di Galilea, EDB 2002, p. 195.

Queste e altre ragioni portano a concludere che Giovanni abbia amministrato un tipo di battesimo «unico tra i rituali lustrali dell’epoca»31J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol.2, Queriniana 2003, p. 106.

Inoltre, ancor più eloquente è il fatto che «mentre Qumran è celebre per la sua interpretazione ed osservanza oltremodo rigorosa della legge mosaica, sino al punto di considerare lassisti perfino i farisei, i detti e le azioni di Giovanni conservati nei vangeli e in Flavio Giuseppe non lasciano trasparire la benché minima preoccupazione per minuziose questioni legali»32J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, pp. 45,46.

Occorre infine considerare che Flavio Giuseppe narra anche di Banno, un eremita che viveva nel deserto in modo simile a Giovanni Battista e ai membri della comunità di Qumran. Tuttavia, nota Joseph Thomas, «Flavio Giuseppe non sembra sospettare nessun rapporto tra Banno, il Battista e gli esseni (e parla di tutti e tre)»33J. Thomas, Le Mouvement baptiste a Palestine et Syrie , Gembloux 1935, pp. 435, 436.

E’ evidente che nella regione del Giordano del I secolo a.C. – I secolo d.C. sia esistito un movimento giudaico di ebrei marginali, penitenti e battezzatori per cui, «anche se non è impossibile che Giovanni fosse “educato” a Qumran, questa ipotesi ha forse una veduta troppo ristretta di un fenomeno religioso molto più ampio, di cui Giovanni, Banno e Qumran furono singoli esempi»34J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol.2, Queriniana 2003, p. 48.

 

4.2 Una rassegna delle opinioni di vari studiosi.

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Per tali ragioni alcuni studiosi concludono che Giovani Battista possa aver vissuto a Qumran (e addirittura essere stato un novizio esseno) almeno in una fase precoce della sua vita, ma abbia poi lasciato la comunità per una varietà di possibili motivazioni35J. Stenmann, Saint Jean Baptiste, Seuil 1955, p. 60J. Robinson, The Baptism of John and the Qumran Community, The Harvard Theological Review 1957, pp. 13-18.

Altri storici lo ritengono semplicemente un «parto di fantasia»36R. Brown, Birth of Messiah, Yale University Press 1999, p. 376, mentre c’è chi mantiene un’apertura a tale possibilità in quanto «ipotesi plausibile, che non si può provare, né invalidare»37J. Fitzmyer, The Gospel according to Luke, Doubleday 1995, p. 389J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, p. 46.

Infine, una parte di studiosi, respinge totalmente l’idea. Il teologo tedesco Hartmut Stegemann, ad esempio, ha concluso: «Giovanni Battista non è stato né un esseno né un discepolo spirituale degli esseni»38H. Stegemann, Gli esseni, Qumran, Giovanni Battista e Gesù. Una monografia, EDB 1996, p. 323.

 

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5. GESU’ E’ STATO UN DISCEPOLO DI GIOVANNI BATTISTA?

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Se Gesù di Nazareth decise ad un certo punto della sua vita di farsi battezzare da Giovanni, evidentemente ne conosceva e ne condivideva, in qualche modo, il messaggio escatologico.

Si potrebbe dire che Gesù riconobbe l’autorità carismatica di Giovanni come un o il profeta escatologico.

Il battesimo significò, come minimo, uno spartiacque fondamentale nella sua vita. Prima di allora, secondo le fonti, Gesù era un rispettabile e inosservato carpentiere di Nazareth e nulla faceva presagire o palesare la sua decisione di dedicarsi totalmente, e in maniera non “religiosamente ufficiale”, al suo ministero39J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, pp. 142, 143.

Gli studiosi sono divisi sul fatto se Gesù, dopo il battesimo, sia rimasto nel circolo dei discepoli del Battista e se diventò un suo discepolo nel senso più stretto, cioè osservando la sua spiritualità ascetica, il celibato ed il digiuno.

Se Jurgen Becker40J. Becker, Johannes der Täufer und Jesus von Nazareth, Neukirchen-Vluyn 1972, p. 16 e P. W. Hollenbach41P. Hollenbach, The Conversion of Jesus, p. 304 sostengono vigorosamente la tesi che Gesù fu uno stretto discepolo del Battista, Joachim Gnilka respinge tale idea42J. Gnilka, Die essenische Tauchbilder, Revue de Qumrân 1961, mentre Joseph Ernst43J. Ernst, Johannes der Täufer, De Gruyter 1989, pp. 338-339 e J.P. Meier44J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, pp. 157, 158 pongono delle riserve piuttosto equilibrate.

Quest’ultimo, in particolare, osserva ironicamente che «l’unica prova, comunque indiretta» di un “tirocinio” di Gesù alla scuola del Battista, «proviene dal fin troppo diffamato quarto vangelo», quello di Giovanni, «che solitamente viene accantonato come inaffidabile per la ricostruzione del Gesù storico. In quest’unico caso, parecchi studiosi sono spinti a dire, almeno “sotto voce”, che il quarto vangelo ha ragione»45J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, p. 158.

Tra questi anche il biblista Giuseppe Barbaglio, non certo favorevole verso l’opera dell’evangelista Giovanni: «Si può dunque ritenere che il Quarto Vangelo faccia riferimento a un’indipendente e solida tradizione: Gesù è stato anche lui un “battista”»46G. Barbaglio, Gesù ebreo di Galilea, EDB 2002, p. 201.

A sostegno del discepolato di Gesù nei confronti del Battista si chiama solitamente in causa, ancora una volta, anche il criterio dell’imbarazzo.

Come già detto, i primi cristiani e l’evangelista Giovanni ebbero come “avversari” i settari battisti, cioè coloro che per tutto il I secolo d.C. continuarono a venerare il Battista, anziché Gesù, come fosse il messia.

Questo spiega il tentativo da parte dell’evangelista del quarto vangelo di “sgonfiare” l’importanza del Battista, subordinandolo a Gesù: l’atto più eclatante (lo vedremo più sotto) è non citare il battesimo che Gesù si fece amministrare da Giovanni. Eppure, in ogni caso, l’evangelista fa apparire Gesù proprio laddove il Battista sta predicando, quindi indirettamente lo indica come suo discepolo. Assieme a Gesù sono presenti Andrea, Filippo (e probabilmente anche Pietro e Natanaele47J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, p. 162).

I tre sinottici spiegano chiaramente che il motivo per cui Andrea e gli altri si imbatterono in Gesù di Nazareth fu che quest’ultimo, come loro e altri futuri discepoli, era stato battezzato dal loro comune maestro o comunque era rimasto nell’orbita del Battista abbastanza a lungo perché potessero conoscerlo e rimanere impressionati da lui. Anche «le più antiche tradizioni soggiacenti a Gv 1,28-45 «lasciano intendere che Gesù rimase per un certo tempo nel circolo dei discepoli del Battista dopo il suo battesimo»48J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, p. 163.

Inoltre, il quarto vangelo presenta Gesù che comincia a battezzare lui stesso, secondo una modalità molto simile a quella del Battista, il che apre comunque al rischio di una strumentalizzazione da parte della setta dei Battisti (Gesù come imitatore o controfigura del Battista). Per questo, spiega J.P. Meier, «il motivo principale per cui il ritratto di Gesù battezzatore viene incluso nel quarto vangelo può essere il fatto che era così profondamente radicato nella tradizione giovannea e così ampiamente noto agli adepti come agli avversari, che non era possibile eliminarlo»49J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, p. 167.

Questi argomenti indicano che è più storicamente plausibile sostenere che Gesù rimase con Giovanni Battista per qualche tempo come discepolo, per poi allontanarsi assieme ad altri discepoli ed avviare un magistero proprio mantenendo il rito del battesimo, piuttosto che tutto ciò sia stato inventato dal quarto evangelista, in modo controproducente, o dalla tradizione a lui anteriore50J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, p. 168.

 

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6. GESU’ COPIO’ GIOVANNI BATTISTA?

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Esistono molte somiglianze tra il ministero di Gesù e quello del Battista, tali da indurre qualche studioso a sostenere che Gesù di Nazareth, di fatto, copiò l’insegnamento del suo ex-maestro e, per qualche ragione, ebbe soltanto più fortuna e popolarità.

 

4.1 Somiglianze tra Giovanni Battista e Gesù di Nazareth.

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La prima cosa da notare è che Gesù conobbe, presumibilmente in maniera diretta, l’essenza del messaggio escatologico di Giovanni e, in qualche modo, concordava con esso. Addirittura nella tradizione marciana (Mc 11, 27-33) Gesù sostenne in qualche modo che il messaggio e il battesimo di Giovanni erano divinamente inspirati.

Lo stesso Gesù, d’altra parte, all’inizio del suo ministero proclamò un messaggio escatologico simile a quello del Battista, concernente la fine della storia così come Israele l’aveva conosciuta sino ad allora. Invocò un cambiamento radicale di cuore e di vita, prospettò gravi conseguenze a chi non avesse accolto il messaggio, radunò attorno a sé dei discepoli con cui condivise la vita e li battezzò con acqua («che Gesù effettivamente battezzò è con molta verosimiglianza un fatto storico»51J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, p. 163). Inoltre visse un ministero itinerante nel quale incluse il celibato.

Tutto ciò rispecchiò la vita, la predicazione e la prassi di Giovanni Battista.

Un altro aspetto in comune tra i due è che entrambi, almeno agli inizi del 28 d.C., imperniarono la loro vita religiosa su un nuovo rito (il battesimo, per l’appunto) che mancava dell’approvazione della tradizione e delle autorità religiose dell’epoca. Ciò, di fatto, «metteva implicitamente in discussione l’efficacia del culto praticato allora nel tempio e nella sinagoga»52J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, p. 145.

 

4.1 Differenze tra Giovanni Battista e Gesù di Nazareth.

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Nonostante quanto detto finora, immediatamente o qualche tempo dopo, Gesù introdusse notevoli ed inediti mutamenti rispetto al messaggio di Giovanni Battista.

Il biblista J.P. Meier ne elenca alcuni53J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, p. 170:

  1. Invece di esortare il popolo ad accorrere nel deserto per incontrarlo, è Gesù che prende l’iniziativa, girando la Galilea e la Giudea e trascorrendo del tempo sia in villaggi come Cafarnao sia in Gerusalemme;
  2. Il suo messaggio si trasforma in un annuncio molto più gioioso di offerta e di esperienza della salvezza nel presente, anche se non tralascia affatto di ricordare il compimento futuro, insieme ad una possibile futura rovina;
  3. Dietro di sé lascia abbondanti guarigioni, esorcismi e notizie di altri miracoli;
  4. La sua consapevole apertura ai “peccatori” suscita sconcerto e le sue idee su aspetti della legge mosaica scritta, delle tradizioni orali e del tempio di Gerusalemme lo coinvolgono in controversie e conflitti con vari gruppi influenti all’interno del giudaismo palestinese;
  5. Lo stile di vita ascetico di Giovanni è in netto contrasto con quello di Gesù che mangia e beve, simbolo del gioioso banchetto cui tutti erano invitati nel regno di Dio;

 

Riteniamo interessante l’osservazione di Meier quando scrive: «Non v’è nessun indizio che Giovanni si prendesse la briga di ricercare questi ebrei marginali […], erano i giudei peccatori e pertanto marginali a recarsi dall’asceta e altrettanto marginale Giovanni, e non viceversa», mentre «Gesù cercava deliberatamente di raggiungere tutto Israele, soprattutto quei gruppi marginali come gli esattori delle tasse, prostitute e peccatori in generale»54J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, p. 259.

Concentrandoci sul punto 3), invece, né Flavio Giuseppe, né le varie fonti sinottiche e neppure il quarto vangelo registrano qualche tradizione su un Giovanni taumaturgo che opera miracoli. Al contrario, una delle prime qualifiche con cui Flavio Giuseppe presenta Gesù è paradoxon ergon poietes (“operatore di fatti sorprendenti”). Lo storico ebreo utilizza tale presentazione anche per Eliseo, confermando il significato di miracoli operati da un profeta.

Addirittura è lo stesso Gesù, rispondendo alla domanda di Giovanni Battista: “Sei tu colui che viene?”, a focalizzarsi sui motivi precisi per i quali il suo ministero diverge fortemente da quello di Giovanni, «e addirittura lo trascende»55J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, p. 187.

Ecco le parole di Gesù: «Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete: i ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l’udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella, e beato colui che non si scandalizza di me» (Mt 11,2-6).

Tale risposta (contenuta nella fonte precristiana Q), spiega J.P. Meier, rivela una certa sicurezza da parte di Gesù, tanto che «osa insinuare che il suo nuovo modo di predicare ed agire interpella non soltanto Israele in generale, non soltanto i discepoli di Giovanni in particolare, ma addirittura lo stesso Giovanni»56J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, pp. 194, 229.

Se Gesù non è un apostata rispetto alla fede di Giovanni, non è neppure un semplice discepolo o successore di Giovanni, che porta fedelmente a termine il programma del maestro. Infatti, la tradizione più primitiva di Q «presenta un Gesù che vede se stesso come apportatore di una situazione escatologica qualitativamente differente da quella proclamata o realizzata dal Battista»57J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, pp. 194, 229.

Un’altra grande novità introdotta da Gesù è la buona notizia della signoria regale di Dio, già potentemente all’opera nelle sue guarigioni e negli esorcismi che compiva, così come nella sua accoglienza e nella sua amichevole condivisione della mensa estesa a peccatori e a esattori delle tasse.

Questo lo riteniamo un aspetto radicale introdotto da Gesù. I suoi miracoli, la sua proclamazione della buona notizia ai poveri, la sua amicizia verso persone religiosamente emarginate «attestano e in una certa misura attuano l’avvento definitivo di Dio in potenza per salvare il suo popolo Israele: in altre parole, il regno di Dio. E’ questo nuovo stato di cose che Gesù chiede a Giovanni di accettare nella beatitudine espressa in Mt 11,6»58J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, p. 230.

Al contrario, Giovanni Battista non fece mai di se stesso l’oggetto principale del suo annuncio. Il suo messaggio si incentrava sul giudizio imminente, sulla conversione, sulla venuta di uno «più forte» di lui e l’inferiorità del (suo) battesimo con acqua rispetto al battesimo in Spirito Santo amministrato da colui che sarebbe venuto59J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, p. 111.

Il cuore del messaggio di Gesù, invece, è il Regno di Dio –totalmente assente in Giovanni Battista- che entra nella storia per giudicare e salvare e lo fa -sempre secondo l’inedito annuncio di Gesù- mediante il ministero stesso di Gesù. Si potrebbe dire che con Gesù di Nazareth compare una pretesa divina fino all’ora sconosciuta.

Come sottolinea J.P. Meier, «vi fu un mutamento nel messaggio fondamentale. Partendo dall’ardente accentuazione del Battista sul pentimento di fronte alla rovina imminente, Gesù, pur non abbandonando completamente l’esortazione e l’escatologia di Giovanni, spostò l’accento sulla gioia della salvezza che i pentiti potevano sperimentare proprio nel momento in cui accoglievano la proclamazione che Gesù faceva del regno di Dio in qualche modo già presente, ma tuttavia futuro»60J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, p. 260.

Considerando tutto ciò, è evidente, conclude il biblista americano, che «vi fu un determinato discostarsi da alcune delle idee e pratiche di Giovanni, un indubbio commiato spirituale, ma l’idea di una rottura ostile e totale evocata da parole come defezione o apostasia manca di solide basi»61J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, p. 170.

 

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7. LA STORICITA’ DEL BATTESIMO DI GESU’.

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Ogni ricostruzione della vita del Gesù storico inizia dal suo battesimo poiché gli studiosi non reputano facilmente dimostrabili i racconti dell’infanzia.

 

7.1 Argomenti contrari alla storicità del battesimo di Gesù.

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L’unica fonte indipendente a tramandarci il racconto del battesimo di Gesù per mano di Giovanni Battista, tuttavia, è solo il vangelo di Marco (Matteo e Luca dipendono, in questo caso, da Marco62J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, p. 128), nel quale trova spazio anche una forte teofania (l’aprirsi dei cieli, la colomba che discende, la voce di Dio ecc.) che complica non poco il lavoro rigoroso e distaccato dello storico.

Il criterio della molteplice attestazione, quindi, non è apparentemente applicabile, poiché nemmeno Flavio Giuseppe menziona alcun contatto tra Giovanni e Gesù.

L’ingombrante interpretazione teologica dell’evento (all’avvenimento del battesimo in sé viene riservata una sola frase, per intenderci) da parte dell’evangelista e l’inapplicabilità del criterio storico della molteplice attestazione hanno portato alcuni studiosi -tra i quali spiccano Enrst Haenchen63E. Haenchen, Der Weg Jesu, De Gruyer 1968, pp. 60-63 e l’americano Morton S. Enslin64M.S. Enslin, John and Jesus, ZNW 66 1975, pp. 1-18– a ritenere che l’episodio fosse un’invenzione della chiesa primitiva e che venne retroproiettato all’inizio della vita pubblica di Gesù.

Entrambe le tesi tuttavia presentano ampie lacune.

Secondo J.P. Meier65J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, p. 125, il teologo protestante Haenchen confonde troppo disinvoltamente due distinte questioni: quella dell’origine storica del racconto della teofania dopo il battesimo e quella della storicità del battesimo in sé. In generale, inoltre, non si avvale di una documentazione adeguata per giungere alla sua conclusione.

Enslin, invece, oltre ad avvalorare le controverse biografie liberali e psicologizzanti di Gesù di inizio ‘900 (quella di Albert Schweitzer, ad esempio) pecca anche nel mostrare «una notevole mancanza di comprensione della teologia redazionale di Matteo», nonché la difficoltà a «trattare adeguatamente problemi di tradizione e di redazione»66J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, p. 125. Questo lo portò perfino a sostenere che la tradizione primitiva negherebbe che Gesù in persona battezzasse e che Gesù e Giovanni, in realtà, non si incontrarono mai.

Se davvero fu la chiesa primitiva a inventare il battesimo di Gesù tramite il Battista, inoltre, non si capisce perché i primi cristiani non si limitarono a trasformare Giovanni in un precursore, profeta e testimone di Cristo ma subordinarono Gesù a Giovanni, presentando il primo che si sottopone volontariamente a un battesimo di conversione per la remissione dei peccati ricevuto dalle mani del secondo.

 

7.2 Argomenti favorevoli alla storicità del battesimo di Gesù.

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Vi sono, al contrario vari e validi argomenti a favore della storicità del battesimo di Gesù.

1) Innanzitutto, ancora una volta è importante il criterio storico dell’imbarazzo.

Per quale motivo la comunità cristiana primitiva avrebbe dovuto inventarsi un racconto che poteva crearle soltanto enormi difficoltà? Come già detto, Gesù appare in una situazione di inferiorità rispetto al Battista.

Ecco come J.P. Meier illustra l’imbarazzante situazione per i primi cristiani:

«L’idea che Gesù, considerato dai primi cristiani senza peccato e fonte del perdono dei peccati per l’umanità, potesse essere associato con dei peccatori sottoponendosi ad un battesimo di conversione per il perdono dei peccati è difficilmente una invenzione della chiesa, a meno che la chiesa si divertisse a moltiplicare le difficoltà per se stessa»67J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, p. 126.

 

L'”imbarazzo” più appariscente è quello dell’evangelista Giovanni, il quale -come già detto- elimina completamente il racconto del battesimo di Gesù dal suo vangelo.

Di questo argomento ne ha parlato anche il biblista Giuseppe Barbaglio: «La storicità del fatto risulta dall’imbarazzo che causava alle prime generazioni cristiane […]. Non se lo sono certo inventato; ne hanno invece trasmesso fedelmente memoria»68G. Barbaglio, Gesù ebreo di Galilea, EDB 2002, p. 197.

 

2) La “soppressione” da parte del quarto vangelo del battesimo di Gesù può comunque essere utile per usufruire del criterio della molteplice attestazione.

Il quarto evangelista si riferisce al Battista solo con il nome di Giovanni, ricorda la sua attività di battezzare varie volte (Gv 1, 25, 28, 31, 33; 3, 23) e lo presenta come una figura preminente nella sua narrazione. Tuttavia non menziona mai un battesimo da lui conferito a Gesù.

Tuttavia, il biblista americano J.P. Meier è convinto che «vi sono buoni motivi di ritenere che il quarto vangelo abbia intenzionalmente soppresso un avvenimento che esisteva nella tradizione del suo vangelo, un avvenimento che però poteva essere strumentalizzato da un gruppo rivale, dalla setta dei battisti della sua epoca»69J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, p. 131.

Vi sono infatti tracce rivelatrici di questo nella Prima lettera di Giovanni, scritta da un cristiano del circolo giovanneo in una data poco più tardiva del quarto vangelo. L’autore polemizza con un gruppo di gnosticizzanti separatosi dalla comunità giovannea e, ad un certo punto, dopo aver affermato l’identità del Gesù umano e terreno con il Figlio di Dio inviato dal Padre, scrive: «Questi è colui che è venuto con acqua e sangue, Gesù Cristo; non con acqua soltanto, ma con l’acqua e il sangue» (1 Gv 5,6).

L’espressione è piuttosto criptica e probabilmente «non si riferisce al sangue e all’acqua fluiti dal costato di Gesù dopo la sua morte in croce. La sequenza delle parole è diversa (nel vangelo “sangue e acqua”, nella lettera “acqua e sangue”)», commenta Meier.

«A mio parere», aggiunge, «1 Gv 5,6 sottolinea la dimensione pienamente umana di Gesù nel corso del suo ministero terreno, dando rilievo (in stile genuinamente semitico) ai due poli estremi del suo ministero, che sono anche gli esempi estremi della piena umanità di Gesù: il suo battesimo ad opera di Giovanni nella solidarietà con gli esseri umani peccatori, nonché il suo sangue nella morte cruenta sulla croce. […] Tutto questo presuppone ciò che il quarto vangelo ha soppresso e ciò cui la prima lettera allude solo con cautela: il fatto che Gesù fu battezzato»70J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, pp. 133, 134.

Se la convincente congettura di J.P. Meier è corretta (e non è l’unico a sostenerla71I. Marshall, The Epistles of John, Eerdmans 1978, pp. 231-233, vi sono quindi alcune basi per asserire la storicità del battesimo di Gesù anche grazie all’attestazione di più tradizioni neotestamentarie e indipendenti tra loro: Marco, la tradizione giovannea e la fonte Q (una trattazione di quest’ultima è molto lunga e complessa ma difesa da differenti studiosi72J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, pp. 128-130H. Schurmann, Das Lukasevangelium, Herder Verlag GmbH 1970, pp. 197, 218W.D. Davies, D.C. Allison, The Gospel According to Saint Matthew, Clark 1988, p. 329A. Suhl, Die Funktion der alttestamentlichen. Zitate und Anspielungen im Markusevangelium, Gütersloher Verlagshaus G. Mohn 1965, pp. 997W. Grundmann, Das Evangelium Nach Lukas, Evangelische Verlagsanstalt 1974, pp. 106, 107).

 

7.3 Conclusioni sulla storicità del battesimo di Gesù.

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A favore della storicità del battesimo di Gesù da parte di Giovanni si situano il criterio dell’imbarazzo, il criterio della molteplice attestazione e l’incapacità dei critici di sollevare argomenti contrari decisivi.

Per questo, conclude J.P. Meier, possiamo tranquillamente «assumere il battesimo di Gesù per mano di Giovanni come il solido punto di partenza per qualsiasi studio del ministero pubblico di Gesù»73J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, pp. 136. Anzi, «il fatto che Gesù venne battezzato da Giovanni è uno degli avvenimenti storicamente più certi, comprovabile da qualsiasi ricostruzione del Gesù storico»74J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, pp. 178.

La posizione dell’eminente biblista statunitense è sostenuta in generale dalla comunità scientifica. Perfino Rudolf Bultmann75R. Bultmann, Jesus and the Word, Scribner 1980, pp. 110-111 e parecchi post-bultmanniani ne fuono convinti.

Ad esempio, lo studioso luterano Ernst Kasemann scrisse: «Il battesimo di Gesù da parte di Giovanni appartiene agli accadimenti fondamentali della vita del Gesù storico»76E. Kasemann, On the Subject of Primitive Christian Apocalyptic, SCM 1969, pp. 108-137. Addirittura il professore di Nuovo Testamento all’Università di Heidelberg, il “bultmanniano” Gunther Bornkamm, commentò: «Il suo [di Gesù, nda] battesimo per mano di Giovanni è uno degli avvenimenti più sicuramente verificati della sua vita»77G. Bornkamm, Jesus of Nazareth, Harper&Row 1960, p. 54, seguito dal grande scettico Herbert Braun: «Di sicuro Gesù fu battezzato da Giovanni Battista, questo è molto probabilmente storico»78H. Braun, Jesus of Nazareth. The man and His Time, Fortress 1979, p. 55.

 

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8. GIOVANNI BATTISTA PREPARO’ LA STRADA A GESU’?.

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La figura di Giovanni Battista come tradizionalmente intesa è descritta come un profeta escatologico che riconobbe in Gesù il Messia che stava annunciando, verso il quale sentì il compito di preparare la strada.

Analizzando storicamente e criticamente il Nuovo Testamento, tuttavia, le cose non sono così lapalissiane.

Innanzitutto Giovanni Battista chiarisce fin da subito ai suoi discepoli di non essere lui il messia (Gv 1, 20). Evidentemente non si considerò mai così sufficientemente potente per adempiere il compito escatologico che Dio aveva iniziato per mezzo suo.

Per capire cosa davvero pensasse Giovanni Battista bisognerebbe avvalersi del documento Q, ovvero la tradizione comune tra Matteo e Luca, il quale è per il biblista Jürgen Becker «il materiale chiaramente più attendibile e caratteristico»79J. Becker, Johannes der Täufer und Jesus von Nazareth, Neukirchen-Vluyn 1972, p. 16 su di lui.

Anche Meier concorda sul fatto che «il criterio di discontinuità, così come a volte, la conferma da parte di Marco, Giovanni e Flavio Giuseppe, rendono abbastanza attendibile il nucleo della tradizione Q sul Battista»80J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, p. 50.

Quel che traspare è che l’annuncio di Giovanni Battista (cfr. Mt 3,7-10) è privo di qualunque caratteristica specificatamente cristiana, privo di riferimenti a Gesù o di un mediatore umano nel giudizio finale di Dio. Tuttavia, nella successiva pericope di Mt 3,11-12 (presente nella fonte Q, in quanto condivisa da Lc 3,16-18), «si affaccia la possibilità di qualche mediatore ulteriore di salvezza oltre a Giovanni»81J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, p. 62.

Il Battista, infatti, introduce improvvisamente questa affermazione: «Io vi battezzo con acqua per la conversione; ma viene dopo di me uno che è più forte di me e io non son degno neanche di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito santo e fuoco. Egli ha in mano il ventilabro, pulirà la sua aia e raccoglierà il suo grano nel granaio, ma brucerà la pula con un fuoco inestinguibile».

 

8.1 Chi era il messia per Giovanni Battista?

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A chi si sta riferendo Giovanni Battista con il loghion sul “più forte di me”?

Innanzitutto chiariamo che l’autenticità storica di tale passo è sicura. Tra i principali argomenti la rara sovrapposizione di Marco/Q/Atti/Giovanni (Mc 1,7-8; At 13,25 e Gv 1,26-27). In secondo luogo, la non diretta cristologia della frase e l’indeterminatezza della profezia di Giovanni depone contro un’ipotetica invenzione posteriore del cristianesimo primitivo.

Alcuni esegeti82J. Hughes, John the Baptist, Novum Testamentum 1972, p. 195J. Ernst, Johannes der Täufer, De Gruyter 1989, pp. 305, 309, data l’assenza di ulteriori delucidazioni, hanno concluso che “il più forte” non può essere altro che Dio, già descritto in Q con l’immagine del rude contadino che taglia l’albero cattivo e lo scaglia nel fuoco.

Tale interpretazione, tuttavia, ha diversi punti deboli.

Il Battista si riferisce a qualcuno che è “più forte di me”, un’ovvietà se si riferisse davvero a Dio. Chi penserebbe diversamente? Alludere in questo modo a Yahweh, dopo averlo citato direttamente pochi versetti prima, è piuttosto illogico.

Ancor di più con la metafora di non poter “portargli i sandali” (o sciogliere i lacci dei sandali, secondo altre traduzioni). «Si tratta di una maniera incredibilmente contorta di proclamare una verità talmente lapalissiana come quella che Dio è superiore a Giovanni»83J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, p. 67, osserva Meier.

Vari esegeti moderni suggeriscono che il riferimento è ad Elia, al Figlio dell’Uomo apocalittico, ad un’altra figura messianica, a figure celesti come il sacerdote Melchisedek. Ma nessuno è mai riuscito a portare argomenti totalmente convincenti.

Molti danno per scontato che Giovanni attendesse Gesù stesso, ma le sue parole isolate dalla cornice globale degli evangelisti non comportano in sé un riferimento cristologico così chiaro.

Il vangelo di Marco non offre alcun indizio sul fatto che Giovanni riconobbe in Gesù “colui che viene”, mentre il documento Q lascia intuire che Giovanni ebbe, in realtà, interrogativi sulla persona di Gesù e sul suo ministero (Mt 11,2-3 // Lc 7, 18-19).

La soluzione più logica sembra essere che l’indeterminatezza espressa da Giovanni potesse essere intenzionale, poiché nemmeno lui aveva una chiara idea di chi fosse l’emissario da parte di Dio che avrebbe portato a termine il dramma escatologico84J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, p. 68.

Lo stesso Battista, come già detto, si interrogò seriamente se Gesù fosse l’oggetto della sua predicazione. Inviò infatti i suoi discepoli da Gesù stesse per interrogarlo «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?» (Mt 11,2-6) Gesù rispose affermativamente.

L’esatta formulazione è ho erchòmenos, cioè colui il cui avvento era stato profetizzato. La frase ricorda fortemente la sua stessa profezia (“viene dopo di me uno che è più forte di me”). Il Giovanni apocalittico, che profetizzava un imminente terribile giudizio, sembra così porsi un dubbio sul dover ripensare la sua visione sull’imminente epilogo della storia di Israele.

Anche questo passaggio vanta una buona certezza storica, uno dei motivi formulati dagli studiosi85W. Kummel, Promise and Fulfilment, SCM press, 1957 è che la domanda di Giovanni a Gesù «stona con quanto ci aspetteremmo in un racconto inventato dalla chiesa primitiva per esaltare Gesù come la figura escatologica definitiva o per convertire i settari battisti, persuadendoli che “questo è ciò che Giovanni cercava”86J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, p. 187. Infatti, né il giudaismo precristiano né il documento Q utilizzano “colui che viene” come titolo usuale per indicare il messia o qualche altro personaggio escatologico.

