Josè Mourinho, preghiera notturna in piazza San Pietro

Una bella intervista a Josè Mourinho, allenatore della Roma calcio, sull’Osservatore Romano. Si parla di sport, di etica sportiva, del calcio come educazione al senso della vita e della preghiera.


 

Non è la prima volta che parliamo di Josè Mourinho.

L’attuale allenatore della Roma e uno dei migliori tecnici degli ultimi 30 anni non ha mai nascosto la sua devozione, il legame con Fatima (è portoghese) e con la preghiera.

Ancora però non era accaduto che il suo nome comparisse sull’Osservatore Romano, il quotidiano della Santa Sede.

E’ emersa l’abitudine di Mourinho alla preghiera, soprattutto di notte, recandosi al Santuario di Fatima e in Piazza San Pietro.

 

Mourinho in Vaticano, tra calcio e senso della vita.

Qualche giorno fa, infatti, sul giornale vaticano è apparsa un’intervista a Mourinho in occasione del lungo dialogo avuto con il suo connazionale card. Josè Tolentino, arcivescovo e teologo, nel Vestibolo della Biblioteca Apostolica Vaticana.

Hanno parlato di sport e di etica, soprattutto del maestro di Mourinho, il filosofo Manuel Sérgio, che ha dedicato al calcio, allo sport ed alla motricità interessanti riflessioni, legandole al senso della vita.

«Chi capisce soltanto di calcio, di calcio non capisce nulla» è il primo insegnamento che Sérgio diede a Mourinho al loro primo incontro, che oggi vive il suo ruolo di allenatore giocando sull’empatia e sull’umanità nel rapporto con i calciatori.

Al di là del discorso tecnico, «a livello umano, ogni giorno è un giorno nuovo», spiega Mourinho, «e ogni persona è una persona nuova. Io mi rifiuto sempre di fare paragoni tra giocatori».

Il suo obbiettivo è umanizzare il calcio, «lo sport più industrializzato a tutti i livelli, ha qualcosa di crudele». E’ noto il suo dedicarsi ai giovani calciatori e ciò che più odia è «lo spreco di talento», che però riconoscere essere «legato al percorso di vita che alcuni giocatori hanno avuto, e in questo senso dobbiamo cercare di essere pedagoghi fino in fondo».

Anche lui sta cambiando, spiega. Se prima la vittoria era per sé oggi vuole vincere con la stessa intensità «ma non più per me, ma per i giocatori che non hanno mai vinto, voglio aiutarli. Penso molto di più al tifoso comune che sorride perché la sua squadra ha vinto, alla sua settimana che sarà migliore perché la sua squadra ha vinto».

E’ molto bella l’intuizione quando riconosce che «il tifoso comune, quando si reca allo stadio, non ci va soltanto per dimenticare, per festeggiare, non è soltanto alla ricerca di una piccola allegria, ma in qualche modo è presente l’ambizione di toccare qualcosa, di andare più lontano, di comprendere il mistero della vita, il suo significato».

Una passione così sfrenata, omnicomprensiva, quasi religiosa per milioni di persone, come quella calcistica, ha sempre dentro un aspetto identitario di ricerca di sé, della propria sussistenza. Ha ragione Mourinho.

 

Mourinho in preghiera a Fatima e San Pietro

Per Mourinho la fede in Dio non è un fatto personalistico o spirituale, ma è legata al rapporto tra gli uomini, tra quelli che il cristianesimo chiama “testimoni”, nei quali si riflette il volto di Cristo.

A causa della sua notorietà svela anche di visitare il santuario di Fatima di notte, «anche a Roma visito spesso San Pietro di notte, la mascherina aiuta, l’oscurità della notte anche. Sono in silenzio, ma converso molto. Il calcio è l’ultima cosa di cui parlo, è l’ultima cosa a cui penso, l’ultima cosa per la quale chiedo qualcosa. Cercare di essere un buon padre, un buon marito, figlio, un buon amico, questo tentativo è la maggiore motivazione che una persona può avere nel quotidiano».

Niente di superstizioso, dunque, come spesso avviene nel calcio. Per Mourinho la preghiera è un dialogo intimo con Dio.

Infine, racconta la sua stima per Papa Francesco.

«È fonte di ispirazione per me perché riesco a guardarlo e, senza aver avuto l’onore di conoscerlo, lo ascolto e non mi stanco di ascoltarlo. Seguo l’Angelus domenicale attraverso la televisione e penso che se lo avessi nella “mia” chiesa a Setúbal, lo ascolterei allo stesso modo. Quest’uomo “non è il Papa”, è un padre, un parroco di una nostra piccola parrocchia del nostro piccolo Portogallo».

La redazione

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