Dopo burqa e femminismo, grazie a te donna perché sei donna

dignità femminile
 
di Anna Paola Borrelli*
*teologa e bioeticista presso l’Istituto Teologico Salernitano di Pontecagnano-Faiano (Sa)
 
 

In un recente articolo su Il Fatto quotidiano, la scrittrice Silvia Truzzi descrive un esperimento che la collega Flavia Piccinni, vincitrice del Premio Campiello Giovani 2005, ha condotto all’aeroporto di Kuwait City. Attraverso un post su Huffington si racconta che la Piccinni, sentendosi osservata per il suo abbigliamento all’occidentale si sia sentita a disagio e vergognata. «Per gli arabi sono le prostitute a lasciare le spalle, le braccia e le gambe scoperte. Le occidentali smemorate non sono particolarmente amate», afferma la giornalista.

«Per spirito di autoconservazione, curiosità e non ultimo un sottile (sottile?) gusto della provocazione» si è recata al Souk Al-Mubaeakiya e per poco più di 30 euro ha acquistato un burqa nero. Col termine persiano purda (parda) etimologicamente si indica “cortina”, “velo” e, adattando il termine alla cultura e al mondo arabo, si è arrivati all’attuale parola “burqa” che costituisce un capo di abbigliamento indossato prevalentemente dalle donne dell’Afghanistan e del Pakistan. Il burqa completo o tipicamente afgano, blu o nero, copre sia la testa che l’intero corpo; l’altro è un velo che dal capo copre tutta la testa, facendo in modo che la donna possa vedere, grazie ad una finestrella all’altezza degli occhi.

Storicamente l’utilizzo del burqa risale al 1890 quando Habibullah, sovrano dell’Afghanistan, lo impose alle duecento donne del suo harem, perché non catturassero l’interesse di altri uomini. Successivamente venne indossato dalle donne dei ceti superiori, infine, abbandonata questa consuetudine, è stata poi resa obbligatoria dai talebani per tutte le donne. Nel Corano si parla di un obbligo solo nel portare il velo, come traspare dalla Sura XXIV, 31 An-Nûr (La Luce): “E dì alle credenti di abbassare i loro sguardi ed essere caste e di non mostrare, dei loro ornamenti, se non quello che appare; di lasciar scendere il loro velo fin sul petto e non mostrare i loro ornamenti ad altri che ai loro mariti, ai loro padri, ai padri dei loro mariti, ai loro figli, ai figli dei loro mariti, ai loro fratelli, ai figli dei loro fratelli, ai figli delle loro sorelle, alle loro donne, alle schiave che possiedono, ai servi maschi che non hanno desiderio, ai ragazzi impuberi che non hanno interesse per le parti nascoste delle donne. E non battano i piedi, sì da mostrare gli ornamenti che celano. Tornate pentiti ad Allah tutti quanti, o credenti, affinché possiate prosperare”.

Concluso l’esperimento in Kuwait, Flavia Piccinni ha dichiarato: «Per un attimo ho pensato che forse potrebbe essere giusto indossarlo ogni giorno. E guardandomi allo specchio, non ritrovando il mio viso, ma solo una nuvola nera, mi sono domandata se non sia forse questa una lezione che dobbiamo prendere dal mondo arabo: annullare la necessaria ossessione per l’immagine, annullare il giudizio delle altre attraverso la loro bellezza, imparare a mostrarci privi di ossessioni e di sovrastrutture (…). Forse, dove il femminismo ha fallito, il burka nel 2017 potrebbe riuscire». La considerazione finale della giornalista equivale ad una provocazione.

Ritenere l’abbigliamento del burqa come un mezzo di liberazione della donna da possibili sovrastrutture e giudizi altrui è senza ombra di dubbio un’iperbole concettuale contro l’ostentazione della bellezza e del corpo femminile in Occidente. Sappiamo, infatti, il contrastato concetto di libertà/schiavitù che proviene da tale abbigliamento e che vige in determinate culture. Se l’immagine femminile nel mondo occidentale ha sostanzialmente portato ad identificare l’essere donna con l’avere un corpo tonico, un abbigliamento sempre alla moda e una ricerca ossessiva della perfezione dell’immagine ciò ha minato innegabilmente la vera essenza della femminilità.