Il miglior argomento a favore della fondamentale storicità del dialogo tra Gesù e i discepoli del Battista che lo interrogano è contenuto però nella non-risposta di Giovanni a Gesù. Né nella fonte Q, né in altra tradizione del Nuovo Testamento viene infatti riportata una risposta favorevole da parte del Battista all’appello di Gesù di riconoscere in lui la realizzazione del disegno di Dio. Questo “silenzio” di Giovanni soddisfa i criteri storici di imbarazzo e di discontinuità.

«Se i primi cristiani inventarono questa pericope come mezzo di propaganda contro la setta dei battisti della loro epoca, allora questi cristiani avevano davvero una strada idea di propaganda»87J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, p. 191, ha osservato J.P. Meier.

Più interessante il commento su questo dello scettico professore di Nuovo Testamento all’Università di Heidelberg, Martin Dibelius:

«Una tale domanda e una tale risposta rivendicano entrambe una credibilità storica, perché la leggenda non avrebbe permesso che il Battista, dipinto come l’araldo di Gesù, formulasse la domanda in un modo così semicredulo, così come non avrebbe permesso che il Salvatore rispondesse in modo così oscuro. Questa incredulità fa sì che, dal punto di vista storico, il racconto acquisti significatività sia per la nostra conoscenza dell’atteggiamento di Gesù rispetto al titolo di messia, sia per la nostra comprensione della visione che il Battista aveva di Gesù»88M. Dibelius, Die urchristliche Überlieferung von Johannes dem Täufer untersucht von, Frlant 1911, p. 37.

 

Un altro passaggio evangelico interessante è l’affermazione di Gesù: «La legge e i profeti arrivano fino a Giovanni; da allora in poi il regno di Dio è annunziato e ognuno si sforza di entrarvi» (Lc 16,16).

In questo passo, Gesù vede «non solo Giovanni Battista, ma anche il tempo della sua apparizione in una transizione; nel medesimo tempo conclude il periodo d’Israele ed inizia o inaugura il periodo di Gesù»89J. Fitzmyer, The Gospel according to Luke, Yale University Press 1970, p. 1115, scrisse il biblista statunitense Joseph Augustine Fitzmyer.

Sono numerosi gli studiosi, tra cui Ernst Kasemann, James Robinson, Joachim Gnilka e, soprattutto, Walter Wink, rinomato biblista progressista dell’Auburn Theological Seminary di New York, ad essersi convinti dell’autenticità storica di tale passaggio, in particolare grazie al criterio di discontinuità e di coerenza.

Dopo queste osservazioni possiamo confermare che, in qualche modo, è vero: Giovanni “preparò la strada”, annunciò Gesù. Tuttavia, paradossalmente, possiamo concludere questo più per l’auto-consapevolezza espressa da Gesù nel rispondere e nel riferirsi a Giovanni, che viceversa.

Edmondo Lupieri, docente di Storia del cristianesimo e delle chiese presso l’Università di Udine, ha correttamente osservato: «Gesù riconobbe Giovanni, ma non sappiamo con certezza se Giovanni abbia mai riconosciuto Gesù»90E. Lupieri, Giovanni Battista fra storia e leggenda, Paideia 1988, p. 183.

Per quel che è possibile attestare storicamente (ci riferiamo all’antico testo Q), infatti, il Battista non sciolse i suoi dubbi sulla figura del messia.

David Noel Freedman, celebre professore di Storia e Studi Giudaici all’University of California, ha riassunto tutto questo in poche righe:

«Giovanni è in carcere, di fronte ad una possibile esecuzione capitale. Sorge spontanea la domanda su chi dovrebbe essere il sostituto o il successore di Giovanni. Gesù indica se stesso, lui è disposto ad essere quel successore ma indica anche qualcosa di più. Proclama di essere qualcosa di più di un semplice sostituto o successore di Giovanni, con il suo ministero di proclamazione e miracoli, è iniziata una nuova fase del dramma escatologico»91D.N. Freedman, Lettera a J.P. Meier, in Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, p. 472

 
 

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Fede e Storicità

In questa sezione del sito web ci occupiamo delle origini del cristianesimo, delle fonti bibliche e dell’affidabilità storica del Nuovo Testamento. Esaminiamo anche le scoperte dell’archeologia biblica e la compatibilità reale o presunta tra il Gesù storico e il Cristo della fede.

Oggi nessun studioso serio mette più in dubbio l’esistenza storica di Gesù Cristo.

Tuttavia, rimangono aperti numerosi interrogativi che riguardano la sua figura, oggetto di indagini da parte degli storici, ma anche di studiosi e polemisti anticristiani. Vi è anche un gruppo rumoroso di “miticisti” che nega qualsiasi affidabilità alle fonti cristiane.

Attraverso i seguenti dossier offriamo una panoramica di tutto ciò, sono costantemente aggiornati per tenere il passo con le nuove pubblicazioni che emergono nel corso degli anni.

 
 

Ecco i nostri dossier:

 
 

Le prove storiche della resurrezione di Gesù.

Dieci argomenti a favore della storicità della resurrezione di Gesù Cristo e una dettagliata risposta a tutte le obiezioni avanzate nel corso dei secoli. Oltre 300 citazioni delle conclusioni a cui sono giunti i principali studiosi internazionali.
 
 
 

Le testimonianze extrabibliche su Gesù di Nazareth.

Ecco tutte le fonti non cristiane su Gesù, testimonianze storiche extrabibliche risalenti al I° e II° secolo d.C. Un’analisi dettagliata delle opere che parlano di Cristo al di fuori dei Vangeli, commentate e sostenute nella loro autenticità da innumerevoli storici e specialisti (credenti e non) della storia cristiana.

 

Il 25 dicembre: data storica di Cristo, non ha origini pagane.

Il 25 dicembre era la festa pagana del Sol Invictus? Oppure è la data storica della nascita di Gesù? Oppure, ancora, è solo una data convenzionale? In questo dossier storico analizziamo tutte le ipotesi proposte nei secoli e giungiamo ad una conclusione facendoci aiutare da storici e specialisti che si sono occupati del tema.

 

San Giovanni Battista, esistenza storica ed il battesimo a Gesù.

Il 25 dicembre era la festa pagana del Sol Invictus? Oppure è la data storica della nascita di Gesù? Oppure, ancora, è solo una data convenzionale? In questo dossier storico analizziamo tutte le ipotesi proposte nei secoli e giungiamo ad una conclusione facendoci aiutare da storici e specialisti che si sono occupati del tema.

 

La profezia biblica delle “settanta settimane”: previde la venuta di Cristo?

Davvero la profezia delle “Settanta settimana” contenuta nell’Antico Testamento (Libro di Daniele) e conosciuta sicuramente prima del 163 a.C. predice esattamente la venuta del Messia? Guidati da diversi accademici risponderemo a tutto questo con il seguente dossier, giungendo a una conclusione vertiginosa.

 

Maria Maddalena prostituta o sposa di Gesù? La verità storica

Chi era Maria Maddalena? Fu la moglie di Gesù? Oppure si trattò realmente di una prostituta che divenne seguace di Cristo? In questo dossier facciamo luce tra le diverse teorie fantasiose prodotte da libri scandalistici ed equivoci storici.
 
 
 

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Gesù di Nazareth citato nelle fonti non cristiane

Le fonti non cristiane parlano di Gesù di Nazareth? Un’analisi completa di tutte le testimonianze autentiche ed extrabibliche su Gesù, provenienti dal mondo ebraico, pagano e romano. Una mole di informazioni maggiore rispetto a quella di moltissimi altri personaggi storici.

 
 

Negli ultimi secoli c’è stato un confronto serrato sul problema dell’esistenza storica di Gesù Cristo.

Oggi nessuno studioso serio mette più in dubbio la storicità di Gesù di Nazareth, questo anche grazie alle fonti fonti non cristiane, a quelle extrabibliche e all’aumento di attendibilità storica guadagnata dai vangeli canonici e dagli scritti neotestamentari.

Lo studioso agnostico B.D. Ehrman, docente di Nuovo Testamento presso l’Università del North Carolina, ha scritto infatti:

«Le fonti evangeliche sono bastate a convincere quasi tutti gli studiosi che si sono anche solo interessati al tema. Non parliamo infatti di un unico vangelo che, verso la fine del I secolo, riportò gesta e parole di Gesù, ma di un certo numero di vangeli», e di scritti cristiani, «del tutto indipendenti l’uno dall’altro. Attestano l’esistenza di Gesù e convalidano lo stesso insieme di dati […]. Ancora più degno di nota è il fatto che quelle testimonianze indipendenti attingano a un numero relativamente ampio di scritti antecedenti, vangeli che non ci sono pervenuti ma sono quasi certamente esistiti. E’ stato dimostrato al di là di ogni ragionevole dubbio che alcuni di essi risalgono come minimo agli anni Cinquanta dell’era volgare e sono, a loro volta, indipendenti uno dall’altro […]. Cosa ancora più importante, ciascuno di quei numerosi testi evangelici si fondava su tradizioni orali, alcune di esse hanno senz’altro avuto origine nelle comunità palestinesi di lingua aramaica, probabilmente agli anni Trenta, non molto dopo la data tradizionale della morte di Gesù […]. Indipendentemente dal fatto che siano ritenuti o meno scritture inspirate, i vangeli possono essere considerati e utilizzati come fonti storiche importanti»1Ehrman B.D., Did Jesus Exist?, HarperCollins 2012, p. 75, 93-95.

 

Va sottolineato fin da ora che le fonti extrabibliche e non cristiane non aggiungono nulla di nuovo rispetto a quanto già sappiamo dai vangeli, piuttosto possono essere utili per confermare tali scritti che, tuttavia, sono sufficienti a sostenere la storicità dei dati che affermano.

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

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1. LE FONTI NON CRISTIANE, PERCHE’ SONO COSI’ POCHE?

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La gran parte delle fonti non cristiane sono di scarso valore per chi è interessato al Gesù storico.

Il biblista J.M. Garcia, direttore della Cattedra di Teologia dell’Università Complutense e docente di Sacra Scrittura dell’Università Ecclesiastica di San Damaso, ha spiegato infatti che «le fonti pagane ed ebraiche sul cristianesimo dei primi secoli sono per lo più scarse e brevi. Tale peculiarità è dovuta sopratutto all’origine insignificante della fede cristiana, che fa la sua comparsa nel mondo come un fatto umano qualsiasi e per giunta in Palestina, una regione del tutto emarginata dai centri di potere»2Garcia J.M., Il protagonista della storia. Nascita e natura del cristianesimo, Rizzoli 2008, p. 19.

Anche l’eminente studioso J.P. Meier, professore di Nuovo Testamento alla Notre Dame University e tra i più importanti biblisti moderni, ha confermato: «Dal punto di vista della letteratura giudaica e pagana del secolo successivo a Gesù, il Nazareno fu al massimo un puntino sullo schermo del radar […]. Fu semplicemente insignificante per la storia nazionale e mondiale, agli occhi degli storici giudei e pagani del I. sec. e dell’inizio del II sec. d.C.», senza contare che «il processo e l’esecuzione di Gesù lo resero marginale in un modo terrificante e ripugnante». Di fatto, «Gesù per primo marginalizzò se stesso»3Meier J.P., Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico, Queriniana 2008, p. 16.

Il biblista italiano Romano Penna, ordinario di Origini Cristiane presso la Pontificia Università Lateranense, a sua volta ha commentato: «Il mondo della grande cultura greca e romana del I secolo è rimasto del tutto estraneo alle origini del fatto cristiano, le quali da una parte non avevano titoli umani sufficienti per richiamare la sua attenzione, e dall’altra neppure lo pretendevano»4Penna R., L’ambiente storico-culturale delle origini cristiane: una documentazione ragionata, EDB 1986, p. 270.

Gli evangelisti, sottolinea ancora Meier, non avevano alcuna intenzione di creare quella che oggi intendiamo essere una biografia storica, «le fonti rimaste su Gesù non hanno mai avuto l’intenzione di registrare tutto o la maggior parte delle parole e delle azioni del suo ministero pubblico, per non parlare del resto della sua vita»5Meier J.P., Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico 1, Queriniana 2001, p. 27.

Occorre considerare che, per chi crede, tutto questo non scandalizza affatto ma, anzi, conferma la principale caratteristica di Dio: l’umiltà dell’introdursi tra gli uomini silenziosamente, partendo da un pugno di poveri pescatori in una piccola e povera regione di una marginale provincia romana.

Bisognerebbe tuttavia anche ricordare che abbiamo perso tutti gli archivi di Gerusalemme a causa delle distruzioni operata da Vespasiano e poi da Adriano6Frale B., La Sindone di Gesù Nazareno, Il Mulino 2009, p. 127. Karl Adam, professore di teologia morale presso l’Università di Strasburgo, ha fatto notare che anche «l’insieme della tradizione letteraria dell’epoca dell’impero romano fino ai tempi di Tacito e Svetonio è andata perduta»7Adam K., Gesù il Cristo, Morcelliana 1943, p. 61.

Rispetto allo storico romano Tacito, ad esempio, sono andati perduti molti libri della sua opera Annali, nella quale ha delineato la storia di Roma dal 14 al 68 d.C. «Sfortunatamente», ha osservato J.P. Meier, «una delle lacune negli Annali si trova nella trattazione del 29 d.C., con la narrazione che riprende nel 32 d.C. Di conseguenza, l’anno più probabile del processo e della morte di Gesù (30 d.C.) non è presente negli attuali manoscritti degli Annali»8Meier J.P., Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico 1, Queriniana 2001, p. 86.

Gli elementi della storia antica, così come i dati principali nella vita di Gesù, restano sempre approssimativi e «lo stesso vale per la maggioranza dei personaggi storici dell’epoca greco-romana […]. Le lamentele per la scarsità e la ambiguità delle fonti sono un tratto comune alla maggior parte delle biografie degli imperatori romani»9Meier J.P., Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico 1, Queriniana 2001, p. 28, 355.

Flavio Giuseppe, ad esempio, non viene mai nominato nelle fonti greche e romane, non c’è nessun testimone oculare per lui. Ma non conosciamo la data di nascita e morte di Erode Antipa, di Ponzio Pilato, di Girolamo e degli imperatori Nerva e Traiano. Quello che sappiamo con certezza di Alessandro Magno può essere raccolto in poche pagine (oltretutto risalenti a 400 anni dopo la sua morte), così come per Socrate, la prima menzione di Erodoto risale a 100 anni dopo la morte.

Tornando a Gesù, è chiaro oltretutto che «giudei e pagani di questo periodo, se pure erano informati di un nuovo fenomeno religioso all’orizzonte, sarebbero stati più informati sul gruppo nascente chiamato cristianesimo che su colui che era ritenuto il suo fondatore, Gesù. Alcuni di questi scrittori, almeno, avevano avuto contatti diretti o indiretti con cristiani; nessuno di loro aveva avuto contatti con il Cristo che i cristiani adoravano»10Ehrman B.D., Did Jesus Exist?, HarperCollins 2012

Se dunque consideriamo tutti questi fatti: (1) l’insignificanza geografica del luogo in cui Gesù di Nazareth ha vissuto; (2) l’impotenza sociale e politica dei suoi discepoli (pescatori, poveri, donne ecc.); (3) la sua volontaria emarginazione; (4) la perdita della maggior parte del materiale storico a lui contemporaneo (archivi di Gerusalemme); (5) la scarsità di notizie certe sulla maggior parte dei personaggi storici grecoromani; (6) l’intenzione degli evangelisti lontana dal realizzare una biografia ufficiale e completa di Gesù.

Ecco che allora risulta ancora più sorprendente essere in possesso di numerose notizie sul Gesù storico e sull’inizio del cristianesimo coincidenti e attendibili al di fuori dei Vangeli.

Come spiega J.P. Meier, «Gesù fu un ebreo marginale, che guidò un movimento marginale in una provincia marginale di un immenso impero romano. Desta meraviglia che qualche giudeo o pagano colto lo abbia conosciuto o si sia minimamente riferito a lui nel I sec. o all’inizio del II. Sorprendentemente, c’è un certo numero di possibili riferimenti a Gesù»11Meier J.P., Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico 1, Queriniana 2001, p. 57.

A sua volta Michael K. Licona, studioso di Nuovo Testamento e docente di Teologia presso la Houston Baptist University, ha scritto: «sfido a citare qualcuno diverso da Gesù che sia vissuto nel primo secolo (ad esempio, Augusto, Tiberio, Nerone, ecc) e che è stato menzionato da almeno 10 scrittori che non condividono le sue convinzioni, e che scrivono entro 150 anni dalla sua vita. Non esiste alcuna persona del primo secolo così attestata come lo è Gesù»12Licona M.K., A refutation of Acharya S’s book, “The Christ Conspiracy”, RisenJesus 08/07/2015.

 

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2. LE FONTI NON CRISTIANE SU GESU’ DI NAZARETH

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Gli studiosi distinguono tre grandi gruppi di fonti non cristiane: quelle pagane greco-romane, quelle pagane siro-palestinesi e quelle ebraiche.

 

2.1 Le fonti pagane greco-romane su Gesù di Nazareth.

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Le testimonianze pagane greco-romane sono le più numerose a nostra disposizione, certamente la più importante è quella di Tacito, le altre -come vedremo- sono poco o per niente utili come fonti indipendenti sulla vita di Gesù.


 

Tacito

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Lo storico e senatore romano Tacito (56/57-118 circa d.C.) attraverso la sua opera Annali, scritta tra il 115 e il 117 d.C., ha narrato la storia dell’Impero romano dalla morte di Augusto a quella di Nerone, cioè dal 14 al 68 d.C.

Ha utilizzato documenti ufficiali conservati negli archivi, memorie private di illustri personaggi e fonti storiografiche. Come già accennato, l’opera è andata in parte perduta, molte lacune sono evidenti anche nel VI libro nella parte dedicata agli anni 29-31 d.C. (periodo della morte di Gesù).

Negli Annali compare un breve riferimento retrospettivo a Gesù, quando l’autore accenna al tentativo di Nerone di incolpare i cristiani per il grande incendio di Roma (64 d.C.):

«Allora, per troncare la diceria, Nerone spacciò per colpevoli e condannò ai tormenti più raffinati quelli che le loro nefandezze rendevano odiosi e che il volgo chiamava cristiani. Prendevano essi il nome da Cristo, che era stato suppliziato ad opera del procuratore Ponzio Pilato sotto l’impero di Tiberio: e quella funesta superstizione, repressa per breve tempo, riprendeva ora forza non soltanto in Giudea, luogo d’origine di quel male, ma anche in Roma, ove tutte le atrocità e le vergogne confluiscono da ogni parte e trovano seguaci»13Tacito, Annali, XV,44, Einaudi 1968, pp. 493, 494.

 

L’autenticità del passo è sostenuta dalla maggior parte degli studiosi.

«E’ un fatto evidente», scrive Robert E. Van Voorst, docente di New Testament Studies presso il Western Theological Seminar del Michigan, «che la maggioranza dei classicisti e degli studiosi della Bibbia concordano che in questo passaggio Tacito si sta riferendo a Gesù»14Van Voorst R.E., Jesus Outside the New Testament, B. Eerdmans Publishing 2000, pp. 42-43.

Come ha spiegato J.P. Meier, «nonostante alcuni deboli tentativi di mostrare che questo testo è un’interpolazione cristiana in Tacito, il passo è certamente genuino. Non solo è attestato in tutti i manoscritti degli Annali, ma il tono decisamente anticristiano del testo rende quasi impossibile un’origine cristiana […], i cristiani, considerati in se stessi, sono chiaramente disprezzati per i loro abominevoli crimini o vizi; essi costituiscono una superstizione morale o pericolosa». Inoltre, il riferimento a Gesù è talmente «breve e di scarsa considerazione che difficilmente proviene da mano cristiana»15Meier J.P., Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico 1, Queriniana 2001, p. 89.

Anche B.D. Ehrman scrive: «Non conosco alcun classicista di professione, e nessuno studioso dell’antica Roma, che» non ne sostenga l’autenticità. «E’ evidente che Tacito sapesse qualcosa di Gesù»16Ehrman B.D., Did Jesus Exist?, HarperCollins 2012, p. 57.

Tacito sembra aver utilizzato una fonte non cristiana e apertamente ostile al cristianesimo, oltretutto commettendo l’errore nel definire Pilato un “procuratore” della Giudea quando invece fu prefetto (come sappiamo dalle iscrizioni scoperte nel 1961 a Cesarea).

Questo elemento suggerisce che «Tacito, per sapere che cosa era accaduto a Gesù, non consultò alcun documento ufficiale scritto ai tempi in cui l’uomo fu giustiziato (ammesso che tali documenti siano esistiti). Pertanto riportò informazioni trasmesse oralmente […], nulla lascia a pensare che abbia acquisito dai vangeli le sue informazioni su Gesù»17Ehrman B.D., Did Jesus Exist?, HarperCollins 2012, p. 57, 98.

Le informazioni più importanti fornite da Tacito in questo brano sono tre:

  1. Gesù muore sotto il regno di Tiberio (14-37 d.C.) e la prefettura di Pilato (26-36 d.C.);
  2. Gesù muore per un’esecuzione decisa dal governatore romano della Giudea, non si cita la crocifissione ma è implicito presupporla in quanto metodo utilizzato per gli ebrei giustiziati in Giudea da un governatore romano;
  3. Presuppone una rapida diffusione del cristianesimo in tutto l’Impero.

In ogni caso, ha concluso J.P. Meier, «Tacito ci fornisce un’antica testimonianza non cristiana dell’esistenza, della collocazione temporale e geografica, della morte e dell’incidenza storica perdurante di Gesù, ma non dice nulla»18Meier J.P., Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico 1, Queriniana 2001, p. 89 che già non sapevamo.

Con questa conclusione concordano C.A. Evans, docente di Nuovo Testamento presso l’Acadia Divinity College, e N.T. Wright, tra i principali studiosi del Nuovo Testamento del mondo anglosassone, per i quali: «Anche se Tacito commette un lieve errore nell’elevare il grado di Pilato (era prefetto, non procuratore), la sua laconica sintesi concorda con ciò che troviamo in Flavio Giuseppe e nei vangeli cristiani»19Evans C.A. & Wright N.T., Gli ultimi giorni di Gesù. La verità dei fatti, San Paolo 2010, p. 11.

B.D. Ehrman utilizza la testimonianza di Tacito come una delle dimostrazioni principali extratestamentarie dell’esistenza di Gesù: «Il suo riferimento dimostra che al principio del II secolo le massime cariche istituzionali romane sapevano che Gesù era vissuto ed era stato giustiziato dal governatore della Giudea»20Ehrman B.D., Did Jesus Exist?, HarperCollins 2012, p. 58.


 

Plinio il Giovane

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Gaio Plinio Secondo (61-113 circa d.C.), nipote e figlio adottivo di Plinio il Vecchio, è stato uno scrittore romano noto per la sua intensa corrispondenza (12 libri di lettere).

Nel settembre 111 d.C. venne nominato legale per la provincia della Bitinia (Asia Minore) con potere consolare e durante il suo mandato tenne un fitto carteggio con l’imperatore Traiano (98-117 d.C.), al quale si rivolse per avere consigli su ogni tipo di questione.

Una delle epistole, la X,96 scritta nel 112 d.C., riguarda la persecuzione contro i cristiani che la sua carica gli impone di portare a compimento:

«E’ per me un dovere, o signore, deferire a te tutte le questioni in merito alle quali sono incerto. Chi infatti può meglio dirigere la mia titubanza o istruire la mia incompetenza? Non ho mai preso parte ad istruttorie a carico dei Cristiani; pertanto, non so che cosa e fino a qual punto si sia soliti punire o inquisire. Ho anche assai dubitato se si debba tener conto di qualche differenza di anni; se anche i fanciulli della più tenera età vadano trattati diversamente dagli uomini nel pieno del vigore; se si conceda grazia in seguito al pentimento, o se a colui che sia stato comunque cristiano non giovi affatto l’aver cessato di esserlo; se vada punito il nome di per se stesso, pur se esente da colpe, oppure le colpe connesse al nome. Nel frattempo, con coloro che mi venivano deferiti quali Cristiani, ho seguito questa procedura: chiedevo loro se fossero Cristiani. Se confessavano, li interrogavo una seconda e una terza volta, minacciandoli di pena capitale; quelli che perseveravano, li ho mandati a morte. Infatti non dubitavo che, qualunque cosa confessassero, dovesse essere punita la loro pertinacia e la loro cocciuta ostinazione. Ve ne furono altri affetti dalla medesima follia, i quali, poiché erano cittadini romani, ordinai che fossero rimandati a Roma. Ben presto, poiché si accrebbero le imputazioni, come avviene di solito per il fatto stesso di trattare tali questioni, mi capitarono innanzi diversi casi. Venne messo in circolazione un libello anonimo che conteneva molti nomi. Coloro che negavano di essere cristiani, o di esserlo stati, ritenni di doverli rimettere in libertà, quando, dopo aver ripetuto quanto io formulavo, invocavano gli dei e veneravano la tua immagine, che a questo scopo avevo fatto portare assieme ai simulacri dei numi, e quando imprecavano contro Cristo, cosa che si dice sia impossibile ad ottenersi da coloro che siano veramente Cristiani. Altri, denunciati da un delatore, dissero di essere cristiani, ma subito dopo lo negarono; lo erano stati, ma avevano cessato di esserlo, chi da tre anni, chi da molti anni prima, alcuni persino da vent’anni. Anche tutti costoro venerarono la tua immagine e i simulacri degli dei, e imprecarono contro Cristo. Affermavano inoltre che tutta la loro colpa o errore consisteva nell’esser soliti riunirsi prima dell’alba e intonare a cori alterni un inno a Cristo come se fosse un dio, e obbligarsi con giuramento non a perpetrare qualche delitto, ma a non commettere né furti, né frodi, né adulteri, a non mancare alla parola data e a non rifiutare la restituzione di un deposito, qualora ne fossero richiesti. Fatto ciò, avevano la consuetudine di ritirarsi e riunirsi poi nuovamente per prendere un cibo, ad ogni modo comune e innocente, cosa che cessarono di fare dopo il mio editto nel quale, secondo le tue disposizioni, avevo proibito l’esistenza di sodalizi. Per questo, ancor più ritenni necessario l’interrogare due ancelle, che erano dette ministre, per sapere quale sfondo di verità ci fosse, ricorrendo pure alla tortura. Non ho trovato null’altro al di fuori di una superstizione balorda e smodata. Perciò, differita l’istruttoria, mi sono affrettato a richiedere il tuo parere. Mi parve infatti cosa degna di consultazione, soprattutto per il numero di coloro che sono coinvolti in questo pericolo; molte persone di ogni età, ceto sociale e di entrambi i sessi, vengono trascinati, e ancora lo saranno, in questo pericolo. Né soltanto la città, ma anche i borghi e le campagne sono pervase dal contagio di questa superstizione; credo però che possa esser ancora fermata e riportata nella norma»21Plinio il Giovane, Lettera a Traiano, Epistularum, X,96.

 

L’imperatore Traiano rispose alla lettera di Plinio con queste parole:

«Mio caro Plinio, nell’istruttoria dei processi di coloro che ti sono stati denunciati come Cristiani, hai seguito la procedura alla quale dovevi attenerti. Non può essere stabilita infatti una regola generale che abbia, per così dire, un carattere rigido. Non li si deve ricercare; qualora vengano denunciati e riconosciuti colpevoli, li si deve punire, ma in modo tale che colui che avrà negato di essere cristiano e lo avrà dimostrato con i fatti, cioè rivolgendo suppliche ai nostri dei, quantunque abbia suscitato sospetti in passato, ottenga il perdono per il suo ravvedimento. Quanto ai libelli anonimi messi in circolazione, non devono godere di considerazione in alcun processo; infatti è prassi di pessimo esempio, indegna dei nostri tempi»22Traiano, Lettera a Plinio, Epistularum, X, 97.

 

Gli storici concordano anche in questo caso sull’autenticità di entrambe le lettere.

Robert Van Voorst, docente di New Testament Studies al Western Theological Seminary del Michigan, scrive che «il testo di queste due lettere è ben attestato e stabile, la loro autenticità non è seriamente contestata. Il loro stile corrisponde a quello delle altre lettere del Libro 10, ed erano note già al tempo di Tertulliano»23Van Voorst R.E., in Jesus outside the New Testament: An Introduction to the Ancient Evidence, William B. Eerdmans Publishing Company 2000, pp. 30, 31.

Le informazioni più interessanti che si possono trarre da questa corrispondenza sono principalmente tre:
(1) I cristiani sono soliti incontrarsi la domenica mattina, prima dell’alba, per intonare inni a Cristo «come se fosse un dio», e nel pomeriggio per celebrare l’agape o banchetto fraterno;
(2) Più volte viene segnalata l’assenza di qualunque pericolo e l’innocenza di tali raduni, rispondendo alle accuse che il popolo era solito attribuire ai cristiani (cannibalismo, in quanto mangiavano la carne del figlio di Dio e bevevano il suo sangue ecc.);
(3) I cristiani si impegnavano in comportamenti virtuosi, non commettendo delitti, furti, frodi, adulteri ecc.;

Secondo il biblista J.P. Meier, «il fatto che Cristo sia trattato dai cristiani come un dio è qualcosa di nuovo nelle nostre scarse fonti non cristiane. Tuttavia non aggiunge nulla alla nostra conoscenza del Gesù storico»24Meier J.P., Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico 1, Queriniana 2001, p. 92.

Su questo B.D. Ehrman concorda pienamente: «Questo riferimento ci dice solo che nella regione dell’Asia Minore, agli inizi del II secolo, c’erano cristiani che adoravano qualcuno chiamato Cristo. Lo sapevamo già da altre fonti (cristiane) […]. Se non altro possiamo affermare che agli inizi del II secolo era opinione diffusa che Gesù fosse esistito, anche se l’accenno di Plinio non ci dice molto altro»25Ehrman B.D., Did Jesus Exist?, HarperCollins 2012, p. 54.


 

Svetonio

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Lo scrittore romano Svetonio (69/70 – 140 d.C.) fu contemporaneo di Tacito e ricoprì tre incarichi a servizio dell’imperatore: archivista, preposto alla cura delle biblioteche imperiali e segretario redattore della corrispondenza imperiale.

