Franco Ferrarotti, nei suoi libri la nostalgia di Dio
- Ultimissime
- 17 Nov 2024
E’ morto Franco Ferrarotti, i suoi libri hanno fondato la sociologia italiana. Un pensatore originale e profondo, che vedeva nel sacro la risposta all’inquietudine umana. Noi lo ricordiamo così.
E’ recentemente scomparso Franco Ferrarotti, padre e decano della sociologia italiana.
Professore emerito all’Università La Sapienza di Roma, insegnò nelle principali università del mondo (Boston, New York, Toronto, Mosca, Varsavia, Tokyo ecc.).
I libri e Ferrarotti, dal sacro al “mistero di Dio”
Nei suoi libri, Ferrarotti sviluppò una profonda riflessione sul sacro e sul fenomeno religioso utile per comprendere la condizione umana. In particolare nel suo La religione dissacrante (EDB 2015), pubblicato con l’editore cattolico dei dehoniani.
Molto interessanti le sue riletture dei grandi classici del pensiero sociologico e filosofico, in cui scorse la disperazione dell’uomo moderno a causa della scomparsa del sacro e di ciò «che dà senso (coscienza della direzione del movimento) alla vita umana»1F. Ferrarotti, La religione dissacrante. Coscienza e utopia nell’epoca della crisi, EDB 2013, p. 51.
L’eminente sociologo italiano si pose così agli antipodi di Sigmund Freud.
Lungi da essere un’illusione, scrisse Ferrarotti nei suoi libri, la religione è quello spazio reale in cui l’essere umano rivive la dimensione archetipica che fornisce un senso e gli permette di cogliere la propria dimensione profonda.
In un’intervista del 1980, Franco Ferrarotti osservò anche il «disorientamento etico» della modernità:
«Le società immanenti ritengono di poter fare a meno di qualsiasi trascendenza. Ma per questa via è inevitabile che finiscano, come il viaggiatore di Marco Aurelio, di dimenticare lo scopo del viaggio lungo la strada. Di qui il disorientamento, il disagio esistenziale e sociale, il senso acuto di una fretta che è tanto urgente quanto priva di ragioni. Le società tradizionali mutuavano questi valori dai testi sacri; le società odierne li ricercano nel frutto di quella consapevolezza sociale media che mi piace chiamare ‘religione laica’ o ‘religione civile’»2F. Ferrarotti, in M. Ortolani, Colloquio con Franco Ferrarotti sul suo ultimo libro Una fede senza dogmi, Il Giornale d’Italia 22/02/1990, p. 11.
Pur non rinunciando a criticare la Chiesa in quanto accentratrice di potere (“Vaticano costantiniano”) e la “militanza attiva e polacca” di Giovanni Paolo II (sottolineandone «le virtù, ma anche le chiusure e i limiti della sua matrice storica, sociale e culturale»), nonché rimanendo su posizioni religiose “non allineate”, Ferrarotti si mostrò molto sensibile al tema della preghiera.
«La preghiera, a mio parere, è l’atto religioso per eccellenza ed è un peccato che nel raduno interreligioso di Assisi ogni gruppo religioso abbia pregato per conto suo. Per me la preghiera ecumenica dovrebbe esprimere la fondamentale convergenza dei valori positivi delle cinque grandi religioni universali (giudaismo, cristianesimo, islamismo, induismo e buddismo). Detto altrimenti la preghiera ecumenica è un atto di riconoscimento e accettazione dell’altro e del diverso e fra i suoi precedenti importanti richiamerei in primo luogo la virtù di certi illuministi, a torto ritenuti irreligiosi, che si riassume nella predicazione e ancor più nella pratica della tolleranza»3F. Ferrarotti, in M. Ortolani, Colloquio con Franco Ferrarotti sul suo ultimo libro Una fede senza dogmi, Il Giornale d’Italia 22/02/1990, p. 11.
