Cercasi liberi pensatori, la denuncia di Luca Ricolfi
- Ultimissime
- 02 Apr 2022
Una lucida analisi dell’eminente sociologo italiano Luca Ricolfi, presidente della Fondazione David Hume, sulla mancanza di coraggio degli intellettuali moderni di sfidare l’ortodossia del pensiero e la cappa ideologica del politicamente corretto.
di Luca Ricolfi*
* docente ordinario di Psicometria all’Università degli Studi di Torino
da Repubblica 22/03/22
Su quale sia, di fronte all’invasione dell’Ucraina, la linea di condotta più adeguata, non ho convinzioni forti.
Quello su cui ho invece un’opinione è il destino delle nostre menti in tempo di guerra.
Quel che mi colpisce, come studioso di scienze sociali, è il clima di illibertà che governa i nostri scambi di idee.
Un clima in cui nessuno si sente completamente libero di dire come vede le cose, perché sa che, qualsiasi cosa dica, sarà aggredito da chi vede le cose in modo opposto, o anche semplicemente diverso.
Luca Ricolfi e la sfida al politicamente corretto.
L’indizio più rivelatore di questo clima è la “premessite”: prima di dire qualcosa di sostanziale, si passa un tempo notevole a fare premesse autodifensive per tutelarsi dal rischio di essere crocefissi per quel che si sta per dire.
Mi impressiona molto ascoltare in tv autorevoli giornalisti e studiosi avvilupparsi in lunghissime serie di auto-certificazioni di anti-putinismo per sentirsi in diritto di dire quel che pensano, ad esempio che li ha colpiti l’ammissione di Biden di aver passato l’ultimo anno a rifornire l’Ucraina di armamenti.
È un meccanismo che avevamo già sperimentato nella pandemia, quando — se si aveva da dire qualcosa di non perfettamente ortodosso sui vaccini — si esordiva dicendosi plurivaccinati, sottoposti alla terza dose, equipaggiati con Green Pass, eccetera.
Come funziona la nostra mente: Leon Festinger.
Si potrebbe pensare che è normale che tutto ciò accada quando è in gioco una questione importante, e inoltre sussiste un’ortodossia, ossia un pensiero prevalente e ritenuto più giusto. In realtà non è così. O meglio non è solo così. Il meccanismo che non ci lascia discutere liberamente, senza accusarci reciprocamente di stare dalla parte sbagliata, è più universale e profondo.
Fu scoperto e studiato nei primi anni ’50 dallo psicologo sociale americano Leon Festinger, viene chiamato “riduzione della dissonanza cognitiva”, e costituisce probabilmente la più importante scoperta delle scienze sociali del Novecento.
Quel che Festinger scoperse è che non solo la mente umana non sopporta i conflitti interni, ma il suo bisogno di coerenza interna è così forte da generare meccanismi di correzione radicali, come l’autoinganno, l’adozione di credenze irrazionali, l’incapacità di prendere atto dei dati di realtà, anche di fronte a clamorose smentite delle proprie convinzioni.
La mente umana, si potrebbe dire riprendendo una lucida considerazione di Walter Siti, funziona in modo opposto a come funziona la grande letteratura. La nostra mente ha bisogno di coerenza, la grande letteratura si nutre delle contraddizioni, dei drammi e delle ambiguità della vita reale. Soprattutto, la nostra mente è incapace di passare da un piano all’altro del discorso senza esigere che fra i vari piani vi sia coerenza.
Se l’empatia ti porta da una parte, non ce la fai ad accettare che qualche notizia, o ragionamento, o fatto storico ti possa portare dall’altra. E se il ragionamento ti porta dalla parte opposta, la tua empatia ne risente, o gli altri ti percepiscono come privo di empatia. Vale oggi per la guerra in Ucraina, ma valeva anche ieri per le “guerre umanitarie”, o per quelle contro il terrorismo.
Noi, per come funziona la nostra mente, non siamo capaci di sopportare quel che invece nutre la grande letteratura, ossia l’imperfezione del bene e la complessità del male.
La tendenza a dividere tutto in buoni e cattivi.
Abbiamo bisogno di pensare che il mondo delle vittime sia senza ombre, e quello dei carnefici sia del tutto privo di umanità. Ogni spiegazione del male ci appare un’offesa al bene, e il bisogno di sentirci dalla parte del bene ci impedisce di vedere i nostri limiti.
È un vero peccato, anche se —dopo Festinger — sappiamo che è connaturato al modo di funzionare del nostro cervello. È un peccato perché, se può essere vero, come scrisse Primo Levi, che “comprendere è quasi giustificare”, è altrettanto vero che spiegare il male (che è cosa ben diversa dal comprenderlo) è essenziale per evitare il suo ripetersi, ed è ancora più essenziale adesso, quando una maggiore lucidità potrebbe guidarci a prendere le decisioni giuste.
La pietà e la solidarietà per le vittime non dovrebbero mai essere scalfite dalla ricostruzione dei torti e delle ragioni delle parti in gioco, che — nella storia — sono sempre entità collettive, ovvero partiti, nazioni, imperi, potenze che agiscono sopra le teste della gente comune.
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Consigliamo vivamente l’acquisto dell’ultimo libro di Luca Ricolfi, scritto assieme alla moglie Paola Mastrocola: Manifesto del libero pensiero (La Nave di Teseo 2021).
2 commenti a Cercasi liberi pensatori, la denuncia di Luca Ricolfi
Queste disamine generali riguardo al bene e al male e alla cosiddetta “apertura mentale”, molto morale e poco “aperta”, non solo danno l’idea di essere provocatorie e sostanzialmente prive di basi convincenti, ma anche totalmente inattendibili, sebbene siano anche molto affascinanti…
Queste disamine generali riguardo al bene e al male e alla cosiddetta “apertura mentale”, molto morale e poco “aperta”, non solo danno l’idea di essere provocatorie e sostanzialmente prive di basi convincenti, ma anche totalmente inattendibili, sebbene siano anche molto affascinanti… E per fortuna che si limitano solo a questo!