Nella composizione dei suoi scritti attinse agli archivi imperiali e verso il 120 d.C. scrisse le biografie dei primi imperatore romani, da Augusto a Domiziano, precedute dalla biografia di Giulio Cesare.

Nel suo libro Vita dei Cesari, scritto attorno al 115 d.C., si legge:

«Poiché i Giudei si sollevavano continuamente su istigazione di un certo Cresto, li scacciò da Roma»26Svetonio, Divus Claudius 25,4.

 

Lo stesso episodio è accennato negli Atti degli Apostoli (cfr. At 18,2).

Per quanto riguarda l’autenticità di questo passo si ignora quale fonte d’informazione abbia utilizzato Svetonio, «forse per un’informazione sbagliata o per un suo convincimento errato ritiene che a Roma sia presente un certo Cresto, istigatore della rivolta»27Garcia J.M., Il protagonista della storia. Nascita e natura del cristianesimo, Rizzoli 2008, p. 26, 27, scrive il biblista spagnolo J.M. Garcia.

«In realtà, si tratta solamente del motivo della disputa, prosegue Garcia, «quindi molto probabilmente qui si allude a Cristo e alla predicazione cristiana: la forma “Cresto” riferita a Gesù è sicuramente dovuta a una deformazione dell’epoca. Due dati importanti supportano questa possibilità: il fatto che il termine “cristiani” appare scritto in alcune opere romane come “chrestianos” e l’assenza del nome di Cresto negli epitaffi delle tombe giudaiche del I secolo»28Garcia J.M., Il protagonista della storia. Nascita e natura del cristianesimo, Rizzoli 2008, p. 26, 27.

Anche Tacito parla di “chrestianos” invece che di “christianos”, lo studioso dell’University of North Carolina B.D. Ehrman spiega infatti che «quel genere di errore era diffuso»29Ehrman B.D., Did Jesus Exist?, HarperCollins 2012, p. 55.

R.E. Brown, professore emerito presso l’Union Theological Seminary di New York, riferisce che «tra le diverse centinaia di nomi di giudei romani resi noti dalle catacombe giudaiche e da altre fonti, non appare alcun caso di “Chrestus”»30Brown R.E., Antioch and Rome, Ramsey 1983, p. 100.

C.A. Evans, docente di Nuovo Testamento presso l’Acadia Divinity College, riferendosi alla forma “Cresto”, sostiene: «La variazione di ortografia era abbastanza comune ed è anche documentato nel migliore dei manoscritti del Nuovo Testamento»31Evans C.A., The Historical Jesus: Critical Concepts in Religious Studies, vol. 4, Taylor & Francis Group 2004, p. 383.

Robert E. Van Voorst, docente di New Testament Studies presso il Western Theological Seminar del Michigan, scrive: «Concludiamo con la stragrande maggioranza di studiosi moderni che questa frase è vera»32Van Voorst R.E., Jesus Outside the New Testament, B. Eerdmans Publishing 2000, pp. 30, 31.

Secondo J.P. Meier, «forse la fonte usata da Svetonio identificava Cresto con Gesù, mentre Svetonio fraintese il nome come quello di qualche schiavo o liberto ebreo che provocava scompiglio nelle sinagoghe romane durante il regno di Claudio». Tuttavia, dal testo «non si ottiene alcuna nuova conoscenza sul Gesù storico»33Meier J.P., Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico 1, Queriniana 2001, pp. 91, 92.

Lo stesso pensa B.D. Ehrman: «Anche se Svetonio si riferisce a Gesù sbagliando l’ortografia dell’epiteto, ciò non è di grande aiuto nella nostra ricerca dei riferimenti non cristiani […]. E’ troppo ambiguo perché possa essere di qualche utilità»34Ehrman B.D., Did Jesus Exist?, HarperCollins 2012, p. 55, 58.

Svetonio non fornisce quindi nessuna nuova informazione, si possono tuttavia rilevare due cose interessanti:
(1) Nel 49 d.C. (è l’anno del decreto che espulse i Giudei da Roma) nella capitale dell’Impero c’era già una viva comunità cristiana;
(2) Gesù è già divenuto un «”segno di contraddizione”», come osserva il biblista R. Penna, «cioè motivo di contesta all’interno dell’ebraismo romano. Questo Cristo sembra un sobillatore vivente e contemporaneo ai fatti»35Penna R., L’ambiente storico-culturale delle origini cristiane: una documentazione ragionata, EDB 1986, p. 278.

Svetonio può essere stato indotto all’errore dal fatto che le comunità cristiane parlavano di Gesù come un vivente, morto, risorto e ancora presente. Lo testimoniano anche gli Atti degli Apostoli quando riportano il pensiero del governatore romano Festo sulla denuncia degli ebrei di Gerusalemme a Paolo: «Avevano solo con lui questioni riguardanti un certo Gesù, morto, che Paolo sosteneva essere ancora in vita» (At 25,19).


 

Marco Cornelio Frontone

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Il celebre oratore romano Marco Cornelio Frontone (100-168 d.C.) fu maestro di retorica dell’imperatore Marco Aurelio e senatore e console nell’anno 143 d.C.

Nel 162 (o 166) d.C. scrisse l’Orazione contro i cristiani di cui ci sono pervenuti soltanto alcuni riferimenti citati nell’apologia di Minucio Felice, Octavius:

«I cristiani, raccogliendo dalla feccia più ignobile i più ignoranti e le donnicciuole, facili ad abboccare per la debolezza del loro sesso, formano una banda di empia congiura, che si raduna in congreghe notturne per celebrare le sacre vigilie o per banchetti inumani, non con lo scopo di compiere un rito, ma per scelleraggine; una razza di gente che ama nascondersi e rifugge la luce, tace in pubblico ed è garrula in segreto. Disprezzano ugualmente gli altari e le tombe, irridono gli dei, scherniscono i sacri riti; miseri, commiserano i sacerdoti (se è lecito dirlo), disprezzano le dignità e le porpore, essi che sono quasi nudi! […] Regna tra loro la licenza sfrenata, quasi come un culto, e si chiamano indistintamente fratelli e sorelle, cosicché, col manto di un nome sacro, anche la consueta impudicizia diventi incesto. […] Ho sentito dire che venerano, dopo averla consacrata, una testa d’asino, non saprei per quale futile credenza […] Altri raccontano che venerano e adorano le parti genitali del medesimo celebrante e sacerdote […] E chi ci parla di un uomo punito per un delitto con il sommo supplizio e il legno della croce, che costituiscono le lugubri sostanze della loro liturgia, attribuisce in fondo a quei malfattori rotti ad ogni vizio l’altare che più ad essi conviene […] Un bambino cosparso di farina, per ingannare gli inesperti, viene posto innanzi al neofita, […] viene ucciso. Orribile a dirsi, ne succhiano poi con avidità il sangue, se ne spartiscono a gara le membra, e con questa vittima stringono un sacro patto […] Il loro banchetto, è ben conosciuto: tutti ne parlano variamente, e lo attesta chiaramente una orazione del nostro retore di Cirta […] Si avvinghiano assieme nella complicità del buio, a sorte»36Marco Cornelio Frontone, Octavius VIII,4-IX,7.

 

Non ci sono dubbi sull’autenticità del brano e, come facilmente si nota, la descrizione utilizza testimonianze ricavate da conversazioni con la gente, materiale di seconda mano. Sono accuse grossolane, confuse e di scarso valore (ricordiamo le parole di Giustino: «Veramente è ingiusto ritenere per filosofo colui che, a nostro danno, rende pubblicamente testimonianza di cose che non conosce, dicendo che i Cristiani sono atei e scellerati; e dice ciò per ricavarne grazia e favore presso la folla, che resta ingannata»37Giustino, II Apologia VIII).

Le notizie che riporta Frontone sono comunque utili come conferma di alcuni elementi interessanti:
(1) Si riferisce alla morte di Gesù sulla croce;
(2) I cristiani si chiamano reciprocamente fratello e sorella (insegnamento di Gesù);
(3) I cristiani celebrano un banchetto sacro (la Messa).


 

Luciano di Samosata

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Luciano di Samosata (115 circa – 200 circa d.C.) fu uno scrittore satirico, scettico e ironico.

Nel suo libro La morte di Peregrino, scritto attorno al 170 d.C., fa riferimento ai cristiani narrando la storia di un mascalzone (Proteo) che vive ingannando e sfruttando la gente, compresi i cristiani che descrive come sciocchi e ingenui. Ecco il riferimento a Gesù:

«Allora Proteo venne a conoscenza della portentosa dottrina dei cristiani, frequentando in Palestina i loro sacerdoti e scribi. E che dunque? In un batter d’occhio li fece apparire tutti bambini, poiché egli tutto da solo era profeta, maestro del culto e guida delle loro adunanze, interpretava e spiegava i loro libri, e ne compose egli stesso molti, ed essi lo veneravano come un dio, se ne servivano come legislatore e lo avevano elevato a loro protettore a somiglianza di colui che essi venerano tuttora, l’uomo che fu crocifisso in Palestina per aver dato vita a questa nuova religione […]. Si sono persuasi infatti quei poveretti di essere affatto immortali e di vivere per l’eternità, per cui disprezzano la morte e i più si consegnano di buon grado. Inoltre il primo legislatore li ha convinti di essere tutti fratelli gli uni degli altri, dopoché abbandonarono gli dei greci, avendo trasgredito tutto in una volta, ed adorano quel medesimo sofista che era stato crocifisso e vivono secondo le sue leggi. Disprezzano dunque ogni bene indiscriminatamente e lo considerano comune, seguendo tali usanze senza alcuna precisa prova. Se dunque viene presso di loro qualche uomo ciarlatano e imbroglione, capace di sfruttare le circostanze, può subito diventare assai ricco, facendosi beffe di quegli uomini sciocchi»38Luciano di Samosata, De morte Per. XI-XIII.

 

Alcune espressioni di Luciano fanno pensare ad una diretta conoscenza di certi ambienti cristiani, tanto che alcuni studiosi non la ritengono una fonte indipendente dai vangeli (ad esempio J.P. Meier), altri invece sono a favore dell’indipendenza argomentando l’utilizzo di vocaboli non contenuti nel Nuovo Testamento (ad esempio R.E. Van Voorst39Van Voorst R.E. in Jesus outside the New Testament: An Introduction to the Ancient Evidence, William B. Eerdmans Publishing Company 2000, p. 20.

Le informazioni utili fornite da Luciano non sono comunque molte:
(1) Conferma la collocazione dell’origine del cristianesimo in Palestina;
(2) Conferma la crocifissione di Gesù da parte dei romani (il greco della lettera in realtà parla di un uomo impalato, la crocifissione fu un’evoluzione dell’impalatura «ma con molta probabilità il vocabolo da lui scelto ha carattere derisorio»40Meier J.P., Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico 1, Queriniana 2001, p. 92;
(3) Conferma che i Cristiani veneravano Gesù come un dio;
(3) Conferma la convinzione dei cristiani della vita eterna e l’amore fraterno che nutrono gli uni verso gli altri (insegnamento di Gesù);
(4) Cristo non viene mai nominato, è considerato un “sofista” ed il “primo legislatore” dei Cristiani, le cui leggi sono da essi seguite;


 

Petronio

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Petronio fu consigliere letterario e maestro di stile alla corte dell’imperatore romano Nerone, succedendo a Seneca nel 62 d.C.

La sua principale opera è il romanzo Satyricon, scritto tra il 54 e il 68 d.C. (più probabilmente negli anni 64-65). In esso viene descritta a lungo una lussuriosa cena del liberto Trimalcione la quale somiglia incredibilmente ad un brano del vangelo di Marco.

Trimalcione si fa portare delle vesti preparate per la sua sepoltura invitando i convitati a considerare il pasto come il suo banchetto funebre:

«”Porta anche dell’unguento e un assaggio da quell’anfora, con cui voglio siano lavate le mie ossa” […] Subito aprì l’ampolla del nardo, unse tutti noi e disse “Spero che possa piacermi da morto quanto da  vivo”. Poi comandò che fosse infuso del vino in una brocca e disse “Fate come se foste stati invitati ai miei funerali”»41Petronio, Satyricon LXXVII,7; LXXVIII, 3-4.

 

Una scena simile, come dicevamo, si svolge nel vangelo di Marco: «Gesù si trovava a Betània nella casa di Simone il lebbroso. Mentre stava a mensa, giunse una donna con un vasetto di alabastro, pieno di olio profumato di nardo genuino di gran valore; ruppe il vasetto di alabastro e versò l’unguento sul suo capo […] “Essa ha fatto ciò ch’era in suo potere, ungendo in anticipo il mio corpo per la sepoltura. 9 In verità vi dico che dovunque, in tutto il mondo, sarà annunziato il vangelo, si racconterà pure in suo ricordo ciò che ella ha fatto”» (Mc 14, 3-9).

C’è un altro passo della cena descritta da Petronio che sembra ricordare i racconti evangelici:

«Mentre diceva queste cose, un gallo domestico cantò. Turbato da quella voce, Trimalcione comandò che fosse versato del vino sotto la tavola e che anche la lucerna ne venisse cosparsa. Poi passò l’anello nella mano destra e disse: “Non senza ragione questo trombettiere ha dato il segnale; infatti o dovrà scoppiare un incendio, o qualcuno dei vicini dovrà morire. Lungi da noi! Per cui, chi mi porterà questo accusatore riceverà un premio”. In men che non si dica venne portato un gallo da una casa vicina, che Trimalcione ordinò venisse cotto in pentola»42Petronio, Satyricon. LXXIV, 1-4)10.

 

Relativamente al canto del gallo, nel resto della tradizione greco-romana è preannunzio del giorno e della vittoria, mai presagio di morte, qui «è invece ritenuto annuncio di una sciagura mortale -unico caso in tutta la letteratura classica insieme al Vangelo- e il gallo è detto index, denunciatore»43Ramelli I., Due testimoni della storicità dei Vangeli, Il Timone 2006, p. 28-29.

Effettivamente la definizione petroniana del gallo come index, ovvero, in linguaggio giuridico, come denunziatore, accusatore, sembra ricordare la funzione che rivestì il gallo nel vangelo di Marco, cioè quella di denunziare il triplice tradimento di Pietro (cfr Mc 14,30).

Sempre nel Satyricon compare anche l’episodio della matrona di Efeso, anch’esso pare avere reminiscenze evangeliche:

«Una matrona di Efeso, […] avendo perso il marito, […] seguì il defunto persino nel sepolcro. […] Nello stesso tempo il governatore della provincia comandò che fossero crocifissi dei ladroni proprio accanto al sepolcro nel quale la matrona piangeva il recente cadavere. La notte seguente, quando il soldato che sorvegliava le croci affinché nessuno togliesse i corpi per seppellirli, notò un lume splendere tra le tombe e udì il gemito di qualcuno che piangeva […] volle sapere chi fosse e che cosa facesse. Scese quindi nella tomba. […] Dunque giacquero assieme non solo quella notte nella quale fu consumato il loro imene, ma anche il seguente ed il terzo giorno, tenendo certamente chiuse le porte del sepolcro. […] Ma i parenti di un crocifisso, come videro diminuita la sorveglianza, tirarono giù di notte l’appeso e gli resero l’estremo ufficio. E quando il giorno successivo il soldato […] vide una croce senza cadavere, atterrito dal supplizio raccontò alla donna quello che era successo. […] Ella disse allora di togliere il corpo del proprio marito dall’arca e di attaccarlo a quella croce che era vuota. Il soldato approfittò dell’ingegno dell’avvedutissima donna, ed il giorno dopo il popolo si meravigliava di come quel morto avesse potuto salire sulla croce»44Petronio, Satyricon. CXI-CXII.

 

La citazione di un governatore provinciale (Pilato?), dei ladroni crocifissi, della guardia sepolcrale e dei tre giorni nel sepolcro, e infine il tema del trafugamento del cadavere (un’accusa rivolta ai cristiani già da tempo), «ci farebbero pensare ad una parodia del racconto della morte e risurrezione del Cristo»45Nicolotti A., Petronio, Christianismus 15/08/2001 ha scritto lo storico del cristianesimo primitivo Andrea Nicolotti.

Possibili parodie dell’eucarestia cristiana potrebbero essere le allusioni di Trimalcione al vino, durante la cena, e nell’affermazione di Eumolpo di possedere un grande tesoro e volerlo lasciare in eredità agli amici «a patto che taglino a pezzi il mio cadavere e se lo mangino alla presenza del popolo […]. Perciò io esorto tutti i miei amici a non sottrarsi alla mia volontà, invitandoli a mangiarsi il mio cadavere con lo stesso gusto con il quale avranno di certo mandato a quel paese l’anima mia»46Petronio, Satyricon, CXLI, 2.

L’allusione caricaturale dell’ultima cena di Gesù è evidente, riprendendo anche l’accusa di cannibalismo affibbiata a lungo tempo ai cristiani.

Ma ci sono altri legami tra Trimalcione e la storia di Gesù: il protagonista del Satyricon afferma, ad esempio, di aver consultato un astrologo che gli ha predetto la morte dopo altri trent’anni, cosa della quale egli è persuaso. Trent’anni è anche l’età in cui morì Gesù. Anche lo stesso nome del protagonista, il rozzo villano arricchito Trimalcione, potrebbe essere una forma di parodia della Trinità cristiana: è di origine semitica e significa “tre volte re” (mlk in ebraico significa “re” ed è la parola che comparve nel cartiglio posto da Pilato sulla croce di Gesù: “Re dei re”).

Diverso tempo fa il teologo E. Preuschen, sottolineando le evidenti somiglianze tra il vangelo di Marco e i brani del Satyricon, sostenne (anche a causa dello stato degli studi sulla datazione dei vangeli del tempo) una imitazione di Petronio da parte dell’evangelista Marco47Preuschen E., Die Salbung Jesu in Bethanien, in Zeitschrift für die neutestamentliche Wissenschaft III 1902, pp. 252-253.

La tesi venne presto respinta: è impossibile pensare che un autore cristiano, determinato a testimoniare la vicenda di Gesù, copiasse da un romanzo assai famoso e diffuso, senza contare la satira dissacrante ben poco compatibile con la tragica morte di Gesù.

Più recentemente, la storica e biblista Ilaria Ramelli ha ripreso la tesi di E. Preusche ribaltandola: sarebbe stato Petronio a parodiare il vangelo di Marco, e non viceversa48Ramelli I., Petronio e i cristiani: allusioni al vangelo di Marco nel Satyricon?, Aevum LXX 1996, pp. 75-80 49Medail C., Petronio, una parodia del Vangelo di Marco, Corriere della Sera.

Bisognerebbe dunque retrodatare la composizione di questo vangelo a prima del 66 d.C., data della morte di Petronio, mentre oggi la maggior parte degli studiosi fa risalire il testo di Marco al 70 d.C.

Analizzando gli argomenti di Ramelli, lo storico del cristianesimo A. Nicolotti ritiene che «l’ipotesi della parodia del racconto evangelico non pare così azzardata […]. Al di là di questi sviluppi assolutamente innovativi, qualora fosse anche solo provato un collegamento tra gli avvenimenti evangelici ed il romanzo di Petronio nel modo sopra esposto, saremmo di fronte alla prima velata testimonianza non cristiana di Gesù e della sua Chiesa, redatta nel tempo in cui gli apostoli Pietro e Paolo predicavano e subivano il martirio nella capitale dell’impero romano. Fino a quel momento, possiamo solo considerare questa chiave interpretativa come una interessante ipotesi che necessita di ulteriore approfondimento»50Nicolotti A., Petronio, Christianismus 15/08/2001.

I testi di Petronio contribuiscono al dibattito sulla datazione dei Vangeli, tuttavia non sono molto utili nel nostro percorso in quanto non aggiungono nulla di nuovo e le informazioni offerte suggeriscono una dipendenza dai testi evangelici, in particolare quello di Marco.


 

Tallo

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All’interno di una sua Cronaca in lingua greca, lo storico romano di nome Tallo cita un fatto riguardante il giorno della morte di Gesù, ovvero l’oscuramento del cielo di cui parlano anche i vangeli (“Giunta l’ora sesta, si fece buio su tutta la terra fino all’ora nona”, Mt 27,45 // Lc 23,44).

L’opera di Tallo è andata perduta, ma la citazione è ripresa dallo scrittore Sesto Giulio Africano (160/170 – 240 d.C.) nella sua Chronographia, opera anch’essa purtroppo andata persa.

Il riferimento è a noi noto in quanto è stato citato attorno all’anno 800 dallo storico Giorgio Sincello nell’opera Ecloga chronographica, dove asserisce di riportare un passo «tratto da Africano, riguardo agli eventi associati con la passione» di Gesù.

Sesto Giulio Africano avrebbe infatti scritto:

«Una terribile oscurità si abbatté su tutto il mondo, le rocce furono spezzate da un terremoto e molti luoghi della Giudea e del territorio restante furono abbattuti. Tallo, nel terzo libro delle Storie, definisce questa oscurità come eclissi del sole, a mio parere irragionevolmente»51S.G. Africano, Chronographia 18,1.

 

Africano è solitamente ritenuto un autore affidabile e sull’autenticità della sua citazione ci sono pochi dubbi.

Non si conoscono invece le fonti dello storico Tallo, potrebbe aver appreso l’evento dai vangeli oppure avrebbe potuto basarsi su altre fonti.

Se Tallo è il Thallos samareus vissuto a Roma nella metà del I secolo, citato da Flavio Giuseppe, allora la sua testimonianza potrebbe essere il più antico riferimento non cristiano a Gesù, in quanto risalente a vent’anni circa dopo la sua morte52Allison D.C., The Historical Jesus in Context, Princeton University Press 2006.

 

 

2.2 Le fonti pagane siro-palestinesi su Gesù di Nazareth.

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Tra le testimonianze pagane siro-palestinesi l’unica che può avere un’utilità è quella di Mara Bar Serapion, di cui parliamo qui sotto.


 

Mara Bar Serapion

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Mara Bar Serapion è il nome di una persona che scrive una lettera al figlio per esortarlo a perseguire sempre la sapienza, la lettera è raccolta in un manoscritto siriaco del secolo VII (conservata oggi al British Museum).

Si ritiene53Garcia J.M., Il protagonista della storia. Nascita e natura del cristianesimo, Rizzoli 2008, p. 31 che la missiva sia stata scritta agli inizi del II secolo o addirittura alla fine del I, molto probabilmente è successiva all’anno 73 d.C. date le circostanze storiche alle quali si fa riferimento (come la fuga da Samosata di alcuni cittadini).

Il testo che ci interessa è il seguente:

«Quale vantaggio trassero gli Ateniesi dall’aver ucciso Socrate? Ne ottennero carestia e morte. O gli abitanti di Samo per aver bruciato Pitagora? In un momento tutto il loro paese fu coperto dalla sabbia. O i Giudei, per il loro saggio re? Da quel tempo fu sottratto loro il regno. Dio vendicò giustamente la saggezza di questi tre uomini: gli Ateniesi morirono di fame, gli abitanti di Samo furono travolti dal mare, i Giudei furono eliminati e cacciati fuori dal loro regno, e sono ora dispersi per tutte le terre. Socrate non è morto, grazie a Platone; né Pitagora, grazie alla statua di Hera, né il saggio re, grazie alle nuove leggi che ha stabilito»54Mara Bar Serapion, Syriac MS. Addiotional, 14.658.

 

L’autore non è certamente cristiano altrimenti non parlerebbe (come fa altrove nel testo) dei «nostri dèi», né della permanenza in vita di Cristo in questi termini, tanto meno porrebbe Cristo e i filosofi greci sullo stesso piano.

Tra gli studiosi c’è un consenso di massima nell’identificare il “saggio re dei Giudei” con Gesù di Nazareth55Chin C.M., Rhetorical Practice in the Chreia Elaboration of Mara bar Serapion, Journal of Syriac Studies 2006.

Il biblista Romano Penna ha scritto: «L’esecuzione di un “re saggio” non può riferirsi da altri» se non a Gesù, «poiché la storia non conosce alcun re d’Israele condannato a morte dagli stessi ebrei: né davididi, né asmonei, né erodiadi». Inoltre «la qualifica ripetuta di “re saggio” può riferirsi molto bene a Gesù di Nazareth» visto che «contiene una doppia allusione: al motivo ufficiale della sua condanna come “re dei giudei” (Mt 27,37//Mc 15,26//Lc 23,38 e Gv 19,19-21); e alla saggezza del suo messaggio morale»56Penna R., L’ambiente storico-culturale delle origini cristiane: una documentazione ragionata, EDB 1986, p. 268.

Significativa l’informazione offerta sui motivi che hanno causato la morte di Gesù, dal momento che attribuisce la sua condanna a morte ai giudei piuttosto che ai romani. I tempi sono inoltre congruenti: la morte di Gesù è seguita dopo alcuni decenni dalla caduta di Gerusalemme e dalla fine del regno. Il documento potrebbe quindi costituire una delle prime, se non la prima, testimonianza storica esterna all’ambiente cristiano o ebraico a Gesù (scritta quarant’anni dopo la morte di Gesù).

 

2.3 Le fonti ebraiche su Gesù di Nazareth.

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Gli studiosi si sono divisi sull’importanza delle fonti ebraiche in rapporto alla storicità del cristianesimo: a parte l’importante testimonianza di Flavio Giuseppe, rimangono i testi del Talmud, uno dei libri sacri dell’ebraismo.

Alcuni storici negano completamente qualsiasi riferimento a Gesù nei testi rabbinici, altri sostengono che i materiali rabbinici primitivi (compresa la Mishnà) non parlano di Gesù, pur ammettendo l’esistenza di alcune allusioni negli scritti tardivi ai quali però non attribuiscono alcun valore storico, ad esempio J.P. Meier afferma: «Al contrario di altri studiosi non penso che il materiale rabbinico […] ci offra nuove informazioni affidabili o detti autentici, indipendenti dal Nuovo Testamento»57Meier J.P., Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico 1, Queriniana 2001, p. 13.

Dello stesso avviso anche C.A. Evans, docente di Nuovo Testamento presso l’Acadia Divinity College: «Un serio problema nel fare uso di queste tradizioni è che probabilmente nessuna di esse è indipendente dalle fonti cristiane»58Evans C.A., The Historical Jesus: Critical Concepts in Religious Studies, vol. 4, Taylor & Francis Group 2004, p. 376.

Un terzo gruppo di studiosi, invece, rintraccia brevi accenni a Gesù, comunque di scarso valore storico in quanto hanno un tono fortemente polemico e di scarsa obiettività (ad esempio J. Klausner).


 

Flavio Giuseppe

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Lo storico giudeo Flavio Giuseppe (37/38 d.C. – poco dopo il 100 d.C.) è autore di due grandi opere: La guerra giudaica (iniziata dopo il 70 d.C.) e Antichità giudaiche (scritta nel 93-94 d.C.).

L.H. Feldman, docente alla Yeshiva University e tra i più importanti studiosi dello storico ebreo, ha notato che per le fonti delle sue opere avrebbe avuto facilmente accesso agli archivi degli amministratori provinciali, custoditi a Roma nella corte imperiale59Feldman L., The Testimonium Flavianum. The State of the Question, Christological Perspectives, p. 194-195.

Entrambi i libri di Flavio Giuseppe contengono passi che menzionano Gesù.

Ne La guerra giudaica, il passo relativo a Gesù non è riconosciuto come autentico, si tratta di una lunga interpolazione che si trova solo nell’antica versione russa (slava), preservata in manoscritti russi e rumeni. Sono pochi gli studiosi a sostenerne l’autenticità (tra essi ad esempio R. Eisler o, più recentemente, G.A. Williamson60Williamson G.A., The World of Josephus, Brown and Company 1964, pp. 308-309.

Nelle Antichità giudaiche, al contrario, vi è un passaggio meno discusso e compare nel libro XX. Racconta un episodio accaduto nel 62 d.C., prima della rivolta ebraica:

«Essendo questo tipo di persona [cioè, un sadduceo senza cuore], Anano, ritenendo di avere una favorevole opportunità, poiché Festo era morto e Albino era ancora in viaggio, convocò un sinedrio di giudici e vi trascinò un uomo di nome Giacomo, fratello di Gesù, chiamato Messia, e alcuni altri. Li accusò di aver trasgredito la legge e li consegnò perché fossero lapidati»61Flavio Giuseppe, Antichità giudaiche, XX, 9,1.

 

Questo passo si trova nella principale tradizione manoscritta greca delle Antichità, senza alcuna variante di rilievo, accenna a Gesù per qualificare meglio Giacomo, essendo quest’ultimo un nome molto comune nell’uso giudaico e negli scritti di Flavio Giuseppe.

Il riferimento a Gesù non proviene da mano cristiana e neppure da fonte cristiana, né il Nuovo Testamento né i primi scrittori cristiani, Paolo compreso, parlavano di Giacomo come “fratello di Gesù” ma più solennemente “fratello del Signore” o “fratello del Salvatore”. Senza contare, poi, che il racconto di Flavio Giuseppe del martirio di Giacomo differisce, per il tempo e per il modo, da quello di Egesippo (il quale parla di caduta dal pinnacolo del tempio di Gerusalemme prima dell’assedio alla città).

L.H. Feldman osserva che «pochi hanno dubitato della genuinità di questo passo su Giacomo»62Feldman L.H., Josephus and Modern Scholarship, Loeb Libray vol. 10, p. 108.

Nelle Antichità giudaiche è presente anche un secondo brano interessante, noto come Testimonium Flavianum. Da secoli la sua autenticità è oggetto di discussione dal momento che in essa troviamo espressioni tipiche di Flavio Giuseppe ma anche tre frasi chiaramente cristiane.

Nella citazione seguente sottolineiamo le tre espressioni controverse:

«Verso questo tempo visse Gesù, uomo saggio ammesso che lo si possa chiamare uomo. Egli infatti compiva opere straordinarie, ammaestrava gli uomini che con piacere accolgono la verità e convinse molti Giudei e Greci. Egli era il Cristo. E dopo che Pilato, dietro accusa dei maggiori responsabili del nostro popolo, lo condannò alla croce, non vennero meno coloro che fin dall’inizio lo amarono. Infatti apparve loro il terzo giorno, di nuovo vivo, avendo i divini profeti detto queste cose su di lui e moltissime altre meraviglie. E ancora fino al giorno d’oggi continua a esistere la tribù dei cristiani che da lui prende il nome»63Flavio Giuseppe, Antichità giudaiche XVIII, 3.3.

