Depositate le motivazioni della bocciatura da parte della Corte Costituzionale dei referendum su cannabis ed eutanasia promossi dall’Associazione Luca Coscioni.
Vengono confermate le obiezioni dei tanti giuristi che indicavano come i questi non erano né sull’eutanasia, né sulle droghe leggere ma avrebbero legalizzato l’omicidio tout court e qualunque droga, anche pesante.
Alberto Gambino, ordinario di diritto privato e prorettore dell’Università Europea di Roma ha chiesto un mea culpa da parte dei media in quanto hanno «assecondato acriticamente la campagna mediatica dei promotori del referendum», evitando di dare spazio alle tesi contrarie che sottolineavano gli aspetti inquietanti.
Il referendum avrebbe legalizzato l’omicidio in generale.
Una decisione storica, «prevedibile a rigore di logica, ma non scontata», ha invece dichiarato Mario Esposito, ordinario di Diritto Costituzionale all’Università del Salento.
La Consulta ha dato ragione ai tanti giuristi intervenuti negli ultimi mesi, i quali hanno segnalato la pericolosità dell’abrogazione della norma che punisce l’omicidio del consenziente in quanto verrebbe meno la tutela minima della vita umana, in particolare delle persone vulnerabili.
I giudici hanno quindi smentito categoricamente i leader dell’Associazione Luca Coscioni, ospitati quotidianamente su tutti i grandi media senza contraddittorio, i quali giuravano che la depenalizzazione non avrebbe riguardato omicidi verso persone che non avessero piena coscienza della richiesta (come gli stati depressivi).
«Peccato che il referendum non era sull’eutanasia ma sull’omicidio del consenziente», ha spiegato Giuliano Amato, presidente della Corte costituzionale ed ex presidente del Partito Democratico.
«Se fosse passato il referendum», ha dichiarato il costituzionalista Esposito, «anche una persona perfettamente sana che avesse però deciso di morire, ma non avesse il coraggio di suicidarsi, avrebbe potuto lecitamente chiedere a un terzo di ucciderlo. E ogni persona terza avrebbe avuto la possibilità di sostenere di aver ucciso dietro richiesta». Confermato anche dal relatore della Consulta, il giudice costituzionale Franco Modugno.
La precedente sentenza della Consulta, la n° 242 del 2019, aveva dichiarato parzialmente legittimo l’articolo 580 del Codice penale sull’aiuto al suicidio, soltanto se ancorato a particolari cautele.
Ma in questo recente pronunciamento, i giudici hanno addirittura parlato della «tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana», confermando che la vita umana più che oggetto di diritto è il presupposto stesso del diritto.
Ora tocca al Parlamento, «tenendo ben fermi i capisaldi che la Corte Costituzionale ha delineato con grande chiarezza», ha concluso il giurista.
Concedere la possibilità a terzi di togliere la vita ad un’altra persona genera enormi problemi etici. Chi valuta quale vita è degna o meno di essere vissuta? Perché non estendere la possibilità di suicidio dai casi estremi ai non estremi, per qualunque persona sana che ritenga in base a criteri personali che la sua vita sia invivibile?
Come valutare, infine, lo stato di coscienza, la lucidità e la consapevolezza di chi avanza tale richiesta (si pensi agli anziani, ai malati di Alzheimer ecc.)?
L’inganno dei radicali e l’accanimento contro Amato.
Marco Cappato ha reagito twittando contro il presidente Giuliano Amato, parlando di “sentenza politica”. Lo stesso ha dichiarato Emma Bonino.
Ancora in queste ore si registrano insulti sui social da parte di attivisti pro-suicidio contro il presidente della Consulta, come se la decisione fosse stata presa da solo da lui, in solitaria.
Si intravede in questo anche una sorta di messaggio minatorio per il futuro: chi oserà opporsi al “progresso” verrà linciato sui social.
Alle parole di Cappato è arrivata però la smentita di Giovanni Maria Flick, presidente emerito della Corte Costituzionale, che le ritiene «polemiche ingiustificate».
«Bene ha fatto il presidente Giuliano Amato a rispondere», ha commentato Flick, sottolineando di fatto l’inganno o l’incompetenza giuridica dei tecnici che hanno formulato il referendum, in quanto «il quesito finiva per includere tutte le possibilità, non solo le situazioni di sofferenza. La Corte ha esercitato il suo potere: non deve tener conto della sacralità della vita, che è un concetto religioso. Ma nemmeno deve ignorare il principio della solidarietà e la tutela dei soggetti deboli»».
