La rivista Mente&Cervello: «chi crede in Dio è più sano e felice»

Chiesa messicanaQualche giorno fa discutevo con una collega insegnante, anche lei laureata in psicologia, e mi ha detto: “Non riesco a capire come fai ad aver studiato psicologia e continuare a dirti credente. La psicologia, Freud in particolare, ci ha fatto capire che la religione è una cosa negativa e ansiogena”. E questo sentire è molto diffuso tra gli psicologi nostrani. È vero che Freud, seguito dalla psicologia di buona parte del ’900, aveva una visione pessima del fenomeno religioso, capace (a suo dire) di generare ansia, sensi di colpa, ritualismo…

È vero anche che Freud è morto nel 1939. Da allora, ovviamente, la ricerca psicologica è andata avanti, sviluppando intuizioni e modelli decisamente positivi nei confronti della religione: per esempio l’esperienza di picco di Maslow, la logoterapia di Frankl, la teoria dell’attaccamento religioso di Kirkpatrick, l’intelligenza esistenziale o religiosa di Gardner. E a queste intuizioni va aggiunto il contributo della psicologia comportamentista, il cui frutto più significativo può essere identificato nel Manuale di religione e salute: la metanalisi compiuta su circa 2.800 studi rileva che la religione, in concreto, fa bene alle persone dal punto di vista psicologico, fisico, sociale. Decisamente pertinente, in questo panorama, è l’aforisma di Francesco Bacone: “Poca scienza allontana da Dio, molta scienza riconduce a lui” (Saggio sull’ateismo, 1612).

Un esempio reale e concreto di come si stia attuando finalmente un vero e proprio ribaltamento di paradigma (religione da negativa a positiva) è offerto dal recente numero di Mente e Cervello (marzo 2013), la più diffusa rivista italiana di psicologia. Il dossier Nati per credere contiene due articoli, che vale la pena di analizzare.

Nel primo articolo, Più credenti più sani? di Sandra Upson, l’autrice prende atto del fatto che la religione fa bene alla salute: “Un’ampia massa di ricerche suggerisce che, in confronto alle persone religiose, chi non ha un credo ha meno probabilità di essere sano e felice – certamente le nostre due massime aspirazioni terrene – e tenderebbe a perdere almeno sette anni di vita. Parecchi studi condotti su larga scala hanno confermato la stessa cosa: più ci si impegna in attività religiose e meglio si sta” (p. 25). Un’ammissione che può sembrare sorprendente, tenendo conto che la rivista è pubblicata dallo stesso gruppo editoriale di L’Espresso e La Repubblica, non certo filo-religiosi.

L’autrice però, nel proseguo dell’articolo, cade di fatto in un semplicistico riduzionismo: i benefici della religione vanno ricondotti all’appartenenza a un gruppo sociale coeso. Anche se dice che “i vantaggi della religione non possono essere ridotti solo alle reti sociali che offre” (p. 28), conclude: “Nei paesi meno religiosi – fra cui Estonia, paesi scandinavi, Hong Kong e Giappone – […] la fede religiosa è bassa ma il morale delle persone è alto” (p. 30); “Una società pacifica e cooperativa, anche senza religione, sembra avere lo stesso effetto” (p. 31).

Certo, uno scienziato – in quanto tale – non può ricondurre gli effetti positivi della religione p.es. ai frutti dello Spirito Santo (amore gioia pace pazienza…). Ma non dovrebbe arrivare a liquidare la religione con un semplice riduzionismo sociale. Far parte p.es. di un gruppo di ultrà sportivi, o di una bocciofila di pensionati, può anche avere risvolti sociali positivi per la persona, ma non è certo un elemento che può avere ricadute positive per la società. E rimanendo agli esempi citati dall’autrice, le nazioni indicate dalla Upson come esempi di “morale alto”, a ben vedere di alto hanno il tasso di suicidio (vedi voce sulla en.wiki): Giappone 21,7; Estonia 18,1; Finlandia 16,8; Hong Kong 14,6; Svezia e Norvegia 11,9; Danimarca 11,3. Come indice di paragone, si pensi ai casi della Spagna (7,6) e dell’Italia (6,4), nazioni tutto sommato religiose a livello popolare.

Nel secondo articolo, Credenti nati di Girotto, Pievani e Vallortigara, gli autori prendono atto del fatto che “migliaia di credi religiosi hanno affollato la storia dell’umanità” (p. 34), e che dunque – volendo usare categorie antropologiche – il sacro è un apriori umano. Tuttavia, proseguendo ancora con un intento riduzionista, gli autori riconducono questa credenza alla facilità dei bambini nel vedere agenti (divinità) dietro a eventi di per sé inerti. Credenza che da adulti si può agevolmente abbandonare (p. 39).

Ma la domanda vera, a cui uno scienziato non può dare risposta, è: vedendo la regolarità e razionalità del cosmo, davvero noi ci inventiamo un Dio inesistente? Non potrebbe essere invece che scopriamo un Dio esistente? È questa la strada – la “via oggettiva” – seguita dalla tradizione cristiana: iniziando dall’Antico Testamento (“tu hai disposto ogni cosa con misura, calcolo e peso”, Sap 11,20; “dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si contempla il loro autore”, Sap 13,5), passando per Paolo (“le sue perfezioni invisibili, ossia la sua eterna potenza e divinità, vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute”, Rm 1,20), e culminando con le 5 vie di Tommaso, con strascichi significativi nel pensiero di grandi intellettuali credenti come p.es. Galileo, Einstein, Anthony Flew.

