Cari atei, solo i credenti possono fidarsi della ragione

Se il naturalismo è vero, siamo solo un incidente casuale di un’evoluzione cieca ed i nostri pensieri equivalgono a mere reazioni chimiche. Perché dovremmo fidarci dei prodotti della mente? Per i cristiani, invece, la ragione è un dono di Dio e ha un’origine evolutiva non casuale.

 
 
 

Le nostre capacità cognitive sono affidabili?

Se il naturalismo fosse vero, l’essere umano sarebbe solo un incidente casuale dell’evoluzione e la risposta sarebbe negativa.

Lo stesso celebre naturalista Charles Darwin lo intuì quando scrisse: «Mi sorge sempre l’orrido dubbio se le convinzioni della mente umana, che si è sviluppata dalla mente degli animali inferiori, siano di qualche valore o in qualche modo attendibili. Chi riporrebbe la sua fiducia nelle convinzioni della mente di una scimmia – se pure esistono delle convinzioni in una tale mente?» (1881).

Dal momento che la selezione naturale si limita a premiare i comportamenti che aumentano l’adattamento, non ha alcuna importanza se le convinzioni che stanno alla base di quei comportamenti siano vere o false.

Se si accetta il riduzionismo materialista, implicito nel naturalismo, ogni comportamento umano è causato esclusivamente da processi cerebrali deterministici, i quali sono l’unica fonte delle nostre convinzioni.

 

Perché il cristiano può fidarsi della ragione.

Nel febbraio scorso ne ha parlato anche Michael Egnore, rinomato neurochirurgo della State University di New York.

Egnore è partito dalla constatazione che gli atei comunemente affermano che esisterebbe una profonda dicotomia tra fede e ragione, ma egli obietta che la validità della ragione non può essere convalidata dalla ragione stessa.

Il cristiano è legittimato a fidarsi della sua ragione in quanto la ritiene un dono di un Dio creatore per aiutarlo ad accedere alla conoscenza del mondo. «Questa è una giustificazione coerente per fidarci della nostra capacità di ragione», scrive  il neurochirurgo.

La massima apertura della ragione si verifica infatti quando quest’ultima percepisce il presentimento di un significato profondo nell’esistenza, quando diventa cosciente di un’incompiutezza ultima per cui solo un Infinito può darvi risposta e culmina nel sospiro di una rivelazione.

«Il supremo passo della ragione sta nel riconoscere che c’è un’infinità di cose che la sorpassano», scriveva Pascal.

 

I filosofi: «I naturalisti non possono credere alla ragione»

Ma se davvero fossimo il prodotto casuale di un’evoluzione cieca? Con quale garanzia potersi fidare della nostra capacità intellettiva? In base a cosa si può essere convinti che vi sia qualcosa di assolutamente vero o falso?

Ne abbiamo già parlato in passato, riprendendo il famoso argomento del filosofo statunitense Alvin Plantinga.

«Gli atei hanno la stessa fede dei cristiani: credono di avere accesso anche loro alla verità», osserva oggi Michael Egnore.

«Ma l’ateismo non fornisce alcuna garanzia coerente per fidarsi della capacità di ragione. In questo senso, la fede atea è molto più radicale e molto meno coerente della fede dei cristiani».

E ancora: «La fede atea nella validità della ragione è infondata e ingiustificabile, ed è quindi una fede molto più radicale e molto meno credibile».

Se i nostri pensieri, i nostri sentimenti, le nostre speranze sono semplicemente il risultato di reazioni chimiche, come indica il naturalismo, perché dovremmo fidarci di essi? Quanto è probabile che le nostre capacità cognitive siano affidabili, data la loro origine puramente casuale? Molto poco.

Ecco la riflessione dell’eminente matematico di Oxoford, John Lennox: «Il riduzionismo ontologico si riduce al tentativo di sollevarsi tirandosi su per i lacci delle scarpe. In fin dei conti, è l’uso dell’intelletto umano ad aver indotto alcune persone ad adottare il riduzionismo ontologico, il quale comporta il corollario che non vi è motivo di fidarci del nostro intelletto quando ci dice qualcosa; tanto meno, in particolare, quando ci dice che tale riduzionismo sia vero»1J. Lennox, Fede e Scienza, Armenia 2009, p. 69.

