Spagna, i vescovi che slegarono la Chiesa dal regime di Franco

Non tutto l’episcopato spagnolo vide in Franco l’unica forza in grado di frenare la persecuzione marxista della Chiesa, sopportandone a volte le efferatezze. Il Vaticano puntò sul card. Tarancón per slegare i vescovi spagnoli dal franchismo e riuscì nella transizione tra la dittatura e la democrazia.

 
 
 

Tra gli innumerevoli dittatori (atei) che insanguinarono il Novecento, uno dei pochi a dichiararsi “cattolico” fu Francisco Franco, generalísimo di Spagna.

In quegli anni il terrore occidentale era dovuto all’avanzata criminale del regime comunista, così in ambito ecclesiale si diede fiducia alle uniche, pur controverse, personalità che avrebbero potuto porvi un freno.

Come abbiamo già osservato, è falso il mito di una accondiscendenza generale della Chiesa al franchismo, ma è indubbio che gran parte dell’episcopato spagnolo preferì almeno inizialmente il nazionalismo spagnolo.

Come ha scritto lo storico Paolo Pombeni, fu «una scelta perdente perché il Generalissimo non si farà condizionare affatto dal cattolicesimo nazionale, ma gli imporrà brutalmente le sue ragioni, così come farà sostanzialmente col Vaticano».

 

Perché la Chiesa spagnola sopportò il franchismo.

E’ troppo facile oggi leggere la storia conoscendo già l’evoluzione dei fatti, lo ha ricordato lo storico Vicente Cárcel Ortí che da decenni studia sulle fonti d’archivio spagnole.

«Oggi conosciamo come si è evoluta la storia della Spagna durante il regime militare di Francisco Franco», ha spiegato, «non possiamo però commettere l’errore di giudicare le scelte fatte prima di questi eventi alla luce di ciò che è accaduto dopo».

Perché gran parte dell’episcopato spagnolo optò per Franco? Lo ha spiegato ancora Paolo Pombeni, scrivendo che furono «le violenze efferate contro il clero, le monache e gli stessi edifici di culto» da parte dei marxisti «che destano rigetto nell’opinione pubblica cattolica europea e che impediscono di vedere le parallele efferatezze delle forze franchiste».

Anche Cárcel Ortí si riferisce alla feroce persecuzione anticattolica dei marxisti spagnoli del Governo repubblicano, con l’intento dichiarato di eliminare la Chiesa dalla Spagna. Nel 1933 le elezioni verranno vinte dalla destra, ma i marxisti spagnoli rifiutarono il responso provocando una rivoluzione civile con migliaia di morti (40 ecclesiastici nel solo ottobre 1934).

Verranno così indette nuove elezioni nel 1936 e la sinistra si unirà nel Fronte popolare, incrementando la spirale di violenza contro la Chiesa spagnola che avrà termine solo alla fine della guerra civile.

«In quel momento di totale caos politico», ha spiegato Carcel Ortì, «la scelta autoritaria appare ancora come una soluzione rassicurante».

Così, nel luglio 1937 la Conferenza episcopale spagnola si legò moralmente ai ribelli nazionalisti perché «i vescovi, in quel momento di persecuzione totale, vedono nei nazionali l’unica possibilità di salvezza per la Spagna che rischia di finire nelle mani del comunismo stalinista. In quel preciso momento non si poteva conoscere l’evoluzione politica successiva. Se in quel momento i militari ribelli alla Repubblica offrivano una possibilità di salvezza, cosa doveva fare la Chiesa, allearsi col persecutore? Con chi la stava annientando?».

 

Il Vaticano appoggiò vescovi contrari a Franco.

Lo storico Francesco Margiotta Broglio ha precisato tuttavia che in Vaticano, nel frattempo, Pio XII «mise in guardia circa il riconoscimento del governo falangista» e lo stesso «Pacelli si rifiutò di aderire alla richiesta di Franco per la scomunica di clero e fedeli baschi».

Occorre anche sottolineare l’esistenza di importanti uomini nella chiesa spagnola che, nel corso degli anni, contribuirono a disimpegnare progressivamente l’appoggio dell’episcopato spagnolo al franchismo, favorendo il processo di transizione dalla dittatura alla democrazia.

Se ne è parlato recentemente, ricordando i vescovi Josep Pont y Gol, Antonio Añoveros Ataún, Ramón Masnou e soprattutto il cardinale Vicente Enrique y Tarancón.