 

La posizione degli studiosi sull’autenticità del brano è varia: alcuni lo considerano essenzialmente autentico (come L. von Ranke, F. K. Burkitt e A. von Harnack), altri preferiscono considerare l’intero passo come l’interpolazione di un copista cristiano (come Ken Olson, Paul Hopper e pochi altri tra gli studiosi qualificati) mentre un terzo gruppo parla di semi-autenticità considerando l’innegabile presenza di interpolazioni cristiane (delle glosse cristiane molto antiche, dato che anche Eusebio di Cesarea trasmette la versione greca citata64Eusebio, Historia Ecclesiastica I, 11,7-8), ma non così determinanti da inficiare la paternità del testo a Flavio Giuseppe.

Quest’ultimo gruppo di studiosi e ricercatori è il maggioritario, tanto che L.H. Feldman ha rilevato che tra il 1937 e il 1980, su 52 studiosi che si sono occupati approfonditamente della questione, 39 hanno giudicato il Testimonium Flavianum come autentico; 10 studiosi lo hanno considerato del tutto o in gran parte autentico; 20 studiosi lo hanno accettano con alcune interpolazioni, 9 studiosi con diverse interpolazioni, e solo 13 studiosi lo hanno considerato totalmente un’interpolazione cristiana65Feldman L.H., The Testimonium Flavianum. The State of the Question, Christological Perspectives, p. 197.

Tra i sostenitori dell’autenticità ci sono anche diversi studiosi ebrei, come Paul Winter, Shlomo Pinès66Pines S., An Arabic version of the Testimonium Flavianum and its implications, Israel Academy of Sciences and Humanities 1971 e lo stesso Feldman67Feldman L.H., Josephus, Judaism and Christianity, Brill Academic Pub 1997, p. 55, studiosi cristiani non confessionali, come S.G. Brandon e Morton Smith, studiosi non credenti come B.D. Ehrman, studiosi protestanti, come J.H. Charlesworth, studiosi evangelici, come Edwin M. Yamauchi68Yamauchi E.M., Josephus and the Scriptures Fall 1980, pp. 213, 214 e studiosi cattolici come J.P. Meier, C.M. Martini, Wolfgang Trilling e A.M. Dubarle.

Senza indagare la loro posizione religiosa, si possono inoltre citare Steven Mason, Lane Fox, Michael Grant, Paula Fredrikson, EP Sanders, SGF Brandon, Geza Vermes, John D. Crossan, Robert Van Voorst, RT France, FF Bruce, Craig L. Blomberg, Ben Witherington III, James DG Dunn, Darrell L. Bock, Alice Whealey, Luke Y. Johnson, J. Carleton Paget, Graham Stanton, Borg, Tabor, Thiessen, Flusser ecc.

«La maggioranza degli studiosi del giudaismo antico, e gli esperti di Giuseppe Flavio», osserva B.D. Ehrman, «ritengono che uno o più copisti cristiani avrebbero leggermente “ritoccato” il passo»69Ehrman B.D., Did Jesus Exist?, HarperCollins 2012, p. 63, 66.

Tra essi anche J.M. Garcia, direttore della Cattedra di Teologia dell’Università Complutense e docente di Sacra Scrittura dell’Università Ecclesiastica di San Damaso, il quale scrive: «Questa terza ipotesi sembra essere la più probabile per tre motivi. In primo luogo il testo, con vari rimaneggiamenti, appare in tutti i manoscritti greci, arabi e siriaci. In seconda istanza, lo stile e il linguaggio del brano, eliminate le chiare interpolazioni cristiane, sono tipici di Giuseppe Flavio. Infine, la concezione di Cristo che trasmette non è cristiana, in quanto Gesù viene considerato come un saggio, un predicatore di un certo successo»70Garcia J.M., Il protagonista della storia. Nascita e natura del cristianesimo, Rizzoli 2008, pp. 36-40.

Lo storico italiano A. Nicolotti ha scritto: «I critici moderni sono ormai concordi nel ritenere il passo del Testimonium come sostanzialmente autentico nella sua testimonianza storica di Gesù, sebbene per molti esso ha aver subito prima del secolo IV delle interpolazioni cristiane. E non manca chi, diversamente spiegando le parti cosiddette “cristiane”, ritiene che queste interpolazioni non esistano, e che il testo sia interamente autentico (Étienne Nodet, per esempio). L’importante monografia di Serge Badet (favorevole all’autenticità completa) affronta tutti questi problemi ed è un riferimento imprescindibile»71Nicolotti A., Giuseppe Flavio, Christianismus 15/08/2001.

Si è così giunti a ricostruire quello che potrebbe essere stato il brano originale, eliminando le tre interpolazioni cristiane:

«In quel tempo comparve Gesù, un uomo saggio. Si diceva che compisse delle opere straordinarie, insegnava alla gente che con piacere riceve la verità: e attirò a sé molti discepoli sia fra Giudei che fra gente di origine Greca. E quando Pilato, a causa di un’accusa fatta dai maggiori responsabili del nostro popolo, lo ha condannato alla croce, coloro che lo amarono fin dall’inizio non cessarono di farlo e fino a oggi la tribù dei cristiani (che da lui prende il nome) continua ad esistere».

 

Il testo è molto simile a quello tradizionalmente riportato anche perché le piccole aggiunte cristiane non avevano lo scopo di modificare il pensiero di Giuseppe, ma piuttosto essere note chiarificatrici.

«Il Testimonium», scrive B.D. Ehrman, contiene «soltanto un paio di frasi tutto sommato prudenti inserite qua e là, non sembra proprio un racconto cristiano apocrifo scritto per l’occasione. Piuttosto, è molto simile agli interventi reperibili in tutta la tradizione amanuense dei testi antichi: il lavoro di ritocco che un copista avrebbe potuto eseguire con facilità». Gli amanuensi, «aggiunsero qualche parola qua e là per essere certi che il lettore capisse il senso»72Ehrman B.D., Did Jesus Exist?, HarperCollins 2012, p. 62, 63, 66.

Il biblista americano J.P. Meier ha studiato a fondo la diatriba accademica sul Testimonium Flavianum, giungendo a questa conclusione: «C’è una ragione sufficiente per sostenere che tale brano provenga da Flavio Giuseppe? La risposta è affermativa»73Meier J.P., Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico 1, Queriniana 2001, pp. 71-85.

Gli argomenti a favore dell’autenticità sono:
(1) Il “Testimonium Flavianum” è presente in tutti i manoscritti greci e latini ed è ben difficile immaginare che l’invenzione di una scriba cristiano possa apparire identica su tutti i codici pervenutici;
(2) La conferma di autenticità deriva dal brano già citato sul martirio di Giacomo, come ha spiegato il biblista J.M. Garcia: «Senza dubbio tutti gli studiosi considerano autentico il racconto sul martirio di Giacomo e, di conseguenza, anche il riferimento a Gesù, giacché non è il modo cristiani di alludervi. Orbene, il fatto che Giuseppe Flavio non si soffermi a specificare chi sia questo Gesù ci porta a supporre che lo abbia già fatto in un brano precedente. L’unico possibile è quello denominato Testimonium Flavianum»74Garcia J.M., Il protagonista della storia. Nascita e natura del cristianesimo, Rizzoli 2008, p. 36-40;
(3) Il vocabolario e la grammatica del passo (senza interpolazioni) è molto coerente e caratteristico dello stile e della lingua di Flavio Giuseppe, al contrario dello stile del Nuovo Testamento;
(4) La descrizione di Gesù, spogliata dai tre passaggi cristiani, è concepibile sulla bocca di un giudeo che non è particolarmente ostile al cristianesimo ma non sulla bocca di un cristiano antico o medioevale (si parla di “tribù” ed esprime una cristologia insufficiente): «Se un copista avesse voluto introdurre negli scritti di Giuseppe una solida testimonianza delle qualità di Gesù (facendo del Testimonium una tarda interpolazione), l’avrebbe fatto senz’altro con più fervore e in modo più scontato»75Ehrman D.B., Did Jesus Exist?, HarperCollins 2012, p. 42;
(5) Flavio Giuseppe sembra ignorare materiale e affermazioni fondamentali nei quattro vangeli canonici, addirittura contrastando le informazioni evangeliche (secondo Giuseppe, Gesù convinse molti giudei e molti pagani, al contrario di quanto dicono i vangeli, inoltre tratta distintamente Giovanni Battista da Gesù senza alcun collegamento tra loro), questo «è uno dei tanti motivi per cui gli studiosi ritengono la fonte di Flavio Giuseppe indipendente dal Nuovo Testamento»76Van Voorst R., Jesus Outside the New Testament: An Introduction to the Ancient Evidence, Grand Rapids 2000, p. 27;

Per questi motivi, conclude il biblista statunitense J.P. Meier, «una regola metodologia fondamentale è che, a parità di condizioni, si deve preferire la spiegazione più semplice, che comprende anche la più ampia quantità di dati. Perciò sostegno che la spiegazione più probabile del Testimonium è che, privato delle tre affermazioni ovviamente cristiane, contiene quanto Flavio Giuseppe scrisse»77Meier J.P., Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico 1, Queriniana 2001, pp. 71-85.

Gli studiosi meno convinti hanno avanzato alcune obiezioni all’autenticità del Testimonium, la più frequente è lo strano silenzio su questo brano da parte dei padri della chiesa prima di Eusebio. Se non lo hanno citato, dicono, è perché ancora nessun cristiano lo aveva inventato e attribuito a Flavio Giuseppe.

Il biblista J.P. Meier ha risposto a questa critica scrivendo: «I padri della chiesa non erano interessati a citarlo, infatti non sostiene minimamente il contenuto principale della fede cristiana in Gesù come Figlio di Dio che è risorto da morte. Questo spiegherebbe perché Origine nel III sec. affermava che Giuseppe non credeva che Gesù fosse il Messia». Il testo posseduto da Origene del Testimonium era privo delle interpolazioni, agli occhi dei cristiani il brano attestava semplicemente l’incredulità di Flavio Giuseppe. Semplicemente «non era un utile strumento apologetico per rivolgersi ai pagani o un utile strumento polemico nelle controversie cristologiche tra i cristiani»78Meier J.P., Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico 1, Queriniana 2001, pp. 71-85.

Se Origine possedeva la copia originale del Testimonium, priva d interpolazioni, cosa lo spinse ad affermare apoditticamente che Flavio Giuseppe non credeva che Gesù fosse il Cristo? Secondo J.P. Meier, «il tono distaccato, o ambiguo, o forse di considerazione abbastanza scarsa, del Testimonium, è probabilmente la ragione per cui i primi scrittori cristiani (specialmente gli apologisti del II sec.) lo passarono sotto il silenzio, per cui Origene si dolse che Flavio Giuseppe non credesse che Gesù era il Cristo, e per cui un (alcuni) interpolatore(i) aggiunse(ro) le affermazioni cristiane verso la fine del III sec»79Meier J.P., Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico 1, Queriniana 2001, pp. 71-85.

Anche B.D. Ehrman usa la stessa contro-argomentazione per rispondere alle obiezioni dei non-autenticisti: «La versione ridotta di Giuseppe -quella ritenuta originale da altri studiosi, senza le integrazioni cristiane- contiene ben poche informazioni di cui i primi scrittori cristiani avrebbero potuto servirsi per difendere Gesù e i suoi seguaci dagli attacchi degli intellettuali pagani. E’ un’esposizione assai neutrale. Il fatto che Gesù fosse ritenuto un saggio o che avesse compiuto opere straordinarie non avrebbe fatto molta strada nel repertorio degli apologeti cristiani»80Ehrman D.B., Did Jesus Exist?, HarperCollins 2012, pp. 64, 350.

In ogni caso, conclude lo studioso dell’Università del North Carolina, «la mia opinione sulla storicità di Gesù non dipende dall’affidabilità della testimonianza di Giuseppe, anche se ritengo sostanzialmente autentico il brano»81Ehrman B.D., Did Jesus Exist?, HarperCollins 2012, pp. 64, 350.

Nel 2015 in un lungo articolo82O’Neill T., Jesus Mythicism 7: Josephus, Jesus and the Testimonium Flavianum, History for Atheist 11/10/202 sul Testimonium Flavianum, anche il ricercatore (ateo) Tim O’Neill, specializzato in storia del cristianesimo, ha replicato in maniera interessante all’obiezione più potente contro l’autenticità del brano, ovvero al lungo silenzio da parte dei cristiani verso lo scritto di Flavio Giuseppe nonostante la popolarità dei suoi testi (ciò portò J.L. Feldman, alla fine della sua carriera, a cambiare posizione sulla questione dell’autenticità, cadendo in un errore talmente sorprendente da essere criticato apertamente da J. Carleton Paget, ordinario di Studi sul Nuovo Testamento dell’Università di Cambridge83Paget J.C., Some Observations on Josephus and Christianity, The Journal of Theological Studies 52 (2), p. 602).

Nel 2021 l’eminente filologo italiano (marxista) Luciano Canfora ha pubblicato uno studio approfondito sul Testimonium Flavianum e sul suo autore, concludendo a sua volta che tolte le due interpolazioni cristiane (“sempre che si debba definirlo ‘uomo’” e “il Cristo egli era!”), il resto del documento non solo è da considerarsi autentico ma «mirabile e intenzionale capolavoro», perché parlando di Gesù in modo «rispettoso ma distante», Flavio Giuseppe riesce ad aprirsi ai cristiani senza sbilanciarsi però troppo84Canfora L., La conversione. Come Giuseppe Flavio fu cristianizzato, Salerno 2021 85Persico R., La conversione. Come Giuseppe Flavio fu cristianizzato, Il Foglio 12/05/2021.

Robert E. Van Voorst, docente di New Testament Studies presso il Western Theological Seminar del Michigan, ha sottolineato che Flavio Giuseppe era nato a Gerusalemme nel 37 d.C. da una famiglia sacerdotale che fece parte dell’élite del Tempio durante la vita pubblica, il processo e la condanna di Gesù. Disponeva pertanto di informazioni di prima mano su quanto testimoniava e ci si aspetterebbe da lui una confutazione di quanto affermavano i seguaci di Gesù, una negazione dei miracoli, un commento scettico alla notizia della resurrezione. Invece il ritratto di Gesù è segnato dal rispetto, riconoscendone con realismo l’eccezionalità.

«In sintesi», scrive Van Voorst, «Giuseppe offre in questi due passi qualcosa di unico tra tutte le antiche testimonianze non cristiane su Gesù: un testimone neutrale, indipendente e molto attendibile ci riferisce che Gesù fu un uomo saggio che i suoi seguaci chiamavano “il Cristo”»86Van Voorst R.E., Jesus Outside the New Testament, B. Eerdmans Publishing 2000, p.103-104.

L’indipendenza di Flavio Giuseppe dalle fonti evangeliche è attestata in modo certo, infatti «non c’è nessuna attestazione probante che conoscesse uno qualsiasi dei quattro vangeli»87Meier J.P., Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico 2, Queriniana 2003, p. 116.

Sintetizzando il contributo di Flavio Giuseppe, si può affermare88Meier J.P., Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico 1, Queriniana 2001, p. 83-85:
(1) La mera esistenza di Gesù è già dimostrata nel racconto sicuramente autentico della morte di Giacomo (libro 20);
(2) Il brano chiamato Testimonium Flavianum (libro 18) indica che Flavio Giuseppe era informato almeno di alcuni fatti salienti della vita di Gesù;
(3) Il Testimonium Flavianum è considerato autentico dalla maggior parte degli studiosi (a parte due piccole interpolazioni cristiane), è indipendentemente dai quattro vangeli ma conferma la loro presentazione fondamentale: durante il governo di Ponzio Pilato, tra il 26 e il 36 d.C., apparve sulla scena religiosa della Palestina un uomo chiamato Gesù. La sua reputazione nacque dalla sapienza che manifestò nell’operare miracoli e nell’insegnare. Conquistò un ampio seguito, ma (o perciò?) i capi giudei lo accusarono davanti a Pilato. Pilato lo fece crocifiggere, ma i suoi ferventi seguaci rifiutarono di abbandonare la loro devozione a lui, nonostante la sua morte disonorevole;


 

Talumd Babilonese (Trattato bSanhedrin 43a)

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Un baraitha del II secolo, conservata nel Trattato Sanhedrin del Talmud di Babilonia, recita così:

«Viene tramandato: alla vigilia (del sabbat e) della pasqua si appese Jesu (il nazareno). Un banditore per quaranta giorni andò gridando nei suoi confronti: “Egli esce per essere lapidato, perché ha praticato la magia e ha sobillato e deviato Israele. Chiunque conosca qualcosa a sua discolpa, venga e l’arrechi per lui”. Ma non trovarono per lui alcuna discolpa, e lo appesero alla vigilia della pasqua. Disse Ulla: “Credi tu che egli sia stato uno per il quale si sarebbe potuto attendere una discolpa? Egli fu invece un istigatore all’idolatria, e il Misericordioso ha detto “Tu non devi avere misericordia e coprire la sua colpa!”. Con Ješu fu diverso, perché egli stava vicino al regno»89Sanhedrin B, 43b.

 

Alcuni studiosi, il più radicale è certamente Johann Maier90Maier J., Jesus von Nazareth in der talmudischen Uberlieferung, Wissenschaftliche Buchgesellsschaft 1978, p. 263-275, si sono rifiutati di identificare questo reo con Gesù, ritenendo l’appellativo “il nazareno” un’aggiunta posteriore. A loro giudizio si farebbe riferimento a un certo Yeshu, discepolo di un rabbino del 100 a.C., nominato in Sanh. 107b, reo di aver praticato la stregoneria e di aver esortato Israele al peccato.

Altri storici la pensano diversamente, il biblista J.M. Garcia, direttore della Cattedra di Teologia dell’Università Complutense e docente di Sacra Scrittura dell’Università Ecclesiastica di San Damaso, spiega ad esempio che «l’appellativo “il nazareno” è molto ben testimoniato. D’altra parte, sembra molto probabile che in origine il nome di Yeshu non figuri nel passo di bSanh 107b, considerato che la stessa notizia appare priva di nomi in altri due posti (cfr bSot47a e pHag77d)»91Garcia J.M., Il protagonista della storia. Nascita e natura del cristianesimo, Rizzoli 2008, pp. 33-35.

Inoltre, prosegue lo studioso spagnolo, appaiono tante le coincidenze con Gesù: «Accuse analoghe contro Gesù appaiono nel Nuovo Testamento (Mt 12,24; Lc 23,2), l’essere appeso va sicuramente interpretato in riferimento alla crocifissione visto che è un fato ben noto. E’ molto improbabile che questo termine qui stia ad indicare un’esposizione del cadavere dopo la lapidazione. Di fatto il testo non dice nulla sull’esecuzione della lapidazione: il che risulta sorprendente, qualora proprio quello sia stato il metodo di esecuzione. Singolare la coincidenza relativa al giorno della morte di Gesù in questo testo rabbinico e nel vangelo di Giovanni (19,14)»92Garcia J.M., Il protagonista della storia. Nascita e natura del cristianesimo, Rizzoli 2008, pp. 33-35.

Jaqueline Genot-Bismuth, docente di Ebraismo antico presso l’Università di Parigi, ha sottolineato come il riferimento a Yeshu (=Gesù) concorda con la cronologia della passione del quarto vangelo, «così in qualche modo i due testi si autenticano a vicenda e ci fanno dedurre che la tradizione a cui fanno capo risalga bene a dei testimoni oculari»93Genot-Bismuth J., Un homme nommé Salut: genèse d’une “hérésie” a Jérusalem, O.E.I.L 1986, p. 267.

Anche J. Klausner, importante storico israeliano, accettò questo riferimento a Gesù di Nazareth94Klausner J., Jesus of Nazareth. His Life, Times and Teaching, Macmillan 1925, p. 23.

Il biblista J.P. Meier sembra concordare sul fatto che il brano alluda effettivamente a Gesù ma non lo ritiene indipendente dai vangeli: «Qui non c’è niente che non sappiamo dai vangeli e molto verosimilmente il testo talmudico è semplicemente una reazione alla tradizione evangelica»95Meier J.P., Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico 1, Queriniana 2001, p. 101.


 

Talumd Babilonese (Trattato pTa’anit 65b)

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Un altro possibile riferimento a Gesù di Nazareth nel Talmud babilonese è contenuto nel trattato sul digiuno.

«Abbahu dice: “Se qualcuno ti dice “Io sono Dio”, egli è un mentitore; (se ti dice) “Io sono il figlio dell’uomo”, alla fine dovrà pentirsene; (se ti dice) “Io ascenderò al cielo”, lo dice e non lo può fare»96PTa’anit, 65b.

 

Il testo sembra polemizzare su quanto affermato da Gesù davanti al Sinedrio (Mc 14,62).

Tenendo però presente la convinzione del polemista anticristiano Celso, secondo cui diversi falsi profeti avrebbero utilizzato espressioni simili, il testo rabbinico potrebbe anche alludere a tali personaggi e non necessariamente a Gesù.


 

Talumd Babilonese (Trattato b’Aboda zara 16b)

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Un terzo brano rabbinico che si riferisce a Gesù è quello contenuto nel trattato dedicato all’idolatria e agli idoli:

«Rabbi Eliezer disse: una volta camminavo al mercato superiore di Sepporis e incontrai uno dei discepoli di Ješu ha-nôserî (Gesù il nazareno), chiamato Giacobbe del villaggio di Sekhanjaa. Egli mi disse: “Nella vostra Torah è scritto: ‘Non porterai il denaro di una prostituta nella casa del Signore’ (Dt. 23,19). Com’è? Non si può con esso costruire una latrina per il sommo sacerdote? Io non gli risposi. Egli mi disse: “Così mi ha insegnato Gesù il nazareno (Ješu ha-nôserî): ‘Fu raccolto a prezzo di prostitute e in prezzo di prostitute tornerà’ (Mi 1,7); da un luogo di sozzura è venuto e in un luogo di sozzura andrà”. La parola mi piacque; perciò io fui arrestato di eresia».

 

Secondo alcuni studiosi (ad esempio J. Jeremias), le versioni più antiche del racconto parlano di un detto eretico attribuito a questo discepolo di Gesù senza specificarne il contenuto, il detto sarebbe stato inventato successivamente per soddisfare la curiosità dei lettori e per screditare lo stesso Gesù.

Anche il biblista J.P. Meier si dichiara scettico sull’autenticità del passo, ritenendo che sia «un’invenzione polemica per mettere in ridicolo Gesù»97Meier J.P., Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico 1, Queriniana 2001, p. 103.

Lo studioso ebreo J. Klausner ha sostenuto invece l’affidabilità del brano98Klausner J., Jesus of Nazareth. His Life, Times and Teaching, Macmillan 1925, pp. 37-44.


 

Talumd Babilonese (Sinedrio 67a)

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Un ultimo riferimento cristiano all’interno dei testi rabbinici è quello contenuto nel Sinedrio 67a del Talmud.

«E lo hanno fatto a Ben Stada a Lidda, essi lo appesero alla vigilia della Pasqua ebraica Ben Stada era Ben Padira Rabbi Hisda ha detto: “Il marito è Stada, la madre di l’amante Panthera era sposato con Stada. Sua madre era Miriam, una lavandaia o dal parrucchiere”».

 

Secondo lo studioso americano B.D. Ehrman, «da tempo gli studiosi hanno ammesso che tale tradizione sembra rappresentare un ingegnoso attacco all’idea cristiana della nascita di Gesù quale “figlio di una vergine”. Il termine greco che traduce la parola vergine è parthenos, la cui pronuncia è assai simile a quella di Panthera»99Ehrman B.D., Did Jesus Exist?, HarperCollins 2012, p. 69.

Quasi certamente non si tratta di un brano indipendente dai vangeli.

 

 

2.4 Conclusione sulle fonti non cristiane.

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Il risultato finale dello studio sulle varie fonti non cristiane è abbastanza scarso, soprattutto risultano controverse le fonti rabbiniche.

E’ però interessante sottolineare che «la tendenza generale di antiche fonti giudaiche» è quella di non negare «l’esistenza e l’esecuzione di Gesù. In verità, neppure i miracoli di Gesù sono negati, ma sono piuttosto interpretati come atti di stregoneria». Tuttavia «quando possiamo realmente trovare tali riferimenti nella letteratura rabbinica posteriore, essi sono molto probabilmente reazioni ad affermazioni cristiane, orali o scritte», dunque fonti non indipendenti. In ogni caso, «anche se accettassimo tutte le affermazioni, queste non aggiungerebbero niente di nuovo all’informazione che già abbiamo dal Nuovo Testamento»100Meier J.P., Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico 1, Queriniana 2001, pp. 101, 104, 105.

Per quanto riguarda le altre fonti non cristiane, dobbiamo riconoscere che non forniscono informazioni nuove ma, semmai, confermano -quasi sempre in maniera indipendente dai vangeli- l’esistenza storica di Gesù e diversi eventi della sua vita pubblica di cui parlano le fonti cristiane.

Non è poco constatare che non esistono grandi differenze o contraddizioni con i Vangeli e con le fonti cristiane in generale.

Affidiamo a J.M. Garcia, direttore della Cattedra di Teologia dell’Università Complutense e docente di Sacra Scrittura dell’Università Ecclesiastica di San Damaso, la conclusione sul contributo delle fonti non cristiane: «Queste fonti si oppongono categoricamente a ogni tentativo, passato e recente, di ridurre Gesù di Nazareth a pura finzione. Gesù non è il risultato della fantasia di alcuni falsari, che hanno creato questo personaggio fondendo tra di loro racconti mitici e informazioni derivanti dalle religioni pagane. A differenza dei miti, le notizie su Gesù e il cristianesimo nascente precisano tempi e luoghi, parlano di avvenimenti storici. Va pertanto dedotto che le concezioni pagane non stanno alla base della fede cristiana»101Garcia J.M., Il protagonista della storia. Nascita e natura del cristianesimo, Rizzoli 2008, p. 40.

Sintetizzando possiamo così elencare cronologicamente le testimonianze principali degli autori non cristiani:

  • 50 d.C. testimonianza di Tallo: conosciuta tramite fonti secondarie è un tentativo di spiegare naturalmente l’oscuramento del cielo alla morte di Gesù, episodio citato anche dai Vangeli. Non è né dimostrata né confermata l’indipendenza dai Vangeli;
  • 64-65 d.C. testimonianza di Petronio: parodia degli scritti cristiani, non è una fonte indipendente;
  • dopo il ’73 d.C. testimonianza di Mara Bar Serapion: autentica e indipendente, conferma l’omicidio di Gesù (chiamato “re”) attribuendolo ai Giudei;
  • 93-94 d.C. testimonianza di Flavio Giuseppe: il Testimonium Flavianum, in particolare, epurata dalle piccole interpolazioni è una conferma autentica e indipendente di diversi fatti salienti della vita di Gesù;
  • 112 d.C. testimonianza di Plinio il Giovane: autentica e indipendente, conferma che verso la fine del I secolo i cristiani adoravano Cristo «come se fosse un dio»;
  • 115 d.C. testimonianza di Svetonio: autentica e indipendente, a metà del I sec. si rileva che i cristiani parlano di Cristo come ancora vivente tra loro;
  • 115-117 d.C. testimonianza di Tacito: autentica e indipendente, conferma la morte di Gesù come la descrivono i vangeli;
  • 162 d.C. testimonianza di Marco Cornelio Frontone : autentica e indipendente (dai Vangeli), conferma la morte di Gesù come la descrivono i vangeli;
  • 170 d.C. testimonianza di Luciano di Samosata: autentica ma forse non indipendente dalle fonti cristiane, conferma in particolare la morte di Gesù;

 

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3. LE FONTI CRISTIANE SU GESU’ DI NAZARETH

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Oltre alle fonti non cristiane e oltre ai quattro vangeli canonici (Marco, Matteo, Luca e Giovanni e le loro relative fonti Q, L e M) esistono diversi altri testi cristiani, precedenti e successivi ai vangeli, che confermano in modo indipendente diverse informazioni.

Alcuni di questi testi compaiono all’interno del Nuovo Testamento (chiamate fonti extra-canoniche) mentre altre no (fonti extra-testamentarie).

Non sempre vengono tenute in considerazione perché si cade nel tranello della scarsa imparzialità.

Lo studioso agnostico prof. B.D. Ehrman ha spiegato che «la maggior parte delle fonti è parziale: se gli autori non avessero opinioni sull’argomento, non ne parlerebbero»102Ehrman B.D., Did Jesus Exist?, HarperCollins 2012, p. 42.

Chi esclude le fonti cristiane in quanto testi “di parte” dovrebbe allora accantonare anche i resoconti sulla Guerra di indipendenza in quanto scritti dagli americani, dovrebbe criticare le cronache coeve a George Washington dato che sono scritte dai suoi seguaci, si dovrebbe dubitare dei dati biografici di Socrate, trasmessi dai suoi discepoli Senofonte e Platone o della veridicità delle gesta compiute da Cesare, narrate da lui stesso.

«Qualunque cosa scritta viene scritta da un certo punto di vista», osserva J.P. Meier. «Il rigetto di una posizione di fede tradizionale non significa neutralità, significa semplicemente una differente prospettiva filosofica che è essa stessa una “posizione di fede”, nel senso ampio dell’espressione. Chiunque scrive sul Gesù storico scrive da qualche punto di vista ideologico, nessun critico ne è esente»103Meier J.P., Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico 1, Queriniana 2001, p. 13.

Non dobbiamo aspettarci di trovare nelle fonti cristiane informazioni aggiuntive rispetto a quanto già sappiamo nei quattro vangeli sinottici: per il Gesù storico, questo materiale «fa poca differenza, poiché non aggiunge nulla di sostanziale all’insieme dei dati disponibili nei quattro vangeli». Al massimo sono documenti preziosi per confermare e controllare «la tradizione sinottica, non come fonti di nuova informazione»104Meier J.P., Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico 1, Queriniana 2001, pp. 56, 57.

 

 

3.1 Le fonti cristiane extra-canoniche.

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Le fonti extra-canoniche corrispondono ai libri del Nuovo Testamento che non contengono una vera e propria biografia di Gesù, non hanno lo scopo di regredire una cronaca ma di servire all’annuncio della fede. Le descriviamo molto sinteticamente.


 

Atti degli Apostoli

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Gli Atti degli Apostoli raccontano la diffusione del cristianesimo nell’Impero romano negli anni successivi alla morte di Gesù.

Gli studiosi considerano tale opera indipendente dai Vangeli, scritta dallo stesso autore del Vangelo di Luca ma «rappresentano non una variazione redazionale di Luca, ma un’altra tradizione» indipendente105Meier J.P., Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico 2, Queriniana 2003, pp. 63, 64, 71.