Il significato che deriva da questo esperimento provocatorio è che, al di là del vestito che si indossa o del trucco che adorna il viso, bisogna essere sempre se stessi. Ritornare all’essenziale, perché l’unico abito è ciò che si è. E Dio ci ama così come siamo. La donna, particolarmente, tiene alla cura della bellezza, all’estetica, alla ricerca dei particolari che è tipica del genere femminile. Prima di uscire si prepara, cerca l’abito più idoneo, abbina le scarpe, la borsa, si trucca, indossa monili. E questo rituale può, in alcuni casi, tramutarsi a lungo in una “schiavitù”, poiché non si esce di casa se non dopo aver fatto tutto questo, si ha quasi “paura” di essere se stesse. Altre volte, invece, si assiste ad uno sfoggio del corpo femminile, in televisione, nel mondo dello spettacolo, in certi ambienti lavorativi, come strumento per fare carriera o ottenere favori: è questa la profonda degenerazione dell’essere donna.

Credo che quello che voglia suggerire la Piccinini sia una lezione di semplicità. Forse la giornalista ha adoperato un “mezzo” non proprio idoneo, ossia uno strumento di coercizione e negazione della libertà femminile, rivelando un messaggio positivo: non apparire, ma essere! La vera bellezza è quella interiore che dura per sempre. «Non guardare al suo aspetto né all’imponenza della sua statura. Io l’ho scartato, perché io non guardo ciò che guarda l’uomo. L’uomo guarda l’apparenza, il Signore guarda il cuore» (1 Sam 16,7). Significativo è anche il brano del Vangelo (Lc 21,1-4 // Mc 12,41-44): il gesto della povera vedova di gettare nel tesoro del Tempio due spiccioli è ben poca cosa rispetto a quanto versato dagli altri, eppure Gesù loda proprio quella donna, perché sa che quei soldi sono tutto ciò che possiede. Gesù legge nel nostro cuore e scruta i nostri pensieri. Dinnanzi a Lui non abbiamo bisogno di indossare maschere.

In un’opera, K. Gibran attesta: “La sua bellezza non risiedeva nei capelli d’oro, ma nella virtù e nella purezza che li circondavano; non nei grandi occhi, ma nella luce che da essi emanava; non nelle labbra rosse, ma nella dolcezza delle parole; non nel collo eburneo, ma nella sua lieve curvatura in avanti. Non risiedeva nella sua figura perfetta, ma nella nobiltà del suo spirito, che ardeva come una bianca fiaccola tra la terra e il cielo” (Le ali spezzate, 1912). Al di là delle tante differenze culturali, sociali, politiche e religiose che contraddistinguono Oriente e Occidente, l’esperimento provocatorio condotto dalla Piccinni evidenzia come sia fondamentale ritornare a ciò che davvero conta. “La bellezza non è nel viso; la bellezza è una luce nel cuore (K. Gibran, Specchi dell’anima, 1965). Infatti, “la bellezza non è qualcosa per cui si gareggia: ciascuno ha qualcosa di bello da scoprire; l’attenzione è la chiave della scoperta” (Dacia Maraini, Dolce per sé, 1997).

Anche la Sacra Scrittura ribadisce che «la bellezza di una donna virtuosa adorna la sua casa. Beato il marito di una donna virtuosa; il numero dei suoi giorni sarà doppio. Una brava moglie è la gioia del marito, questi trascorrerà gli anni in pace. Una donna virtuosa è una buona sorte, viene assegnata a chi teme il Signore. Ricco o povero il cuore di lui ne gioisce, in ogni tempo il suo volto appare sereno. La grazia di una donna allieta il marito, la sua scienza gli rinvigorisce le ossa. E’ un dono del Signore una donna silenziosa, non c’è compenso per una donna educata. Grazia su grazia è una donna pudica, non si può valutare il peso di un’anima modesta. Il sole risplende sulle montagne del Signore, la bellezza di una donna virtuosa adorna la sua casa» (Sir 26, 1-4.13-16).

 

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16 commenti a Dopo burqa e femminismo, grazie a te donna perché sei donna

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  1. Max ha detto

    La vignetta e’ notevole!

