Tre motivi per cui il Papa non condanna la Russia

Papa Francesco non cita la Russia come paese aggressore, mentre sta condannando la guerra ed indicando l’Ucraina come “paese martire”. Un comportamento che genera dubbi ed equivoci ma che ha una chiara spiegazione.

 
 
 

Dopo l’aggressione armata della Russia verso l’Ucraina, la prima istituzione a scendere in campo è stata la Chiesa cattolica.

Il 24 febbraio scorso, poche ore dopo le prime bombe, la Caritas era già attiva e stava già convogliando aiuti umanitari al confine. Da allora non ha più smesso.

Papa Francesco sta lanciando appelli continui alla pace, ha accusato «coloro che fanno la guerra», condannato la violazione del diritto internazionale e ha definito l’Ucraina un «paese martire».

Il 25 febbraio, con un gesto senza precedenti, si è recato all’ambasciata russa in Vaticano per parlare con l’ambasciatore di Mosca. Il 25 marzo prossimo consacrerà Russia ed Ucraina al Cuore Immacolato di Maria.

Inoltre, ha inviato il card. Konrad Krajeweski, elemosiniere pontificio, sotto le bombe in Ucraina a dare sostegno morale alla popolazione in fuga. Lo stesso cardinale sta pagando la benzina per gli aiuti umanitari.

Il segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin, è al lavoro per vie diplomatiche interne con il ministro russo Sergey Lavrov per ritagliarsi uno spazio in una complicata e possibile.

 

Le critiche a Francesco: non parla della Russia.

Eppure c’è chi accusa Francesco di non fare abbastanza.

Il vaticanista di Domani, Marco Grieco, scrive che il Papa avrebbe scelto «una via timida», Le Monde lo critica perché «non ha condannato formalmente l’invasione russa. Un cattolico che lo ascolta avrebbe difficoltà a sapere chi ha iniziato la guerra».

Lo stesso scrive il National Catholic Reporter.

Se Sandro Magister si rallegra perché almeno l’Osservatore Romano avrebbe «rotto il tabù» parlando di “aggressione dell’esercito russo in Ucraina”, Louis Badilla de Il Sismografo si chiede: «Perché il Papa continua a tacere?».

E’ vero, mentre il card. Parolin ha descritto la guerra come «scatenata dalla Russia», Francesco sta evitando di citare esplicitamente il paese aggressore. Forse è l’unico leader mondiale a farlo. Perché?

 

1) Prudenza e vera diplomazia.

Innanzitutto c’è sicuramente un aspetto di prudenza e di diplomazia.

Come ha scritto il decano dei vaticanisti USA, John L. Allen, è un bene non accodarsi al presidente americano Joe Biden, il quale da giorni sta rilasciando dichiarazioni di odio contro i russi, piuttosto superflue sul piano pratico e che gettano soltanto benzina in più su un terreno geopolitico delicatissimo.

Llo stesso Biden dovrebbe spiegare perché gli USA hanno continuato a spingere l’Alleanza Atlantica verso Est quando, nel 1997, lui stesso avvertì che questo avrebbe rischiato «una risposta ostile da parte della Russia» (ovviamente ciò non giustifica la reazione militare della Russia!).

Inoltre, un importante diplomatico cattolico, Victor Gaetan, ha spiegato che il comportamento di Francesco fa parte «della diplomazia vaticana nel corso dei secoli, si lascia sempre spazio per la prossima conversazione, per il prossimo dialogo».

Lo ha spiegato anche Lucio Brunelli, ex direttore di TV2000: «C’è una sapienza anche diplomatica nel non fare i nomi: lasciare sempre uno spiraglio al dialogo, alla resipiscenza. Non chiudere mai del tutto la porta. Ma ormai nessuno sa più fare Politica e Diplomazia con la maiuscola».

In un’intervista di oggi, anche Daniele Menozzi, docente di Storia del cristianesimo all’Università Normale di Pisa, ha spiegato: «Se il Papa ritiene che non possa operare per la pace se non mediando e aprendo un canale diplomatico, non può denunciare pubblicamente e subito una delle parti in gioco. L’uso del linguaggio diplomatico esige un linguaggio estremamente prudente e prevede che neanche con l’aggressore vengano tagliati i ponti».

 

2) Evita conflitti religiosi, tutela dialogo ecumenico.

In secondo luogo, qualsiasi critica diretta da parte del Papa alla Russia potrebbe essere letta a sostegno di un conflitto religioso tra cattolici ed ortodossi.

Sappiamo quanto il patriarca ortodosso Kirill si sia schierato a favore di Putin, addirittura giustificando l’invasione come opposizione alle “pratiche occidentali peccaminose”. Un intervento diretto del Papa distruggerebbe decenni di lavoro ecumenico per avvicinare cattolici ed ortodossi.

Lo ha ribadito anche Daniele Menozzi: «La denuncia è implicita anche se non c’è la distinzione netta ed esplicitata tra aggressore ed aggredito. Quando fa riferimento alla violenza gratuita e all’attacco dei civili, si capisce che c’è la condanna degli aggressori. La mia impressione è che la difficoltà è data soprattutto dalla complessità delle relazioni interconfessionali sul campo, una situazione molto complessa nel mondo orientale e in modo particolare nell’ortodossia».

Dei 300 milioni di cristiani ortodossi nel mondo, infatti circa 100 milioni vivono in Russia e più di 30 milioni in Ucraina, alcuni dei quali uniti alla Chiesa ortodossa russa. Ci sono anche circa 4,5 milioni di cattolici di rito bizantino in Ucraina che sono fedeli a Roma.

 

3) Continuità con i suoi predecessori.

Infine, nessun predecessore di Francesco ha mai citato il nome degli aggressori.

Sempre il vaticanista Lucio Brunelli, ha spiegato: «Mai, nessun papa in condizioni analoghe, ha citato nomi e cognomi dei leader e nemmeno degli Stati. Sicuramente non lo fece Giovanni Paolo II, sia nella prima che nella seconda guerra in Iraq. I Pontefici hanno sempre trovato il modo affinché il destinatario del messaggio fosse chiaro senza puntargli contro il dito. Così Bergoglio non cita la Russia ma è chiaro a chi si rivolge».

La ha ricordato anche il vaticanista de Il Foglio, Matteo Matzuzzi: «E’ vero, non ha menzionato né la Russia né Putin, ma neppure Giovanni Paolo II fece nomi e cognomi nel 2003 quando si trattò di attaccare l’Iraq di Saddam Hussein».

 

Il “silenzio” rischia di essere equivoco?

Ma così facendo, il Papa non è equivoco?

Il rischio c’è, certamente. Ma l’atteggiamento del Papa è sufficientemente chiaro da indicare come la pensa.

Giustamente lo storico Menozzi dice: «Francesco ha fatto una scommessa su questo, il bene della pace è così grande che la Chiesa può spendersi anche mettendo a repentaglio la sua autorità per evitare che lo scontro arrivi a termini drammatici»

Una bella risposta è arrivata da Antonio Socci:

«E’ impossibile equivocare i suoi interventi. Nessuno in queste settimane ha pronunciato parole così forti, di condanna al conflitto. Non c’è nessuno che in buona fede possa dire che il Papa non è chiaro. Forse chi lo critica ha confuso il Papa con il conduttore di un telegiornale. Va ricordato che il Papa non ha il compito di fare notiziari d’informazione, la sua missione è un’altra. Il Papa non inveisce mai contro singoli uomini o Stati; non pronuncia parole di odio che vanne a gettare benzina sulle fiamme dei conflitti. Il Papa non si fa arruolare da nessuno, sta con le vittime. Non solo perché il mondo non si divide tra Nato e Russia, ma soprattutto perché è cattolico, universale».

La redazione

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Il rapper interrompe il concerto e annuncia la sua conversione

Il rapper Farruko cambia vita e si converte, annunciandolo a sorpresa durante un concerto a Miami. E’ accaduto l’11 febbraio scorso sul palco della FTX Arena. Si è scusato per i suoi testi sulla alla droga e ha invitato i suoi fan ad “accettare Dio” se “volete vivere una vita piena”.

 
 
 

Dal 2021 l’ascesa del rapper portoricano Farruko è stata inarrestabile.

Il brano Pepas lo ha infatti portato al primo posto in cinque classifiche della rivista Billboard, dodici dischi di platino in Spagna e negli Stati Uniti e quarto posto su Hits of the Moment di Spotify.

Prima di allora era già famoso per le sue collaborazioni con artisti di fama internazionale, come Daddy Yankee.

 

«Se vuoi vivere una vita piena, devi accettare Dio»

Tuttavia, l’11 febbraio scorso durante un suo concerto a Miami alla FTX Arena, dopo le prime note di Pepas, Farruko ha interrotto l’esibizione tra lo stupore generale, si è scusato per i testi di alcune sue canzoni e ha invitato i suoi fan ad “accogliere Dio” nel loro cuore.

«Quando esci di qui, non andare in discoteca. Vai a casa, abbraccia i tuoi figli, abbraccia il tuo partner, abbraccia i tuoi genitori», ha detto rivolgendosi al pubblico. «Sai perché? Perché niente a questo mondo è eterno! E se vuoi salvarti, se vuoi guadagnare te stesso, fratello, se vuoi vivere una vita piena, devi accettare Dio»

 

Le reazioni dal mondo della musica.

Non capita certo tutti i giorni una testimonianza del genere, soprattutto il rinnegamento del testo della sua hit il cui ritornello recita: «Bebiendo, fumando y jodiendo. To’ el mundo en pastilla’ en la discoteca». Sulle note del brano, il rapper trentenne, il cui vero nome è Carlos Efrén Reyes Rosado, ha annunciato la sua conversione ed il desiderio di “cambiare vita”.

Molti suoi colleghi del settore (reggaeton, trap latino, reggae e dancehall) hanno twittato mostrando stupore ed ammirazione verso Farruko, ma non sono mancate molte critiche.

Il rapper ha risposto comunque di voler rimborsare il biglietto ai partecipanti al concerto che si sono sentiti offesi dal suo “sermone religioso”, come alcuni lo hanno definito.

Dopo il concerto ha postato un altro messaggio su Instagram: «Dio ha avuto tanta misericordia con me ed ora posso sorridere perché mi sta accompagnando affinché cambi in meglio la mia vita. Forse non lo capirete, però lo farete più avanti. Vi voglio bene e non dimenticate che Egli è l’unico che ci può rigenerare. Non dimenticate di pregare per favore».