Lo ha spiegato molto bene anche J.P. Moreland, docente di Filosofia presso la Biola University (California):

«Se la mente fosse emersa casualmente dalla materia senza l’input di un’Intelligenza superiore, sorgono immediatamente due problemi. Primo, perché dovremmo fidarci e ritenere veri o razionali i prodotti della mente? In secondo luogo, se il pensiero implica il formulare entità astratte (proposizioni, leggi della logica ecc.) stanziate nella propria mente, allora sembra incredibilmente improbabile che una proprietà emersa dalla materia in una lotta per la sopravvivenza possa produrre pensieri. Che questa proprietà emergente possa contenere e produrre entità astratte sarebbe un’incognita irrisolvibile».

 

L’affidabilità “cieca” alla propria ragione, dunque sembra giustificarsi ed adattarsi meglio solo all’interno di un contesto teistico in cui si presuppone l’origine non casuale della nostra mente e della coscienza.

La redazione

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13 commenti a Cari atei, solo i credenti possono fidarsi della ragione

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  1. Roan83 ha detto

    Interessante come riflessione…non ci avevo mai pensato.

    Immagino già le risposte argomentate e sul pezzo dei “naturalisti”, ad esempio: “Si però Pio XII era nazista!”. Oppure, “eh va beh ma perché non parlate dei crimini dell’umanità commessi dai viceparroci dell’Uzbekistan?”. O anche: “Allora cosa dite delle crociate? Sapevate che i templari hanno inventato e diffuso il cancro al seno?!” E via dicendo 🙂

  2. Sisco ha detto

    Se è vero dunque che il caso non esiste, non è altrettanto vero che l’essere non provenga da un accidente. Infatti nella nostra cultura di cattolici possiamo trovare il dubbio persino in alcune affermazioni di Rosmini riguardo l’eternità dell’essere; se la vita eterna ha un senso non può esserci un entità assoluta che permetta la sofferenza esistenziale. Dunque la vita eterna non coincide con l’essere assoluto se Dio esiste, in quanto l’esistenza comporta il divenire che vuole che la verità cambi. Infatti gli scienziati attuali credono che il caso esista e il loro nichilismo è radicale. Qui per “esistenza” del caso si intende che il suo (del caso) concetto abbia un valore per la vita.

  3. anonimo ha detto

    L’argomento è valido, ma può essere attaccato sotto molti punti di vista. Innanzitutto non è impossibile pensare che la fiducia di un ateo nei confronti dei propri ragionamenti sia data dalla frequenza con cui la sua immaginazione effettua previsioni corrette sul mondo. Si può mostrare il caso della paura. Spesso la paura si manifesta in queste modalità: si è in una situazione in cui i dati della percezione sono insufficienti per formarsi una credenza vera circa la situazione circostante. In questo caso, la mente (l’immaginazione) produce spontaneamente un modello mentale predittivo in cui si viene aggrediti da una qualche direzione. La risposta fisiologica è di paura. Salgono i battiti cardiaci e il sistema nervoso diventa più reattivo agli stimoli.
    Il modello mentale prodotto dall’immaginazione, se viene creduto a priori, è sintomo di irrazionalità. Ma se la frequenza con cui tali modelli, in un soggetto, producono previsioni corrette è alta, allora il soggetto è giustificato razionalmente a credere nei modelli prodotti dalla propria immaginazione. Ora, sappiamo che ci sono persone in grado di effettuare previsioni verosimili alla realtà, dunque sappiamo che ci sono persone che, in qualche modo, riescono a produrre modelli sufficientemente isomorfi alla realtà da giustificare loro nel credere ai contenuti di tali modelli al punto tale che non crederci sarebbe un atto irrazionale. Ora, possiamo ipotizzare che uno fra questi sia un ateo. Si può inoltre aggiungere che i modelli mentali prodotti dalla mente di una persona possono essere rappresentati attraverso un linguaggio diverso (come quello fonetico) con convenzioni stipulate ad hoc. La congiunzione di questi fattori può dare come risultato un individuo ateo capace di ragionare attraverso l’uso della propria immaginazione e del proprio linguaggio, che è giustificato a farlo sulla base della frequenza con cui tali ragionamenti producono conseguenze vere.
    Questa considerazione è già sufficiente per minare (modificato)
    [15:30]

