La Fraternità San Carlo, il sacerdozio in amicizia e unità
- Interviste
- 25 Mar 2022
La nostra intervista del venerdì è dedicata a don Andrea Barbero, membro della Fraternità San Carlo (FSCB) di Roma. Una bella e fiorente realtà italiana, esempio affascinante di fraternità sacerdotale realmente vissuta.
Qualche settimana fa parlavamo della fraternità sacerdotale, prendendo spunto da un recente discorso di Papa Francesco.
La proponevamo come soluzione alla crisi identitaria del sacerdozio: vivere il celibato in una vita in comune con altri sacerdoti, fianco a fianco, da fratelli, nello stile del monachesimo benedettino.
Indicavamo anche una realtà italiana che già vive questa esperienza, ovvero i missionari della Fraternità San Carlo (FSCB) di Roma. Nei luoghi del mondo in cui si recano in missione, abitano assieme, nella stessa casa, mangiano assieme, pregano assieme. Ed assieme guidano le parrocchie.
Ma è una buona idea estendere la loro esperienza a tutti i sacerdoti diocesani?
UCCR lo ha chiesto direttamente a don Andrea Barbero, padre spirituale del Seminario e superiore di una delle case della Fraternità San Carlo.
DOMANDA – Don Andrea, a partire dai vostri seminaristi la fraternità sacerdotale la vivete come identità, come carisma. Ci aiuta a capire di cosa si tratta?
RISPOSTA – Il nostro fondatore, don Massimo Camisasca, vescovo emerito di Reggio Emilia, ha voluto la parola “fraternità” all’inizio del nostro nome perché noi viviamo il ministero sacerdotale in comunione e la fraternità è sostanziale per noi, è il nostro metodo missionario.
La fraternità non è una strategia per rendere più efficiente il ruolo del prete, come a dire che unire le forze è meglio, ma siamo convinti che la missione è innanzitutto testimonianza di una comunione di vita, di un’unità e non un’iniziativa del singolo. A maggior ragione oggi, dove l’individualismo è molto diffuso.
La comunione tra gli uomini non è strumento, ma il fine della vita e, nel nostro caso, è lo scopo della nostra missione.
La soluzione è la fraternità, non l’abolizione del celibato.
DOMANDA – Nel suo discorso, il Papa indica la fraternità sacerdotale anche come aiuto a vivere il celibato. Cosa ne pensa?
RISPOSTA – Assolutamente si. Non amiamo molto la parola celibato perché sottolinea la mancanza di un partner, mentre la nostra vita è celibe solo dal punto di vista civile quando in realtà è comunionale.
Per questo ci sentiamo molto meglio descritti dalla parola verginità, che invece implica una comunione con Dio e non un autoisolamento dal mondo. Non siamo dei solitari, anche se guardiamo con profonda ammirazione l’esperienza monastica autentica.
Ciò che dice il Papa è molto vero, la fraternità aiuta a vivere l’esperienza del celibato perché permette agli elementi affettivi di non essere mortificati in una forma innaturale, perché l’uomo non è fatto per essere solo ma per vivere la comunione.
La Chiesa ha bisogno di una reciprocità tra le due forme vocazionali, la verginità consacrata ed il matrimonio. In questo senso, la soluzione non è certo l’abolizione del celibato o il renderlo volontario perché la vita affettiva è possibile viverla anche nel sacerdozio, proprio attraverso la fraternità.
DOMANDA – Le diocesi ci stanno provando tramite le unità pastorali.
RISPOSTA – E’ vero, persiste però il problema di considerare la fraternità come uno strumento, mentre la solitudine non si vince con delle strategie ma con un’esperienza in cui la comunione è realmente vissuta.
Io non sono insieme a te semplicemente perché questo mi rende meno solo e più efficace, ma perché noi siamo già uniti da un Altro, siamo già insieme. L’unità è un aspetto ontologico, non sociale.
Questa concezione di sé può essere vissuta anche non vivendo assieme ma rimarrebbe un’esperienza interiore che fatica a svilupparsi, al contrario se l’ideale della fraternità è vissuto in una modalità concreta allora si incarna nella realtà.
Fraternità San Carlo: valorizzare l’amicizia tra i preti
DOMANDA – In definitiva, lei proporrebbe a tutti i sacerdoti (anche non missionari) l’esperienza di una vita comune, di una fraternità?