 

Il nuovo brano “Gracias” con Pedro Capó.

Pochi giorni fa è uscita Gracias, scritta assieme Pedro Capò, celebre autore di Calma, brano che esplose nel 2020.

In un’intervista Pedro Capò ha rivelato di essersi commosso appena letto il testo, perché sentiva che «stava parlando di me».

Grazie, benedizione e grazie,
perché non perdo mai la fede, non la lascio mai cadere,
e imparo dalla sconfitta quando devo perdere.
Grazie, benedizione e grazie,
tutto ciò che ci accade ha una ragione.

 
 

Chissà se questo impeto di vita vera sarà realmente seguito nel tempo da Farruko, non è facile lasciare tutto per entrare in «quella porta stretta» che conduce alla fede vissuta. Molti ci provano, «pochi sono quelli che la trovano» (Mt 7,13,14).

Certamente, considerando il livello del panorama musicale giovanile, il rapper portoricano può offrire un’alternativa positiva per i milioni di ragazzi che lo seguono.

Non necessariamente perché parla di Dio, ma perché nel suo piccolo canta la possibilità di un cambiamento, di una vita nuova, con altri ideali. Ed in cui la fede è vissuta come una convenienza positiva per se stesso.

 

 
La redazione

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Gli storici e il mito popolare sulla Santa Inquisizione: nuovo dossier

Una raccolta di citazioni dei principali specialisti internazionali dell’Inquisizione, uniti contro il mito che impedisce ai risultati della storiografia moderna di giungere al grande pubblico. Ciò che si dice dei tribunali inquisitori cattolici è in gran parte falso: poche condanne, nessun sistema oppressivo, scarso uso della tortura.

 
 
 

Ricomincia la pubblicazione dei nostri dossier al 15 di ogni mese.

Quest’anno sarà particolarmente dedicato all’Inquisizione o, meglio, alle inquisizioni, quella medievale (dal XII al XIV secolo), quella romana (dal 1542 al 1965) e l’Inquisizione spagnola (dal 1478 al 1834), quest’ultima totalmente dipendente dalla Corona e spesso in antagonismo alla Chiesa di Roma.

L’obbiettivo è portare alla luce i risultati di decenni di studi storici che contrastano apertamente con il mito ed il pregiudizio anticattolico nato in ambienti illuministi e protestanti con lo scopo di rappresentare il tribunale inquisitorio come simbolo dell’oscurantismo religioso romano.

 

No alla leggenda nera, ma nemmeno a quella bianca.

Oggi pubblichiamo il primo dossier (link in basso), nel quale abbiamo semplicemente raccolto, e continueremo a raccogliere, i giudizi conclusivi dei principali specialisti internazionali sull’Inquisizione e sulla leggenda nera che ancora oggi impedisce ai risultati della storiografia moderna di uscire dai circoli accademici.

Attenzione, nessuno delle decine di storici citati (con relativa fonte bibliografica, basta cliccare sul numerino alla fine della citazione) ha la minima intenzione di contrapporre una “leggenda bianca o rosa”, anzi concordano tutti che si trattò di un’iniziativa sinistra, intollerante verso le forme di dissenso e, come scrive lo storico Andrea Del Col, «le poche uccisioni di eretici, fatte in nome di Dio per motivi legati alla difesa della fede cristiana, anche se eseguite legalmente, noi le valutiamo aberranti»1Andrea Del Col, L’Inquisizione in Italia. Dal XI al XXI secolo, Mondadori 2021, p. 13, 14.

 

Clicca qui per consultare il nuovo dossier:

                                  Gli storici e la leggenda nera dell’Inquisizione

 
 

 

Il giudizio della storia sulla Santa Inquisizione.

Tuttavia, questi storici concludono anche che «non esistette nessuna istituzione persecutoria organizzata ed efficiente»2Jennifer Kolpacoff Deane, A History of Medieval Heresy and Inquisition, Rowman & Littlefield Publishers 2011, p. 88, che è una «leggenda nera» pensare al Sant’Uffizio come una «corte di giustizia sarebbe stata retta da frati spietati, crudeli, sempre smaniosi di istruire processi e bruciare persone»3Dennj Solera, La società dell’Inquisizione, Carocci 2021, p. 15-18, 27-28.

Nei paesi cattolici «si ebbe in realtà un uso giudiziario della tortura assai moderato e un numero di vittime molto basso, se paragonato all’Europa centro-settentrionale». Gli inquisitori «erano restii a comminare la pena capitale, preferendo generalmente condanne più blande»4Marina Montesano, Superstizioni dell’età moderna, Il Manifesto, 31/12/2011.

Se, alla luce degli studi moderni, si prova a confrontare l’operato dell’Inquisizione cattolica a quello dei tribunali secolari dell’epoca, a quanto avvenne nei paesi protestanti, all’epoca del Terrore in cui implose la Rivoluzione francese, ai crimini dell’eugenetica scientista, alle dittature sanguinarie (in gran parte atee) del Novecento ed a quanto avviene tuttora in diverse parti del mondo, l’immagine di quegli inquisitori preoccupati della salvezza delle anime rischia addirittura di illuminarsi di luce propria.

Non vi furono infatti solo le 1.250 persone5Andrea Del Col, L’Inquisizione in Italia. Dal XII al XXI secolo, Mondadori 2006, p. 772-784 6Christopher Black, Storia dell’Inquisizione in Italia, Carrocci Editore 2013, p. 345 condannate al rogo dall’Inquisizione romana in tutta la sua storia (quattro secoli), ma anche tutele per gli accusati, avvocati difensori, protezione dalle vendette di terzi tramite l’anonimato, salvataggio di centinaia di “streghe” ingiustamente accusate, tentativi fino all’ultimo di salvate la vita degli eretici con la confessione, mantenimento a spese degli inquisitori delle famiglie più povere dei detenuti ed un’infinità di revisioni processuali in ottica moderatrice da parte dei papi.

 

Il nostro nuovo dossier sull’Inquisizione cattolica.

Vedremo nel dettaglio tutto questo con i prossimi dossier, mentre è possibile consultare quelli già pubblicati su tematiche storiche in generale recandosi a questo link.

Ciò che gran parte delle persone sa o ha sentito dire dell’Inquisizione, è falso.

Siamo vittime di quella che Franco Cardini, professore ordinario di Storia presso l’Università di Firenze, ha definito «un oceano d’immonda, innominabile paccottiglia sotto forma cartacea, informatico-telematica, cinematografica»7Franco Cardini, prefazione di R. Camilleri, La vera storia dell’Inquisizione, Piemme 2001, p. 8.

 

Clicca qui per consultare il nuovo dossier:

                                  Gli storici e la leggenda nera dell’Inquisizione

 

 

La redazione
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L’Inquisizione e la leggenda nera smentita dagli storici moderni

La leggenda nera della Santa Inquisizione. Il mito popolare di un’istituzione brutale e sanguinaria, prodotto dalla propaganda illuminista e protestante, resiste ancora alle conclusioni della storiografia moderna. Qui raccolte le citazioni dei principali specialisti internazionali dell’Inquisizione.

 
 
 

La parola Santa Inquisizione evoca nell’immaginario collettivo truci e poco chiare scene di tortura, monaci sanguinari e roghi.

L’eminente storico Franco Cardini, professore ordinario presso l’Università di Firenze, definisce ciò «un oceano d’immonda, innominabile paccottiglia sotto forma cartacea, informatico-telematica, cinematografica»1Franco Cardini, prefazione di R. Camilleri, La vera storia dell’Inquisizione, Piemme 2001, p. 12.

Eppure, ha proseguito Cardini, esiste «un’ampia, recente ed attendibile letteratura scientifica», i cui protagonisti sono «studiosi di pur differente orientamento (e nessuno di essi sospettabile di filo-cattolicesimo) che hanno ribadito con varie e ben documentate argomentazioni come i tribunali inquisitoriali fossero ben lungi dall’essere quegli strumenti di cieco fanatismo e di feroce ottusità che la divulgazione storica fondata sulla pamphlettistica sette-ottocentesca si è ostinata -e, ohimè, si ostina- a presentare»2Franco Cardini, prefazione di R. Camilleri, La vera storia dell’Inquisizione, Piemme 2001, p. 8.

In questo dossier (in continuo aggiornamento), il primo di una lunga serie sull’argomento, abbiamo raccolto i giudizi conclusivi dei principali studiosi internazionali delle principali inquisizioni cattoliche (medievale, XII-XIV secolo, romana, 1542-1965 e spagnola, 1478-1834).

Dai loro studi emerge un ritratto di un’istituzione certamente severa e sinistra (nessuno vuole creare una leggenda bianca!), ma ben lontana dagli stereotipi e dalle leggende nere nelle quali la propaganda l’ha avvolta.

 

 
 

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GLI STORICI CONTRO LA LEGGENDA NERA DELL’INQUISIZIONE

Qui di seguito una raccolta di citazioni di eminenti studiosi nei riguardi dell’Inquisizione e della leggenda nera creata dalla propaganda illuminista e protestante.

 

Agostino Borromeo, docente di Storia moderna presso l’Università La Sapienza di Roma:

«Verso il XVI secolo, per opera di circoli protestanti, si è diffusa in tutta Europa la falsa credenza che i tribunali dell’Inquisizione fossero spietati; eppure i ricorsi alla tortura e alla condanna alla pena di morte non furono così frequenti come per molto si è creduto. Quanto alle streghe fa riflettere la circostanza che i roghi furono un centinaio in Portogallo, Spagna e Italia a fronte delle cinquantamila vittime nel resto d’Europa, soprattutto in terra di Riforma»3Agostino Borromeo, in P. Mieli, Poche le streghe bruciate dall’Inquisizione, Corriere della Sera 28/06/04.