Proprio quest’ultimo fu l’uomo di fiducia di papa Paolo VI, colui che lo aiutò a separare la Chiesa spagnola dal regime franchista e, allo stesso tempo, a rendere possibile l’applicazione del Concilio Vaticano II.

Il card. Tarancón, già quand’era vescovo di Solsona, prese le distanze dal socialismo ma anche dal nazionalismo franchista, favorendo il più possibile uno spirito di riconciliazione. Disapprovò «le ingiustizie del regime capitalista» ed allo stesso tempo sottolineò che «i rancori e le vendette non sono scomparsi nell’uno o nell’altro» schieramento, denunciando apertamente i franchisti.

Non è strano che dal governo di Franco, Tarancón sia stato definito “il vescovo rosso”. Assieme ai suoi sacerdoti, il vescovo difese l’utilizzo del linguaggio popolare catalano durante la predicazione, venendo continuamente rimproverato dalle autorità franchiste. Alla fine degli anni Quaranta pubblicò la prima rivista spagnola interamente in lingua catalana, aggirando le censure governative.

Nel 1964 il Vaticano lo nominò arcivescovo di Oviedo per cercare di disincagliare il legame di molti vescovi spagnoli dal cattolicesimo nazionale di spirito franchista. Nel 1969 Tarancón divenne arcivescovo di Toledo e fu creato cardinale da Paolo VI, il quale nel 1971 lo nominò arcivescovo di Madrid e lo pose alla guida della Conferenza Episcopale Spagnola.

Questa carriera fulminea conferma che la Santa Sede vide nel card. Tarancón l’uomo ideale per separare la Chiesa spagnola dal regime di Francisco Franco, il quale sognava un episcopato sottomesso e assoggettato al potere politico. Il cardinale contrastò apertamente il governo nazionalista e difese (impedendo che fossero espulsi dal paese) i non pochi vescovi spagnoli apertamente ostili a Francisco Franco, come Antonio Añoveros Ataun.

Nel 1975, durante la messa di intronizzazione di Juan Carlos I a Madrid, il card. Tarancón difese pubblicamente la libertà e l’indipendenza della Chiesa davanti al potere, ponendo di fatto fine al cattolicesimo nazionale.

Come si legge su Wikipedia in versione catalana, «di fronte all’aggressiva irritazione dei dirigenti franchisti, il cardinale Tarancón svolse un importante ruolo di conciliazione durante gli ultimi anni della dittatura e nel passaggio della società spagnola ad un sistema democratico, difendendo da un lato l’indipendenza della Chiesa e allo stesso tempo il consolidamento della legalità emanata dalla Costituzione del 1978».

 

Paolo VI, nemico giurato del franchismo.

Lo stesso Paolo VI fu un nemico giurato del franchismo spagnolo, già inserito nella lista dei “nemici ufficiali” del regime prima ancora di essere eletto.

Il 26 marzo 1967 il Papa, attraverso la Populorum progressio, giustificò l’insurrezione rivoluzionaria «nel caso di una tirannia evidente e prolungata che attenti gravemente ai diritti fondamentali della persona e nuoccia in modo pericoloso al bene comune del paese» (n. 31), scatenando il panico negli ideologi del fascismo. In Spagna fu ampliamente divulgata da Joaquín Ruiz-Giménez, una delle personalità più importanti del cattolicesimo spagnolo del XX secolo.

Il giornalista e sacerdote spagnolo Antonio Pelayo ha anche ricordato che i ripetuti appelli del Papa ai laici perché si adoperassero a «penetrare di spirito cristiano» la mentalità, i costumi, le leggi e le strutture «fu accolto come una ventata d’aria fresca dai movimenti apostolici quali l’Acción Católica, la Juventud Obrera Cristiana (Joc), la Hermandad Obrera de Acción Católica (Hoac), sottoposti a severi controlli di polizia e ad altre pratiche totalitarie».

La redazione

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2 commenti a Spagna, i vescovi che slegarono la Chiesa dal regime di Franco

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  1. Sisco ha detto

    Certo un vescovo non può pretendere di dettar legge… per quanto efferato, un dittatore non può accettare intromissioni sul suo operato. Lo stesso Pilato ce lo insegna e il cristianesimo dovrebbe averlo capito dopo 2000 anni.

    • simone ha detto in risposta a Sisco

      Sono due settimane che scrivi commenti a caso privi di logica, si può anche non commentare Sisco, nessuno si offende.

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