Anche Eugenia Rocella, già sottosegretario al Ministero della Salute, ha sottolineato: «Il referendum che i radicali si ostinavano a definire “per l’eutanasia” è stato quindi felicemente eutanasizzato. Il quesito era davvero assurdo e pericoloso, perché riguardava una fattispecie che non è stata abolita in nessun paese del mondo, nemmeno in quelli dove sono consentiti il suicidio assistito o l’eutanasia».
Il giurista laico: “A fianco dei cattolici in difesa della vita”.
Per questi motivi Siro Centofanti, socialista e docente di Diritto del lavoro all’Università di Perugia, ha parlato di «quesito ingannevole».
Oltre a smentire che l’articolo che vieta l’omicidio del consenziente sia di stampo fascista, il giurista ha spiegato che nel 2019 la Consulta riconobbe la non punibilità del suicidio «in un limitatissimo numero di casi. Dichiarare ammissibile il referendum avrebbe significato smantellare l’impianto di quella pronuncia».
E’ vero che la Conferenza Episcopale Italiana ha subito manifestato soddisfazione per la decisione (citando le parole del Papa). Ma Centofanti, da laico e socialista, ha precisato che «è folle pensare che il rispetto della vita debba essere propugnato solo dai cattolici. La pregiudiziale religiosa non c’entra proprio nulla».
Bocciata anche cannabis: rendeva legali tutte le droghe.
L’Alta Corte non si è solo espressa sul referendum sull’eutanasia, ma ha anche bocciato un altro chiodo fisso di Marco Cappato: la legalizzazione della cannabis.
Anche in questo caso è arrivato il plauso di tanti giuristi e delle associazioni che lavorano quotidianamente per aiutare il recupero dei tossicodipendenti (che sanno bene che non si tratta affatto di “droghe leggere”, come fossero le stesse in circolazione nel ’68!).
La Comunità Papa Giovanni XXIII, ad esempio, ha twittato parlando di «una vittoria per i giovani che cercano la vita! L’Alta Corte svela l’inganno del referendum che avrebbe potuto permettere la coltivazione di qualsiasi droga, non solo cannabis, ma anche oppio e coca».
Ancora una volta Giovanni Maria Flick, presidente emerito della Corte Costituzionale, ha sottolineato che anche in questo caso i promotori del referendum avrebbero voluto coinvolgere «tutte le droghe e non solo la coltivazione per uso personale. Perciò incideva su una situazione regolata anche da trattati internazionali: cioè su una situazione in cui non può richiedersi un referendum abrogativo».
Lo ha confermato il relatore della Consulta, il giudice Giovanni Amoroso.
Gli attivisti hanno reagito, in questo caso, con lo slogan “la mafia ringrazia”.
Eppure, basterebbe leggere le parole di Paolo Borsellino (o Nicola Gratteri e di tanti altri giudici anti mafia), quando spiegò che «la legalizzazione del consumo di droga non elimina affatto il mercato clandestino, anzi avviene che le categorie più deboli e meno protette saranno le prime ad essere investite dal mercato clandestino».
Non bisogna illudersi. Tematiche del genere verranno riproposte quanto prima.
Il progressismo martellerà fino allo sfinimento sul diritto a suicidarsi o ad uccidersi di droga (la morte e lo sballo sono il tema fisso di chi non vede un senso nell’esistenza).
I “nuovi diritti civili”, quelli che la presidente del Movimento per la Vita chiama «la vera minaccia ai veri diritti dell’uomo».
Eppure, chi si oppone alla cultura dello scarto trova sempre alleati determinanti: femministe, socialisti, giuristi non credenti, persone di buona volontà. E’ accaduto anche questa volta.
Il giovane conservatore Francesco Giubilei ha giustamente osservato, infatti, che dopo la bocciatura del ddl Zan, il ritiro del documento dell’Unione Europea sul “linguaggio inclusivo” che vietava l’utilizzo del termine “Natale” e l’inammissibilità dei referendum su eutanasia e cannabis, è ormai chiara la possibilità di «contrastare una deriva valoriale che in apparenza sembra ineluttabile ma a cui si può opporre una diversa visione identitaria», anche con efficacia.
La redazione