 

Adriano Prosperi, professore emerito di Storia moderna presso la Scuola Normale Superiore di Pisa:

«Un’aura di mistero circonda l’istituzione dell’Inquisizione alimentando leggende di ogni genere. E’ stata usata nelle polemiche sugli stati di polizia, sui sistemi totalitari del nostro secolo, sullo sterminio degli ebrei e via dicendo. I romanzi storici dell’Ottocento in poi se ne sono alimentati di continuo […], demonizzata dalla polemica protestante, attaccata con determinazione dagli illuministi fino a disinnescare il legame con il “braccio secolare”».4Adriano Prosperi, Tribunali della coscienza. Inquisitori, confessori, missionari, Einaudi 1996 p. XIX, XVII. E ancora: «Quanto all’Inquisizione, la parola rischia di evocare l’alone cupo dell’immagine violenta e arbitraria di quel tribunale elaborata nei secoli moderni. In realtà, il tentativo di creare un tribunale attento alle regole e impegnato nella ricerca (inquisitio) della verità poteva significare perfino un progresso rispetto alla situazione precedente. Tra le regole, una in particolare limitava il ricorso alla tortura, ammessa per i casi di eresia da papa Innocenzo IV con la bolla Ad extirpanda (1252) ma solo in presenza di indizi importanti e a patto di limitarne la durata e di escluderne vecchi, malati, donne incinte e bambini»5Adriano Prosperi, Il seme dell’intolleranza. Ebrei, eretici, selvaggi: Granada 1492, Fondazione Carispe 2011, p. 39.


 

Peter Godman, docente di Storia medievale e del Rinascimento all’Università di Tubinga:

«L’Inquisizione romana esercita una profonda influenza sull’immaginazione popolare. Anche se, per gran parte della storia moderna d’Europa, i giudici secolari raramente si sono comportati meglio, e non di rado peggio, delle loro controparti dell’Inquisizione romana, i tutori dell’ortodossia cattolica, temuti o derisi che siano, sono ancor oggi condannati da coloro che, non conoscendo i fini e le pratiche del Sant’Uffizio, ne avvallano il mito e ne propagano la leggenda con tutte le sue fuorvianti generalizzazioni […]. Se le convinzioni degli inquisitori ci appaiono oggi quanto meno dubbie, dobbiamo riconoscere che stiamo esprimendo un giudizio morale, più che storico. Questo secondo tipo di giudizio acquista importanza quando è basato su prove. Le prove contenute negli archivi vaticani non consentono di fare un semplicistico paragone tra l’Inquisizione del XVI e XVII secolo e i sistemi totalitari del XX […]. L’oscuro segreto dell’Inquisizione romana era che non esistevano segreti. Nessuna sinistra trama di dominio, nessun grandioso progetto di repressione guidava l’azione di capi e funzionari del Sant’Uffizio. I sistemi politici totalitari a ci è stato paragonato questo organismo non presentano in realtà alcuna analogia con il bastione dell’ortodossia cattolica. La realtà quotidiana che avevano di fronte inquisitori e censori era al contempo più semplice e più complessa, e anche più sorprendente dei consunti stereotipi a cui le polemiche e le fosche leggende vorrebbero farci credere […]. Finto moralismo e autentica ignoranza si associano» agli stereotipi «per fornire la versione più convincente e commerciale dell’Inquisizione. Attirati dalla ripetizione di stereotipi familiari, i lettori sono invitati ad assistere allo spettacolo nel quale si confermano i loro pregiudizi, uno spettacolo che resta divertente e facile da mettere in scena perché non occorrono particolari conoscenze e ricerche. E’ sufficiente replicare per l’ennesima volta la scena delle condanne sostenute precariamente da prove fittizie, più facili da reperire rispetto alle fonti degli archivi»6Peter Godman, I segreti dell’Inquisizione, Baldini Castoldi Dalai 2004, pp. 13, 64, 301, 321.


 

Bartolomé Bennassar, professore emerito di Storia contemporanea all’Università di Toulouse:

«Un’analisi del linguaggio delle opinioni comuni sull’Inquisizione, condotta secondo i moderni metodi quantitativi, darebbe probabilmente il tasso di frequenza più elevato alle parole: Torquemada, intolleranza, fanatismo, tortura, rogo. L’Inquisizione fu però tutt’altra cosa, pur essendo anche questo nei primi trent’anni della sua storia […]. Dopo la diffusione della Leggenda Nera (l’ex segretario traditore di Filippo II, Antonio Perez, ne fu largamente responsabile) l’Inquisizione è di tutte le istituzioni spagnole quella che agli occhi dell’opinione illuminista costituisce il simbolo più perfetto del “fanatismo” spagnolo. Poco importa che questa opinione è contestabile»7Bartolomé Bennassar, Storia dell’Inquisizione spagnola, Bur 1994 pp. 7, 337.


 

Andrea Del Col, professore di Storia dell’età della Riforma e della Controriforma all’Università di Trieste:

«Per gli storici liberali dell’Ottocento tutti i perseguitati dall’Inquisizione divennero i martiri del protestantesimo o del libero pensiero […], durante il Settecento, l’Inquisizione divenne uno dei bersagli degli illuministi e assurse a simbolo dell’oscurantismo religioso […]. Il ritorno agli archivi e ai documenti portò alla scoperta che il Sant’Ufficio in Spagna non fu così sanguinario come si era creduto e che dopo i primi decenni del Seicento fu molto cauto nella persecuzione delle streghe»8Andrea Del Col, L’Inquisizione in Italia. Dal XI al XXI secolo, Mondadori 2021, p. 6-8. Rispetto all’Inquisizione romana, «risulta da questi studi che non fu sanguinaria come si credeva. Perché meravigliarsene? Le poche uccisioni di eretici, fatte in nome di Dio per motivi legati alla difesa della fede cristiana, anche se eseguite legalmente, noi le valutiamo aberranti, tanto che non si fanno più da due secoli e mezzo, e non vano cancellate dalla memoria, ma forse è proprio il funzionamento ordinario dell’istituzione, sostenuto da giudici-funzionari attenti a rispettare le norme canoniche, l’aspetto più importante e sensibile dell’Inquisizione cattolica […]. Le immagini di interrogatori, torture, autodafé e roghi sono in genere posteriori ai fatti e risultano spesso condizionate dalla leggenda nera»9Andrea Del Col, L’Inquisizione in Italia. Dal XI al XXI secolo, Mondadori 2021, p. 13, 14.


 

Jean Dumont, storico francese e specialista dell’Inquisizione spagnola:

«Vi sono ancora in circolazione libri che parlano di centinaia di migliaia di vittime dell’Inquisizione spagnola: libri scritti da persone che ricopiano fonti propagandistiche dell’Ottocento e che non sanno neppure che dagli archivi possono essere ottenute informazioni quasi complete. Uno specialista danese, Gustav Heningsen, ha completato lo spoglio di 50.000 processi che coprono l’arco di 150 anni e ha reperito circa 500 casi di condanne a morte eseguite, cioè l’1%. Altri studiosi hanno confermato questi dati. L’Inquisizione spagnola è figlia della sua epoca e va paragonata a fenomeni analoghi in altri paesi, per esempio alle decine di migliaia di morti della repressione anticattolica in Irlanda e Inghilterra. Quanto alla coscienza moderna, è poi così certa di essere più tollerante di ieri? La repressione ideologica, razziale, comunista o nazionalsocialista ha fatto milioni di morti, mille più volte dell’Inquisizione spagnola»10Jean Dumont, in Cristianità, n. 131, marzo 1986.


 

Thomas Madden, presidente del Dipartimento di Storia della Saint Louis University:

«Alla metà del XVI secolo la Spagna era il paese più ricco e potente d’Europa. Il re Filippo II vedeva se stesso e i suoi concittadini come fedeli difensori della Chiesa cattolica. Meno ricche e meno potenti erano le aree protestanti europee, compresi i Paesi Bassi, la Germania settentrionale e l’Inghilterra. Ma avevano una nuova potente arma: la stampa. Sebbene gli spagnoli avessero sconfitto i protestanti sul campo di battaglia, avrebbero perso la guerra di propaganda. Furono gli anni in cui venne forgiata la famosa “Leggenda Nera” spagnola. Innumerevoli libri e opuscoli uscirono dalla stampa nordica accusando l’impero spagnolo di disumana depravazione ed orribili atrocità nel Nuovo Mondo. L’opulenta Spagna venne considerata un luogo di oscurità, ignoranza e malvagità. Sebbene gli studiosi moderni abbiano da tempo scartato la Leggenda Nera, rimane ancora molto viva oggi. La propaganda protestante che prese di mira l’Inquisizione spagnola attinse liberamente dalla leggenda nera. Ma aveva anche altre fonti. Dall’inizio della Riforma, i protestanti ebbero difficoltà a spiegare il divario creatosi tra l’istituzione di Cristo della Sua chiesa e la fondazione delle chiese protestanti nel XV secolo. I cattolici naturalmente spiegarono questo problema accusando i protestanti di aver creato una nuova chiesa, separata da quella originaria di Cristo. I protestanti ribatterono che la loro era la chiesa creata da Cristo, ma che fu costretta alla clandestinità dalla Chiesa cattolica. Così, proprio come l’Impero Romano aveva perseguitato i cristiani, il suo successore, la Chiesa cattolica romana, continuò a perseguitarli per tutto il Medioevo. Sfortunatamente non c’erano protestanti nel Medioevo, tuttavia gli autori protestanti li trovarono comunque sotto le spoglie delle varie eresie medievali. In questa luce, l’Inquisizione medievale non era altro che un tentativo di distruggere la vera chiesa nascosta. L’Inquisizione spagnola, ancora attiva ed estremamente efficiente nel tenere i protestanti fuori dalla Spagna, era per gli scrittori protestanti solo l’ultima versione di questa persecuzione. Mescolate liberamente tutto ciò con la leggenda nera e avrete tutto quel di cui c’è bisogno per produrre volantini sull’orribile e crudele Inquisizione spagnola. E così venne fatto […] L’Inquisizione spagnola, già diffamata come strumento sanguinario di persecuzione religiosa, venne derisa dai pensatori illuministi come un’arma brutale di intolleranza e ignoranza. Era stata costruita una nuova, immaginaria Inquisizione spagnola, progettata dai nemici della Spagna e della Chiesa cattolica»11Thomas Madden, The Truth About the Spanish Inquisition, in Crisis, ottobre 2003.


 

Maria Elvira Roca Barea, già docente di Storia all’Università di Harvard e collabora con l’Higher Council for Scientific Research (CSIC):

«In Spagna la persecuzione delle streghe era qualcosa di molto insolito, soprattutto se si considerano le persecuzioni di massa dei protestanti, causa di migliaia di esecuzioni per stregoneria senza alcun processo legale. L’Inquisizione non perseguì solo la dissidenza cattolica ma anche crimini come lo sfruttamento della prostituzione, gli abusi sui minori, la contraffazione di valuta. Non si trattava solo di questioni di fede, ma si processavano anche persone che avevano commesso reati gravissimi. L’Inquisizione ha offerto maggiori garanzie agli accusati, in effetti il diritto processuale nel mondo cattolico deve molto all’Inquisizione perché ha istituito un sistema giudiziario con inchieste, giudici, difensori»12M.E. Roca Barea, Analfabetos ha habido siempre pero nunca habían salido de la universidad, El Mundo, 17/12/2016.