Secondo B.D Ehrman, studioso di Nuovo Testamento presso l’Università del North Carolina, «gli Atti degli Apostoli è scritto dall’autore del Vangelo di Luca e conserva alcune tradizioni sulla vita di Gesù indipendenti da quanto riportato nei vangeli e, secondo la valutazione di quasi tutti gli esponenti della critica storica, si basa su tradizione che circolavano prima della stesura del vangelo […]. Il libro degli Atti offre un’altra dimostrazione, autonoma dai vangeli, che i cristiani delle origini erano persuasi che Gesù fosse stato un ebreo e un maestro di morale, ucciso a Gerusalemme dopo essere stato tradito da Giuda, uno dei suoi seguaci»106Ehrman B.D., Did Jesus Exist?, HarperCollins 2012, p. 106-109.

La datazione della redazione degli Atti viene fatta risalire da Ehrman agli anni 80 d.C., anche se essi «conservano tradizioni primitive che sembrano risalire ai primissimi anni del movimento cristiano»107Ehrman B.D., Did Jesus Exist?, HarperCollins 2012, p. 173.

Altri studiosi, tuttavia, hanno considerato vari aspetti (che non tratteremo qui) e datano la redazione di Atti molto prima, attorno agli anni 60 d.C.108Carmignac J., La nascita dei vangeli sinottici, Edizioni Paoline 1985, p. 94.


 

Le lettere di San Paolo

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La maggior parte delle lettere di San Paolo è autentica e da lui scritta: l’epistola più antica è la Prima lettera ai Tessalonicesi, scritta nel 49 d.C., mentre quella più recente è la Lettera ai Romani, scritta nel 61-62 d.C.109Ehrman B.D., Did Jesus Exist?, HarperCollins 2012, p. 118.

Oltre a confermare i dati sulla vita e la morte di Gesù, nelle sue lettere Paolo conferma anche gli insegnamenti che ha ricevuto personalmente da Pietro e Giacomo nel 35-36 d.C., dopo la sua conversione, ereditando le tradizioni che «risalivano probabilmente a un paio di anni circa dopo la morte di Gesù». Le informazioni fornite da Paolo «combaciano perfettamente con i dati forniti dalle tradizioni evangeliche, le cui fonti orali risalgono quasi certamente alla Palestina romana degli anni Trenta del I secolo»110Ehrman B.D., Did Jesus Exist?, cit p. 132, 133.

Secondo J.P. Meier diversi brani delle lettere paoline «offrono una fonte indipendente per controllare i sinottici», ma non aggiungono nulla da quanto già sappiamo: «Sono paralleli al materiale presente anche nei sinottici, al massimo potrebbero servire solo come controlli per la tradizione sinottica, non come fonti di nuova informazione»111Meier J.P., Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico 1, Queriniana 2001, pp. 54, 55.


 

La lettera agli Ebrei

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C’è ormai un consenso scientifico sul fatto che Paolo non sia il vero autore di questa epistola, il quale è un «cristiano anonimo molto colto del I sec»112Meier J.P., Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico 1, Queriniana 2001, p. 348.

La fonte dello scritto, datato non oltre il 69 d.C., è basata su tradizioni orali indipendenti113Ehrman B.D., Did Jesus Exist?, HarperCollins 2012, p. 117, le quali confermano diverse affermazioni contenute nei vangeli canonici.


 

Le lettere di Pietro

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C’è un dibattito accademico sul fatto se le due epistole siano state scritte o meno da Pietro.

In ogni caso entrambe mostrano di non avere familiarità con i vangeli pur confermandone le informazioni: «Siamo di fronte a una testimonianza indipendente della vita di Gesù e della sua morte»114Ehrman B.D., Did Jesus Exist?, HarperCollins 2012, p. 115.

p style=”text-align: justify;”>La prima lettera, quasi certamente autentica, è probabilmente stata scritta vicino alla morte di Pietro (64 d.C.), mentre la seconda (quasi sicuramente pseudoepigrafica) è stata composta all’inizio del II secolo (100-160 d.C.).


 

Il libro dell’Apocalisse

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Il libro dell’Apocalisse è ritenuto un’altra fonte indipendente alla tradizione cristiana e alla vita di Gesù, datata negli anni 90 d.C..

Probabilmente non è stato scritto da Giovanni e certamente non ha tratto il materiale dal vangelo di Giovanni115Ehrman B.D., Did Jesus Exist?, HarperCollins 2012, p. 116.


 

La lettera di Giuda

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La Lettera di Giuda è solitamente datata tra l’80 e il 90 d.C. e tradizionalmente attribuita all’apostolo Giuda Taddeo.

Anch’essa mostra di non prelevare le informazioni dai vangeli e si dimostra essere una fonte cristiana indipendente.

 

 

3.2 Le fonti cristiane extra-testamentarie.

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Oltre alla fonti extra–canoniche (cioè i testi cristiani contenuti nel Nuovo Testamento al di fuori dei quattro vangeli canonici), vi sono anche fonti extra-testamentarie (al di fuori del Nuovo Testamento) prodotte da autori cristiani nel I e II secolo d.C.

Questi testi trasmettono informazioni sul Gesù storico e sono riconosciuti come fonti indipendenti (cioè non ricavano tutte le informazioni dalle fonti evangeliche).


 

Papia

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Uno dei padri della Chiesa è stato Papia, vissuto all’inizio del II secolo, autore di cinque volumi intitolati Esposizione degli oracoli del Signore”, scritti tra il 120 e il 130 d.C..

Questi brani sono noti grazie alle citazioni riportate da autori cristiani di epoca successiva116Novelli E., Esposizione degli oracoli del Signore. I frammenti, Edizioni Paoline 2005.

Viene ritenuto un testimone importante in quanto, spiega B.D. Ehrman, «era personalmente in contatto con persone che avevano conosciuto gli apostoli o i loro compagni. Quando essi si recavano nella città di Gerapoli in Asia Minore, in qualità di capo della Chiesa, Papia chiedeva loro cosa sapessero di Gesù e dei suoi apostoli […]. Si tratta di una testimonianza indipendente dai vangeli stessi e una testimonianza che si richiama in modo esplicito, credibile e diretto ai discepoli di Gesù»117Ehrman B.D., Did Jesus Exist?, HarperCollins 2012, pp. 97-101.


 

Ignazio di Antiochia

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Uno degli autori più importanti del cristianesimo primitivo è Ignazio, vissuto dal 35 d.C. (circa) al 107 d.C. (circa), i cui scritti non compaiono nel Nuovo Testamento.

Fu vescovo dell’importante comunità di Antiochia (Siria) e autore di numerose lettere, datate nei primi anni del II secolo, molte delle quali «contestano i cristiani convinti che Gesù non fosse stato un essere umano in carne ed ossa»118Ehrman B.D., Did Jesus Exist?, HarperCollins 2012, p. 102.

In queste epistole, Ignazio conferma diversi fatti della vita di Gesù, ad esempio:

«E’ della stirpe di Davide secondo la carne, figlio di Dio per volere e potenza di Dio, generato veramente da una vergine, battezzato da Giovanni affinché da lui fosse compiuta ogni giustizia. Sotto Ponzio Pilato e il tetrarca Erode è stato veramente inchiodato per noi nella carne […] per sollevare il suo stendardo nei secoli in forza della sua resurrezione […]. Io so e credo che anche dopo la risurrezione egli era nella carne»119Ignazio di Antiochia, Lettera agli Smirnesi I-III.

 

E’ una fonte indipendente dai vangeli?

Secondo B.D. Ehrman «nulla suggerisce che Ignazio abbia tratto le proprie idee dai libri che sarebbero entrati a far parte del Nuovo Testamento […], perciò costituisce un’ennesima testimonianza indipendente della vita di Gesù. Anche nel suo caso non si può obiettare che i suoi scritti siano troppo tardivi per essere di qualche utilità nella nostra ricerca. Non si può dimostrare che abbia fatto affidamento sui vangeli. Ed era vescovo di Antiochia, la città dove Pietro e Paolo avevano trascorso molto tempo, come ci comunica lo stesso Paolo nella Seconda lettera ai Galati»120B.D. Ehrman, Did Jesus Exist?, HarperCollins 2012 pp. 103, 104.


 

La Prima lettera ai Corinti di Clemente Romano

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La Prima lettera ai Corinti fu scritta attorno al 95 d.C. dai cristiani di Roma alla comunità ecclesiale di Corinto per sanare una situazione difficile.

L’epistola è tradizionalmente attribuita al quarto vescovo di Roma, Clemente, benché nella missiva non se ne sostenga la paternità. Ci sono ottime ragioni per ritenere che sia stata scritta nell’ultimo decennio del I secolo121Ehrman B.D., Did Jesus Exist?, HarperCollins 2012, p. 104.

In essa si cita espressamente la Prima lettera ai Corinzi di Paolo mentre non fa alcun riferimento ai Vangeli e non sostiene di aver tratto alcuni detti di Gesù da alcun testo scritto.

Per B.D. Ehrman si tratta di «un’ennesima testimonianza indipendente non solo della vita di Gesù come figura storica, ma anche di alcune delle sue azioni e dei suoi insegnamenti»122Ehrman B.D., Did Jesus Exist?, HarperCollins 2012, pp. 104, 105.


 

Didaché (o Dottrina dei dodici apostoli)

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La Didaché è un testo cristiano datato alla fine del I secolo, in particolare attorno al 70 d.C.123Prinzivalli E. & Simonetti M., Seguendo Gesù, Fondazione Lorenzo Valla, 2010, p. 10.

Secondo Mauro Pesce, ordinario di Storia del Cristianesimo all’Università di Bologna, la sua stesura «è probabilmente indipendente dai vangeli canonici»124Pesce M., Inchiesta su Gesù, Mondadori 2006, p. 47, seppur citi più volte direttamente un «vangelo» preesistente, confermando diverse informazioni dei canonici.

 

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4. CONCLUSIONE GENERALE

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Abbiamo osservato che gli storici, quando affrontano il tema del Gesù storico non fanno affidamento soltanto sui quattro vangeli (e alle fonti presinottiche: Q, M e L e altre).

Si è infatti in presenza di 8 testimonianze non cristiane, provenienti dal mondo ebraico, pagano e romano. Sono riconosciute come autentiche e in gran parte indipendenti dalle fonti cristiane. Tutte confermano le informazioni contenute nei vangeli senza alcuna contraddizione o tentativo di smentire i dati salienti della vita di Gesù di Nazareth.

Oltre ad esse, abbiamo anche elencato 10 testimonianze cristiane indipendenti (Atti degli Apostoli, le tredici lettere paoline, la Lettera agli Ebrei, le due lettere di Pietro, l’Apocalisse, la Lettera di Giuda, gli scritti di Papia, di Ignazio, la Prima lettera di Clemente e la Didaché), che «forniscono un’ampia varietà di fonti che convalidano molti resoconti su Gesù senza dar prova di aver collaborato. Senza contare tutte le tradizioni orali in circolazione prima dei testi scritti che ci sono pervenuti»125Ehrman B.D., Did Jesus Exist?, HarperCollins 2012, p. 142.

Sintetizzando possiamo elencare in ordine cronologico le fonti indipendenti cristiane e non cristiane:

  • 50 d.C. testimonianza di Tallo: conosciuta tramite fonti secondarie è un tentativo pagano di spiegare naturalmente l’oscuramento del cielo alla morte di Gesù, episodio citato anche dai Vangeli. Non è né dimostrata né confermata l’indipendenza dai Vangeli;
  • 49-62 d.C. testimonianza di San Paolo: le tredici lettere di Paolo sono (quasi tutte) autentiche e certamente indipendenti dai vangeli, confermano la vita di Gesù e i suoi insegnamenti;
  • 64 d.C. testimonianza della Prima lettera di Pietro: dubbi sull’autenticità, comunque è certamente una fonte cristiana indipendente della vita e della morte di Gesù;
  • 60-80 d.C. testimonianza degli Atti degli Apostoli: libro cristiano indipendente dai vangeli di cui conferma molte informazioni, riporta antiche tradizioni sulla vita di Gesù (anni 30);
  • 68 d.C. testimonianza della Lettera agli Ebrei: si basa su tradizioni cristiane orali indipendenti che confermano i vangeli;
  • 70 d.C. testimonianza della Didaché: fonte cristiana indipendente dai vangeli, conferma diverse informazioni;
  • dopo il 73 d.C. testimonianza di Mara Bar Serapion: fonte pagana autentica e indipendente dai vangeli, conferma l’omicidio di Gesù (chiamato “re”) attribuendolo ai Giudei;
  • 80-90 d.C. testimonianza della Lettera di Giuda: fonte cristiana indipendente dai vangeli sulla vita di Gesù;
  • 90 d.C. testimonianza dell’Apocalisse: fonte cristiana indipendente dai vangeli, conferma vari aspetti della vita di Gesù;
  • 93-94 d.C. testimonianza di Flavio Giuseppe: il Testimonium Flavianum, in particolare, epurata dalle piccole interpolazioni è una conferma ebraica autentica e indipendente di diversi fatti salienti della vita di Gesù;
  • 95 d.C. testimonianza della Prima lettera ai Corinti di Clemente Romano: testimonianza cristiana indipendente dai vangeli, conferma la vita di Gesù e i suoi insegnamenti;
  • 100 d.C. testimonianza della Seconda lettera di Pietro: dubbi sull’autenticità, comunque è certamente una fonte cristiana indipendente della vita e della morte di Gesù;
  • 100-107 d.C. testimonianza di Ignazio di Antiochia: testimonianza cristiana indipendente dai vangeli, conferma diversi fatti della vita di Gesù;
  • 112 d.C. testimonianza di Plinio il Giovane: fonte romana autentica e indipendente, conferma che verso la fine del I secolo i cristiani adoravano Cristo «come se fosse un dio»;
  • 115 d.C. testimonianza di Svetonio: autentica e indipendente, a metà del I sec. si rileva che i cristiani parlano di Cristo come ancora vivente tra loro;
  • 115-117 d.C. testimonianza di Tacito: fonte romana autentica e indipendente, conferma la morte di Gesù come la descrivono i vangeli;
  • 120-130 d.C. testimonianza di Papia: testimonianza cristiana indipendente dai vangeli;
  • 162 d.C. testimonianza di Marco Cornelio Frontone : fonte romana autentica e indipendente (dai Vangeli), conferma la morte di Gesù come la descrivono i vangeli;
  • 170 d.C. testimonianza di Luciano di Samosata: fonte greca autentica ma forse non indipendente dalle fonti cristiane, conferma in particolare la morte di Gesù;

Gesù di Nazareth fu, per i motivi che abbiamo spiegato, un personaggio marginale tra i suoi contemporanei. Eppure è incredibile come i dati salienti della sua vita abbiano lasciato numerose tracce in diversi documenti, cristiani e non.

Questa mole di informazioni sul suo conto «forniscono allo storico una dovizia di materiali su cui lavorare, un fatto piuttosto insolito per le testimonianze sulla vita di chiunque, letteralmente chiunque, sia vissuto nel mondo antico»126Ehrman B.D., Did Jesus Exist?, HarperCollins 2012, p. 79.

Non solo, dunque, non è più possibile metterne in dubbio la storicità (e nessuno più lo fa), ma è anche d’obbligo ritenere i vangeli -le fonti più complete che abbiamo sulla vita di Gesù- dei documenti storici, la cui attendibilità è confermata da quasi 20 documenti indipendenti, cristiani e non cristiani, risalenti ai primi due secoli dell’era cristiana.

 
 

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No, il Natale non è una festa pagana: ecco la verità storica

La verità dietro il Natale: un’antica festa cristiana, non pagana. La storia ha smentito che il 25 dicembre fosse la festa pagana del Sol Invictus. In questo dossier analizziamo tutte le testi avanzate sull’origine del Natale, citando storici e specialisti che si sono occupati del tema.

 
 

In molti ritengono che il 25 dicembre sia una data che i cristiani avrebbero usato per la nascita di Gesù di Nazareth allo scopo di contrastare o appropriarsi di qualche festa pagana, quella del Sol invictus, ad esempio.

Altri, invece, ritengono che la scelta del 25 dicembre sia indipendente da piani politico-ideologici di contrasto al paganesimo, ma si tratterebbe di una data convenzionale. Infine, c’è chi sostiene, basandosi in particolare sull’archeologia, che il 25 dicembre sia effettivamente la data storica della nascita di Gesù Cristo.

In questo dossier (continuamente aggiornato) misureremo argomenti a favore e contro di ognuna di questa tesi, dimostrando perché considerare il 25 dicembre la data storica di Gesù di Nazareth sia la posizione più ragionevole al netto della documentazione storica.

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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1. LA DATA DEL NATALE HA ORIGINI PAGANE?

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Quando nasce la leggenda del “natale pagano”? Ironia della sorte, sorse nel XVII secolo da parte di alcuni teologi protestanti, i quali considerarono troppo “papiste” le festività come il Natale e la Pasqua, cercando di screditarle collegandole al paganesimo antico.

Come ha spiegato Spencer McDaniel, ricercatore e studente di Storia (agnostico) dell’Indiana University Bloomington, l’idea che il Natale potesse essere pagano apparve in particolare nel 1648 nell’opera Certain Queries Touching the Rise and Observation of Christmas del puritano Joseph Heming, seguito da molti altri autori.

La studiosa Marian T. Horvat riferisce che l’idea venne ripresa alla fine del XVII secolo da alcuni puritani e presbiteriani inglesi e scozzesi, oltre che da Paul Ernst Jablonski, un tedesco protestante.

Il loro intento, scrive William J. Tighe, docente di Storia al Muhlenberg College, era dimostrare che la celebrazione della nascita di Cristo fu una delle tante “paganizzazioni” del cristianesimo abbracciate dalla Chiesa cattolica del IV secolo.

Anche se le sue idee non avevano alcuna base storica, quest’idea divenne estremamente influente tra i protestanti, e non solo. Tra i più influenti a seguire queste tesi, vi fu Alexander Hislop (1807-1865), ministro della Chiesa Libera di Scozia, autore di un opuscolo intitolato The Two Babylons (1853), nel quale sostenne che il cattolicesimo romano non è altro che il paganesimo babilonese ribattezzato e che tutte le feste associate al cattolicesimo sarebbero in realtà antiche feste religiose babilonesi in onore degli dei pagani.

Secondo il pastore Hislop, inoltre, anche la Pasqua sarebbe stata pagana e avrebbe onorato la dea babilonese Ishtar.

 

1.1 Il 25 dicembre era la festa del Sol Invictus?

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Le tesi dei ministri protestanti dei secoli scorsi sono giunte fino a noi ed in molti oggi ritengono che il 25 dicembre sia in particolare una data appositamente scelta dalla chiesa primitiva per sostituire ed appropriarsi della festa pagana del Sol invictus. Tale culto fu introdotto a Roma dall’imperatore romano Eliogabalo (regnante dal 218 al 222 d.C.) e rimase a Roma per la restante parte della sua storia pagana.

Esiste tuttavia una sola fonte storica a sostegno della celebrazione del Sol Invictus nella data del 25 dicembre e risale a diversi decenni dopo la “legalizzazione” del cristianesimo da parte di Costantino. Si tratta della Cronografia (detta anche Calendario filocaliano), un testo cristiano databile nel 354 d.C. e redatto a Roma.

Il secondo problema è che l’autore del testo, oltre a ricordare che la nascita del Sol Invictus sarebbe stata celebrata il 25 dicembre, afferma che il 25 dicembre era anche la nascita di Gesù. Le due festività sono semplicemente elencate, l’una accanto all’altra. Stando a tale fonte, dunque, non c’è modo di sapere chi abbia per primo usato la data del 25 dicembre come festa propria: sono stati i cristiani a far calare la nascita di Cristo sulla festa del Sole Invitto, sono stati i pagani a tentare di contenere l’esplosione della nuova religione nell’Impero Romano, oppure le due date sono state scelte in modo indipendente?

Secondo diversi studiosi (H. Usener 1889, H. Lietzmann, FJ Dölger 1925 e Bernard Botte 1932), inclusa l’enciclopedia italiana Treccani, sarebbero stati cristiani ad “arrivare dopo”. Avrebbero identificato la nascita di Gesù il 25 dicembre per “cristianizzare” la festa pagana.

Lo sostenne il vescovo siriano Jacob Bar-Salibi alla fine del XII secolo, pur senza citare fonti, affermando che il Natale cristiano sarebbe stato spostato dal 6 gennaio al 25 dicembre, così da cadere sulla stessa data della festa pagana: «Era costume dei pagani celebrare al 25 dicembre la nascita del Sole, in onore del quale accendevano fuochi come segno di festività. Anche i Cristiani prendevano parte a queste solennità. Quando i dotti della Chiesa notarono che i Cristiani erano fin troppo legati a questa festività, decisero in concilio che la “vera” Natività doveva essere proclamata in quel giorno»1J. Bar-Salibi, Christianity and Paganism in the Fourth to Eighth Centuries, Ramsay MacMullen. Yale, 1997, p. 155.

Tale scritto risulta però essere in contrasto con il fatto che i primi cristiani venivano ridicolizzati e perseguitati proprio perché non partecipavano alle feste e alle celebrazioni pagane (furono definiti “atei” dai pagani perché adoravano un invisibile Dio).

Altri sostengono invece che fu l’Imperatore Costantino -cultore del Dio Sole prima di abbracciare la fede cristiana- a trasformare nel 330 d.C. la festa pagana del Sol Invictus del 25 dicembre in festa cristiana. Infatti, nei primi tre secoli del cristianesimo, non vi fu consenso sulla nascita di Cristo: per S. Cipriano era il 28 marzo; secondo Clemente Alessandrino il 20 maggio, il 10 gennaio o il 6 gennaio; per altri si sarebbe cominciato a festeggiare il Natale il 25 dicembre dopo il Concilio di Nicea (325), quando il cristianesimo si diffuse grazie alla libertà di culto promossa da Costantino.

Esistono numerose obiezioni alla tesi della “cristianizzazione” della festa del Sol Invictus. Innanzitutto, la prima citazione della celebrazione del Natale cristiano è antecedente alla prima fonte che attesta l’uso del 25 dicembre in ambito pagano. Risale a Ippolito di Roma (martirizzato nel 235 d.C.), quando nel suo Commentario su Daniele risalente al 203 d.C., scrive: «La prima venuta di nostro Signore, che nella carne, nella quale egli nacque a Betlemme, ebbe luogo otto giorni prima delle calende di gennaio», vale a dire otto giorni prima del 1° gennaio, cioè il 25 dicembre.

Dunque l’uso del 25 dicembre come data cristiana anticipa di ben 133 anni prima quella del Sol Invictus (336 d.C.). Occorre dire, tuttavia, che sull’autenticità del passo di Ippolito non c’è unanimità di consensi: per alcuni esegeti è un’interpolazione successiva (cfr. B. Altaner, O. Bardenhewer e F. X. Funk), altri invece lo ritengono autentico (cfr. W. Bauer, A. Harnack e M. Lefèvre).

Vi è un’altra possibile fonte antecedente al 354 d.C. (ossia all’unica fonte storica che indica la festa del Sol Invictus il 25 dicembre) che attesta la convinzione della comunità cristiana che Gesù Cristo fosse nato il 25 dicembre. Evodio d’Antiochia (morto nel 69 d.C., circa), in un’epistola riportata tardivamente da Niceforo Callisto nel 1320, riferisce della nascita di Cristo, «Luce di questo Mondo, il venticinquesimo giorno del mese di dicembre»2citato in N. Callisto, Storia ecclesiastica, II, 3.

Lo studioso Michele Loconsole, ha scritto inoltre che la Chiesa primitiva, soprattutto d’Oriente, aveva fissato la data di nascita di Gesù al 25 dicembre già nei primissimi anni successivi alla sua morte. Il dato è ricavato dallo studio della primitiva tradizione di matrice giudeo-cristiana -risultata fedelissima al vaglio degli storici contemporanei- e che ha avuto origine dalla primitiva Chiesa di Gerusalemme e di Palestina (in cui membri erano anche i familiari di Gesù).

A sua volta, Steven Hijmans, docente di Arte romana e archeologia presso l’University of Alberta, ha messo fortemente in dubbio la tesi che il Natale sia stato istituito il 25 dicembre per contrastare una popolare festa pagana:

«La rappresentazione della religione pagana come una potenziale minaccia al cristianesimo non è supportata da alcuna prova evidente. L’affermazione che il 25 dicembre era un festa particolarmente popolare per il Sol Invictus nella tarda antichità è altrettanto infondata […]. Non vi è alcuna prova che Aureliano istituì una celebrazione del Sol Invictus in quel giorno e che una celebrazione religiosa del Sol Invictus in quel giorno abbia preceduto la celebrazione del Natale»3S. Hijmans, Sol Invictus, the Winter Solstice, and the Origins of Christmas, Mouseion 2003, N° 47/3, p. 377-398.

In egual modo si è espresso Jean-Marie Salamito, docente di Storia dell’antichità cristiana all’Università Paris-Sorbonne:

«Il calendario delle feste cristiane non rappresenta un adattamento, una trasposizione o una variante del calendario pagano. Al contrario, si tratta di un calendario che possiede una propria logica. La data del Natale non costituisce il tentativo da parte cristiana di sostituire una festa pagana. Invece, l’idea del Natale proviene da speculazioni cristiane del III secolo d.C., specialmente da parte di Sesto Giulio Africano, sulle diverse date della storia santa, in particolare quella sulla data di nascita di Gesù. Quest’ultima è stata fissata sulla data di nascita di Giovanni Battista. Si tratta di calcoli cronologici complessi che hanno fornito al cristianesimo un calendario autonomo che non è l’imitazione di un qualsiasi calendario romano o pagano. Sono del parere che sia la nascita di Gesù che la data del Natale non abbiano nulla a che vedere con i culti pagani, tanto meno con il solstizio d’inverno […]. Il culto solare non era che un culto tra i tanti, inserito nel quadro di una religione caratterizzata da un accentuato pluralismo di culti e di tendenze filosofico-religiose».

Occorre sottolineare anche che prima del 354 d.C., durante il regno di Licinio, il culto al dio solare si celebrava il 19 dicembre, e non il 25. L’iscrizione che lo dimostra è stata citata da Allan S. Hoey4A.S. Hoey, Official Policy towards Oriental Cults in the Roman Army, American Philological Association 1939, n° 70, pp. 456-481, nota 128, ripresa anche da Michele Loconsole e citata dallo storico W.J. Tighe.

Michele R. Salzman, docente di Storia all’University of California e specialista in storia religiosa dell’età antica, ha precisato che la festa del Sol Invictus veniva celebrata anche in altre date dell’anno, le più frequenti tra il 19 e il 22 ottobre. Quella del 25 dicembre si sarebbe imposta soltanto dopo la metà del IV secolo d.C.5M.R. Salzman, New Evidence for the Dating of the Calendar at Santa Maria Maggiore in Rome, American Philological Association 1981, n° 111, pp. 215-227.

Un altro studioso che afferma la precocità dell’uso del 25 dicembre da parte dei cristiani piuttosto che in ambito pagano è Thomas J. Talley, il quale ho indicato che nel III secolo d.C. l’imperatore Aureliano (persecutore dei cristiani) inaugurò la festa del Sol Invictus cercando di dare nuova vita (una rinascita) ad un morente Impero Romano. E’ molto probabile, ha sostenuto Talley, che l’azione dell’imperatore fosse una risposta alla crescente popolarità della religione cattolica, che celebrava la nascita di Cristo il 25 dicembre, e non il contrario6T.J. Talley, The Origins of the Liturgical Year, Liturgical Press 1991, p. 88-91.

A Petovio (l’attuale Ptuj, in Slovenia), è stata recuperata la testimonianza di Vittorino che, verso la fine del III secolo, afferma: «Abbiamo trovato, tra le carte di Alessandro, che fu Vescovo a Gerusalemme, ciò che egli trascrisse di suo pugno da documenti apostolici: l’ottavo giorno delle calende di gennaio, ossia il 25 dicembre, è nato Nostro Signore Gesù Cristo, sotto il consolato di Sulpicio e Camerino […]». Alessandro morì nel 251 d.C., cento anni prima, dunque, dell’unica fonte che attesta la festa del Sol Invictus al 25 dicembre.

Si può inoltre considerare che fino all’Editto di Milano (313 d.C.), i cristiani erano fortemente perseguitati e si rifugiavano frequentemente nelle catacombe: anche se avessero festeggiato il Natale al 25 dicembre, non lo avrebbero certo celebrato pubblicamente.

Si consideri anche quando scrisse Agostino di Ippona nel 400 d.C. sui donatisti (un gruppo cristiano di dissidenti), i quali festeggiavano il Natale il 25 dicembre, rifiutandosi però di celebrare l’Epifania il 6 gennaio, considerandola come una novità. Dal momento che essi emersero solo durante la persecuzione di Diocleziano nel 312 d.C, per poi rimanere ostinatamente attaccati alle pratiche di quel momento, risulta anch’essa una tesi a favore della originalità cristiana. Come già detto, infatti, la prima data certa che attesta al 25 dicembre la festa pagana del Sol Invictus è datata al 336 d.C.

Il ricercatore Spencer McDaniel ha concluso il suo studio sostenendo che entrambe le festività siano cadute il 25 dicembre, per coincidenza:

«Ecco ciò che probabilmente è accadde: i cristiani iniziarono a celebrare il Natale il 25 dicembre perché avevano già creduto che l’Annunciazione a Maria fosse avvenuta il 25 marzo, ed il 25 dicembre si colloca esattamente nove mesi dopo. Nel frattempo arrivò il culto del Sol Invictus e fu adottato il 25 dicembre come compleanno di tale divinità perché considerato il solstizio d’inverno. Ecco dunque che le date del Natale e del Sol Invictus sono le stesse semplicemente per coincidenza».

Al contrario, William J. Tighe, docente di Storia presso il Muhlenberg College di Allentown (Pennsylvania), sostiene che furono i pagani ad appropriarsi della festività cristiana:

«La scelta del 25 dicembre è il risultato di tentativi tra i primi cristiani di capire la data di nascita di Gesù in base a calcoli calendariali, che non avevano niente a che fare con le feste pagane. Piuttosto, la festa pagana della “Nascita del Sole Invitto”, istituita dall’imperatore romano Aureliano il 25 dicembre 274, fu quasi certamente un tentativo di creare una valida alternativa pagana a una data che era già di una certa importanza per i cristiani romani».

Che sia stata scelta in maniera indipendente (o per coincidenza) o che siano stati i pagani a “copiare” i cristiani, tutti questi studiosi concordano che i cristiani indicarono il 25 dicembre per primi, basandosi su calcoli di calendario e senza curarsi delle festività pagane.