RISPOSTA – Più che una soluzione alla crisi del sacerdozio è una riscoperta: il prete diocesano dovrebbe già concepirsi in comunione con il vescovo e con gli altri preti.
Questo già accade in alcune diocesi, grazie all’iniziativa di vescovi lungimiranti. Ma è anche vero che la fraternità non si improvvisa, noi la educhiamo nei nostri seminari dal primo giorno.
Valorizziamo l’amicizia tra noi, le preferenze. Il nostro ideale di sacerdote non è il curato di campagna, un’immagine bella ma non è la forma ordinaria di vivere la vocazione sacerdotale.
Il Papa suggerisce così di riscoprire il valore dell’amicizia tra i preti, in unità con il proprio vescovo. Già questa è una forma di fraternità.
Se però non è imparato in seminario e non è oggetto di educazione permanente, lasciato alla buona volontà di alcuni, non crea storia. La fraternità non è uno slogan ma una strada che va educata, sostenuta e riconfermata. Va quindi proposta a tutti, anche concretamente, ma come riscoperta di una strada che i preti possono già vivere.
Esistono le vicarie nelle diocesi, degli incontri tra sacerdoti di una certa zona che dovrebbero favorire un certo tipo di fraternità. Spesso però ci si riduce ad aspetti amministrativi, a lamentarsi del vescovo o a suggerimenti su come fare il catechismo, ma questo è team building!
Ciò di cui c’è bisogno è favorire una concezione di sé per la quale io e te siamo già insieme in quanto battezzati. L’unità viene relegata sempre dopo l’aspetto pastorale, l’efficacia delle proposte.
Se il sacerdote prende coscienza della sua vocazione e la vive fino in fondo sarà già efficace secondo la grazia di Dio. Si parla tanto di riforma dei seminari ma le vere riforme sono sempre delle riscoperte, altrimenti seguono le mode del momento.
Perché pregare se Dio è onnisciente?
DOMANDA – Lei è stato per tanti anni missionario a Praga, vicino ai bombardamenti in corso. Oggi è una giornata storica, la Chiesa si unisce nel consacrare l’Ucraina e la Russia.
RISPOSTA – La giornata è storica, la consacrazione non è solo un atto di devozione ma un giudizio sulla storia, il Papa invita tutti a guardare al cielo perché la pace non è solo questione di uomini.
E’ un aiuto all’umanità a capire che per promuovere la pace si inizia rimuovendo il peccato, è la cosa più concreta che noi cristiani possiamo fare: invitare l’umanità a guardare al cielo perché i cuori si sciolgano. Non basta la diplomazia, serve Dio, serve Maria come madre di tutti. Molti laici guardano a questo atto con speranza.
Tra l’altro l’arcivescovo di Mosca, mons. Paolo Pezzi è un nostro confratello, appartiene alla Fraternità San Carlo.
DOMANDA – Ci è arrivata una domanda in redazione: perché abbiamo bisogno di invocare l’aiuto di Dio, tramite l’intercessione di Maria? E’ come se dovessimo suggerire noi cosa è meglio per gli uomini.
RISPOSTA – E’ una domanda antica e comprensibile: se Dio è onnisciente non ha certamente bisogno che gli diciamo noi cosa fare.
I padri della Chiesa, a partire da San Bernardo, rispondono che quando preghiamo non comunichiamo a Dio delle cose che non conosce ma, facendole presente a Lui, ne prendiamo piena coscienza noi.
Pregando (o consacrando), non suggeriamo a Dio cosa è meglio fare ma chiediamo a Lui di darci la forza di fare ciò che gli stiamo chiedendo. L’uomo, infatti, si trova spesso senza una volontà adeguata di compiere il bene.
Fraternità San Carlo, come entrare in contatto.
DOMANDA – La vostra forma di vivere il sacerdozio e la missione è davvero affascinante, se qualche giovane o meno giovane volesse incontrarvi come fa?
RISPOSTA – Sul nostro sito web ci sono i contatti della segreteria, incontriamo chiunque voglia ed organizziamo anche degli eventi pubblici in collaborazione con diversi parroci in Italia.
Leggi le nostre altre interviste del venerdì.
2 commenti a La Fraternità San Carlo, il sacerdozio in amicizia e unità
Ma sono solo a roma?
Non li conoscevo, grazie! Ho già visto i loro prossimi incontri sul sito e mi sa che mi recherò