 

Anna Foa, docente di Storia moderna presso l’Università La Sapienza di Roma:

«L’immagine dell’Inquisizione romana come regno della tortura e del male vive ormai di vita propria, finendo per assomigliare a quelle fake news di cui oggi molto si parla. Nel corso dei due decenni precedenti si era già avuta una vasta rivisitazione storiografica in questo campo, che era però andata, più che nella direzione di una richiesta di perdono, nel senso di una revisione della cosiddetta immagine nera dell’Inquisizione, attraverso studi che, soprattutto nei riguardi dell’Inquisizione romana, avevano piuttosto messo in discussione il numero delle sue vittime e il suo ruolo nella persecuzione». La moderna storiografia, tuttavia, non ha influito sul «saper comune e nemmeno nell’attività di divulgazione dei media, volta più al sensazionalismo che all’accuratezza dei dati. Si è così ulteriormente accentuato il divario fra gli studi scientifici e il saper comune, e assai poco delle acquisizioni più recenti della storiografia era passato a far parte dell’immagine diffusa del terribile tribunale d’Inquisizione. Basta navigare in rete, leggere i titoli degli ultimi libri apparsi, per rendersene conto. La divaricazione tra il sapere razionale — frutto di riflessioni, di approcci storici, di analisi documentaria — e quello mitologico è ormai invalicabile. Si scrive e si afferma che l’Inquisizione ha fatto milioni di morti per stregoneria con la stessa sicumera con cui si afferma che i vaccini sono la causa dell’autismo. Ma avevamo davvero sperato che l’accesso agli archivi, il crescere dei materiali a disposizione degli studiosi, il loro sapere specialistico, le loro distinzioni, potessero incrinare il regno del mito, del non sapere, del pregiudizio? Ma perché avrebbe dovuto essere così? Gli ultimi vent’anni, che sono quelli passati dall’apertura degli archivi, sono anche quelli che hanno visto il crescere nella società tutta della fabbrica mitologica, l’affermarsi di strumenti molto più utili alla sua affermazione della carta e delle stesse immagini, l’abbattimento delle barriere fra il vero e il falso, fra il sapere e il non sapere, fra la realtà e la finzione. Passioni e pregiudizi prevalgono su sapere e conoscenza. Gridano più alto. Nessun archivio — dovremmo saperlo, dovremmo averlo imparato dagli eventi dei secoli passati — può avere la meglio su di essi, nessun documento può confutare un pregiudizio consolidato, mettere in crisi uno stereotipo»13Anna Foa, Nessun documento riesce a sconfiggere il pregiudizio, in Osservatore Romano, 17/05/18.


 

Henry Kamen, docente di Storia spagnola all’Università di Warwick:

«L’Inquisizione come un’onnipotente ente di tortura è un mito del 19° secolo, mentre si è trattata di un’istituzione sottodimensionata, i cui tribunali erano sparsi e avevano solo una portata limitata ed i cui metodi erano più umani rispetto a quelli della maggior parte dei tribunali secolari. La morte sul fuoco, inoltre, era l’eccezione, non la regola».14Herny Kamen, The Spanish Inquisition: A Historical Revision, Yale University Press 1999.


 

Christopher Black, professore emerito di Storia d’Italia all’Università di Glasgow:

«L’Inquisizione in Italia può sembrare un argomento oscuro e poco attraente, ma non si tratta di una storia così macabra come le leggende e i pregiudizi possono suggerire, né assomiglia alle immagini distorte che Francisco Goya ha dedicato alle ultime fasi dell’Inquisizione spagnola […]. Condivido le argomentazioni di Adriano Prosperi e Simon Ditchfield, secondo cui l’Inquisizione romana, nonostante il suo lato oscuro, è stata anche una forza creativa ed educativa, che ha contribuito a definire e influenzare la cultura italiana almeno fino al XIX secolo»15Christopher Black, Storia dell’Inquisizione in Italia, Carrocci Editore 2013, p. 23-25. «John Tedeschi – “il padrino dell’immagine corrente dell’Inquisizione” – ha sfatato in maniera energica e decisa la “leggenda nera” che avvolgeva, in passato, l’Inquisizione romana. Il modo in cui Tedeschi ha illustrato i tentativi degli inquisitori di giudicare con equità, di educare oltre che punire, ha avuto un forte impatto sul mio approccio interpretativo. Tedeschi ha messo in luce come l’Inquisizione romana non fosse “una caricatura di tribunale, un tunnel degli orrori, un labirinto giudiziario dal quale era impossibile uscire”, e Anne Jacobson ha motivatamente aggiunto che essa “ha offerto la migliore giustizia criminale possibile nell’Europa dell’età Moderna”»16Christopher Black, Storia dell’Inquisizione in Italia, Carrocci Editore 2013, p. 32. «Al contrario dei miti diffusi, l’Inquisizione romana emanò poche sentenze capitali (diversamente dai tribunali secolari). La condanna al carcere perpetuo significava di rado l’ergastolo, ma qualcosa fra i tre e gli otto anni di prigione (che spesso potevano diventare arresti domiciliari)»17Christopher Black, Storia dell’Inquisizione in Italia, Carrocci Editore 2013, p. 238.


 

Joseph Pérez, docente di Storia della civiltà spagnola e latino-americana all’Università di Bordeaux-III:

«Nell’Europa dei Lumi, e dell’Encyclopédie, dominata dal pensiero ironico e graffiante di Voltaire, la parola Inquisizione divenne sinonimo di fanatismo e oscurantismo. Per gli scrittori protestanti e per l’intelligencija antipapista dell’Europa centro-settentrionale, il tribunale ecclesiastico fu il simbolo dello spirito tirannico con cui la Chiesa romana cercò di impedire che la mente dei suoi fedeli fosse contaminata dai pericolosi germi del libero pensiero. Anche negli ultimi decenni gli storici e i letterati hanno contribuito a diffondere la convinzione che l’Inquisizione fosse l’arma della Chiesa contro il dissenso e per molti aspetti il modello storico dei servizi di sorveglianza ideologica con cui i totalitarismi del XX secolo perseguitarono i loro oppositori. Ma la realtà, nascosta sotto una fitta coltre di luoghi comuni e “idées regues”, è almeno in parte diversa»18Joseph Pérez, Breve storia dell’Inquisizione spagnola, Corbaccio 2006, p. 4.


 

Marina Montesano, professore ordinario di Storia medievale presso l’Università di Messina:

«La storia della stregoneria e della caccia alle streghe affascina e attrae numerosi lettori in Italia, pur non essendo molto praticata a livello scientifico nel nostro paese: nel mondo tedesco come in quello anglosassone le cose vanno diversamente e l’aggiornamento storiografico appare più avanzato. Da noi, per esempio, continua a circolare l’idea che la stregoneria sia un fenomeno scaturito dall’ignoranza dell’oscuro medioevo e non, com’è più corretto, dalla piena età moderna. Proprio durante il fiorire del Rinascimento si elaborarono idee e strumenti atti a perseguire le streghe, e fu in piena età moderna che si registrarono in Europa le condanne più gravi e numerose. Se è ovviamente impossibile una stima precisa del numero di vittime in Europa, ormai la storiografia è in grado di proporre dati probabili: nell’intero periodo tra metà Quattrocento e metà Settecento le condanne alla pena capitale oscillano tra le 40mila e le 60mila, nonostante la pubblicistica in materia dia spesso cifre palesamente assurde, che arrivano addirittura a parlare di milioni di vittime. Circa la metà delle condanne capitali europee furono comminate in Germania. Sono soprattutto due i fattori che pesarono maggiormente sulla storia della stregoneria nella Germania del Sacro Romano Impero: la Riforma – con il conseguente conflitto tra cattolici e protestanti – e l’estrema frammentazione del potere politico. Entrambe queste situazioni, seppur in modo diverso, finirono per incrementare e aggravare il fenomeno. Lutero e Calvino non sembrano aver dato molto peso alla stregoneria e nessuno dei due riformatori elaborò una forma di demonologia innovativa, ma il Diavolo esercitava a loro avviso un potere reale nel mondo. Il paragone tra la Germania e la Spagna è istruttivo: nella penisola iberica, vittima di una secolare “leggenda nera”, si ebbe in realtà un uso giudiziario della tortura assai moderato e un numero di vittime molto basso, se paragonato all’Europa centro-settentrionale; i tribunali della Suprema (il supremo concilio dell’Inquisizione, che dipendeva dalla Corona) erano infatti restii a comminare la pena capitale, preferendo generalmente condanne più blande. Inoltre, le accuse erano più simili a quelle tradizionali di magia, piuttosto che di stregoneria per così dire «moderna», cioè corredata di patti e omaggi demoniaci, volo magico, infanticidi e via dicendo. Quante furono le streghe condannate a morte in Spagna? Dovrebbero aggirarsi intorno alle 300».19Marina Montesano, Superstizioni dell’età moderna, Il Manifesto, 31/12/2011.


 

Rodney Stark, docente di Sociologia alla Baylor University ed editore-fondatore dell’Interdisciplinary Journal of Research on Religion:

«Si legge di uomini incappucciati in prigioni sotterranee illuminati solo da torce che usano strumenti di tortura sui corpi nudi di uomini e donne il cui unico crimine è di aver avuto qualche pensiero che la Chiesa considerava eretico. I torturatori sono assolutamente privi di pietà, e lavorano nella sicura convinzione che l’odore della carne bruciata degli esseri umani sia “piacevole alla Santa Trinità e alla Vergine”. La verità più scioccante sull’Inqusizione spagnola è che tutto ciò che viene raccontato è o una totale menzogna o una grossolana esagerazione! Il resoconto standard dell’Inquisizione spagnola fu inventato e diffuso da propagandisti inglesi e olandesi nel XVI secolo, durante le guerre contro la Spagna, e da quel momento fu ripetuto da storici in mala fede, fuorviati, ansiosi di sostenere un’immagine della Spagna come nazione di bigotti fanatici. Tali storici inglesi (ma anche disertori spagnoli) esprimevano anche apertamente il loro disprezzo e antagonismo nei confronti del cattolicesimo romano, atteggiamento che si rifletteva nel fatto che gli studenti cattolici non veniva ammessi a Oxford e Cambridge fino al 1871. Non stupisce che queste odiose accuse senza senso siano state sostenute durante la lunga epoca d’intenso anticattolicesimo che in Inghilterra (e negli Stati Uniti) è durata fino al XX secolo. Ma non ci sono scuse per quegli irresponsabili “studiosi” contemporanei che continuano a sostenere tali affermazioni, mentre ignorano o liquidano la notevole ricerca sull’Inquisizione che è stata condotta nelle ultime generazioni. Questi nuovi storici (molti dei quali non sono né spagnoli né cattolici) basano le loro concezioni critiche sui documenti degli archivi completi dell’Inquisizione sia di Aragona (Saragozza, Navarra, Barcellona, Valencia e Sicilia) che di Castiglia -che insieme costituirono l’Inquisizione spagnola- ai quali hanno avuto pieno accesso. Hanno rivelato che, a differenza delle corti secolari attive in tutte Europa, l’Inquisizione spagnola fu un’organizzazione coerente quanto a giustizia, detenzione, giusto processo e espiazione»20Rodney Stark, Il trionfo del cristianesimo, Lindau 2012, pp. 436, 437.