 

1.2 Il 25 dicembre indicava la nascita del dio Mitra?

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I sostenitori del mito di Gesù (miticisti), sostengono notoriamente un’altra tesi: non solo la data di nascita, ma l’esistenza di Gesù di Nazareth sarebbe inventata e plasmata sulle gesta di varie divinità pagane, come Dioniso e Mitra.

Oltre ad essere nate il 25 dicembre, queste divinità nacquero da una vergine, compirono miracoli, ebbero 12 apostoli, morirono in croce e risorsero il terzo giorno.

Niente di ciò, ovviamente, è vero e non stupisce che nessun miticista è uno storico serio. La comunità scientifica respinge totalmente questi presunti parallelismi. D’altra parte, rispetto a Mitra, l’iconografia romana rappresentata dalla petra genetrix lo fa nascere già fanciullo da una roccia.

Bar D. Ehrman, autorevole studioso di Nuovo Testamento e direttore del dipartimento di Studi religiosi dell’Università del North Carolina, ha smentito tutte le tesi miticiste, scrivendo:

«Non ci sono prove, è un’invenzione. Gli studiosi dei misteri mitraici non hanno difficoltà ad ammettere che, come per la maggior parte delle religioni misteriche, non sappiamo molto del mitraismo. I mitraisti non hanno lasciato libri per spiegare quali fossero i loro riti e le loro credenze. Quasi tutte le testimonianze in nostro possesso sono prove archeologiche, dal momento che sono stati scoperti molti templi sacri al culto (chiamati mitrei) e una statua che raffigura l’uccisione di un toro […]. Non abbiamo testi mitraici, e tanto meno testimonianze secondo cui il dio Mitra sarebbe nato da una vergine il 25 dicembre e sarebbe morto per espiare i peccati, per poi risorgere di domenica. Religioni quali il mitraismo sono definite culti misterici dagli studiosi perché i seguaci erano vincolati da un voto di segretezza e non rivelarono mai né i misteri del loro culto, né i loro riti o il loro credo»7B.D. Ehrman, Did Jesus Exist?, HarperCollins Publisher 2012, p. 217.

Per approfondire consigliamo le più importanti opere storiche moderne sul mitraismo, scritte da Roger Beck8R. Beck, The religion of the Mithras Cult in the Roman Empire: Mysteries of the Unconcquered Sun, Oxford University Press 2007 e Hugh Bowden9H. Bowden, Mystery Cults of the Ancient World, Princeton University Press 2010, docente di Storia antica al King’s College London.

 

1.3 Il 25 dicembre risale alle feste saturnali?

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Un’altra tesi è che il Natale cristiano non derivi né dal Sol Invictus, né dalla divinità Mitra, bensì dalle feste “Saturnali” dedicate all’insediamento nel tempio del dio Saturno.

Eppure non esistono fonti che indicano tali festività al 25 dicembre. Piuttosto, l’Enciclopedia Britannica indica che furono celebrate originariamente il 17 dicembre e solo successivamente estese dai 3 ai 7 giorni successivi.

Di questo si è occupato approfonditamente Spencer McDaniel, ricercatore e studente di Storia all’Indiana University Bloomington, il quale dopo una dotta ricostruzione storica ha concluso:

«Al il 25 dicembre, i Saturnali erano sicuramente già finiti. Nessuno nell’antichità pensava che si celebrassero il 25 dicembre […]. Molti hanno provato a sostenere che i cristiani abbiano scelto la data del 25 dicembre perché stavano cercando di creare un’alternativa cristiana ai Saturnali, ma questo è improbabile. Se avessero cercato di farlo, molto probabilmente avrebbero messo il Natale nel giorno esatto dei Saturnali in modo che le persone non potessero celebrare entrambe le festività. Invece, non lo fecero e, infatti, la gente continuò a celebrare i Saturnali insieme al Natale molto tempo dopo la conversione dell’Impero Romano al cristianesimo».

 

Lo studioso americano ha anche osservato che i Saturnali non avevano nemmeno nulla di simile al Natale cristiano.

«Era un’atmosfera carnevalesca per molti versi più simile ad una moderna celebrazione del Martedì grasso o del Pesce d’aprile», ha osservato lo studioso. «Era un periodo turbolento ed indisciplinato in cui tutto ciò che normalmente era illegale o socialmente inaccettabile diventava normale». Si indossavano abiti colorati, si giocava d’azzardo, alcolici in gran quantit ed addirittura gli schiavi erano autorizzati a criticare i loro padroni (come raccontato da Quinto Orazio Flacco nelle sue Satire, 2.7).

L’uso di indossare abiti sgargianti e colorati durante la festa dei Saturnali è testimoniato, ad esempio, da Lucio Anneo Seneca (vissuto tra il 4 a.C. e il 65 d.C. circa): «È il mese di dicembre, eppure la città in questo preciso momento sta sudando. Viene data licenza alla baldoria generale. Tutto risuona di potenti preparativi, — come se i Saturnalia differissero in qualche modo dalla solita giornata lavorativa-! […] Come è ora, noi romani abbiamo cambiato il nostro vestito per amore del piacere e della vacanza»10L.A. Seneca, Epistulae morales ad Lucilium, 18.1–2.

Lo scrittore siriano Luciano di Samosata (vissuto tra il 120 e il 180 d.C.) scrisse un dialogo intitolato Saturnalia, in cui ritrasse il dio Kronos (cioè l’equivalente greco di Saturno) mentre descriveva tale festa: «Durante la mia settimana, la serietà è bandita; non è consentito fare affari. Bere e ubriacarsi, rumore e giochi e dadi, nomina dei re e banchetti degli schiavi, cantare nudi, applaudire con mani tremanti, immergere la faccia in acqua gelida: queste sono le funzioni su cui presiedo».

Durante questa festività pagana si giocava anche al Saturnalicius princeps: chi veniva scelto a sorte diventava “imperatore” della festa e dava ordini divertenti agli invitati. In Inghilterra il gioco divenne noto come Lord of Misrule.

Questo gioco era chiaramente concepito per deridere l’imperatore romano e il suo potere autocratico. Tuttavia, gli imperatori lo tolleravano perché durante le Saturnalia le regole normali non si applicavano e, durante questo breve periodo, era consentito deridere l’imperatore, purché entro certi limiti. Lo svolgimento del gioco è descritto da Arriano di Nicomedia (vissuto intorno all’86 – 160 d.C.) riportando le parole del suo maestro, il filosofo Epitteto11Arianno, Discourses of Epictetus, 1.25.8.

Lo storico romano Publio Cornelio Tacito scrive nelle sue Annales che all’imperatore Nerone, in giovane età, capitò di essere sorteggiato come Saturnalicius princeps e ne approfittò per umiliare il timido fratellastro Britannico ordinandogli di cantare di fronte a tutti gli altri partecipanti12P.C. Tacito, Annales, 13.15.

Spencer McDaniel ha infine smentito qualunque derivazione pagana delle varie simbologie tipiche del Natale cristiano, come l’utilizzo delle candele durante l’Avvento, i canti e la decorazione delle abitazioni e addobbare l’albero di Natale. «I regali di Natale, gli alberi di Natale, le ghirlande dell’Avvento con candele e decorazioni di vischio sono tutti attestati per la prima volta troppo recentemente per tornare effettivamente all’antichità precristiana», ha concluso.

L’unico aspetto dei Saturnali apparentemente simile al Natale moderno è l’uso di scambiarsi piccoli doni, che allora erano spesso scherzosi e spiritosi, accompagnati da brevi versi. Il poeta romano Catullo (vissuto tra l’84 e il 54 a.C.) raccontò ad esempio del regalo ricevuto dall’amico Calvus, una raccolta di poesie del «peggiore di tutti i poeti» per torturarlo affinché potesse morire «durante le Saturnalia, il miglior dei giorni».

Lo storico romano Gaio Svetonio Tranquillo (vissuto tra il 69 – 122 d.C.) ricorda che l’imperatore Augusto amava scherzare durante le Saturnalia regalando oggetti come «stoffe ruvide, spugne, paletti e pinze, e altre cose simili con nomi ambigui a doppio significato».

E’ evidente che questo periodo festivo assomiglia più al Carnevale moderno che al Natale. L’usanza romana del dono, tuttavia, sembra essersi completamente estinta nella tarda antichità poiché non è affatto attestata per tutto il Medioevo.

A partire dal IX secolo d.C. circa, San Nicola fu associato alla carità e all’offerta di doni. Intorno al XV secolo d.C., alcuni genitori in alcune parti dell’Europa occidentale iniziarono a fare regali ai propri figli per la festa di San Nicola (6 dicembre). Con il trascorrere dei secoli in alcuni Paesi lo scambio di doni si spostò alla notte di Natale in nome del Cristo bambino. Come giustamente spiegato da Spenser, infatti, si tratta di una tradizione recente, nata solo negli ultimi duecento anni.

Se nel XIII secolo d.C. viene attestata per la prima volta l’usanza di fare atti di carità nel giorno di Natale, la tradizione dello scambio di doni nel nome di San Nicola il 6 dicembre ha avuto origine in Europa occidentale attorno al XV secolo. A seguito di circostanze derivanti dalla Riforma protestante nel XVI secolo, San Nicola verrà poi associato al Natale ed infine verrà scalzato dalla figura di Babbo Natale nel XIX secolo.

I Saturnali alla fine persero popolarità intorno all’inizio del VI secolo d.C.

 

1.3 Un’origine pagana del Natale sarebbe imbarazzante per i cristiani?

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Nonostante l’evidenza storica indichi l’originalità della data cristiana rispetto alle feste pagane del Sol Invictus e dei Saturnali, nonché alla nascita della divinità Mitra, ammettiamo per un attimo che sia stata realmente un’usurpazione culturale da parte della Chiesa cristiana.

Sarebbe imbarazzante per un cristiano?

In realtà, no. Non sarebbe imbarazzante, né direbbe nulla di utile sulla storicità dei racconti cristiani.

Come spiegato dall’Enciclopedia Treccani, in qualunque incontro tra culture diverse sono comuni fenomeni di assimilazione e sostituzione: il cristianesimo primitivo avrebbe potuto cogliere il significato simbolico delle feste pagane e averlo trasferito in Cristo, così come ha di fatto valorizzato diversi elementi della cultura greco romana (pensiamo ai termini “tempio”, “sacerdote”, “pontefice”, l’aureola, i concetti di sostanza, logos, anima o i numerosi templi pagani dell’impero non distrutti ma convertiti al culto cristiano).

L’inculturazione della fede è un fenomeno normale, comune e legittimo della vita della Chiesa, si tratta della trasformazione, dell’integrazione e del potenziamento dei valori che si incontrano nelle civiltà in cui si innesta il cristianesimo. Esse non vengono cancellate (come fecero invece, ad esempio, i sovietici nei confronti del cristianesimo), ma valorizzate attraverso una spiritualità nuova.

L’importante, teologicamente parlando, è che questa inculturazione non abbandoni i dogmi cristiani o introduca credenze pagane, generando una nuova religione sincretistica. Questo, ovviamente, non fu il caso della natalità di Cristo, la cui esistenza storica rimane unica, irripetibile e radicale.

Elementi di inculturazione cristiana sono molto noti, ad esempio, nel cristianesimo ortodosso: in Egitto ancora oggi si utilizza l’ankh egiziano (o crux ansata) come simbolo religioso. Non perché i cristiani l’abbiano “rubato”, piuttosto perché i nativi egiziani che si convertirono al cristianesimo nella tarda antichità adattarono un amato simbolo religioso tradizionale per adattarlo al nuovo contesto religioso in cui vivevano.

A conferma della legittimità della Chiesa dell’inculturazione del paganesimo, troviamo tra i sostenitori di tale tesi addirittura Benedetto XVI! Ratzinger sostenne infatti l’ipotesi dell’inculturazione cristiana del 25 dicembre come festività originariamente pagana, dimostrando che riconoscere ciò non comporta affatto nessun imbarazzo per i cristiani.

Nel 2006, Benedetto XVI ha scritto:

«Il mondo in cui sorse la festa di natale era dominato da un sentimento che è molto simile al nostro […]. Il 25 dicembre, al centro com’è dei giorni del solstizio invernale  doveva essere commemorato come il giorno natale, ricorrente ogni anno, della luce che si rigenera in tutti i tramonti […] Quest’epoca, nella quale alcuni imperatori romani avevano cercato di dare ai loro sudditi in mezzo all’inarrestabile caduta delle antiche divinità, una fede nuova con il culto del sole invitto, coincide col tempo in cui la fede cristiana tese la sua mano all’uomo greco-romano. Essa trovò nel culto del sole uno dei suoi nemici più pericolosi. Tale segno, infatti, era posto troppo palesemente davanti agli occhi degli uomini, in maniera molto più palese e allettante del segno della croce, col quale procedevano gli araldi cristiani. Ciononostante, la fede e la luce invisibile di questi ultimi ebbero il sopravvento sul messaggio visibile, col quale l’antico paganesimo aveva cercato di affermarsi. Molto presto i cristiani rivendicarono per loro il 25 dicembre il giorno natale della luce invitta, e lo celebrarono come natale di Cristo, come giorno in cui essi avevano trovato la vera luce del mondo. Essi dissero ai pagani: il sole è buono e noi ci rallegriamo non meno di voi per la sua continua vittoria, ma il sole non possiede alcuna forza da se stesso. Può esistere e aver forza solo perché Dio lo ha creato. Esso ci parla quindi della vera lu­ce, di Dio. E il vero Dio che si deve celebrare, la sorgente originaria di ogni luce, non la sua opera, che non avrebbe alcuna for­za da sola»13J. Ratzinger, Chi ci aiuta a vivere? Su Dio e l’uomo, Queriniana 2006, p. 97-103.

Papa Ratzinger ha quindi interpretato “l’appropriazione” del 25 dicembre come una “mano tesa” all’uomo pagano, comunicando ad esso che «il solstizio invernale della storia si è irrevocabilmente verificato con la nascita del bambino di Betlemme».

Occorre, tuttavia, precisare che come abbiamo visto, le prove storiche non avvalorano questa tesi, piuttosto propendono sull’identificazione della data di Cristo al 25 dicembre in maniera indipendente e, addirittura, precedente alle stesse festività pagane.


 

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2. LA DATA DEL NATALE HA UN’ORIGINE SIMBOLICA?

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Diversi altri studiosi hanno avanzato una tesi totalmente diversa rispetto a quelle precedentemente esposte.

Pur appoggiando l’idea che la data del 25 dicembre sia stata scelta tramite criteri indipendenti e non necessariamente legati alle feste pagane (anche se sovrapponibili, per coincidenza), ritengono che non sarebbe comunque la data storica di nascita di Gesù di Nazareth, piuttosto una data convenzionale o simbolica.

 

2.1 Ipotesi del calcolo (o teoria computazionale).

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La cosiddetta “ipotesi del calcolo” o “teoria computazionale” è stata suggerita da Louis Duchesne (1889), Hieronymus Engberding (1949) e ripresa più recentemente da Thomas Talley (1991).

Questa teoria si basa sulla tradizione secondo la quale i patriarchi ebrei siano morti nella data del loro compleanno (usando un numero intero di anni, le frazioni erano ritenute imperfezioni). Così, essendo il Cristo un essere perfetto, il giorno della morte sarebbe dovuto coincidere con quello del concepimento, rendendo perfetto il ciclo delle feste.

Così, nel 207 d.C. Tertulliano identificò come data di morte di Gesù il 25 marzo (8° giorno alle calende d’Aprile) dell’anno 2914Tertulliano, Contro i Giudei, 8,18, una scelta certamente simbolica, legata all’equinozio di primavera del calendario romano (il giorno perfetto, dove la notte ed il giorno si equilibrano) ed alla ipotetica creazione del mondo secondo la tradizione ebraica. Assumendo tale data, anche il concepimento di Gesù sarebbe avvenuto il 25 marzo, dunque nove mesi prima della nascita, arrivando così al 25 dicembre.

S. Agostino è testimone della tradizione secondo cui Cristo fu concepito e morì il 25 marzo: Octavo enim Kalendas apriles conceptus creditur quo et passus»15Agostino, De Trinitate IV, 5; De diversis quaestionibus, 56. Lo stesso affermò nel 221 d.C. Sesto Giulia Africano, che indicò nel suo Chronographiai la morte ed il concepimento di Cristo al 25 marzo.

Una variante della stessa tesi è basata sull’astronomia: si riteneva che la creazione del mondo fosse avvenuta all’equinozio di primavera, indicato allora nel 25 di marzo (non al 21). Ragionando secondo questa idea, si riteneva che anche la seconda creazione, ossia il concepimento di Cristo sarebbe avvenuto il 25 di marzo. Ne derivava di conseguenza che la nascita del Salvatore andava assegnata al 25 dicembre, nove mesi dopo la sua concezione.

 

2.1 Ipotesi di Cristo-Luce del mondo.

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Un’altra ipotesi si basa sia su basi astronomiche che bibliche. Considerando che verso il 25 dicembre il sole riprende la sua ascesa dopo il solstizio invernale, gli antichi sarebbero stati indotti a collegarvi il sorgere del Sole di giustizia, cioè Cristo.

I cristiani avrebbero così interpretato il radicato simbolismo solare presente nelle Scritture come profezia dell’incarnazione di Dio in Gesù Cristo, scegliendo quindi la data del 25 dicembre (solstizio d’inverno). Il profeta Malachia, ad esempio, fa dire a Dio: «La mia giustizia sorgerà come un sole e i suoi raggi porteranno la guarigione…il giorno in cui io manifesterò la mia potenza, voi schiaccerete i malvagi» (Libro di Malachia, 3, 20-21). Questa analogia tra la manifestazione di Dio e il sorgere del sole risale al Libro di Isaia (Is 30, 26 e Is 62, 1) ed è ripreso anche nel Libro della Sapienza (Sap 5, 6).

Sarà lo stesso Gesù ad applicare a se stesso le parole di Isaia (Mt, 4, 16), e anche l’evangelista Giovanni riporta le sue parole: «Io sono la luce del mondo. Chi crede in me non cammina nelle tenebre» (Gv, 8, 12). Questa interpretazione è implicita già nel primo capitolo del vangelo di Luca (Lc 1,79-79), in cui Zaccaria profetizza: «Grazie alla bontà misericordiosa del nostro Dio verrà a visitarci dall’alto un sole che sorge, per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra della morte e dirigere i nostri passi sulla via della pace» (Lc, 1,79 s.). Nel capitolo successivo Gesù è infatti presentato come «luce per illuminare le nazioni» (Lc 2,32).

Il simbolismo teologico “Cristo-Luce del mondo” trova molta corrispondenza nel vangelo di Giovanni (Gv 1, 4-9) e nelle lettere di San Paolo (ad es. Ef 5,14). Anche nel Libro dell’Apocalisse Cristo appare a Giovanni: «Il suo volto era come il sole quando splende con tutta la sua forza» (1, 16). Infine, anche Sant’Ambrogio (339-397 d.C.), connetterà il solstizio d’inverno e la nascita di Gesù pur senza alludere ad alcuna sostituzione della festa pagana, ma riconoscendo in essa un segno provvidenziale.

Questa è la tesi sostenuta anche da Steven Hijmans, docente di Arte romana e archeologia presso l’University of Alberta, secondo il quale i cristiani guardavano con attenzione al solstizio d’inverno e alla considerazioni cosmiche: «E’ stato il simbolismo cosmico che ha ispirato la leadership della Chiesa di Roma ad eleggere il solstizio d’inverno (il 25 dicembre) come il compleanno di Cristo, ed il solstizio d’estate, quello di Giovanni Battista. Mentre erano a conoscenza che i pagani chiamavano questo giorno come il “compleanno” del Sol Invictus, questo tuttavia non giocò alcun ruolo nella scelta della data per il Natale»16S. Hijmans, Sol Invictus, the Winter Solstice, and the Origins of Christmas, Mouseion 2003, N° 47/3, p. 377-398.

Una conferma di questo arriverebbe anche dall’arte: i primi cristiani avvertivano la necessità di manifestare la loro fede anche attraverso le arti figurative, componendo diversi affreschi e mosaici che paragonano Cristo al sole. Un esempio si trova nella necropoli vaticana, dove nel mosaico del soffitto del mausoleo M, composto tra il 150-180 d.C., rappresenta la raffigurazione di Cristo-Sole che ascende al cielo.

Secondo queste tesi, dunque, la scelta del 25 dicembre venne identificata dai cristiani come data della nascita di Gesù in modo totalmente autonomo e indifferente dal fatto che la stessa data (o periodo di tempo) fosse usata da alcune feste pagane. Le due feste potrebbero essere sorte pressoché contemporaneamente, senza alcuna intenzione di mutua incidenza. Da parte dei cristiani, la scelta può essere caduta sul 25 dicembre per ragioni di calcolo matematico (partendo dalla data del concepimento) oppure per motivi simbolici, associando il solstizio d’inverno con l’abbinamento biblico del Cristo-Luce che sorge.


 

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3. IL 25 DICEMBRE E’ LA DATA STORICA DI NASCITA DI GESU’?

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Nonostante vi siano prove convincenti sull’origine convenzionale-simbolica del 25 dicembre come data della nascita di Gesù di Nazareth, non mancano argomentazioni (forse ancor più convincenti) a favore della data storicamente esatta di tale evento.

E’ soprattutto l’archeologia a dare un contributo decisivo, in particolare con il ritrovamento dei rotoli di Qumran, in particolare al Calendario di Qumran ed al ritrovamento del Libro dei Giubilei (II secolo a.C.).

Nel 1953, la specialista francese Annie Jaubert ha scoperto dai numerosi frammenti del calendario del Libro dei Giubilei che fu composto dagli esseni e che lo avrebbero usato almeno fino al I secolo d.C.17A. Jaubert, Le calendrier des Jubilées et de la secte de Qumran. Ses origines bibliques, in Vetus Testamentum, Suppl. 3, 1953, pp. 250-264.

Nel 1958, lo studioso ebreo Shemarjahu Talmon, docente presso l’Università di Gerusalemme, ha ricostruito le turnazioni sacerdotali degli ebrei e, applicandole al calendario gregoriano, ha scoperto che la classe sacerdotale del turno di Abia svolgeva le sue funzioni due volte l’anno, una di esse corrispondeva all’ultima decade di settembre18S. Talmon, The Calendar Reckoning of the Sect from the Judean Desert. Aspects of the Dead Sea Scrolls, in Scripta Hierosolym itana, vol. IV, Jerusalem 1958, pp. 162-199.

Perché tutto questo sarebbe rilevante? Perché l’evangelista Luca riferisce nel suo testo che l’arcangelo Gabriele avrebbe annunciato a Zaccaria la nascita del figlio, Giovanni Battista, mentre egli stava svolgendo le sue funzioni sacerdotali davanti a Dio nel tempio, proprio nel turno di Abia (Lc 1,62). Da ciò risulta attendibile che Giovanni Battista sia nato il 24 giugno, esattamente nove mesi dopo l’annuncio di Gabriele a Zaccaria, avvenuto nell’ultima decade di settembre (tra il 23 ed il 25) nel turno sacerdotale di Abia.

Se, dunque, risulta storicamente attendibile la data di nascita di Giovanni Battista (24 giugno), ne consegue anche il fondamento storico dell’annunciazione a Maria da parte dell’arcangelo Gabriele del concepimento di Gesù, come riferito sempre dall’evangelista Luca: «Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: nulla è impossibile a Dio» (Lc 1, 26-37). Sei mesi dopo il 23-25 settembre, giorno del concepimento di Giovanni Battista, si arriva al 25 marzo dell’anno successivo.

Coincidenza vuole, la tradizione ha sempre indicato nel 25 marzo il giorno del concepimento di Gesù, come testimoniato nel 221 d.C. (circa) dallo scrittore romano Sesto Giulio Africano in Chronographiai. Ciò implica che Gesù nacque nove mesi dopo, dunque il 25 dicembre.

Infine, occorre ricordare che l’attendibilità storica dell’evangelista Luca è ampiamente accertata nel mondo accademico. Se l’archeologo William M. Ramsay esclamò: «Luca è uno storico con i fiocchi!»19W.M. Ramsay, The Bearing of Recent Discovery on the Trustworthiness of the New Testament, Forgotten Books 2018, p. 222, L.T. Johnson, docente di Cristianesimo antico alla Candler School of Theology, riferisce che «Luca, secondo gli standard della storiografia ellenistica, è preciso in ciò che afferma»20L.T. Johnson, The Gospel of Luke: Sacra Pagina, Michael Glazier 2006, p. 406. Nel suo monumentale studio, Craig Keener, professore di Nuovo Testamento all’Asbury Theological Seminary, ha concluso che Luca fu un compagno di viaggio di Paolo e dunque entrò in contatto diretto con la prima predicazione apostolica (Paolo dopo la conversione si stabilì per due volte a Gerusalemme a stretto contatto con i primi apostoli di Gesù)21C. Keener, Acts an Exegetical Commentary, Baker Academic 2012.

Cerchiamo di ricapitolare il tutto per rendere più comprensibile il ragionamento originato dalle scoperte archeologiche di Qumran:

23-25 settembre = annuncio della nascita di Giovanni Battista a Zaccaria (Lc 1,62 riferisce che avvenne durante il turno sacerdotale di Abia che, secondo l’archeologia, avveniva nell’ultima decade di settembre, dal 23 al 25 settembre);
23-25 marzo = annuncio della nascita di Gesù a Maria di Nazareth (Lc 1, 26-37 riferisce che in quel momento la madre di Giovanni Battista era al “sesto mese” di gravidanza, quindi 23-25 settembre + 6 mesi);
23-25 giugno = nascita di Giovanni Battista (indicata dal calcolo matematico: 23-25 settembre + 9 mesi; ed indicata al 24 giugno dalla tradizione cristiana in maniera indipendente);
23-25 dicembre = nascita di Gesù di Nazareth (indicata dal calcolo matematico: 23-25 marzo + 9 mesi; ed indicata al 25 dicembre dalla tradizione cristiana in maniera indipendente);

Il biblista italiano Tommaso Federici, professore ordinario presso la Pontificia Università Urbaniana di Roma, ha ricostruito a suo modo tutto questo, concludendo: «E’ una data storica la nascita del Signore al 25 dicembre, ossia 15 mesi dopo l’annuncio a Zaccaria, nove mesi dopo l’annunciazione alla Madre sempre vergine, sei mesi dopo la nascita di Giovanni il Battista».

Questa ricostruzione, nata dalle scoperte archeologiche di Qumran, ha convinto anche lo studioso e scrittore Vittorio Messori, che pur inizialmente aderiva all’ipotesi della scelta arbitraria da parte cristiana per contrastare la festa pagana.


 

L’obiezione dei pastori.
Una postilla finale: contro la nascita di Gesù il 25 dicembre viene citato a volte il fatto che in Palestina i pastori, non più tardi del 15 ottobre, riportano il loro gregge al riparo per proteggerlo dal freddo, dalla pioggia e dalla neve. Nei vangeli, invece, si legge che la notte in cui ebbero l’annuncio della nascita di Cristo, stavano facendo la guardia al gregge, all’aperto (Luca 2,8).

A questa obiezione ha risposto Michele Loconsole, dottore in Sacra Teologia Ecumenica, il quale ha osservato che i giudei distinguono tre tipi di greggi: uno composto da sole pecore dalla lana bianca, uno formato da pecore la cui lana è in parte bianca, in parte nera ed infine quello formato da pecore la cui lana è nera. Questi ultimi, ritenuti animali impuri, non possono entrare né in città né nell’ovile, neppure dopo il tramonto, quindi costretti a permanere all’aperto con i loro pastori sempre, giorno e notte, inverno e estate. Il testo evangelico riferisce che i pastori facevano turni di guardia, dandosi il cambio. Ciò appare comprensibile solo se la notte è lunga e fredda, proprio come quelle d’inverno.

Lo scrittore americano John Stormer, inoltre, ha riportato che i pastori solitamente trascorrono la notte nei campi con il loro gregge quando gli agnelli sono nati da poco. Considerando che le pecore diventano attraenti per i montoni dopo il 21 giugno ed il periodo di gestazione normale è di cinque mesi, i nuovi agnelli nascono all’incirca verso la metà dicembre22J. Stormer, Evidence December 25 is the right day, www.geneveith.com, 24/12/2007.


 

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4. CONCLUSIONE

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Abbiamo dunque valutato tre tesi dibattute sull’origine del 25 dicembre come data di nascita di Gesù di Nazareth.

Secondo la vulgata corrente (a cui ha aderito anche Benedetto XVI), si sarebbe verificata una inculturazione (o “cristianizzazione”) di una festa pagana. Vi sono alcune motivazioni per sostenerlo ma abbiamo elencato altrettante valide obiezioni di cui non si può non tenere conto.

E’ infatti altrettanto probabile che siano stati i romani a “paganizzare” una festa cristiana, anche perché l’unica fonte storica attestante l’usanza di celebrare il Sol Invictus nel periodo attorno al 25 dicembre risale al IV secolo d.C. (la Cronografia del 354 d.C.), mentre la prima fonte storica ad indicare il 25 dicembre come festività cristiana risale al III secolo d.C. (il Commentario di Ippolito di Roma del 203 d.C.). Stando alla datazione delle fonti, i cristiani “arrivarono” ad usare il 25 dicembre un secolo e mezzo prima.

Vi sono studiosi che indicano una terza variante: le due feste sarebbero state scelte dai cristiani e dai pagani in maniera indipendente gli uni dagli altri, i pagani per decisione di Aureliano ed i cristiani in modo simbolico basandosi su riflessioni biblico-astronomiche.

Le scoperte archeologiche della metà del XX secolo hanno però riabilitato l’ipotesi della datazione storica della nascita di Gesù, da una parte innescando una serie di calcoli matematici che, coadiuvati dal vangelo di Luca, conducono esattamente al 25 dicembre.

Dall’altra, l’archeologia ha avvalorato tutte le date stabilite indipendentemente dalla tradizione cristiana, che vanno perfettamente a collimare con le scoperte di Qumran: l’annuncio di Gabriele a Zaccaria della nascita di Giovanni Battista (23 settembre), la nascita di Giovanni Battista avvenuta nove mesi dopo (24 giugno), l’annuncio dell’arcangelo Gabriele a Maria avvenuto sei mesi dopo (25 marzo) ed, infine, la nascita di Gesù nove mesi più tardi (25 dicembre).

Al momento non c’è una tesi definitiva stabilita dalla storiografia anche se, a nostro avviso, la tesi della storicità della data di nascita vanta più stabilità facendo coincidere l’archeologia, i vangeli e la tradizione secolare della chiesa.