    • Sisco ha detto in risposta a anonimo

      Avrei da fare una obiezione: se i modelli di previsione, come si dice nel commento, sono veri e cioè in grado di predire la realtà, come si può affermare che siano il frutto dell’immaginazione? Credo che l’immaginazione sia d’impiccio per la previsione di una realtà… ecco pèerchè si parla di paura, è proprio perchè l’immaginazione ci porta al di fuori della realtà; resta il fatto che l’uomo non conosce la realtà se non tentando di indovinarla e per ciò dovrebbe avere tutti gli strumenti per farlo!

      • anonimo ha detto in risposta a Sisco

        È una buona obiezione. Innanzitutto però ci tengo a fare una precisazione: non ho mai affermato che i modelli di previsioni siano veri. Piuttosto, potrei dire che esistono modelli previsionali migliori di altri, e che questa qualità possa essere inferita sulla base dell’efficienza del modello. La cosa è nettamente diversa. Infatti, dicendo questo, al massimo si può concludere che alcuni modelli previsionali sono veri (non tutti). Questo è più che altro un contenzioso verbale, ma ci tenevo a specificarlo per evitare equivoci.
        Passando invece al nucleo dell’argomentazione, rispondo che, anche concedendo, come è giusto che sia, che l’immaginazione non produca sempre scenari corretti, ciò non è tuttavia sufficiente per concludere che l’immaginazione sia di impiccio per la previsione della realtà. Lo posso dimostrare molto chiaramente mostrando le paradossali conseguenze dell’eventualità opposta: si immagini un mondo quanto più simile a quello attuale, con la sola differenza che nessun uomo è capace di riprodurre nella propria mente rappresentazioni della realtà in forma di simulacri di quanto percepito dai sensi. Nessuna immagine, nessun suono, colore, sapore. Nemmeno, dunque, la facoltà di parlare introspettivamente esisterebbe, in quanto semplice riproduzione di fonemi all’interno della propria mente. Ma allora, in tale mondo, non si sarebbe in grado di pensare alcunché. Gli uomini si limiterebbero al massimo a reagire agli stimoli istintivamente. Ma allora sarebbe un mondo senza la facoltà di immaginazione a non permettere previsioni corrette sulla realtà, e non il contrario! Inoltre, il fatto che l’immaginazione non produca sempre scenari corretti, non implica che produca sempre scenari scorretti. Quante volte ti è capitato di vedere delle brutte nubi all’orizzonte e di munirti di ombrello? Tale comportamento presuppone una previsione meteorologica. Converrai con me che tu non hai sempre sbagliato, altrimenti ti porteresti l’ombrello anche quando c’è il sole!

        • Sisco ha detto in risposta a anonimo

          Hai ragione, l’uomo non è completamente chiuso nelle sue rappresentazioni del mondo come credevano Schopenhauer con il suo concetto totalitario di volontà e anche Platone con il suo mito della caverna e delle pallide idee che i primitivi si facevano del mondo là fuori… Si è vero noi sappiamo meglio cosa ci dicono i sensi, ciò non toglie che non c’è alcun “là fuori” del quale si possa affermare che è una realtà a sé stante; essa fa parte di noi come le rappresentazioni che ce ne facciamo.