 

Nathan Johnstone, docente di Storia presso l’Università di Portsmouth e la Canterbury Christ Church University:

«Gli antireligiosi sembrano indifferenti a verificare se la loro comprensione è accurata. Nessuno fu accusato di essere posseduto diabolicamente per il semplice motivo che la possessione non era un crimine, ma una diagnosi. E solo nelle “super-cacce” che per qualche decennio afflissero una manciata di zone del Sacro Romano Impero, il sospetto può essersi tradotto in convinzione. Le Inquisizioni hanno ucciso pochissime streghe e nessuno storico serio ora crede che il numero di esecuzioni per stregoneria abbia superato le 50.000 in tutta Europa»21Nathan Johnstone, The New Atheism, Myth, and History: The Black Legends of Contemporary Anti-Religion, Palgrave Macmillan 2018, p. 21.


 

Helen Rawlings, docente di Spanish Studies presso l’University of Leicester:

«Con il termine “leggenda nera” ci si riferisce ad un atteggiamento prevalente nel nord Europa nella seconda metà del Cinquecento quando cominciarono a emergere le critiche verso l’Inquisizione nei paesi politicamente e ideologicamente contrari alla Spagna. Opuscoli protestanti nei Paesi Bassi, stati tedeschi, Inghilterra e Francia hanno promosso vigorosamente la reputazione selvaggia tramite la stampa. La leggenda, in parte generata da protestanti spagnoli esiliati, è stata progettata per promulgare i più neri fatti sulla Spagna e sui suoi governanti facendola diventare sinonimo di tutto ciò che è repressione, brutalità, intolleranza religiosa e politica, nonché arretratezza intellettuale e artistica. Tra i resoconti più critici dell’Inquisizione scritti fuori dalla Spagna è quello del protestante inglese John Foxe, il quale ha esagerato le pratiche repressive del Sant’Uffizio contribuendo a diffondere un’opinione anticattolica. Un testo che ha avuto maggiore influenza sulla propagazione della leggenda nera fu scritto da Reginaldus Gonsalvius Montanus (probabilmente uno spagnolo protestante), pubblicato a Heidelberg nel 1567 in latino e presto ristampato in diverse lingue […]. Ma la dettagliata ricerca effettuata dalla fine degli anni ’70 da una nuova generazione di studiosi internazionali ha fondamentalmente sfidato l’approccio tradizionale alla storia dell’Inquisizione e ha richiesto una profonda rivalutazione del suo ruolo […]. In primo luogo, l’Inquisizione non era neanche lontanamente vicina al sanguinario e repressivo strumento di controllo ideologico comunemente percepito. Le repressioni del 1480 furono di breve durata e per la maggior parte della sua storia, il tasso di esecuzione è rimasto inferiore al 2%, una media di cinque persone all’anno. Tortura e pena di morte furono applicate solo raramente, quasi esclusivamente durante i primi anni della sua esistenza e molto più su vecchi cristiani che sulle minoranze religiose dissidenti. Qualunque giudizio dell’istituzione deve quindi tener conto del periodo storico e del contesto in cui ha operato»22Helen Rawlings, The Spanish Inquisition, Wiley-Blackwell 2005 pp. 5, 8, 13.


 

Jennifer Kolpacoff Deane, docente di Storia presso l’University of Minnesota:

«A differenza delle immagini presentate nella cultura popolare, non esistette nessuna istituzione persecutoria organizzata ed efficiente. Solo nella polemica e nella finzione esisteva l’Inquisizione, un unico onnipotente, orribile corte i cui agenti lavoravano ovunque per contrastare le verità religiose, la libertà intellettuale e la libertà politica. Questo è il mito dell'”Inquisizione” emerso negli ultimi quattrocento anni, sia come risultato di profonde ostilità tra scrittori cattolici e protestanti che di macabre rappresentazioni cinematografiche di abiti scuri e spietati inquisitori che mandano innocenti a morire sul fuoco»23Jennifer Kolpacoff Deane, A History of Medieval Heresy and Inquisition, Rowman & Littlefield Publishers 2011, p. 88.


 

Dennj Solera, assegnista di ricerca in Storia moderna presso l’Università di Bologna:

«Molte ricostruzioni si discostano sensibilmente dalla realtà descritta nei documenti del tempo, fornendoci spesso un’idea fuorviante di cosa furono l’Inquisizione e i suoi rappresentanti. Sottrarre un qualsiasi oggetto storico al proprio contesto specifico significa esporlo alle più disparate interpretazioni, non di rado tendenti a forzature apologetiche […]. Il modello narrativo dell’inquisitore è venuto formandosi in un continuo intreccio fra opere di finzione artistico-letteraria, da una parte, e vaghi riferimenti alle fonti storiche dall’altra», come ad esempio fece Dostoevskij nei Fratelli Karamazov, dove «l’immagine più nota dell’inquisitore» si modellò a partire «dall’avversione che lo scrittore nutrì nei confronti del clero e del cattolicesimo […]. I molti documenti pervenutici del tribunale ci permettono di comprendere quanto significativi siano i punti di discrepanza che emergono tra l’inquisitore letterario e l’inquisitore della storia […]. Essere un inquisitore non era un compito facile come potrebbe credere chi si limitasse alla leggenda nera del Sant’Uffizio, secondo la quale la corte di giustizia sarebbe stata retta solo da frati spietati, crudeli, sempre smaniosi di istruire processi e bruciare persone»24Dennj Solera, La società dell’Inquisizione, Carocci 2021, p. 15-18, 27-28.

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Centinaia di ucraini salvati dai sacerdoti italiani

Gara di solidarietà tra le parrocchie italiane, una bella testimonianza della “Chiesa in uscita” proposta da Papa Francesco. Ecco alcuni dei tanti preti-eroi raccontati dai media in questi giorni.

 
 
 

Recentemente abbiamo documentato il soccorso umanitario messo in campo dalla Chiesa a favore del popolo ucraino fin dalle prime ore della guerra.

Un aiuto di eguale portata è quello che la comunità cattolica sta dando nell’accoglienza dei profughi ucraini in Italia.

Citiamo solo alcune delle vicende arrivate sui media, tralasciando le innumerevoli iniziative messe in campo dalle diocesi italiane che ognuno può personalmente cercare sul web.

 

Don Gino coinvolge la comunità: 46 profughi salvi!

Degna di nota è ad esempio l’iniziativa di don Gino Samarelli, parroco di Molfetta (Puglia), il quale, grazie alle donazioni ed alla disponibilità dei suoi parrocchiani, è partito con un pullman pieno di cibo e medicinali alla volta dell’Ucraina, unendosi ad altri sacerdoti già presenti nel paese. Il 12 marzo è rientrato in Italia mettendo in salvo 46 profughi.

Il tutto è stato possibile anche grazie al vescovo ed al sindaco, attivatisi «tramite la Caritas diocesana e l’associazione Ser del Pronto intervento sociale» per sostenere l’iniziativa, all’insegna della sana collaborazione tra Chiesa e autorità secolari di cui parla il Concilio Vaticano II (Gaudium et spes, 76).

Nel viaggio, Don Gino è stato accompagnato da autisti, un meccanico, un medico ed un infermiere, questi ultimi messi a disposizione dal servizio socio-sanitario del Comune. Insomma, all’iniziativa di un parroco è seguita la risposta corale di un’intera comunità!

 

Don Giuseppe, ribattezzato il “tassista di Dio”.

Un caso analogo è quello di don Giuseppe Tedesco che, da Busto Arsizio (Lombardia) si è recato alla frontiera ucraino-polacca «per portare in salvo dieci profughi ucraini, tra cui otto bambini e ragazzi dai 9 ai 15 anni e una giovane madre con la figlioletta nata lo scorso 9 febbraio».

Questa impresa è valsa a don Giuseppe l’appellativo di “tassista di Dio” e “prete-ero”, ma lui commenta: «Non penso di aver fatto nulla di eccezionale. Come avrei potuto lasciarli là?».

 

A Roma i parrocchiani cedono le camere a famiglie ucraine.

Un terzo caso esemplare è quello degli ucraini ospitati dai parrocchiani di San Bonaventura a Torre Spaccata (Roma), i quali, «hanno messo a disposizione le loro case, qualcuno ha persino ceduto la propria camera alle profughe per dormire in salotto» come riferisce don Stefano Cascio. Su indicazione della Diocesi, il sacerdote sta eseguendo una mappatura delle disponibilità.

Toccante è poi la storia della dodicenne Karina e di sua madre Natalia, ospitate da don Andrea Lonardo, parroco di San Tommaso Moro.

La giovane amava suonare l’ukulele, che però ha dovuto lasciare in patria, da cui è fuggita in fretta e furia portando con sé solo lo stretto indisponibile, se non addirittura meno. I parrocchiani le hanno comprato un nuovo strumento, mentre dal primo giorno i ragazzi dell’oratorio portano la merenda a madre e figlia.

 

 

Sulle ragioni che hanno ispirato tutti questi slanci di carità, sono eloquenti le parole di don Gino Samarelli: «Ai perché legati al cuore non ci sono risposte. Ci sono cose che si fanno col cuore e basta. Ed è stato bellissimo vedere la grande solidarietà dei cittadini che non hanno fatto mancare un aiuto economico e ogni altro sostegno».

Papa Francesco aveva parlato della sua visione della Chiesa «come un ospedale da campo dopo una battaglia» e della necessità di una Chiesa “in uscita”, fin verso le periferie umane.