La preghiera come formula dell’ecumenismo, quindi. Una visione forse relativistica, progressista e sincretista, certamente non banale. Ma che tradisce, in fondo, una sensibilità personale verso la quale non si espose mai in modo chiaro.
Lontano dal dibattito sull’esistenza o meno di Dio, Ferrarotti intervistato da Monica Mondo su TV2000 (video qui sotto) rispose: «Sì, si potrebbe pensare a un Dio che crea. Questa disputa che da secoli ci occupa e preoccupa se esista o non esista Dio. Esiste il mistero dell’Universo, il mistero di Dio. Questo senso di perplessità che oggi la tecnologia non riesce a comprendere, né a esprimere. Corre, corre, dimenticando lo scopo della corsa»
Ferrarotti, l’amico Pavese e il bisogno di trascendenza
Non è un caso che fu amico personale di Cesare Pavese, come ricordò in molti suoi libri Ferrarotti.
Con Pavese condivise moltissimo tempo, ma anche il dramma spirituale e l’aspirazione alla trascendenza.
Come scrivevamo in passato, ha raccontato della loro amicizia in Al Santuario con Pavese, storia di un’amicizia (EDB 2016), nel quale Ferrarotti ricordò la visita assieme a Pavese al Santuario Santa Maria di Crea, nel Monferrato, durante gli anni più duri della Resistenza.
Giunto al Santuario, lo stesso Pavese si accostò alla Santa Comunione pur non essendo più qualcosa a lui familiare.
Ferrarotti descrisse questo episodio di nostalgia verso la fede della gioventù come «un’esperienza piuttosto rara fra gli intellettuali molto consci di sé, della propria cultura, superbamente chiusi nella famosa torre d’avorio, pronti a turare i buchi dell’universo con i loro berretti da notte»4F. Ferrarotti, Al Santuario con Pavese, storia di un’amicizia, EDB 2016.
Nei suoi libri Ferrarotti scrisse riflessioni inedite su Cesare Pavese, individuando in lui «sempre presente e nel fondo, misteriosamente operante, un sentimento religioso che lo rendeva estraneo allo storicismo “laicistico” allora dominante».
Probabilmente il celebre sociologo apprese da Pavese la stessa irrisolutezza esistenziale, quella per cui Pavese, di fronte alla mondanità e all’effimera felicità dei suoi contemporanei, rivelava l’«indicibile angoscia»5C. Pavese, Il Mestiere di vivere. Diario (1935-1950), Einaudi 2014 di un uomo che non se ne fa nulla del plauso del mondo e sa di non poter risolvere l’enigma dell’esistenza in un orizzonte soltanto immanente.
Pavese, scrive Ferrarotti, visse con «il rospo del mistero del divino, il bisogno di una trascendenza» che potesse dare senso alla «fatica interminabile, lo sforzo per star vivi d’ora in ora, la notizia del male degli altri, del male meschino, fastidioso come mosche d’estate […] e avverte nel profondo un bisogno essenziale di immortalità»6F. Ferrarotti, Al Santuario con Pavese, storia di un’amicizia, EDB 2016.
Ferrarotti e Simone Weil, la stessa inquietudine interiore
Un altro grande interesse di Franco Ferrarotti emerso nei libri fu verso la figura di Simone Weil, filosofa e mistica cattolica.
Ad essa dedicò il suo Pellegrina dell’assoluto (Edizioni Messaggero 1996), descrivendola come animata da una «natura ardente, assetata di certezze trascendenti».
E forse lui stesso sentì suo il tormento interiore di Weil, quella «fede senza dogmi» (Laterza 1990) che divenne uno dei libri di Ferrarotti più famosi.
Non stupisce che il suo collega e amico Roberto Cipriani, emerito di Sociologia all’Università Roma Tre, abbia notato che quando Ferrarotti scrive della Weil, «forse pensa almeno in parte anche a se stesso»7R. Cipriani, Sociologia e religione in Franco Ferrarotti, blog personale 30/10/2020.
Qui sotto una bella intervista a Franco Ferrarotti
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