Stati Uniti: stabili da 30 anni i cristiani convinti (calano solo i “tiepidi”)

“America religiosa, Europa laica? Perché il secolarismo europeo è un’eccezione” (Il Mulino 2010). Così si intitolava un interessante libro di alcuni anni fa. Un recente studio, otto anni dopo, ne ha sostanzialmente confermato la tesi: gli Stati Uniti rimangono un paese fortemente religioso, il più devoto di tutte le democrazie occidentali.

Certo, molti sociologi hanno osservato che anche l’America ha iniziato a prendere la strada della secolarizzazione, seguendo la vecchia Europa, ma il cristianesimo venne dato per spacciato già nel 1966, si ricordi la famosa copertina del Time: “Is God dead?”. Una recente indagine, cinquant’anni dopo, ha mostrato che il 55% degli statunitensi dichiara di pregare quotidianamente, rispetto al 25% degli abitanti del Canada, al 18% di quelli dell’Australia e al 6% dei cittadini della Gran Bretagna.

In un secondo studio, anch’esso da poco pubblicato (da studiosi della Harvard University e dell’Indiana University Bloomington), viene meglio esplicitata la negazione di un declino del cristianesimo, e si proclama, addirittura, che la religione continua a godere di «intensità persistente ed eccezionale».

I ricercatori hanno rilevato la percentuale di coloro che possiedono una “forte religiosità” (circa il 40% della popolazione), valore rimasto pressoché identico dal 1990. L’unico calo si è verificato (dal 55% al 45%) per coloro che vivono una “religiosità moderata”, mentre negli ultimi quindici anni sono cresciuti i “non affiliati religiosamente” (dal 10 al 20%).

Qualche dato in più: la percentuale di americani che afferma di pregare più volte al giorno e che frequenta la chiesa più volte a settimana, è rimasta «palesemente persistente» e costante negli ultimi 30 anni. E la stessa percentuale non è così piccola: un americano su tre prega più volte al giorno e si reca a Messa ogni settimana. Un altro dato interessante è che sono aumentati i cristiani fortemente convinti: se nel 1989, il 39% di coloro che apparteneva ad una religione affermava di avere una fede forte, oggi lo afferma il 47%.

I dati sono in coerenza con quanto scrive uno (e non solo lui) dei principali sociologi della religione, Rodney Stark, il quale ha scoperto che la percentuale di americani che frequentano le chiese rispetto alla popolazione totale è oggi oltre quattro volte superiore a quella del 1776. Il numero di praticanti, dunque, ha continuato a crescere ogni decennio nella storia statunitense fino ai giorni nostri (R. Stark, What Americans Really Believe, Baylor University Press 2008).

«Soltanto la religiosità moderata sembra essere in declino», hanno concluso i ricercatori statunitensi, «i più ardenti religiosi invece persistono e oggi sono quasi una quota maggiore rispetto a coloro che sono moderatamente religiosi. Allo stesso modo coloro che frequentano saltuariamente le celebrazioni si stanno spostano verso la non frequenza, ma non si osserva un declino in coloro che frequentano le celebrazioni più volte a settimana».

Una fede tiepida, formale, abitudinaria e non alimentata da ragione ed affezione, non è testimone di nulla ed è facilmente messa da parte, lentamente. Rivolgendosi a quei cristiani «che non sono né freddi, né caldi», il Santo Padre li avverte che la loro tranquillità è un inganno. Perché Dio non c’è in «quella ricchezza dell’anima che tu credi di avere perché sei buono, fai tutte le cose bene, tutto tranquillo: un’altra ricchezza, quella che viene da Dio, che sempre porta una croce, sempre porta tempesta, sempre porta qualche inquietudine nell’anima». I tiepidi, dice il Papa quasi anticipando i risultati della ricerca di cui abbiamo parlato, «perdono la capacità di contemplazione, la capacità di vedere le grandi e belle cose di Dio».

La redazione

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7 commenti a Stati Uniti: stabili da 30 anni i cristiani convinti (calano solo i “tiepidi”)

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  1. Max De Pasquale (Max) ha detto

    Interessante articolo, con riflessioni importanti.

  2. Enigma ha detto

    Ma non ci prendiamo in giro, sembrate fuori dalla relata’.

    ” il 55%degli statunitensi dichiara di pregare regolarmente”

    Ah e allora ragazzi siamo a cavallo.

    Sto studio non dimostra nulla.

    La religiosità e’ innata nell’uomo.

    Qualcuno diceva che i cristiani sono destinati ad essere e rimanere un popolo esiguo ,raro, in via di estinzione, perseguitato, con vita non facile in mezzo ai lupi che ti sbranano.

    la secolarizzazione oramai e’ arrivata e l’America ha contribuito in maniera massiccia a fare del Dio denaro e di tutto il resto la nuova Babilonia….

  3. Daniele Giovanelli ha detto

    Non so se sia una bella notizia o no. Gli americani credono in Dio in modo calvinista: credono che l’elezione divina debba essere confermata da grande successo lavorativi/economico, con la conseguenza di pensare che se uno e’ poveri e’ colpa sua, che il denaro e’ una benedizione divina e che il capitalismo sia segno di devozione.

  4. Klaud ha detto

    Se la religiosità degli americani può essere giudicata dai loro film, direi che non sono messi bene. Mi riferisco a quella marea di film demenziali basati su gente che muore però può tornare sulla terra per svariati motivi, c’è quello con Travolta angelo lercio tra gli umani, quello con Freeman-dio-nero, per non parlare degli esorcisti, degli indemoniati, anime perse… povera America! Sono tantissimi e ovviamente non li guardo, ma mi piacerebbe contarli. Il bello è che nei loro film sono gli italiani a essere superstiziosi!
    Comunque per giudicare si devono conoscere le fasce d’età, l’origine nazionale, titolo di studio ecc. La bassa percentuale degli australiani, ad esempio, si spiega anche con la loro politica di selezione e respingimenti.

    • underwater ha detto in risposta a Klaud

      I film escono da Hollywood, capitale dell’elite liberal. A parte Mel Gbson e, talvolta, Klint Eastwood, non è mai riuscita a rappresentare l’America profonda.

      • Klaud ha detto in risposta a underwater

        I film si fanno per guadagnare; come per i peggiori quotidiani si segue l’onda dei gusti popolari.
        Credo che l’America profonda si sia persa almeno cinquant’anni fa. Facciamo sessanta, va’.

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