Non si può non ringraziare tutti questi sacerdoti e questo laicato dal cuore grande, in questi giorni stanno vivendo e testimoniando queste parole agli occhi del mondo.

 
 

Aggiornamento
Gli amici di InfoCatolica ci segnalano che dall’inizio della guerra, tra tutte le 150 congregazioni religiose operanti in Polonia e Ucraina, sono state già aiutate circa 18.000 persone.

 

 

Marco Visalli

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Spagna, solo lo 0,2% dei preti ha abusato: si spegne la polemica

La Fundacion ANAR e Save the Children hanno pubblicato due report con la stessa conclusione: parrocchie ed istituti cattolici sono i luoghi più sicuri per i bambini. Se la pedofilia è dilagante nella società, soprattutto nelle famiglie monoparentali, all’ultimo posto vi sono i sacerdoti.

 
 
 

Si parla continuamente di abusi sessuali legandoli alla Chiesa cattolica. Poi però escono gli studi ed i grandi media tacciono.

E’ accaduto in Spagna.

Da inizio anno i grandi giornali hanno spinto perché la Conferenza Episcopale attivi un’indagine interna sui casi di pedofilia (verrà svolta da uno studio legale indipendente).

La pressione mediatica si è però sgonfiata quando qualche giorno fa la Fundación ANAR, nota organizzazione (laica) che dal 1970 supporta bambini ed adolescenti vittime di abusi, ha pubblicato un report sugli abusi commessi dal 2008 al 2019.

 

Quanti preti pedofili? 0,2%, abusano meno di tutti.

La ricerca ha mostrato che la pedofilia è presente molto nella società e pochissimo nella Chiesa. Anzi, le strutture cattoliche sono le più sicure.

Le vittime hanno maggiormente meno di 12 anni (43,2%), non sono disabili (97,4%), sono prettamente bambine (78,3%) e vengono abusate maggiormente a Madrid (36%), nella comunità di Valencia (12,4%) ed in Andalusia (11,2%).

Nel 49,7% l’abuso si consuma nella casa del minore, in un’altra casa vicina (14,8) ed in una struttura scolastica (13,2%).

Nel 22,3% dei casi è coinvolta la pedopornografia o la tecnologia informatica. Su questo ricordiamo che i radicali di Bonino, Pannella e Marco Cappato fino a qualche anno fa si battevano per evitarne il proibizionismo.

Ma chi sono gli aggressori sessuali in Spagna?

Secondo la ricerca, nel 95,8% sono maschi e solo il 4,2% è donna. Il 70,6% è un adulto.

Nel 49,2% dei casi è un familiare, includendo padre, madre, patrigno, matrigna, nonni, zii, cugini, fratelli/fratellastri e sorelle/sorellastre e altri. Nell’1% dei casi si tratta di un vicino di casa.

In fondo alla classifica, nello 0,2% dei casi si tratta di un sacerdote.

 

«In definitiva», concludono i ricercatori, «l’abuso sessuale è un problema che comporta fondamentalmente il circolo familiare».

 

Pedofilia, la Chiesa è il capro espiatorio?

Premesso che solo un abuso commesso sarebbe già troppo e che una violenza perpetrata da un sacerdote ha un peso moralmente molto più grande, considerando il ruolo sociale e spirituale che interpreta, viene da porsi qualche domanda.

Alcuni siti web di inspirazione cristiana, infatti, si sono chiesti perché di fronte a questi dati, pochissimi quotidiani nazionali ne abbiano parlato e si sia posta attenzione solo allo 0,2% degli abusi commessi in ambito ecclesiale.

Inoltre, emerge l’origine ideologica delle accuse alla Chiesa se si considera che il 3,7% degli abusi è commesso dagli insegnanti statali (18 volte di più degli abusi commessi dai religiosi).

Perché la Chiesa dovrebbe essere responsabile degli atti dei suoi preti (lo 0,2%) mentre lo Stato (o il Ministero dell’Istruzione) è assolto dalle responsabilità dei suoi dipendenti (3,7%)?

«C’è una volontà politica di sfuocare il problema sociale della pederastia, così diffuso nella nostra società» viene scritto, «nascondendolo dietro a sacerdoti e religiosi, che come gruppo presentano alcuni casi di bassa incidenza, sia in termini relativi che assoluti, rispetto a tutti gli altri gruppi che riguardano i minori. In realtà si intende fare della Chiesa il capro espiatorio di un peccato sociale che coinvolge per la massima parte le istituzioni civili».

Un controsenso che la società spagnola pare aver capito bene se si considera un sondaggio svolto recentemente dal DYM Institute, secondo il quale l’87,6% degli intervistati chiede che una commissione governativa indaghi non solo gli abusi commessi da membri della Chiesa, ma anche quelli presenti in altri ambiti come la famiglia, la scuola o le associazioni.

 

Conferme da altre ricerche indipendenti.

Occorre dire che comunque diversi portali d’informazione hanno onestamente preso atto dei dati, addirittura c’è chi ha ricordato che nel rapporto sugli abusi sessuali verso i bambini in Spagna pubblicato lo scorso novembre da Save the Children, «non si fa nemmeno riferimento all’ambiente ecclesiale».

I numeri erano talmente piccoli che non è stato ritenuto indicativo citarli, confermando invece le statistiche rilevate più recentemente da ANAR.

Nessuno ha invece considerato quanto noi abbiamo scoperto. Il risultato trovato da Fundación ANAR conferma totalmente lo studio svoltosi nel 2018, finanziato dal Ministero della Scienza, Innovazione e Università e a cui ha partecipato l’Università dei Paesi Basi e l’Università di Barcellona.

Il capo-ricercatore, Josep Maria Tamarit, direttore del programma di Criminologia dell’Università della Catalogna, infatti, concluse che in Spagna, dove vi sono 23.000 parrocchie e 18.000 sacerdoti, «le condanne per pedofilia coinvolgono meno dello 0,2% dei religiosi».

 

1 persona oggi accusata su 3.400 assunte dalla Chiesa.

Nonostante questi dati, la progressista María José Segarra Crespo, capo della commissione di Giustizia del congresso spagnolo e l’attuale procuratore generale, Dolores Delgado, hanno voluto indagare su tutti i casi di pederastia attuali relativi esclusivamente all’interno di congregazioni, scuole o qualsiasi altra istituzione religiosa.

Dopo 2 settimane di lavoro (con annessa campagna informativa da parte di El País) da parte della Procura, i numeri raggiunti sono di 68 imputati in procedimenti legali attivi al momento.

Considerando il rapporto del 2017 dei dipendenti della Chiesa in Spagna, vanno considerati:

17.754 sacerdoti provenienti da 23.000 parrocchie
1.263 seminaristi
100.000 catechisti
100.000 insegnanti di 2.600 scuole cattoliche
Un numero imprecisato di operatori ospedalieri pediatrici cattolici ecc.

Si può calcolare a grandi linee 230.000 adulti presenti negli enti ecclesiastici, con rapporti quotidiani con 3,6 milioni di minori (quelli che frequentano la parrocchia, il catechismo, le scuole ecc.). Tra essi vi sono solo 68 denunciati (non condannati).

Cioè, si può anche dire che su 3.400 adulti all’interno delle istituzioni cattoliche, 1 è stato denunciato per abuso.

E’ evidente che se si rapportano questi dati con quelli nelle scuole statali e nelle istituzioni civili, oltre che nelle famiglie, le parrocchie e gli enti cattolici risultano essere i luoghi più sicuri per i bambini. In essi, stando ai dati nudi e crudi, vi è meno incidenza e più severa regolamentazione interna.

 

Pedofilia avviene di più nelle famiglie monoparentali.

Un altro dato importante dell’indagine di ANAR smentisce anche la ricostruzione femminista secondo cui la pedofilia sarebbe diffusa nella “famiglia tradizionale cattolica”, intesa come padre-madre-figli.

Un attacco ingiustificato, che dà per assunto che qualunque famiglia in cui i genitori non sono divorziati sia automaticamente “cattolica”.

Fundación ANAR ha comunque rilevato che il 51,9% delle vittime di abusi sessuali appartiene ad una famiglia monoparentale. «Una proporzione molto elevata in termini relativi», si legge, «se si tiene conto che le famiglie monoparentali rappresentano appena il 12,7% in Spagna».

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

In un secondo grafico vengono presentati dati più dettagliati: solo il 38,5% dei bambini abusati vive in una “famiglia tradizionale”, mentre il 49,3% abita con una madre o padre single, o con un genitore biologico e un patrigno/matrigna.


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
La redazione

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Gemma Calabresi, moglie del commissario: si convertì il giorno dell’omicidio

La conversione della vedova del commissario Luigi Calabresi. Il percorso di fede iniziò proprio la mattina del 17 maggio 1972, quando uccisero il marito. I mandanti morali ancora non le hanno chiesto scusa. E’ uscito il libro che racconta la sua storia.

 
 
 

E’ la storia di un perdono e di una conversione sbocciata in modo incredibile e drammatico.

In un libro la vita di Gemma Calabresi, vedova del commissario Luigi, si intitola La crepa e la luce (Mondadori 2022).

Luigi Calabresi venne assassinato il 17 maggio 1972 da due militanti di Lotta Continua, ma uno dei mandanti fu Adriano Sofri, incarcerato per concorso morale in omicidio ed fino a poco tempo fa editorialista di Repubblica.

In una bella intervista, Gemma Calabresi -madre del famoso giornalista Mario- ha raccontato di sé e del giorno dell’omicidio del marito, esprimendo una semplice ma radicata fede cattolica.

Il commissario di polizia Calabresi venne ingiustamente accusato dai militanti di sinistra della morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli dopo la strage di piazza Fontana. «Trovavo le scritte sui muri vicino a casa, nella discesa verso la metro», ricorda la moglie. «“Calabresi assassino”, “Calabresi sarai giustiziato”, “Calabresi farai la fine di Pinelli”».

 

Quella mattina…la conversione di Gemma Calabresi.

La mattina del 17 maggio 1972 lo freddarono in un agguato in piazzale Baracca, a Milano.

Appena saputolo, racconta oggi la donna, «mi accasciai sul divano. Mi sentivo distrutta, svuotata, abbandonata. Un dolore lacerante, anche fisico. Non so quanto tempo sono stata lì, con le mani nelle mani di don Sandro. So che a un certo momento Dio è arrivato. Dio era lì con me, su quel divano. Ne sono assolutamente certa. Ho sentito una pace profonda. Tutto, le persone che parlavano piangevano gridavano, tutto era ovattato, distante».