        • Antonio Guado ha detto in risposta a anonimo

          Il problema é che, mantenendo la rigiditá logica che gli atei presumono di mantenere, anche avere la capacitá di prevedere i fenomeni non implica la razionalitá/la ragione/la sensatezza di prevederli. Ti faccio un esempio: le stelle devono spegnersi, il sole é una stella, il sole deve spegnersi. Abbiamo previsto che si spegnerà? Sì, ma possiamo prevenire che si spegni? No. Quindi, che senso ha avuto prevedere che si spenga se non si può anche prevenire che si spenga? Mettiti nei panni delle persone che nelle ore fatidiche cominceranno a morire nel gelo oppure disintegrate. Cosa gli racconti tu di fare previsioni sensate se sta diventando tutto inutile? Inoltre per un ateo, siccome esistiamo per caso, é anche casuale che tutte le cose siano utili all’ uomo. Questo significa che la formula: “é vero che bisogna utilizzare il metodo sperimentale” é falso, perché “é casualmente utile che lo si utilizzi”. Pertanto, avere presunzione di verità ateistica attraverso il metodo sperimentale confligge con il presupposto ateistico di base che crede nel caso. L’ ateo dovrebbe parlare dicendo: “sono ateo perché mi é più utile” e non dicendo “sono ateo perché sono vero”. É empiricamente dimostrabile che tutto, per esistere, debba essere umanamente inteso per essere empiricamente dimostrabile? No. Quindi, coerentemente, l’ ateo non può utilizzare il metodo sperimentale per dirsi ateo. Deve ammettere che usa un criterio di utilità personale come fondamento dei suoi discorsi. Non c’ é niente di male, ma é così.

          • Sisco ha detto in risposta a Antonio Guado

            La visione apocalittica che pervade la risposta ad anonimo, prende il caso come eventualità accidentale di un mondo a lui non del tutto estranea; in pratica, uscendo dalla tragedia cosmica, anche in un avvenimento tragico si ma non apocalittico come l’annegamento, il fatto di conoscere la composizione chimica dell’acqua non salva di certo dall’annegamento. Tuttavia quello che mi sfugge è il concetto di utilità che viene fuori alla fine del commento e cioè, si dice che la posizione utilitaristica dell’ateo non permette a quest’ultimo di ritenersi vero. Dunque la verità non avrebbe rapporti con l’utilità? che l’interesse in uno scopo o l’avere scopi in generale compromette i nostri rapporti con la verità? Se mi si chiarisse quest’ultimo punto sarebbe utile alla conoscenza di una posizione, tenendo presente che lo scopo di un’azione è la sua utilità pratica e che effettivamente non serve a nulla contro il caso, l’accidente nel quale solo la provvidenza può salvare.

  4. Alx ha detto

    Quanta arroganza, quanta superbia !
    Ma soprattutto quanta ignoranza da saputelli !
    Ed adesso sotto con i soliti commenti idioti : “Stai parlando degli atei ?”.

    • Panthom ha detto in risposta a Alx

      No solo un commento: a parte gli insulti riesci anche ad argomentare qualcosa?
      Per ora l’unica superbia e arroganza l’ho letta nel tuo commento.
      Non è un vomitatoio, te lo ricordi vero?

  5. Sisco ha detto

    Non mi ritengo un “saputello” anche perché ho studiato la materia e non posso dunque neanche considerarmi un ignorante. Tuttavia posso capire il tuo astio verso la filosofia, infatti i grandi nomi della sua storia si possono tranquillamente considerare dei criminali… e come tali andrebbero trattati come tu fai con noi. Resta tuttavia il fatto che la filosofia ha creato una tensione nello spirito umano, che ha portato alla nostra “civiltà” la quale non si può certo liquidare con epiteti offensivi, magari!!!

  6. Wolfgang ha detto

    L’EAAN di Plantinga è di certo un ottimo argomento, ma per quanto valido (e lo è) non conduce eo ipso ad abbracciare una qualche forma di teismo, men che meno confessionale. Sferra piuttosto un ottimo colpo al naturalismo di matrice materialista/riduzionista il quale vorrebbe espunta qualunque forma di finalità – τέλος – dal reale.

    Si danno tuttavia altre forme di naturalismo non riduzionista, ad es. quello proposto da Nagel nel suo “Mind & Cosmos”, che pur ammettendo qualche tipo di finalità naturale-teleologia, non concedono l’esistenza di alcunché trascenda ciò che è “natura”. La cosa non dovrebbe stupire se si pensa che anche per Aristotele la cd “causa finale” coincide con una relazione di dipendenza causale che si dà nella realtà, sebbene per lo Stagirita essa non abbia un ulteriore fondamento metafisico-teologico, fondazione che le darà san Tommaso secoli dopo.

    Quanto sia sostenibile questo tipo di naturalismo (che mi pare porti inevitabilmente a qualche forma di panpsichismo) è da vedere, ma sia come sia, passare immediatamente dall’EAAN al teismo, senza passaggi intermedi, è ingiustificato.

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