In ogni caso, se dovesse convincere maggiormente l’ipotesi della “cristianizzazione” di una festa pagana, va ribadito -come già detto- che non vi sarebbe nulla di imbarazzante. L’inculturazione manifesta quell’attitudine della chiesa primitiva a guardare con attenzione al mondo nel quale viveva colui al quale si annunciava il vangelo, per coglierne quegli aspetti che potessero aiutarlo a comprendere la novità portata da Cristo, secondo l’insegnamento paolino: “Esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono” (1Ts 5,21-22).

Se si vuole aderire a questa tesi, si può osservare che la Chiesa di Roma, lungi dal distruggere il passato (come fecero, al contrario, illuministi e sovietici), potrebbe aver deciso di celebrare la festa del Natale del Signore, vera luce del mondo, proprio nel giorno in cui l’uomo pagano si rivolgeva, ormai incredulo, al Sol invictus, chiedendogli benedizione e salvezza. Nessuno può rinfacciare nulla, lo conferma il fatto che lo stesso Benedetto XVI ha aderito pubblicamente a questa interpretazione la quale secondo molti dovrebbe invece “mettere in scacco” i cristiani.

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La profezia biblica delle 70 settimane: previde davvero Gesù?

Davvero la profezia delle “Settanta settimana” contenuta nell’Antico Testamento (Libro di Daniele) e conosciuta sicuramente prima del 163 a.C. predice esattamente la venuta del Messia? Guidati da diversi accademici risponderemo a tutto questo con il seguente dossier, giungendo a una conclusione vertiginosa.

Secondo Wikipedia (e anche Cathopedia) l’ipotesi maggiormente condivisa dagli studiosi sarebbe che la redazione definitiva del Libro di Daniele, contenente la profezia delle “settanta settimane”, sia avvenuta in Giudea attorno al 164 a.C., elaborando materiali antichi. E’ una tesi sostenuta in origine dall’Encyclopedia Britannica che colloca la redazione finale tra il 167 e il 164 a.C., rifacendosi alle teorie del III secolo d.C. avanzate dal filosofo anticristiano Porfirio. Molti studiosi oggi, tuttavia, ritengono che la data di compilazione sia attorno al 536 a.C. e che il Libro sia stato redatto a Babilonia. Ma questo non interessa molto la nostra trattazione, quello che è importante è che, per essere una “profezia sulla venuta di Cristo”, sia certificata la sua presenza prima di Cristo stesso.

I contenuti del libro biblico sono basati sulle parole del profeta Daniele, vissuto durante l’esilio babilonese (a partire dal 605 a.C.). Secondo lo storico Giuseppe Flavio, Daniele fece parte della stirpe regale davidica (Antichità giudaiche, X,X,1). Moltissimi storici concordano sul fatto che Daniele, oltre 500 anni prima (o oltre 100 anni prima a seconda dei punti di vista sulla datazione) profetizzò in modo dettagliato la venuta di Gesù Cristo, la sua Passione, la morte e la distruzione di Gerusalemme, indicando il preciso periodo temporale in cui tutto questo sarebbe dovuto avvenire. Questa è appunto la cosiddetta “profezia delle settanta settimane”. E’ importante sottolineare ancora che il contenuto della profezia venne ultimato, diffuso e conosciuto sicuramente prima del 163 a.C.

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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LA PROFEZIA DELLE 70 SETTIMANE DI DANIELE

Il Libro racconta che nel 538 a.C. Ciro II di Persia (detto anche “il Grande”) conquista il regno babilonese ed emette un editto con il quale consente agli ebrei di fare ritorno in patria e ricostruire il tempio di Gerusalemme. Questo fatto era stato profetizzato dal profeta Geremia (cfr. La profezia del profeta Geremia). Gruppi di ebrei cominciarono a tornare, e Daniele, facendo parlare Dio, annuncia loro questa profezia.

«Settanta settimane sono fissate per il tuo popolo e per la tua santa città per mettere fine all’empietà, mettere i sigilli ai peccati, espiare l’iniquità, portare una giustizia eterna, suggellare visione e profezia e ungere il Santo dei santi. Sappi e intendi bene. Da quando uscì la parola sul ritorno e la ricostruzione di Gerusalemme fino a un principe consacrato, vi saranno sette settimane. Durante sessantadue settimane saranno restaurati, riedificati piazze e fossati e ciò in tempi angosciosi. Dopo sessantadue settimane un unto (che significa Messia, Cristo, nda) sarà soppresso senza colpa in lui. Il popolo di un principe che verrà distruggerà la città e il santuario. Egli stringerà una forte alleanza con molti per una settimana e, nello spazio di metà settimana, farà cessare il sacrificio e l’offerta. Sull’ala del Tempio porrà l’abominio della desolazione e ciò sarà sino alla fine, fino al termine segnato sul devastatore» (Dan 9,24-27)

SI PARLA DI ANNI E NON DI SETTIMANE. Questo genere di profezia è unica nell’Antico Testamento. Non solo Daniele annuncia che sta per finire l’esilio e Israele sta per tornare, ma pare proprio indicare un preciso momento della storia -ovvero fra «Settanta settimane»- quando sarà instaurato il regno del Messia, del Cristo. Osserviamo che si parla di «settimane» e non di «anni», tuttavia tutte le interpretazioni ritengono però che si tratti di settimane di anni, quindi in totale 490 anni (70×7). Questa chiave di lettura coincide con altri passaggi nella Bibbia: in Genesi 29,26-28 si legge: «Rispose Làbano: “Non si usa far così nel nostro paese, dare, cioè, la più piccola prima della maggiore. Finisci questa settimana nuziale, poi ti darà anche quest’altra per il servizio che tu presterai presso di me per altri sette anni». E in Levitico 25:8: «Conterai pure sette settimane d’anni: sette volte sette anni; e queste sette settimane d’anni ti faranno un periodo di 49 anni». Inoltre, la frase di Daniele non avrebbero assolutamente senso se assumessimo che, ad esempio, in 7 giorni si possa stringere alleanza con molti e che addirittura in metà settimana, quindi in 3,5 giorni (??), si possano interrompere sacrifici e offerte sacrificali (ricordiamo che la cadenza settimanale di sette giorni era già accertata da dopo l’esilio babilonese, quindi nel 586 a.C., anche se probabilmente l’uso preesisteva da molto tempo. Anche la versione italiana della Bibbia ebraica, edizione del 1967, fa notare: «Qui settimane si devono intendere di anni; settanta settimane di anni» (Gli agiografi, ed. 1967, p. 271).

Le settanta settimane (490 anni) vengono quindi divise da Daniele in modo preciso in tre periodi: 7 settimane (ovvero, 49 anni), 62 settimane (434 anni) e 1 settimana (7 anni). Le prime 7 settimane (49 anni) passeranno dal decreto per la ricostruzione di Gerusalemme fino alla fondamentale figura di un consacrato (che nella versione greca di Teodizione viene definito “unto”, nel senso della consacrazione ebraica e “comandante o “leader”). Dopo le 7 settimane, ci vorranno altre sessantadue settimane (434 anni) per ricostruire Gerusalemme e il Tempio. Sarà un periodo di lotta e di prove. Dopo questi 483 anni (49 + 434), verrà il Messia e sarà ucciso ingiustamente. Dopo di ché, in una settimana (cioè 7 anni), un principe straniero distruggerà Gerusalemme e il Tempio, ponendo fine del culto antico. Il termine «inondazione» sottolinea il carattere apocalittico dell’evento.

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LA PROFEZIA DELLE 70 SETTIMANE SI ADEMPIE CON GESU’ DI NAZARETH?

Per calcolare precisamente l’anno in cui la profezia si sarebbe dovuta compiere occorre valutare diverse varianti:
1) Identificare il decreto per la ricostruzione di Gerusalemme e del Tempio che il libro di Daniele indica come punto di partenza (“starting point”) delle «Settanta settimane».
2) Stabilire a che tipo di anno si fa riferimento, se quello solare di 365 anni o quello di 360 di cui si parla anche nella Genesi e nell’Apocalisse. Molti studiosi propendono per la seconda, anche se comunque il margine di errore è veramente trascurabile.

SI COMINCIA DA ARTASERSE II (445 a.C.). La profezia di Daniele chiede di partire a contare: «Da quando uscì la parola sul ritorno e la ricostruzione di Gerusalemme». Tra tutte le ipotesi possibili, l’unica a rispettare queste richieste è quella che parte dal decreto di Artaserse II del 445 a.C. nel mese pasquale di Nisan, dove, come si legge in Neemia 2:1, a differenza di tutti quelli precedenti (Ciro, Dario I, che poi confermò soltanto l’editto di Ciro, e Artaserse I Longimano) autorizzava effettivamente la ricostruzione di Gerusalemme e delle sue mura. Il decreto di Artaserse II è stato sicuramente emesso nel 445 d.C., il livello di certezza è elevatissimo e deriva da fonti bibliche, non bibliche, da registrazioni astronomiche e dalle tavole cronologiche di Claudio Tolomeo. Anche se si considera l’anno sidereo di 365 il risultato, come dicevamo, differisce di poco.

SETTE SETTIMANE FINO A ESDRA. La profezia di Daniele continua così: «Da quando uscì la parola sul ritorno e la ricostruzione di Gerusalemme fino a un principe consacrato, vi saranno sette settimane». Partendo dal 445 a.C. e avanzando di sette settimane, ovvero 49 anni “profetici” (in realtà sono 48 quelli “reali”) fino al 397 a.C. si arriva ad un personaggio chiave per la rinascita di Israele (un «principe consacrato»), sia dal punto di vista civile che religioso. Proprio in quell’anno corrisponde il nulla osta di Artaserse II ad alcuni capi di Israele capeggiati da Esdra, per tornare a Gersusalemme e rifondare lo Stato ebraico. Esdra è un sacerdote e scriba che ricostruì l’identità religiosa e civile di Israele. Ebbe un ruolo molto importante, viene considerato come una delle figure più importanti dell’Antico Testamento e gli ebrei lo considerarono come un secondo Mosè. Humphrey Prideaux ha scritto: «Esdra è stato visto come un altro Mosè, con ragione è stato considerato il secondo fondatore della Chiesa e dello Stato dei Giudei» (J. Prideaux, “Histoire des Juifs”, t. II, cap. V). Esdra dunque corrisponde perfettamente all’identikit richiesto.

69 SETTIMANE FINO ALLA PASSIONE DI GESU’. Dopo queste sette settimane in cui abbiamo trovato Esdra (“principe consacrato”), la profezie continua: «dopo sessantadue settimane un unto sarà soppresso senza colpa in lui». Per capire a chi portasse questo “unto”, R. Anderson e successivamente H.W. Hoehner (e molti altri prima di loro) hanno fatto qualche semplice calcolo adottando l’anno biblico di 360 giorni: moltiplicando le 69 settimane di anni citate dalla profezia (7+62) per una settimana di anni (7 anni) si trova che gli anni effettivi sono 483. Per sapere il numero dei giorni è semplice: 483 moltiplicato per 360 (ovvero i giorni dell’anno biblico) = 173.880 giorni. Questo il numero di giorni effettivo che secondo Daniele devono trascorrere tra l’editto di Artaserse II e la soppressione di un “unto innocente”. Ora, prendendo in considerazione l’anno di morte di Gesù, il 32 d.C. si arriva a questo strabiliante risultato: tenendo conto che l’anno 0 non esiste, considerando che dall’anno x1 a.C. all’anno x2 d.C. sono trascorsi (x1 + x2 -1) anni, dunque 476, e tenendo conto infine che un anno solare dura esattamente 365 gg, 5 h, 48 m, 45,8 s (quindi 365,2421968 giorni), si conclude che dal 445 a.C. al 32 d.C. sono passati esattamente 476 x 365,2421968 = 173.885,2857 giorni. Come si vede è un numero vicinissimo a quello voluto dalla profezia (173.880). Se poi consideriamo l’anno sidereo (o siderale) di 365 gg, 6 h, 9 min, 10 sec (365,2563657 gg), risulta che i giorni trascorsi sono pari a 173.862,0301 giorni (365,2563657 x 476), avvicinandoci dunque ancora di più. Dal 445 a.C. al 32 d.C. passano esattamente 69 settimane di anni con uno scarto inferiore ad un mese, la Passione di Gesù dunque viene centrata perfettamente dalla profezia di Daniele.

GESU’ CORRISPONDE AL PROFILO CHIESTO DA DANIELE. Il profeta utilizza per indicare questa figura la parola ebraica “Mesîah Nagid”, che deriva dalla radice aramaica “mashac” e significa “ungere”. La parola “Nagid”, usata come aggettivo (mentre Messia è il sostantivo), significa propriamente capo, conduttore, guida, duce, principe; letteralmente in ebraico: “quello che sta alla testa”, ma è usato nella sua funzione religiosa, il pastore che è stato designato da Dio per la Sua opera. L’espressione viene comunque tradotta dalla versione Vulgata come “Christum Ducem”, dalla Siriaca come “Cristo-Re”, da Teodozione come “Cristo egoumenou”. Va rilevato che il testo non dice: “fino a un capo, o conduttore, o guida o duce, il quale è stato unto”, ma “fino a (alla venuta di) un Unto”, a un prescelto quale Messia che è al tempo stesso capo, o conduttore, o guida, o duce. Daniele non intende dunque un personaggio qualunque e sconosciuto che per le sue caratteristiche è stato unto, ma specificamente l’Unto di Dio, il Messia, che è altresì capo, conduttore, guida, duce, e che Israele attendeva non solo per sé, ma come guida di tutte le nazioni. L’evidenza è così palese che coloro che vogliono rifiutare la messianicità della profezia identificano questo personaggio con il sommo sacerdote Onia III, e non possono che scrivere -come la “Bibbia di Gerusalemme”– che «lo stile letterario è allusivo e misterioso così fa intendere che il testo ha una portata alta» (La Bibbia di Gerusalemme, EDB 2002, a pag. 1938). Il filologo P. Winandy scrive: «Abbiamo notato che la letteratura qumraniana dà generalmente una prospettiva escatologica ad entrambi i termini “unto” e “capo”. Essi non sono mai applicati a un personaggio storico contemporaneo. Nell’apocalisse di Daniele, facendo parte di questa categoria di letteratura, siamo portati, di conseguenza, a dare a questi due termini una prospettiva messianica» (P. Winandy, “Étude philologique de Daniel” 9:24-27, 1977, p. 279). Insomma, solo il Cristo è l’unico personaggio dell’Antico Testamento ad essere sacerdote e re.

ULTIMA SETTIMANA: DISTRUZIONE DI GERUSALEMME (70 d.C.). La profezia di Daniele si chiude annunciando che dopo la venuta del Messia: «Il popolo di un principe che verrà distruggerà la città e il santuario. Egli stringerà una forte alleanza con molti per una settimana e, nello spazio di metà settimana, farà cessare il sacrificio e l’offerta. Sull’ala del Tempio porrà l’abominio della desolazione e ciò sarà sino alla fine, fino al termine segnato sul devastatore». Nessun altro evento storico, ad oggi, può soddisfare l’avverarsi di questa profezia se non la distruzione del tempio e della città avvenuta per mano dei romani nel 70 d.C. Si tratta dell’epilogo della guerra romano-giudaica del 67-74 d.C. che coincide perfettamente con gli eventi preconizzati da Daniele: dura esattamente 7 anni, ovvero una settimana di anni. Lo storico Giuseppe Flavio racconta nelle sue “Guerre Giudaiche” che il tempio è stato distrutto solo due volte nella storia: dai babilonesi la prima volta e dal futuro imperatore Tito la seconda ed ultima volta. Lo stesso viene confermato dalla Mishnah ebraica. Non c’è dunque nessun’altra interpretazione possibile che combaci con la profezia di Daniele. Il «principe che verrà» coincide con Vespasiano e poi Tito, leader dell’esercito romano, il quale effettivamente strinse «una forte alleanza con molti per una settimana», dove questi «molti» furono i regni circostanti come descritto nel dettaglio da Giuseppe Flavio in “Guerra giudaica”, e proprio costoro furono i più crudeli verso gli ebrei. Il vaticinio continua sostenendo che l’esercito straniero «distruggerà le città e il santuario»: esattamente ciò che fece l’esercito romano. E infine la parte più impressionante: in «metà settimana» distruggerà il Tempio, e la storia dimostra che ci vollero esattamente 3 anni e mezzo per conquistare e distruggere il Tempio: l’attacco di Vespasiano iniziò nei primi mesi del 67 d.C. (al massimo nella primavera di quell’anno) e il Tempio venne incendiato e distrutto dall’esercito romano nell’estate del 70 d.C. (nel giorno dieci del mese di Loos, dunque luglio), ovvero il secondo anno del regno di Vespasiano (Giuseppe Flavio, “Guerra Giudaica”, 6:250 e 6:268-269). La città venne distrutta subito dopo, nell’agosto del 70 d.C.. In totale, come si è detto, l’offensiva durò 7 anni, dal 67, anno dell’inizio dell’attacco di Vespasiano contro gli insorti, al 74 d.C. anno della conquista di Masada. La città e il tempio furono rase al suolo, Israele disperso e avvenne la fine dell’antico sacrificio e dell’antico culto. Sottolineiamo anche che la data del 70 d.C. appare a posteriori significativa perché tutta la profezia di Daniele si basa sul numero 7 e 70. Inoltre il vaticinio di Daniele è pronunciato esattamente al centro tra i precedenti 490 anni (70 settimane) in cui Davide conquista Gerusalemme e Salomone, suo figlio, costruisce il Tempio che verranno subito distrutti e i seguenti 490 anni (70 settimane) che si concluderanno con un’identica distruzione di Gerusalemme e del Tempio, nel 70 d.C. appunto. Riassumendo: un primo ciclo di 70 settimane conclusosi con la distruzione del Tempio e di Gerusalemme, un secondo ciclo di 70 settimane di schiavitù e un terzo ciclo di 70 settimane che culmina con la distruzione di Gerusalemme e del Tempio, dopo la morte del Messia. Facciamo presente che esiste un’altra ipotesi molto convincente, ovvero quella realizzata da Bouges e perfezionata da R.C. Newman: essi interpretano le «settanta settimane» come settanta cicli di sette anni, partendo dal decreto emanato da Artaserse II, che cade nel ciclo sabbatico dal 450 al 444 d.C. si arriva alla morte del Messia nel ciclo sabbatico che va dal 28 al 34 d.C., coincidendo perfettamente con gli anni della morte di Gesù (RC Newman, “Public theology and prophecy data: Factual evidence that counts for the biblical world view” Journal of the Evangelical Theological Society , 46/1 March 2003, 79–110).

L’unica nota che sembra essere fuori posto è quel periodo di 38 anni tra la crocifissione di Gesù e la distruzione di Gerusalemme. In realtà Daniele non dice affatto che gli eventi dopo la morte del Messia debbano verificarsi immediatamente. Anzi, come hanno notato Hoehner e Gundry, Daniele dice che la distruzione di Gerusalemme avverrà “dopo” la 69° e non “durante la 70°” settimana (H. Hoehner, “Chronological Aspects of the Life on Christ”, pag 59-60; R.M. Gundry, “The Church and the Tribulation”, Zandervan 1973, pag. 190). Questo modo insolito di esprimersi porta a dedurre che la 70° non segua immediatamente la 69° settimana, ma che ci sia un intervallo tra le due.

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GESU’ STESSO SI RICONOBBE NELLA PROFEZIA DI DANIELE

Un’osservazione che avvalora questa intepretazione è che Gesù stesso, in prima persona, applicò a se stesso questo vaticinio di Daniele, riformulando e arricchendo di dettagli l’annuncio dell’imminente distruzione del tempio e di Gerusalemme (Mt. 23,38-39; Mt 24,1-2; Mt 24,15-25). Gesù applico a sé anche il nesso che la profezia stabilisce fra l’uccisione del Messia e la distruzione di Gerusalemme e del Tempio (Lc 19,41-44). Non solo, Egli spesso fece esplicito riferimento a profezie antiche sulla distruzione di Gerusalemme che erano per compiersi (Lc 21,22) e citò letteralmente le parole del libro di Daniele (Lc 21,24 e Mt 21,22). Gesù si identificò anche proprio con il «Figlio dell’uomo» di Daniele (Lc 21,27), e nel suo discorso su Gerusalemme, richiamò esplicitamente e direttamente la profezia delle «Settanta settimane» come prossima a realizzarsi con la distruzione e la profanazione del tempio: «Quando dunque vedrete l’abominio della desolazione -di cui parlò il profeta Daniele- stare nel luogo santo, allora quelli che sono in Giudea fuggano ai monti..» (Mt 24,15-16). E’ evidente da queste parole di Gesù, riportate dagli evangelisti, che Egli -e dunque anche i suoi ascoltatori-, non reputava ancora realizzata e conclusa la profezia di Daniele (nemmeno con Antiochio IV e Onia III, come vorrebbero altre ipotesi che vedremo più avanti). Anche i primi cristiani interpretarono in questo modo la profezia, come dimostrano gli apocrifi che crearono come 4 Esdra e 5 Esdra.

Qualcuno suggerisce addirittura che le autorità religiose di allora, che certamente conoscevano benissimo questa profezia essendo diffusa in forma scritta e definitiva dal 164 a.C., abbiano condannato Gesù proprio per questo. Lo si intuisce, ad esempio, in Gv 11,47-48, quando i sommi sacerdoti e i farisei si chiedono cosa fare del Nazareno: «Se lo lasciamo fare -dicono- tutti crederanno in lui e verranno i Romani e distruggeranno il nostro luogo santo e la nostra nazione». Ora, perché mai i Romani avrebbero dovuto distruggere il Tempio e Gerusalemme se Gesù avesse continuato ad operare? Questo ragionamento si spiega solo alla luce della profezia di Daniele, che collega la comparsa del Messia con la distruzione del Tempio e di Israele. Infatti interviene Caifa dicendo: «E’ meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera» (Gv, 11,53). Da quel giorno decisero di ucciderlo, ma paradossalmente fu proprio questa decisione (presa per evitare una sommossa) a creare nel popolo la disilussione verso la venuta del messia (che per loro doveva essere un eroe nazionale), fomentando l’estremismo politico e quindi la rivolta. Anche lo storico Giuseppe Flavio spiega che a eccitare il popolo verso la rivolta romana nel 66 d.C. fu proprio «un’ambigua profezia, ritrovata ugualmente nelle Sacre Scritture, secondo cui in quel tempo uno proveniente dal loro paese sarebbe diventato il dominatore del mondo» (G. Flavio, “Guerra giudaica”, VI 5,4,310-313). Egli parla di “ambigua” profezia perché lui in realtà avrebbe voluto identificare in essa l’imperatore romano Vespasiano, che -assieme a Tito- era diventato il suo benefattore. Ma questo poco importa, quel che conta è che anche lui conferma che la rivolta nacque a causa della profezia di Daniele

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LA TRADIZIONE CATTOLICA E L’INTERPRETAZIONE MESSIANICA DELLA PROFEZIA

Da sempre la tradizione cattolica vi ha visto una formidabile profezia messianica realizzata. Lo dimostra l’antico testo liturgico della Kalenda col quale tuttora si annuncia al mondo la nascita di Gesù nella notte di Natale («nella sessantacinquesima settimana, secondo la profezia di Daniele»). Anche nel Catechismo maggiore di Pio X c’è un appendice dove si dichiara compiuta questa profezia con la passione e morte di Gesù. Nel Dictionnaire de la Bible (1912), curato da insigni biblisti, si legge che l’interpretazione cattolica della profezia delle “Settanta settimane”, legge il suo avveramento nell’uccisione di Gesù e nella distruzione del Tempio e di Gerusalemme (Dictionnaire de la Bible, pag. 1280). Tutto questo è bene sottolinearlo per capire in quale pasticcio sia caduta l’esegesi cattolica postconciliare che invece ha deciso improvvisamente di non interpretare più questa profezia in termini messianici, appoggiato la tesi razionalista. Lo vedremo più sotto.

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GIUSEPPE FLAVIO ED IL COMPIMENTO DELLA PROFEZIA NEL 70 d.C.

Non c’è poi alcun dubbio che la distruzione di Gerusalemme e del Tempio nel 70 d.C. siano stati giudicati anche da molti autori ebrei come il realizzarsi della profezia delle «Settanta settimane». Così afferma in “Guerra giudaica” il già citato storico ebreo Giuseppe Flavio (37-103 d.C.), appartenente all’élite politica, religiosa e intellettuale di Israele di allora. Egli vede nelle profanazioni e nei crimini degli zeloti la causa immediata della distruzione, così come l’aveva predetta il profeta Daniele. In realtà, il profeta Daniele disse che avrebbe dovuto essere l’uccisione del Messia innocente il vero antefatto da cui sarebbe derivata poi la distruzione delle città e del Tempio, ma comunque, a parte questo tentativo politico di Giuseppe Flavio (antizelota e filoromano) di incolpare gli zeloti, è evidente che i suoi scritti confermano che quello era il tempo in cui ci si attendeva la realizzazione della profezia di Daniele.
Lo storico ebreo riporta pure un discorso che lui fece, richiamando tale vaticinio: «Chi ignora ciò che fu scritto dagli antichi profeti e l’oracolo che incombe su questa misera città e che sta ormai per avverarsi?» (G. Flavio, “Guerra Giudaica”, Società Editrice Internazionale, VI 2, pp. 108-110). Anche nel libro 10 di Antichità giudaiche, opera scritta nel 93-94 d.C., Giuseppe Flavio conferma esplicitamente che la profezia delle «Settanta settimane», preannunciatrice della distruzione di Gerusalemme e del Tempio, si riferisce agli eventi del 70 d.C. Parlando del profeta Daniele come «uno dei più grandi profeti», egli infatti afferma: «i libri che scrisse e lasciò da noi si leggono anche adesso, e da essi ci convinciamo che Daniele parlava con Dio, perché non soltanto preannunciava le cose future come gli altri profeti, ma segnò anche il tempo nel quale sarebbero avvenute». Giuseppe parla di “libri” poiché -come abbiamo già accennato- quello che noi conosciamo come “Libro di Daniele”, è composta da parti scritte in tempi e autori diversi. Ma la parte decisiva è quando Giuseppe afferma che Daniele vide «molti anni prima che avvenissero» gli «sfortunati eventi sotto Antioco IV Epifane» che «per tre anni impedirà l’offerta dei sacrifici». Poi aggiunge: «Allo stesso modo Daniele scrisse anche a proposito dell’impero dei Romani, che Gerusalemme sarebbe stata presa da loro e il tempio distrutto. Tutte queste cose rivelategli da Dio, egli tramandò per iscritto, sicché quanti le leggono e osservano come esse accaddero, si stupiscono dell’onore fatto da Dio a Daniele» (G. Flavio, “Antichità giudaiche”, X,7, 275-277). E’ evidente quindi che Giuseppe Flavio, scrivendo nel 90 d.C., stia interpretando i fatti del 70 d.C. come il compimento della profezia delle «Settanta settimane» e ci informa che Daniele era l’unico profeta che aveva previsto il momento esatto in cui le profezie si sarebbero compiute.
Riprendiamo ancora una volta le già citate parole di Giuseppe Flavio in “Guerra giudaica”, quando accenna alla profezia delle Settanta settimane: «Quello che maggiormente li incitò alla guerra [parla degli ebrei, nda] fu un’ambigua profezia, ritrovata ugualmente nelle sacre scritture, secondo cui in quel tempo uno proveniente dal loro paese sarebbe diventato il dominatore del mondo» (G. Flavio, “Guerra giudaica”, VI 5,4,310-313). Abbiamo già spiegato sopra perché lo storico definisca “ambigua” questa profezia, interpretandola in chiave politica. Egli dimostra in ogni caso che vide il compimento della profezia nel 70 d.C. anche se non riconobbe il Messia in Gesù Cristo. La storia ci dice però che sia Vespasiano che Tito scomparvero con il loro potere pochi anni dopo. Colui invece che rimase fu Gesù di Nazareth, ancora oggi unico “dominatore del mondo”, ovvero riconosciuto come Re e Signore dell’universo da miliardi di persone su tutta la terra.

Dopo il 70 d.C., comunque, anche i primi autori ebrei interpretarono la profezia di Daniele come fece Giuseppe Flavio, compiutasi dunque con la distruzione del Tempio e di Gerusalemme. Illustri ebrei continuarono ad attribuire a questa profezia il carattere messianico, come Saadias ha-Gaon, R. Salomon Jarchi, Aben-Esra, Abarbanel. Nel III secolo d.C., il rabbino Rab (Abba Arika) riconobbe che «tutte le date predette erano passate» (da Talmud babilonese, Sanhedrin, 97b).

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ESISTONO IPOTESI ALTERNATIVE

Tutte le ipotesi alternative all’interpretazione che abbiamo dato sopra non sembrano rispecchiare le richieste della profezia, avvalorando di conseguenza l’interpretazione data dalla tradizione. Vediamo quelle più note.

1) Editto di Ciro (538 a.C.) Un’ipotesi pone lo “starting point” al decreto di Ciro, re dei Medo-Persiani, del 538 a.C. sulla ricostruzione del Tempio (Esdra 1:1-4) (solo di esso). Facendo i calcoli, si arriva al 48 a.C. e dunque nessun evento significativo. Inoltre, pochissimi ebrei approfittarono dell’editto e tornarono in Palestina. Il rabbino Cahen riconosce che coloro che tornarono si erano votati «al pensiero pio di ricostruire, sulla montagna di Sion, il Tempio dell’Eterno. I termini stessi del decreto di Ciro, che aveva messo fine alla cattività, non accordava loro altra cosa. Si concedeva loro di ricostruire l’edificio sacro e di ritornare nella loro patria; non si sarebbero tollerate altre ambizioni» (S. Cahen, “Les pharisiens”, vol. I, p. 5). Il profeta Daniele invece chiede espressamente che si parta a contare dal decreto sulla ricostruzione di Gerusalemme (e non del Tempio) e dunque questo “starting point” è errato. Tra l’altro, il Tempio non venne neppure costruito e l’editto di Ciro rimase lettera morta per quindici anni, fino al tempo del re Dario, quando i Giudei, sotto l’influsso dei profeti Aggeo e Zaccaria, ripresero i lavori e «ricominciarono a edificare la casa di Dio a Gerusalemme…» (Esdra 5:2).