Gemma Calabresi aveva ricevuto un’educazione religiosa ma la sua fede, fino a quel momento, era formale.

«Il dono della fede arrivò allora», racconta. «Proposi a don Sandro: “Diciamo un’Ave Maria per la famiglia dell’assassino“. Ma non era roba mia. Io ero una ragazza di venticinque anni cui avevano appena ammazzato il marito. Era Dio che mi indicava la strada, che rendeva testimonianza attraverso di me. Lì ho capito che ce l’avremmo fatta, io e i bambini. Certo, sapevo che la vita non sarebbe più stata la stessa. Ma sentivo che non ero sola».

Con questo fatto drammatico iniziò il percorso di fede che porterà Gemma Calabresi a perdonare gli assassini del marito.

L’umiliazione proseguì anche all’obitorio, appena uscita si imbatté in ragazzi dell’estrema sinistra «che inveivano contro mio marito, che gridavano insulti e slogan. Puoi anche essere contento in cuor tuo che abbiano ucciso il commissario Calabresi; ma non puoi urlarlo in faccia alla vedova, che poi era una ragazza poco più grande di loro».

 

Gemma Calabresi è stata ospite recentemente del Centro Culturale di Milano:

 

L’omicidio Calabresi è ancora un tabù per certa stampa.

Ma l’omicidio Calabresi è ancora un tabù per una certa area giornalistica.

Molti degli intellettuali che ancora oggi intervengono su tematiche etiche, furono gli autori di una violenta campagna ideologica di denigrazione e odio che trovò ampio spazio sui giornali. E che portò all’omicidio Calabresi.

Prima dell’uccisione del commissario, infatti, l’Espresso pubblicò un manifesto contro il «commissario torturatore» firmato dalle grandi firme di allora, che diede avvio alla denigrazione pubblica verso Luigi Calabresi, fino al giorno della morte. Anche in seguito, tutti i giornali si dimostrarono innocentisti verso gli imputati che, alla fine, vennero però condannati.

Tra i firmatari ed accusatori di Calabresi vi furono:
Polo Mieli,
Eugenio Scalfari,
il regista Marco Bellocchio,
Giorgio Bocca,
Tinto Brass,
Liliana Cavani,
Dario Fo,
Franca Rame,
Federico Fellini,
Umberto Eco,
Furio Colombo,
Natalia Ginzburg,
Margherita Hack,
Dacia Maraini,
Alberto Moravia,
Massimo Teodori ecc.

Giampaolo Pansa declinò l’invito a firmare e sosterrà che la lettera costituì «un avallo al successivo assassinio di Calabresi». Gli unici, tra quelli citati, ad essersi scusati risultano essere Paolo Mieli ed Eugenio Scalfari.

Paolo Mieli, infatti, ha dichiarato: «Mi vergogno di aver firmato quell’appello contro Luigi Calabresi. Facemmo un errore abbiamo dato una colpa a qualcuno con una scusa. Dicevamo: “io so chi è stato non ho le prove. Ma so chi è stato”. Tanto poi a sparare sono altri e io poi vado avanti e ridirò la stessa cosa: “io so, ma non ho le prove”. Beh, io mi vergogno davvero di quella cosa. Non è una bella pagina della mia vita».

 

Adriano Sofri, mandante ed editorialista di Repubblica.

Per anni il mandante morale dell’omicidio Calabresi, Adriano Sofri, ha firmato articoli su Repubblica, ad esempio sponsorizzando le unioni omosessuali. Oggi scrive su Il Foglio.

Ebbe il buon gusto di fare le valigie quando nel 2015 il figlio del commissario, Mario Calabresi, divenne direttore di Repubblica.

Alla domanda se abbia mai parlato con Sofri, Gemma Calabresi ha risposto seccamente: «No».

Effettivamente Sofri non chiese mai scusa ai Calabresi. L’unica volta che si avvicinò a farlo fu tramite la mediazione di Indro Montanelli. Così, dal carcere, l’ex leader di Lotta Continua scrisse alla vedova Calabresi: «Montanelli mi chiede, testualmente, di dirle che la campagna di denigrazione e di istigazione contro suo marito, e padre dei suoi figli, fu un’infamia. Glielo dico. Mi chiede di dirle: quella volta mi sbagliai. Glielo dico».

Il figlio del commissario, Mario Calabresi, nel 2021 ha sottolineato che oggi diversi protagonisti di quell’epoca (come i mandanti morali ed i firmatari del vergognoso appello) sono ancora in tv, sui giornali, nella cultura quotidiana a “pontificare” senza aver mai detto una parola di scuse o meglio aver aggiunto frammenti di verità. «Anche Adriano Sofri sa delle cose ma non le ha mai voluto dire», aggiunge amaramente l’ex direttore di Repubblica.

Oggi la donna ricorda quella «consapevolezza calda» che «mi aveva avvolta: Dio aveva già perdonato le persone responsabili della morte di Gigi e io avevo tempo, il mio tempo per farlo. E non sarei stata sola in questa strada, perché — lo sapevo — Lui sarebbe stato con me».

Una testimonianza potente di perdono cristiano, che non toglie però la responsabilità per i firmatari di quel terribile atto di accusa, molti ancora vivi, di chiedere perdono ed evitare di ergersi a luminari di morale progressista.

La redazione

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Gb, la legge sull’aborto trema grazie a questa donna disabile

Nel giorno della Festa della donna, una giovane disabile ha obbligato l’Alta Corte di Londra a decidere se la legge sull’aborto discrimina i disabili permettendone l’uccisione fino al momento della nascita.

 
 
 

L’8 marzo scorso è accaduto qualcosa di impensabile nel Regno Unito.

La Corte di appello di Londra ha infatti deciso di riaprire il caso di Heidi Crowther, 26 anni portatrice di sindrome di Down, e di Maire Lea-Wilson, 33 anni, mamma di Aidan, 16 mesi, portatore di trisomia 21.

Le due donne sostengono che la legge inglese sull’interruzione di gravidanza discrimina i portatori di handicap e viola la Convenzione europea dei diritti umani.

In Gran Bretagna, infatti, i bambini disabili possono essere uccisi nel grembo materno fino al momento della nascita, mentre per i bambini sani il limite è di 24 settimane.

 

«Sono felicissima, un regalo per la Giornata della donna»

«È una norma che dice ai disabili che non dovrebbero esistere e viola i loro diritti umani», ha dichiarato Heidi Crowther davanti alla corte. «Io mi sento indesiderata dalla società alla quale appartengo».

Nel settembre 2021 l’Alta Corte aveva deciso che il caso comportava problemi di natura morale ed etica e dunque era di competenza del Parlamento, ma la Corte di appello ha ribaltato la sentenza, riaprendo il dibattito sulla questione.

La nuova udienza si terrà tra novembre e dicembre 2022. Se le due donne dovessero vincere, i giudici chiederanno al governo di riesaminare la legge sull’aborto.

«Sono così felice da poter scoppiare», ha detto Heidi a BBC News. «Ancor di più per il fatto che questo è avvenuto durante la Giornata internazionale della donna».

Per chi vuole sostenere Heidi, questa è la sua pagina Facebook.

 

 

Le donne abortite in nome dei diritti della donna?

Anche se l’appello dovesse fallire, Heidi Crowther ha mostrato al mondo l’assurdità di uccidere delle bambine, tramite l’aborto, per difendere il diritto delle donne ad interrompere la gravidanza.

L’incoerenza della logica a sostegno dell’aborto era già stata scardinata da Gianna Jessen, sopravvissuta all’aborto e resa permanentemente disabile: «Lo slogan oggi è: “libertà di scelta, la donna ha il diritto di scegliere”. Ma intanto la mia vita veniva soppressa nel nome dei diritti della donna».

C’è una remota possibilità che l’Alta Corte londinese riduca il limite di aborto a 24 settimane anche per i bambini disabili, per lo meno Heidi Crowther ne è convinta.

Ma anche porre un limite temporale risponde ad un’assurdità: perché a 23 settimane e 6 giorni sarebbe legittimo uccidere una bimba non ancora nata, mentre il giorno dopo no?

Come ha spiegato su questo sito web il matematico Francesco Malaspina, lo sviluppo fetale «procede con una meravigliosa continuità e gradualità» e porre un termine «è assolutamente artificiale. Nessuno si sogna di affermare che esista un interruttore collocato al termine della 12° settimana», o alla 24° settimana come nel Regno Unito, «che, scattando, faccia diventare essere umano ciò che prima non lo era».

L’unico vero “interruttore” è al momento del concepimento, lì compare la nuova vita umana e da quel momento si verifica uno sviluppo graduale dell’essere umano.

 

Dall’8 marzo in Guatemala divieto di aborto.

Sempre l’8 marzo scorso, in Guatemala il parlamento (101 voti favorevoli e 8 contrari) è proclamato illegale l’interruzione di gravidanza con pene maggiorate per i medici che la praticano (oltre ad aver ufficializzato l’incostituzionalità del matrimonio omosessuale ed il divieto di indottrinamento scolastico sul gender).

Il divieto di aborto è giustificato con la difesa della vita dal concepimento alla morte naturale, mentre resta legalizzato quando la vita della madre è a rischio.

Si attende la firma del presidente Alejandro Giammattei per l’entrata in vigore, non è chiaro se lo farà anche se 102 membri del suo partito hanno votato a favore.

La giovane deputata Patricia Sandoval e centinaia di altre donne hanno esultato per l’approvazione della legge: «Quale giorno migliore di oggi per approvare una legge a favore della famiglia!», ha dichiarato la donna in parlamento.

La redazione

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Un terzo degli atei crede a fantasmi e astrologia

Ateismo e superstizione. Uno studio mostra importanti percentuali di atei ed agnostici che credono nella superstizione, tra fantasmi, reincarnazione, astrologia e poteri psichici. I paesi indagati sono Stati Uniti, Brasile, Regno Unito, Giappone, Danimarca e Cina.

 
 
 

Atei verso cosa, di preciso?

Verso Dio? E se poi, negato il Creatore, si venera e si ripone speranza di salvezza e attesa di significato ultimo per la propria vita negli idoli?

La Bibbia ha indicato questo nel vitello d’oro, che oggi potrebbe essere la moda, l’accumulo di beni, il progresso, l’estetica, la scienza, il marxismo, il denaro, la filosofia, la politica, l’ecologia ecc.. Surrogati del vero bene, quello che rende lieto il cuore.

