Anastasio, il senso religioso del giovane rapper di X-Factor

Vincitore di X-Factor nel 2018, il rapper Anastasio ha qualcosa di interessante da dire. Una profondità inedita nel panorama musicale giovanile. Scettico fino ai 20 anni oggi porta nelle radio temi evangelici, la salvezza e la necessità della fede, per non piegarsi agli idoli.

    

C’è una diversità in questo giovane rapper, vincitore della 12° edizione di X-Factor (2018).

Al contrario del classico “artista unico” prodotto da questo tipo di talent, Anastasio ha qualcosa di interessante da dire.

Campano, 24 anni, laureato al liceo classico a pieni voti ed amante di De André, della filosofia e della poesia. Basterebbe già questo.

Nel 2019 lo ricordiamo in una piccola polemica con il trapper Sfera Ebbasta, quando disse: «Me la prendo con i genitori che non si accorgono che i loro figli non hanno più modelli positivi con cui confrontarsi», disse. «Dovrebbero fare i genitori, non gli amici, discutendo con loro della totale mancanza di spessore di Sfera Ebbasta: dimostrarsi complici, condividendo questa passione giovanile, non produce nulla di buono. Gli eroi di un tempo non esistono più, oggi sono diventati di carta, e con i figli bisognerebbe parlare anche di questo».

Come dargli torto? Pochi mesi prima, dopo la tragedia di Corinaldo, anche su questo sito web avevamo osservato che le strofe urlate alla radio dagli “artisti” contemporanei nutrono ed innaffiano solo il vuoto esistenziale in cui già vive gran parte dei giovani.

 

Il cantante Anastasio e i temi biblici: “Affascinato”

Esistono però modelli positivi, Anastasio per l’appunto. Dopo quasi due anni di silenzio musicale (complice anche il Covid), il 14 gennaio scorso ha presentato il singolo Assurdo, anticipando il suo secondo album, intitolato Mielemedicina.

«Questo disco è più cantaurato che rap», dice in un’intervista ad Avvenire. Tutto l’album è ricco di riferimenti biblici, dalla torre di Babele, in cui descrive il paradosso di un’era tecnologica babilonica in cui siamo sempre più soli («Babele non è stata mai così alta / siamo stati più vicini al cielo / Ed insieme così soli / lontani da tutti», ad Adamo ed Eva fino alla passione di Cristo.

«A me interessa il linguaggio religioso, vi sono simboli antichi molto evocativi», spiega l’artista 24enne, «molto radicati in noi, di cui percepisco il fascino e la solennità».

 

Il brano-preghiera inspirato ascoltando il card. Ravasi.

Nel 2020 si inspirò all’Apocalisse di Giovanni per il suo brano-preghiera Quando tutto questo finirà, in cui canta: «Oh mio Signore / quale grande azione d’amore compimmo noi uomini / perché un Dio si scomodi a darci il mare / Oh mio Signore, / quale enorme dolore cadrà sui tuoi figli / perché tu ci consoli spargendo nel cielo manciate di soli».

Una canzone meno nota, scritta dopo aver partecipato ad un dibattito assieme al card. Gianfranco Ravasi, che ritiene «una persona che quando parla non puoi che pendere dalle sue labbra, un pozzo di cultura».

Lo stesso rapper spiegò il significato del brano: «Il mio è un invito all’umiltà: lascia stare la truffa della tua identità, le tue velleità, perché prima o poi verrà l’Apocalisse e verremo tutti giudicati come uguali. Che tu creda o no. Ma è anche peggio se tu non credi all’Aldilà perché dietro ti lasci il nulla».

Tematiche inedite nel panorama musicale giovanile ed è lui stesso a credere che «il rap si debba rinnovare. Quando sono arrivati i trapper, con le solite tematiche banali, pensavo fossero ironici. Invece si prendono sul serio. Io dico però che non è artistico, non ti arricchisce».

 

Dallo scetticismo alla necessità della fede, in cammino.

Ateo borioso fino ai vent’anni, «ad un certo punto mi sono fatto un bagno di umiltà, ascoltando chi ne sa più di me e che mi mostrava che c’è una prospettiva cristiana interessante», ha confessato il rapper.

«Spiritualmente non ho trovato Dio, non mi definisco cristiano, non dico le preghiere, non vado a messa», precisa Anastasio. «Ma ci sono molte cose della cristianità che mi piacciono, a partire dalla promessa della salvezza, il fatto che verrà l’Apocalisse e dopo si rinascerà. Credo che l’uomo abbia bisogno di fede. “Se l’uomo rifiuta Dio, si inginocchia davanti ad un idolo” scriveva Dostoevskij. Le idolatrie di oggi sono il denaro e venerare se stessi: tutti gli idoli sono falsi e le tue energie le butti su qualcosa di inutile. La fede, invece, è la cosa più alta davanti alla quale ti puoi inginocchiare».

Gli auguriamo di proseguire in questo cammino, ma soprattutto di continuare ad essere in controtendenza, testimone di una diversità nel rap. Il vero artista non è mai banale, sfida il conformismo, non ne diviene complice. Anastasio è tutto questo.

La redazione

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2 commenti a Anastasio, il senso religioso del giovane rapper di X-Factor

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  1. Jackie ha detto

    Bravo Anastasio. Non tutti i rapper scrivono sconcezze come quest’altro che inneggia agli attentati islamici e ai roghi nelle chiese:

    Amo quell′attimo prima dell’atto
    Quando il pilota già vede l′impatto
    E il fantino sbalzato ha mollato le redini
    L’allievo si è ribellato
    E il maestro
    Ha finito il suo lavoro
    Giovane uomo, vai, sorprendimi
    L’atleta attende i tendini
    Il terrorista pregusta le 40 vergini, sa che le merita
    Finita la predica ha già deciso, la notte è gelida
    Ma domani click-boom, Allah Akbar, morti all′America
    La folla è incredula, e i led, i riflettori
    Il pianto dei peccatori, lo schianto dei tuoi valori
    I motori in panne, mamma guarda, Notre Dame è in fiamme
    Notre Dame è in fiamme
    Notre Dame è in fiamme
    Notre Dame è in fiamme
    Ed è bella come non è stata mai
    È bella come non è stata mai
    Muore il simbolo, le idee resistono
    Bada, chi piange un simbolo è un′idolatra
    Chi piange il bello che guardi meglio, è uno spettacolo
    Il fumo che avvolge il pinnacolo
    L’evento al di fuori del calcolo

    • Laura ha detto in risposta a Jackie

      Bella la provocazione, bravo. Però mi sa che non hai capito il significato del brano.
      Cito le sue parole (le trovi online): «Guardando le immagini dell’incendio ho pensato: Cos’è che sta davvero bruciando? Una meta turistica? Il simbolo di una nazione? Il simbolo di Dio? Poi ho capito che anche se muore il simbolo, le idee resistono», spiega.
      Era una provocazione anche la sua.

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