2) Editto di Artaserse I (457 a.C.) Una seconda ipotesi alternativa vede l’inizio al decreto di Artaserse I Longimano del 458-457 a.C. Calcolando i giorni a partire da questo punto si arriva nel 32-33 d.C. Questa ipotesi venne sostenuta anche dal celebre fisico Isaac Newton in “Osservazioni sopra le profezie di Daniele”. Tuttavia anche questo “starting point” non è corretto perché in questo decreto non c’è alcuna autorizzazione alla ricostruzione della città santa in quanto Gerusalemme è già edificata (o in fase di edificazione), ma tuttalpiù una ricostruzione politica anche se comunque ci fu un tentativo di ricostruire le mura della città, verificato da Nehemia nel suo viaggio, Nehemia 2:6-8. Lo conferma anche il prestigioso biblista e archeologo G. Ricciotti (G. Ricciotti, “Storia d’Israele”, vol. II, ed. SEI, Torino 1964, pag. 144). Infine, facendo i calcoli a partire dal 457 a.C., si viene portati alla crocifissione di Cristo in settanta settimane (490 anni) mentre l’evento dell’uccisione del Messia dovrebbe accadere dopo sessantanove settimane.

3) Antiochio IV Epifane e Onia III L’ipotesi avanzata dai razionalisti è che si tratti di una falsa profezia, scritta nel II a.C. e riferita ai fatti degli anni 167-164 a.C., cioè alla presa del potere di Antiochio IV Epifane (in sostanza, sarebbe un “vaticinium post eventum”, cioè di una storia già accaduta, scritta in stile profetico). La persecuzione di Antiochio durò dal 168 al 164 a.C. e culminò con la soppressione del culto ebraico e la profanazione del tempio. Questa tesi contro l’autenticità della profezia risale al, già citato, neoplatonico Porfirio (234-306 d.C.), che la formulò nel suo libello “Contro i cristiani” (libro XII) ed è poi riemersa nel XVIII secolo in ambito razionalista. Tuttavia dopo il Concilio, gli esegeti cattolici hanno cercato una conciliazione con l’ipotesi tradizionale e quella razionalista, sostenendo che effettivamente il consacrato non sarebbe Gesù ma il sommo sacerdote Onia III, trucidato da Antiochio IV Epifane nel 171 a.C. Chiunque può verificare questo aprendo La Sacra Bibbia, Cei 1976, a pag. 930 o La Bibbia di Gerusalemme, EDB 2002, a pag. 1938. Dunque anche per loro si tratta di una profezia «post-eventum», a conferma del disagio in cui ha scelto di stare l’esegesi postconciliare, come segnalato più volte sia dal cardinale Giacomo Biffi che dal teologo Inos Biffi. Tuttavia queste interpretazioni -non legittimate da alcuna acquisizione storica, è importante sottolinearlo- si scontrano con quattro fattori: a) le scoperte di Qumran, b) il calcolo matematico, c) la fedeltà alla descrizione della profezia, d) la portata apocalittica della profezia

a) Le scoperte di Qumran: fra i manoscritti di Qumran, uniche copie superstiti note dei documenti biblici prodotte prima del 100 a.C., scoperti tra il 1947 e il 1956 in alcune grotte del Mar Morto e tutt’ora in fase di studio, ci sono anche alcuni oroscopi messianici. Lo storico Giulio Firpo spiega che «i risultati degli studi del Wacholder sul cronomessianismo sabbatico e del Beckwith sui calcoli esseni intorno alla venuta del Messia, dicono che esso era attesa tra il 10 a.C. e il 2 d.C.» (G. Firpo, “Il problema cronologico della nascita di Gesù”, Paideia 1983, pag. 96). Gli esseni, proprietari di tali documenti, riuscirono quindi a definire il lasso di tempo corretto per l’arrivo del Messia, che poi si è rivelato precisamente il periodo in cui nacque Gesù. La fonte di questo calcolo sui tempi messianici -continua Firpo- è indicata in un documento, 11Qmelch 7-8 e si riferisce proprio alla profezia danielina delle 70 settimane. Quindi i rotoli di Qumran dimostrano che anche gli esseni -una delle correnti più dotte e mistiche del mondo ebraico- ritennero che la profezia messianica di Daniele andasse a cadere proprio in quegli anni: tra il 10 a.C. e il 2 d.C. La tradizionale interpretazione cattolica è quindi giustificata anche da queste scoperte.

b) Il calcolo matematico: E’ evidente che se -come dicono i razionalisti e gli esegeti postconciliari- la profezia fosse stata scritta realmente dopo gli eventi di cui parla, avrebbe dovuto definire in modo preciso i tempi che fingeva di preannunciare. Eppure, seguendo il loro ragionamento, la profezie è sbagliata di una grande quantità di anni. Inconcepibile per chi scrivesse dopo i fatti. Ci sono tre opinioni diverse sull’evento da cui bisognerebbe partire a contare i 490 anni e tutte sbagliano di parecchio: la caduta di Ninive (612 a.C.), il regno di Nabucodonosor (605-562 a.C.) o la distruzione di Gerusalemme e del Tempio (586 a.C.). Innanzitutto occorre notare che le tre ipotesi avanzate dalla scuola razionalsita partono tutte da eventi che non rispettano già da subito lo “starting point” richiesto dalla profezia. Essa esplicita infatti che occorre iniziare a contare «da quando uscì la parola sul ritorno e la ricostruzione di Gerusalemme» (Dan 9,25-26). Ma, facciamo finta di nulla e partiamo a contare dalla caduta della città di Ninive nel 612 a.C., andiamo avanti di 490 anni -come chiede la profezia-, e arriviamo nel 122 a.C. E’ un anno in cui non accade nulla di significativo e tanto meno si ha a che fare con Onia III, il quale fu ucciso da Andronico nel 171 a.C. Passiamo alla seconda ipotesi, il regno di Nabucodonosor durato dal 605 al 562 a.C. Facendo i calcoli si finisce ovviamente ancora più distanti da Onia, dunque l’ipotesi è sbagliata. L’ultima teoria vuole che si parta dalla distruzione del Tempio e di Gerusalemme (quando invece -come abbiamo già fatto notare- la profezia dice l’opposto, cioè partire dal decreto di ricostruzione della città santa): il 538 a.C. Avanzando di 490 anni si arriva al 98 a.C. Anche quest’ultima teoria dunque porta decisamente lontano da Onia. Questi grossi errori -occorre ribadirlo- sono inspiegabili se davvero la profezia fosse stata scritta dopo gli eventi.

c) Fedeltà alla descrizione della profezia. Se la profezia fosse davvero «post-eventum», non solo avrebbe dovuto azzeccare le date (e non lo ha fatto), ma anche lo svolgimento dei fatti avrebbe dovuto essere corretto. Daniele annuncia che, dopo l’uccisione dell’«unto senza colpa», un principe straniero «distruggerà la citta e il santuario» (Dan, 9, 26-27). Ma Antioco VII nel II secolo conquistò Gerusalemme ma non distrusse né la città né il Tempio (che fu solo profanato). Daniele continua dicendo che questo principe straniero, oltre a distruggere Tempio e città, «farà cessare il sacrificio e l’offerta [attività fatte nel Tempio, nda] e ciò sarà fino alla fine» (Dan 9, 27). Invece nel 164 a.C. i Giudei, capeggiati dai Maccabei, abbatterono Antiochio e ristabilirono il culto nel Tempio. Dunque anche i fatti narrati, seppur si vuole che siano scritti quando erano già avvenuti, non coincidono con la profezia.

d) La portata apocalittica della profezia. Com’è possibile, infine, che il tono oggettivamente apocalittico e dichiaratamente messianico si possa riferire, anche ammettendo che date e fatti coincidessero effettivamente, a personaggi secondari del 170 a.C. come Onia III e Antiochio VI? Un vaticinio che parla di «fine dell’empietà», di «mettere i sigilli ai peccati, espiare l’iniquità, portare una giustizia eterna, ungere il Santo dei santi» ecc.., come può riferirsi a Onia III? Inoltre, bisogna far notare che le immagini evocate da Daniele coincidono con la descrizione fatta da altri profeti, come Isaia, a proposito della figura messianica del «Servo di Jhavhè» (Is 52,13 e 53,12). Anche Daniele dunque si riferiva espressamente al Messia e non certo a personaggi secondari.

L’ipotesi razionalista e l’esegesi cattolica postconciliare sbagliano dunque. Ai punti a),b),c) e d) occorre poi aggiungere quanto detto sopra: Gesù stesso applicò a sé la profezia di Daniele e gli stessi ebrei del I° secolo, Giuseppe Flavio su tutti, non riconobbero la profezia delle “Settanta settimane” compiuta nel 171 d.C., cioè alla morte di Onia III ma soltanto nel 70 d.C. Infine, la tradizione cattolica ha sempre riconosciuto la profezia di Daniele compiutasi con Gesù Cristo, la posizione degli esegeti cattolici moderni è dunque inspiegabilmente e ingiustificatamente in contrasto con essa. Charles H.H. Wright, lettore presso la University of Oxford, University of Dublin e docente presso la University of London, ha dichiarato: «Il tentativo della critica moderna di distruggere l’interpretazione messianica della profezia delle Settanta Settimane è, secondo la nostra opinione, uno dei più notevoli esempi della determinazione di rifiutare di considerare i semplici fatti. L’interpretazione messianica è più antica dei tempi di Cristo ed è (con qualche eccezione) stata sostenuta da tutti i padri della Chiesa e dai commentatori cristiani fino al sorgere della nuova scuola di esegesi» (Charles H.H. Wright, Studies in Daniel’s Prophecy, pag. XIII)


 

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CONCLUSIONE

Abbiamo dunque visto come l’unica interpretazione che risponda pianamente alle richieste della profezia di Daniele sia quella che vede compiersi il vaticinio con la morte di Gesù, la distruzione di Gerusalemme e del Tempio nel 70 d.C., la fine del culto antico e anche la fine delle profezie. Questa profezia delle “Settanta settimane” venne scritta ufficialmente e conosciuta da tutti sicuramente dal 164 a.C. in poi, ma comunque tramandata oralmente o in altre forme scritte da almeno 200 anni prima. I dettagli di questa profezia sono così incredibili, che, chi non è credente, potrebbe persino supporre che essa sia stata scritta dopo la distruzione di Gerusalemme del 70 d.C. Nessuno osa tanto, per fortuna, anche perché l’antichità e l’autenticità del libro biblico sono assolutamente confermate anche dai ritrovamenti di Qumran. Lì è stato rinvenuto l’intero libro di Daniele come noi lo conosciamo ed in particolare, alcuni fra i manoscritti che lo tramandano sono addirittura risalenti al II secolo a.C., quasi due secoli prima della nascita di Gesù e della rovina portata dai romani. L’esistenza di questa profezia è una delle prove dell’ispirazione divina della Bibbia, proprio questo giustifica i numerosi tentativi di screditarne l’autenticità da parte del razionalismo e l’eccessivo timore e desiderio di neutralità da parte dell’esegesi postconciliare. Tuttavia, come abbiamo visto, tutte le alternative all’interpretazione tradizionale non sono sostenute da una base razionale.

 
 

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Maria Maddalena prostituta o moglie di Gesù? La verità storica

Maria Maddalena era una prostituta?Chi era Maria Maddalena? Fu la moglie di Gesù? Oppure si trattò realmente di una prostituta che divenne seguace di Cristo? In questo dossier facciamo luce tra le diverse teorie fantasiose prodotte da libri scandalistici ed equivoci storici.


Maria Maddalena (Maria di Magdala) è la donna più fraintesa del Nuovo Testamento. Viene ritenuta una prostituta, la peccatrice perdonata da Gesù, viene confusa con Maria Betania, un’omonima citata nei Vangeli, sorella di Lazzaro e Marta. Infine c’è perfino chi -a cominciare dallo scrittore Dan Brown- l’ha dipinta come la moglie o l’amante segreta di Gesù, con tanto di figli e di dinastia segreta.

Con buona pace degli autori scandalistici, esistono buone argomentazioni per affermare che nessuna di queste affermazioni corrisponde alla verità: le documenteremo in questo dossier.

 

 

 

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1. MARIA MADDALENA ERA UNA PROSTITUTA?

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Nel Nuovo Testamento non vi è un alcun collegamento fra Maria Maddalena ed il fatto che fosse una prostituta, non esisterebbe alcun problema ovviamente se lo fosse stata ma è una deduzione priva di fondamenta. Il prof. Mauro Pesce, ordinario di storia del Cristianesimo all’Università di Bologna, ha correttamente spiegato: «I vangeli non dicono che la Maddalena fosse una prostituta. Solo nell’interpretazione successiva la sua figura è stata sovrapposta a quella della prostituta che compie uno straordinario gesto di venerazione nei confronti di Gesù»1C. Augias, M. PesceInchiesta su Gesù, Mondadori 2006, p. 42.

Birger A. Pearson, professore emerito di Studi religiosi presso l’Università della California, ha inoltre sottolineato che «la leggenda di Maria Maddalena come prostituta penitente si trova solo nella Chiesa occidentale; nella Chiesa d’Oriente è sempre stata onorata per ciò che è stata, una testimone della risurrezione».

L’abbinamento tra Maddalena e la prostituzione potrebbe essere nato da tre elementi.

 

1.1 Equivoco sul versetto di Luca

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Dell’equivoco nato su un versetto del Vangelo di Luca ne ha parlato ancora una volta lo storico Mauro Pesce:

«Scrive Luca: “Ed ecco una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, venne con un vasetto di olio profumato; e stando dietro, presso i suoi piedi, piangendo cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di olio profumato” (7,37-38). Di questa donna non si dice il nome. Il vangelo aggiunge che Gesù le perdona i peccati. Poche righe dopo, lo stesso vangelo, nominando alcune donne che seguivano Gesù, dice che fra queste vi era Maria di Magdala e precisa che da lei Gesù aveva scacciato sette demoni, il che non vuol dire che fossero demoni di tipo sessuale. Per Luca le due donne sono certamente diverse e la Maddalena non è una prostituta. La sua trasformazione in prostituta è avvenuta solo a partire dal VI secolo in Occidente»2C. Augias, M. PesceInchiesta su Gesù, Mondadori 2006, p. 42.

 

1.2 Non legata ad alcun uomo

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Oltre al citato brano di Luca, un secondo equivoco è nato anche dal fatto che a differenza della maggior parte delle altre donne del Nuovo Testamento, Maddalena non viene mai definita per il tramite di un uomo («figlia/sorella/moglie/madre di…»). Risulta però più legittimo pensare che fosse vedova, piuttosto che una prostituta. Ma anche questa è una deduzione a posteriori, il Vangelo non lo dice.

 

1.3 Indipendenza economica

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Un terzo elemento ha contribuito alla leggendaria equiparazione tra Maddalena e la prostituzione è la sua probabile indipendenza finanziaria, dedotta dalla sua provenienza e dal fatto che non avesse marito. Alcuni biblisti avanzano ipotesi sul fatto che abbia sostenuto finanziariamente Gesù e i suoi discepoli, ma anche questo non trova conferme.

Un elemento più concreto a favore è invece la provenienza di Maria Maddalena, ovvero Magdala (o meglio Migdal Nunaya, “torre dei pescatori”), una cittadina situata sulle sponde del lago di Tiberiade. La località acquisì al tempo di Gesù grande fama con il suo nome greco, Taricheai, per la sua specialità gastronomica: il pesce in salamoia. Perfino Strabone, nella sua Geografia terminata attorno al 18 d.C., richiama l’attenzione sul successo della pietanza tipica di Migdal. La cittadina era il centro di una fiorente industria della lavorazione del pesce ed i suoi abitanti si arricchirono velocemente (scoperte archeologiche hanno portato alla luce grandiosi palazzi dell’epoca di Gesù, con bagni e mosaici magnifici).

La direttrice del progetto archeologico di Magdala, Marcela Zapata-Meza, ha infatti spiegato: «La quantità di monete ritrovate provenienti da altri luoghi -abbiamo trovato monete coniate a Gerusalemme, a Tiberiade, a Gamala-, l’architettura stessa e i materiali con cui è stata costruita la città: tutto ciò ci parla della ricchezza di Magdala. Anche la sinagoga riflette questa prosperità».

Alla luce di quanto scritto, l’ipotesi più condivisa a livello accademico è che Maria di Magdala potrebbe aver ereditato da un familiare o dal marito defunto una delle fiorenti attività della lavorazione del pesce. Questo spiegherebbe l’assenza di un legame con un uomo e l’indipendenza economica. Sicuramente una deduzione più realistica del fatto che fosse una prostituta.


 

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2. MARIA MADDALENA CONFUSA CON MARIA DI BETANIA.

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Un secondo fraintendimento storico di cui è vittima la Maddalena risale ad un’interpretazione errata di Papa Gregorio Magno, nel 591 d.C. In un suo sermone contenuto nelle Omelie sui Vangeli (2,33,1) ritenne che Maria Maddalena fosse quella donna peccatrice (una prostituta, lei per davvero) che Giovanni chiama “Maria” (Gv 12,1-8), la quale unse con l’unguento i piedi di Gesù mentre si trovava a Betània nella casa di Simone (Mc 14, 3-9 // Lc 7, 36-50 // Mt 26, 6-13).

Il fatto che anche questa donna, peccatrice, si chiamasse “Maria” non può però significare molto: dalla statistica sulle iscrizioni degli ossari di Gerusalemme si evince che “Maria” era il nome femminile più diffuso all’epoca. Nei soli Vangeli ne incontriamo addirittura quattro: Maria, la madre di Gesù, sua cognata, la sorella di Lazzaro e Marta e, appunto, Maria Maddalena. Oltretutto la peccatrice “Maria” viveva a Bètania mentre Maria Maddalena era originaria di Magdala, in Galilea e accompagnava spesso Gesù assieme agli apostoli.

Non c’è alcun collegamento tra le due, tanto che le Chiese orientali ricordano Maria di Betània, la peccatrice (prostituta) perdonata, il 4 giugno mentre Maria Maddalena è festeggiata il 22 luglio. Soltanto nel 1969 la Chiesa cattolica, dopo il Concilio vaticano II, riconobbe ufficialmente l’errore di identificazione delle due donne.

Quello che sappiamo riguardo Maria Maddalena è stato sintetizzato in nove punti dalla biblista americana Jane Schaberg, docente presso l’University of Detroit Mercy:

«(1) Maria è prominente tra i seguaci di Gesù; (2) esiste come personaggio, come memoria, in un mondo testuale di linguaggio androcentrico e di ideologia patriarcale; (3) parla audacemente; (4) svolge un ruolo di leadership nei confronti dei discepoli; (5) è una visionaria; (6) è lodata per la sua ottima comprensione; (7) è identificata come la compagna di viaggio di Gesù; (8) è osteggiata o in aperto conflitto con uno o più discepoli; (9) è difesa da Gesù»3J. Schaberg, Resurrection of Mary Magdalene, Continuum Intl Pub Group 2004, p. 129.


 

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3. MARIA MADDALENA ERA LA MOGLIE O L’AMANTE DI GESU’?

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Diversi autori nel periodo recente hanno sostenuto la “teoria cospiratoria” per la quale Gesù di Nazareth avrebbe avuto una moglie. Lo scrittore Nikos Kazantzakes nel suo romanzo L’ultima tentazione (Frassinelli 1961) fa ad esempio sognare a Gesù sulla croce come sarebbe stato se, invece di salvare l’umanità, avesse formato famiglia con Maria Maddalena. Il regista Martin Scorses ne ha tratto il film L’ultima tentazione di Cristo (1988). Nel 2003 (con il film nel 2006) la leggenda è diventata popolare grazie allo scrittore Dan Brown ed al suo romanzo Il Codice da Vinci, esplicitamente ispirato agli scritti gnostici, in particolare il Vangelo di Filippo.

Altri romanzieri hanno poi seguito le orme di Dan Brown. Laurence Gardner con La linea di sangue del Santo Graal (2004); Margaret Starbird con Maria Maddalena e il Santo Graal (2005); Jean-Yves Leloup con Il Vangelo di Maria Myriam di Magdala (2007); Marianne Fredricksson con La prescelta Maria Maddalena (2007); Kathleen McGowan con Il Vangelo di Maria Maddalena (2007).

Nonostante il successo editoriale di molti di questi libri, non esiste alcun fondamento storico per affermare una relazione sentimentale tra Gesù e la Maddalena anche se, occorre dirlo anche in questo caso, non vi sarebbe nulla di compromettente nel fatto che Gesù avesse avuto una moglie, così come l’avevano alcuni apostoli (a cominciare da Pietro). Analizziamo da dove può essere nata questa leggenda e gli argomenti per confermarla o smentirla.

 

3.1 L’errata traduzione del Vangelo gnostico di Filippo

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Solitamente gli autori che sostengono un legame sentimentale tra Gesù e Maddalena attribuiscono credibilità ad un versetto del Vangelo di Filippo, testo gnostico scritto tardivamente nella seconda metà del II secolo e mai considerato attendibile da alcuno storico professionale. Al versetto 55 si legge: «La compagna di Cristo è Maria Maddalena. Il Signore amava Maria più di tutti i discepoli e la baciò più volte sulla bocca. Le altre donne, vedendo il suo amore per Maria, gli dissero: “Perché ami lei più di tutte noi?”. Il Salvatore rispose a loro: “Come mai io non amo voi come lei?”».

Nel suo thriller di successo Il Codice da Vinci (2003), Dan Brown ha dato credibilità a questo versetto giustificandosi così: «Ogni esperto di aramaico sa che la parola “compagna”, all’epoca, significava letteralmente “moglie”». Quel che Dan Brown probabilmente non sa è che il Vangelo di Filippo non fu scritto in aramaico ma, come tutti gli scritti trovati a Nag Hammadi, una traduzione copta di un testo greco.

La parola usata nell’originale per “compagna” è koinonos, che non significa “moglie” o “amante”, ma letteralmente “compagna di viaggio”. Ancora oggi il termine mantiene un significato differente, sinonimo di “collaboratore” o “socio in affari”. Il termine koinonos è utilizzato anche da Luca quando descrive la pesca fatta dai fratelli Giacomo e Giovanni insieme a Pietro (5,10), e viene tradotto con: «che erano soci di Simone». Il termine corretto che si sarebbe dovuto usare è gyne (moglie), heteira (amante) o pallake (concubina), ma nulla di ciò è presente nemmeno nei vangeli gnostici. Il Vangelo di Filippo si riferisce a Maria Maddalena come compagna di viaggio di Gesù, come d’altra parte confermano i Vangeli canonici.

 

3.2 Il bacio tra Gesù e Maddalena

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Nel versetto del Vangelo gnostico di Filippo si legge anche di uno o più baci tra Gesù e la “compagna di viaggio” Maria di Magdala. Ricordiamo sempre che stiamo sempre parlando di uno scritto a cui nessuno storico ha mai dato alcuna credibilità storica, e non solo perché datato tardivamente rispetto ai Vangeli canonici.

Facciamo comunque notare che il bacio in bocca era un’usanza tipica nella comunità cristiana primitiva (tanto che le donne citate da Filippo rivendicano tale saluto anche per loro), ma non aveva il significato che gli attribuiamo noi oggi ed era un saluto (anche tra uomo e uomo) che indicava un legame di fratellanza, usato anche tra maestri e discepoli. Ancora oggi il bacio in bocca è utilizzato in Oriente tra familiari e persone legate da una forte amicizia. E’ probabile che nel tempo tra i cristiani occidentali sia stato sostituito dallo scambio della pace che avviene ancora oggi durante le celebrazioni eucaristiche.

La storica del cristianesimo Adriana Valerio, ha spiegato a tal proposito che «l’intimità che emerge da alcuni Vangeli gnostici, dai quali hanno preso spunto alcuni filoni della letteratura contemporanea, va intesa in senso spirituale e non sessuale, come riconoscimento del posto di rilievo che la discepola prediletta Maddalena ha ricoperto nella comunità delle origini».

Si ricordi anche ciò che San Paolo scrisse alla prima comunità cristiana: «Salutatevi gli uni e gli altri con il bacio santo» (Rm 16,16; 1Cor 16,20). Lo stesso Giuda tradì il suo Maestro con un bacio, mentre un bacio tra Gesù e i discepoli è descritto anche in un altro testo gnostico, il Vangelo di Maria Maddalena. In questo testo si racconta anche di un bacio tra l’apostolo Pietro e la stessa Maria Maddalena di fronte agli altri apostoli, con lo scopo di innalzarla al rango di discepolo. Un bacio come segno di fratellanza, senza alcun riferimento sessuale.

Il già citato Mauro Pesce, storico del cristianesimo, ha scritto: «Si tratta di un bacio santo, uno degli atti praticati nelle riunioni liturgiche della Chiesa primitiva. Ancora oggi, del resto, il bacio sulla bocca è tipico di molte culture, senza che abbia uno specifico significato sessuale. Neanche il bacio di Gesù alla Maddalena ha carattere erotico, avrebbe potuto benissimo essere scambiato con i discepoli uomini. Rivela l’intenzione di dare al gesto una particolare intensità religiosa avvicinabile all’atto descritto nel capitolo 20 del Vangelo di Giovanni, quando Gesù alita sui discepoli per trasmettere loro lo Spirito Santo. Mi chiedo se anche nel Vangelo di Filippo non si pensi a un atto di tipo rituale, a suggello di una comunicazione spirituale intensa»4C. Augias, M. PesceInchiesta su Gesù, Mondadori 2006, p. 42.

Se si volesse comunque prendere sul serio le argomentazioni di Dan Brown, occorre ricordare che le stesse fonti da lui utilizzate, cioè i vangeli gnostici, sono le prime a ripudiare i rapporti carnali. Proprio nel Vangelo di Filippo (versetto 122) l’unione carnale viene rifiutata espressamente, al suo posto deve subentrare «il matrimonio immacolato», cioè l’unione spirituale. Esso «non è carnale, ma puro». Secondo gli gnostici, «la sposa è impudica non solo quando riceve il seme di un altro, ma anche quando si allontana dalla sua camera da letto ed è vista». Per il redattore del Vangelo di Filippo, al quale si è ampiamente rifatto Dan Brown per il suo Il Codice da Vinci, l’unione carnale tra Gesù e la Maddalena sarebbe stata assolutamente impensabile, un sacrilegio osceno. Addirittura, nel Vangelo gnostico di Tommaso si parla del superamento della carnalità, dove la donna deve perfino rinunciare alla sua sessualità (Logion 114). Dan Brown non poteva scegliere fonti peggiori.

 

3.3 Gesù era celibe?

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E’ opinione comune tra gli storici del cristianesimo ed i biblisti che Gesù fosse celibe, tuttavia sempre lo scrittore Dan Brown ha messo in bocca ad un personaggio de Il Codice da Vinci, Leigh Teabing, tali parole: «Gesù era ebreo e il costume dell’epoca imponeva virtualmente a un ebreo di essere sposato. Secondo i costumi ebraici, il celibato era condannato e ogni padre aveva l’obbligo di trovare per il figlio una moglie adatta». Alcuni teorici della cospirazione hanno collegato ciò al fatto che i seguaci di Gesù (compresa la Maddalena) lo chiamavano rabbi (“maestro”) ed oggi i rabbini sono sposati.

Cominciamo con il sottolineare che l’ebraismo contemporaneo deriva da uno solo dei tre movimenti religiosi presenti all’epoca di Gesù, quello dei farisei. Accanto ad essi c’erano i sadducei (i principali oppositori di Gesù) e gli esseni, un movimento religioso molto consistente che viveva nel celibato e nessuno “imponeva” loro di sposarsi. Sugli esseni sappiamo molto di più grazie ai ritrovamenti dei rotoli del Mar Morto. Questo ovviamente non significa che Gesù era un esseno (non esiste alcun collegamento), ma che il celibato era diffuso anche nel costume ebraico dell’epoca.

Gèza Vemes, autorevole studioso del giudaismo antico, direttore di Studi ebraici e del Forum per gli studi su Qumran all’Università di Oxford è molto chiaro: «La scelta del celibato da parte di Gesù ha ragioni storiche ben precise. La missione profetica nel giudaesimo del I secolo includeva infatti la castità. Il celibato era una condizione ben nota all’ebraismo antico ed era chiamato “nazireato”. I nazirei erano riconoscibili dal fatto che non si tagliavano i capelli e la barba»5Gèza Vemes, Gesù, l’ebreo, Borla Edizioni 1983

Per quanto riguarda specificamente il celibato di Gesù, l’eminente biblista J.P. Meier, docente di Nuovo Testamento all’University of Notre Dame, ha dedicato al tema un paragrafo della sua monumentale opera: «Penso che vi siano solide ragioni per sostenere che Gesù fosse celibe». Innanzitutto, se Gesù fosse stato sposato gli evangelisti e gli scrittori giudeo-cristiani (o anche ebrei e romani) lo avrebbero scritto senza problemi, così come fecero per i discepoli più stretti a partire da Pietro (il primo Pontefice). Sappiamo tutto sui legami familiari di Gesù e perfino sui parenti dei suoi genitori.

«Data questa sorprendente loquacità del Nuovo Testamento e della chiesa primitiva sia sulla famiglia di Gesù che sulle donne che gli erano vicine», ha proseguito J.P. Meier, «il silenzio del Nuovo Testamento su una supposta moglie di Gesù (per non parlare dei figli) assume un significato, una facile e ovvia spiegazione: non esistevano». Certo, abbracciare il celibato senza essere esseni sarebbe comunque stata una scelta inusuale, ma d’altra parte Gesù fu tutto tranne che un ebreo conformato al suo ambiente (non sarebbe stato crocifisso, altrimenti) anzi, «era un ebreo tanto insolito per tanti aspetti, non è strano che manifestasse la sua marginalità anche con il celibato»6J.P. Meier, Un ebreo marginale, vol. 1, Queriniana 2008, p. 325-344.

Non sorprende nemmeno che un altro grande ed impetuoso profeta di giudizio contemporaneo a Gesù, Giovanni Battista, avesse scelto il celibato, anch’egli senza essere stato un esseno.

Infine, osserviamo che nei Vangeli canonici, Gesù stesso si riferisce al celibato con queste parole: «Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna» (Mt, 19,12). Come avrebbe potuto l’evangelista riportare queste frasi se Gesù per primo fosse stato legato a casa, moglie e figli? Disse ancora Gesù: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo» (Mt 8,20). Potrebbe parlare così un marito fedele o un padre di famiglia?

San Paolo si sentì svantaggiato poiché, al contrario di Pietro, non era sposato: «Non abbiamo il diritto di portare con noi una donna credente, come fanno anche gli altri apostoli e i fratelli del Signore e Cefa?» (1Cor 9,5). Se Gesù avesse avuto una compagna, Paolo non avrebbe certamente evitato di citare anche il suo nome.

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