«Quando il cielo si svuota di Dio, la terra si riempie di idoli», scrisse per l’appunto Karl Barth.

Che dire poi se, oltre agli idoli mondani, una discreta quota di atei e agnostici crede nella reincarnazione, nell’astrologia, nei poteri mistici, in forze soprannaturali, negli spiriti e nella vita ultraterrena?

 

Atei e paranormale: i risultati dello studio.

E’ quello che ha certificato uno studio realizzato da quattro atenei universitari ed intitolato Understanding Belief (qui un abstract).

I ricercatori hanno infatti indagato le convinzioni di un campione rappresentativo di atei e agnostici in sei Paesi al mondo.

La ricerca ha mostrato che negli Stati Uniti il 20% degli atei (ed il 16% degli agnostici) crede in demoni, angeli, fantasmi e spiriti soprannaturali, il 15% crede nella reincarnazione ed il 33% in un senso ultimo degli eventi, oltre a percentuali più basse di credenza nel nel Karma (12%), nell’astrologia (15%) e nei poteri mistici (12%).

Nel Regno Unito le percentuali non sono diverse, se il 18% dei non credenti (e 22% degli agnostici) crede in esseri soprannaturali, il 28% confida nei significati nascosti dell’Universo, il 20% negli eventi soprannaturali, il 12% nei poteri psichici.

In Danimarca, gli atei che credono nella vita dopo la morte sono il 20%, gli atei astrologi arrivano al 25%, stessa percentuale per la fede nei poteri mistici delle persone, mentre arrivano al 30% i non credenti convinti di indefinite forze di bene o di male. Il 15% crede nel Karma, il 25% nell’astrologia ed il 19% degli atei danesi (e d 16% degli agnostici) negli spiriti soprannaturali (fantasmi ecc.).

In Brasile, fantasmi e spiriti sono ritenuti reali dal 30% degli atei, i quali credono anche alla rincarnazione (28%), nell’astrologia (21%), nei poteri psichici (25%), negli eventi soprannaturali (30%), nelle forze di bene o di male (35%) e nel Karma (25%).

In Giappone, il 22% di chi nega Dio crede negli esseri soprannaturali (il 24% degli agnostici) ed il 20% in un significato nascosto degli eventi. Gli atei giapponesi si sono rivelati essere i più “atei” in generale, confidando molto meno dei loro “correligionari” statunitensi ed europei nella superstizione e nelle forze soprannaturali.

In Cina, il 25% degli atei è convinto della reincarnazione, il 35% dell’astrologia, il 20% dei poteri psichici, il 30% nelle forze del bene e del male, il 25% negli esseri soprannaturali ed il 22% nel Karma.

 

Senza Dio, spuntano gli idoli.

«Mentre “credenza” ed “incredulità” sono normalmente usati in relazione a Dio», hanno concluso gli autori dello studio, «ci sono molti altri esseri soprannaturali e fenomeni, logicamente, l’incredulità in Dio non comporta l’incredulità in queste altre cose».

La convinzione che ci siano «”forze sottostanti” del bene e del male, che “esiste una forza o spirito vitale” e che “gli eventi della vita più significativi accadono per una ragione” sono i più approvati tra i non credenti a livello globale». Seppur, va sottolineato, in percentuali inferiori rispetto alla popolazione generale.

Nel 2008, al contrario, il Washington Post titolava Guarda chi è irrazionale ora, riportando i dati di una ricerca che identificava i cristiani come le persone meno predisposte a credere a Bigfoot, UFO, case infestate, comunicazione con i morti ed astrologia.

 

Ateismo e sondaggi: attenzione all’inganno.

Lo studio è un’ennesima dimostrazione di quanto ha scritto Giuliano Guzzo nel suo ultimo libro, mettendo in guardia «da una lettura ingenua delle rilevazioni demoscopiche» pubblicate dai sociologi delle religioni.

«Chi ha esaminato seriamente la categoria», ha osservato il giovane sociologo a proposito dei “non religiosi”, «ha potuto rilevare come tutto sono fuorché scettici o irreligiosi»1G. Guzzo, Grazie a Dio. Come la fede promuove la civiltà, il progresso, la pace, la famiglia e la salute, Lindau 2022, p. 71, 72.

Basterebbe considerare avvenne nel cosiddetto “secolo ateo”, il Novecento, quando rinacquero spiritualismi, esoterismo e teosofia.

Albert Camus, accorgendosene, scrisse: «Per chi è solo, senza Dio né padrone, il peso dei giorni è terribile. Perciò, visto che Dio non è più di moda, bisogna scegliersi un padrone»2Albert Camus, La Caduta, 1956.

La redazione

 

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La Scozia si scusa per caccia alle streghe, assente nei paesi cattolici

Mea culpa del ministro scozzese per la caccia alle streghe, perpetrata in particolare dal clero calvinista. Nell’Europa cattolica, invece, non si verificò alcuna caccia alle streghe e gli storici mostrano che addirittura l’Inquisizione romana fu un ancora di salvezza per molte donne ingiustamente accusate.

 
 
 

La Scozia ha presentato le sue scuse ufficiali per le migliaia di donne condannate e giustiziate per stregoneria.

In molte occasioni, ha detto il primo ministro Nicola Sturgeon, «solo per il fatto di essere donne».

Secondo i dati più affidabili, nella Scozia protestante furono giustiziate e messe al rogo 1.500 “streghe”, secondo la storica britannica Christina Larner1Christina Larner, Enemies of God: The Witch-Hunt in Scotland, Chatto & Windus 1981 e «circa 1.500, e forse non più di 1.000», secondo lo storico Brian Levack2Brian P. Levack, La caccia alle streghe in Europa, Laterza 2012, p. 30.

 

La Riforma protestante e la caccia alle streghe.

Ebbene sì, al contrario di quanto narra la leggenda nera, la verità è che i Paesi cattolici rimasero quasi del tutto immuni dalle cacce alle streghe che hanno invece inondato i Paesi protestanti (ad l’eccezione dell’Inghilterra).

Tutto iniziò in Germania, con la Riforma di Martin Lutero nel XVI secolo.

Brian Levack, docente di Storia dell’Università del Texas, ha spiegato infatti che dopo l’inizio della Riforma protestante, la Germania divenne «il paese in cui si ebbe il maggior numero di processi per stregoneria e di condanne capitali»3Brian P. Levack, La caccia alle streghe in Europa, Laterza 2012, p. 115.

Addirittura, ha osservato, lo storico, «circa la metà» di tutti gli accusati di stregoneria in Europa (90.000 cittadini), «viveva nei territori germanici». E ancora: «L’altra grande concentrazione di processi si ebbe nelle regioni confinanti con la Germania. A sud, in Svizzera, da sempre riconosciuta come un vero e proprio centro della caccia alle streghe, furono processate almeno 10.000 persone»4Brian P. Levack, La caccia alle streghe in Europa, Laterza 2012, p. 30.

Laddove il protestantesimo prese piede tramite il clero protestante proveniente dalla Germania, arrivó anche l’ossessione per le streghe e per il sabba (mentre gli inquisitori cattolici non ci credevano).

Addirittura, l’eminente storico statunitense, ha sottolineato che «molti protestanti sostenevano che le streghe potessero essere processate anche in mancanza di prove di maleficia, in base al semplice fatto che in quanto streghe la loro volontà era corrotta»5Brian P. Levack, La caccia alle streghe in Europa, Laterza 2012, p. 77.

In Scozia attecchì soprattutto il pensiero calvinista ed il clero scozzese svolse un ruolo molto attivo sia nella vita religiosa che nella persecuzione delle streghe.

«I preti scozzesi», ha scritto ancora Brian Levack, «non solo intervenivano nell’interrogatorio iniziale delle streghe come membri dell’assise della loro parrocchia, ma in quanto membri dell’Assemblea generale esercitavano una pressione costante sul governo per la creazione di uno Stato “teocratico” attraverso la repressione giudiziaria della stregoneria. Questo tipo di pressione è uno degli esempi più chiari di come i riformatori religiosi spingessero le autorità secolari a raddoppiare i loro sforzi nella caccia alle streghe»6Brian P. Levack, La caccia alle streghe in Europa, Laterza 2012, p. 236, 237.

 

Nell’Europa cattolica nessuna caccia alle streghe.

Nell’Europa cattolica, invece, non si verificò nulla di tutto questo (a parte sporadiche occasioni).

Lo storico italiano Andrea Del Col, docente all’Università di Trieste, ha riconosciuto infatti che «furono soprattutto i tribunali secolari degli Stati protestanti del Centro Europa, piuttosto che le Inquisizione cattoliche, a emettere tali condanne»7Andrea Del Col, L’Inquisizione in Italia. Dal XI al XXI secolo, Mondadori 2021, p. 4, relative alle donne e uomini accusati di stregoneria.

«La Spagna e l’Italia rimasero entrambe saldamente cattoliche per tutto il periodo della Riforma», ha spiegato invece Brian Levack, ed «in entrambi i paesi si verificarono solo occasionali cacce alle streghe e il numero complessivo delle esecuzioni fu estremamente basso»8Brian P. Levack, La caccia alle streghe in Europa, Laterza 2012, p. 137.

I motivi politici, geografici e religiosi per cui i Paesi protestanti furono così attivi contro la stregoneria sono complessi e meritano una trattazione a parte.

Quest’anno pubblicheremo un dossier specifico (ed unico nel web, frutto delle nostre ricerche) sulla caccia alle streghe in cui mostreremo i risultati raggiunti dalla storiografia moderna.

 

L’Inquisizione romana salvò le “streghe”.

Nel futuro dossier che pubblicheremo, verrà mostrato anche che l’Inquisizione cattolica, quella romana (in Spagna il tribunale era totalmente diretto dalla monarchia), fu spesso un ancora di salvezza per le donne accusate di stregoneria.

E’ stato in particolare lo storico (laico) Adriano Prosperi, professore emerito di Storia moderna presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, a rilevare lo scetticismo del Sant’Uffizio verso la realtà delle streghe. Constatando:

«Ci sono processi a difesa delle streghe: in diversi casi troviamo persone processate per aver dato della “strega” a qualche donna. L’accusa di stregoneria era diventata materia di litigi tra donne e il tribunale sorto per combattere la stregoneria interveniva per tutelare l’onorabilità delle donne offese da quel titolo»9Adriano Prosperi, Tribunali della coscienza. Inquisitori, confessori, missionari, Einaudi 1996, p. 191-192.

La redazione

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