  2. Fabrizia ha detto

    Grazie per il bell’articolo. Solo un dubbio: è davvero così difficile un po’ di buon senso? A me pare che non ci sia differenza tra l’andare in giro mezze nude e l’andare in giro col burqa: sono tutti e due atteggiamenti esagerati, tutti e due forme di disprezzo per la donna e asservimento a gusti, pareri e manie maschili. Se proprio dovessi scegliere, sceglierei comunque la donna mezzo nuda o anche nuda del tutto piuttosto del burqa. Perché almeno, nella nostra cultura, nessuno ci obbliga a imitarla e possiamo criticarla finché vogliamo. E, arrampicandosi un po’ sugli specchi, si potrebbe anche argomentare che – al limite- è un modo di apprezzare la bellezza creata da Dio con le sue stesse mani. Mentre il burqa è solo soffocante, in senso figurato come concreto. Da donna: burqa no, mai, grazie.

    • beppino ha detto in risposta a Fabrizia

      …sono tutti e due atteggiamenti esagerati…

      A mio parere ambedue non rispettano se stesse ma soprattutto il resto del mondo; ed é soprattutto quest’ultimo aspetto che conta (o che dovrebbe contare). La possibile differenza é percepibile soprattutto nel fatto che la donna col burqa un poco “subisce” una imposizione valoriale estremista (imposta dalla società in cui vive) mentre la donna seminuda “subisce” un condizionamento estremo caratterizzato da assenza di valori (anche in qualche caso indirettamente imposto dalla società in cui vive).

  3. Fabio ha detto

    Un uomo come me, se non altro come me, dovendo scegliere tra una donna ostentante di vanità, ed un’altra celata come un mistero inquietante, deciderebbe per il celibato. 🙂

  4. Bea ha detto

    Il sessismo del vecchio testamento è senza pari, peggiore anche del Corano. Lasciamolo agli ebrei.

  5. Valerio ha detto

    La vignetta tradisce un piccolissimo errore…

    che la donna in bikini ha scelto liberamente di apparire così, mentre la donna in burqa è stata obbligata a suon di minacce e di botte!

    Una sottile differenza ma secondo me importante..

    “E’ un dono del Signore una donna silenziosa”

    … un bel modo di considerare la donna, ma sulle sacre scritture c’è di molto peggio

    ma il cristianesimo ha sempre ammirato gli aspetti più tribali dell’islam.. sotto sotto invidia la sua “libertà religiosa” !

    Ricordiamo le parole di SanPaolo:

    Voi, mogli, state sottomesse ai mariti, come si conviene nel Signore.

    ma era solo una metafora… o no?

    …. “Come in tutte le comunità dei fedeli, le donne nelle assemblee tacciano perché non è loro permesso parlare”

    • Sebastiano ha detto in risposta a Valerio

      Voi, mogli, state sottomesse ai mariti, come si conviene nel Signore.

      Ma chissà perché, quando citate quel passo, vi “dimenticate” sempre (atteggiamento tipico di chi mente sapendo di mentire) come prosegue(*). E anche del fatto che non esiste altra cultura (né di allora né di oggi) che dica le stesse cose.

      (*) ti do un aiutino, il versetto che hai citato è il 22, prosegui fino al 25 e tutto ti sarà più chiaro. Se vuoi ti faccio un disegnino.

      • beppino ha detto in risposta a Sebastiano

        Secondo me, oltre a dare il riferimento e il disegnino, glielo devi anche spiegare nel dettaglio. Con tatto però, e usando parole più semplici possibili, altrimenti va in crisi.

  6. Sophie ha detto

    Guardando la vignetta penso che entrambe le donne abbiano un atteggiamento esagerato.
    Tuttavia penso che una abbigliamento discreto ma non esageramente pudico non fa mai male. Io ad esempio (salvo temperatura climatica veramente alta ed insopportabile) è difficile che vesta con spalle scoperte, o minigonna, o pantaloncini. Non vesto provocante perchè non mi piace attirare l’attenzione, specialmente quella degli uomini sposati. Preferisco lasciare spazio al mistero ed all’immaginazione di chi mi guarda.

  7. Codroipo ha detto

    A quando una donna papessa? In nome dei diritti della donna.

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