Roberto Reggi

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

9 commenti a La rivista Mente&Cervello: «chi crede in Dio è più sano e felice»

« nascondi i commenti

  1. Giuseppe ha detto

    A parte che questi sono gossip scientifici che giusto su Focus possono trovare posto, ma annoverare Einstein tra i credente mi pare una sciocchezza, visto che certamente Einstein rifiutava tanto il deismo quanto il teismo…

    • manuzzo ha detto in risposta a Giuseppe

      sulla “gossipaggine” sono d’accordo, anche perché il campione analizzato è davvero piccolo. Poi mi pare difficile classificare Einstein: sapevo (da fonti non certe) che non fosse ne ateo ne cristiano o mussulmano o ebreo. Però non ne sono sicuro…

    • Roberto Reggi ha detto in risposta a Giuseppe

      Per Giuseppe: Focus è una rivista interessante, ma forse (e ancor di più l’omologo canale tv) non troppo scientifica. Ma gli articoli esaminati non sono tratti appunto da Focus…
      Per Manuzzo: “il campione analizzato è davvero piccolo” :-O cioè intendi che le alcune migliaia (2.800) di ricerche scientifiche del Manuale sono poche? Poi: cosa credeva Einstein, glielo chiederemo in paradiso. Dalle frasi che ha detto (come quella dei dadi) i dubbi sono pochi: era teista. Se non vuoi applicagli un’etichetta simile. Ma ammetteva l’esistenza di un principio razionale. Che tutti chiamano Dio.

    • Boomers ha detto in risposta a Giuseppe

      Gossip? In realtà è un filone di ricerca molto sviluppato, probabilmente che infastidisce molto perché di fatto conferma la sfida di Pascal ai non credenti.

      Rispetto ad Einstein, confermo quanto dice Roberto. Era certamente deista, lo dice lui stesso: http://www.uccronline.it/2012/08/12/citazioni-di-scienziati-credenti-cristiani-e-cattolici/#einstein

    • Nemo ha detto in risposta a Giuseppe

      Guarda, è un dato di fatto la fede in Dio di Einstein . Che poi i biografi, per più di mezzo secolo, l’hanno trasformartoo in una specie di santo ateo/agnostico questo è un altro discorso. Ma, santo non era ed ateo/agnostico neppure.

      L’UCCR ha pubblicato un bel articolo su Einstein e la sua Fede:

      “La lettera di Albert Einstein su Dio, quello Spirito che si rivela nel cosmo” Sotto il link all’articolo:

      http://www.uccronline.it/2012/10/07/la-lettera-di-albert-einstein-su-dio-quello-spirito-che-si-rivela-nel-cosmo/

  2. alessandro giuliani ha detto

    Buona parte degli scienziati sono credenti, ma questo non c’entra molto con l’articolo che a me è piaciuto molto in quanto mi conferma della totale impossibilità di chi non crede di dire cose sensate (e per sensate intendo che appaiano sensate ai credenti, ma questo mi sembra il minimo, se uno parla una lingua straniera, ad esempio l’inglese, una buona prova della sua padronanza della lingua è che venga copmpreso bene da uno che ha come lingua madre l’inglese).
    Questa incapacità un pò mi addolora un pò mi rincuora in quanto mi sembra uno dei tantissimi ‘segni’ che il Signore dissemina a piene mani solo a guardare con un pò di attenzione. Un non-cinese può capire abbastanza bene il cinese e la cultura cinese, lo stesso vale per la storia del medioevo, per la medicina che viene compresa anche da chi non è malato, ma l’esperienza di fede e cosa significa nel profondo credere rimane un mistero per chi non condivide questa esperienza e quando azzarda spiegazioni si copre di ridicolo….ottimo indizio dell’origine divina dell’esperienza di Fede…

  3. beppina ha detto

    Non mi ispira molto titolo e (parzialmente) il contenuto dell’articolo. Se la fede é un mezzo per arrivare all’amore di Dio la caratterizzazione dell’essere credente in chiave di miglioramento dello stato psico-fisico non può che essere del tutto irrilevante o secondaria (la “ricerca” é continua). Questo anche alla luce di possibili qualificazioni implicitamente errate degli aspetti psicologici del credente in quanto tale.

    • Eli Vance ha detto in risposta a beppina

      Sottoscrivo in pieno il rischio di interpretare in chiave utilitaristica la fede e che appunto il miglioramento fisico non possa essere che un aspetto poco rilavante nel complesso.
      D’altra parte è però un buon argomento contro certi signori che pensano che la cancellazione delle religioni sia il prossimo passo dell’evoluzione umana tesa al miglioramento della specie( OT quasi come se la specie avesse in sè stessa un meccanismo trainante, una specie di cervello interno che si da obiettivi, facile dedurre che anche da questa prospettiva ritornerebbe prepotentemente il problema Dio che volevano eliminare)

« nascondi i commenti