Gemma Calabresi, moglie del commissario: la sua conversione

La conversione di Gemma Calabresi, vedova del commissario Luigi Calabresi. Il percorso di fede iniziò proprio la mattina del 17 maggio 1972, quando le uccisero il marito. I mandanti morali ancora non le hanno chiesto scusa. E’ uscito il libro che racconta la sua storia.


 

E’ la storia di un perdono e di una conversione sbocciata in modo incredibile e drammatico.

In un libro la vita di Gemma Calabresi, vedova del commissario Luigi, si intitola La crepa e la luce (Mondadori 2022).

Luigi Calabresi venne assassinato il 17 maggio 1972 da due militanti di Lotta Continua, ma uno dei mandanti fu Adriano Sofri, incarcerato per concorso morale in omicidio e fino a poco tempo fa editorialista di spicco di Repubblica.

In una bella intervista, Gemma Calabresi -madre del famoso giornalista Mario- ha raccontato di sé e del giorno dell’omicidio del marito, esprimendo una semplice ma radicata fede cattolica.

Il commissario di polizia Luigi Calabresi venne ingiustamente accusato da militanti di sinistra della morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli dopo la strage di piazza Fontana. «Trovavo le scritte sui muri vicino a casa, nella discesa verso la metro», ricorda la moglie. «“Calabresi assassino”, “Calabresi sarai giustiziato”, “Calabresi farai la fine di Pinelli”».

 

Quella mattina…la conversione di Gemma Calabresi.

La mattina del 17 maggio 1972 lo freddarono in un agguato in piazzale Baracca, a Milano.

Appena saputolo, racconta oggi la donna, «mi accasciai sul divano. Mi sentivo distrutta, svuotata, abbandonata. Un dolore lacerante, anche fisico. Non so quanto tempo sono stata lì, con le mani nelle mani di don Sandro. So che a un certo momento Dio è arrivato. Dio era lì con me, su quel divano. Ne sono assolutamente certa. Ho sentito una pace profonda. Tutto, le persone che parlavano piangevano gridavano, tutto era ovattato, distante».

Gemma Calabresi aveva ricevuto un’educazione religiosa ma la sua fede, fino a quel momento, era formale.

«Il dono della fede arrivò allora», racconta. «Proposi a don Sandro: “Diciamo un’Ave Maria per la famiglia dell’assassino“. Ma non era roba mia. Io ero una ragazza di venticinque anni cui avevano appena ammazzato il marito. Era Dio che mi indicava la strada, che rendeva testimonianza attraverso di me. Lì ho capito che ce l’avremmo fatta, io e i bambini. Certo, sapevo che la vita non sarebbe più stata la stessa. Ma sentivo che non ero sola».

Con questo fatto drammatico iniziò la conversione di Gemma Calabresi e il percorso di fede che la porterà a perdonare gli assassini del marito.

L’umiliazione proseguì anche all’obitorio, appena uscita si imbatté in ragazzi dell’estrema sinistra «che inveivano contro mio marito, che gridavano insulti e slogan. Puoi anche essere contento in cuor tuo che abbiano ucciso il commissario Calabresi; ma non puoi urlarlo in faccia alla vedova, che poi era una ragazza poco più grande di loro».

 

Gemma Calabresi è stata ospite recentemente del Centro Culturale di Milano:

 

L’omicidio Calabresi, ancora un tabù per certa stampa.

Ma l’omicidio di Luigi Calabresi è ancora un tabù per una certa area giornalistica.

Molti dei mandanti morali, autori di una violenta campagna ideologica di denigrazione e odio che armò la mano dei killer di Calabresi, ancora oggi intervengono sui media occupandosi di morale e tematiche etiche.

Prima dell’uccisione del commissario, infatti, l’Espresso pubblicò un manifesto contro il «commissario torturatore» firmato dalle grandi firme di allora, dando avvio alla denigrazione pubblica verso Luigi Calabresi, fino al giorno della morte. Anche in seguito, tutti i giornali si dimostrarono innocentisti verso gli imputati che, alla fine, vennero però condannati.

Tra i firmatari ed accusatori di Calabresi vi furono:
Polo Mieli,
Eugenio Scalfari,
il regista Marco Bellocchio,
Giorgio Bocca,
Tinto Brass,
Liliana Cavani,
Dario Fo,
Franca Rame,
Federico Fellini,
Umberto Eco,
Furio Colombo,
Natalia Ginzburg,
Margherita Hack,
Dacia Maraini,
Alberto Moravia,
Massimo Teodori ecc.

Giampaolo Pansa declinò l’invito a firmare e sosterrà che la lettera costituì «un avallo al successivo assassinio di Calabresi». Gli unici, tra quelli citati, ad essersi scusati risultano essere Paolo Mieli ed Eugenio Scalfari.

Paolo Mieli, infatti, ha dichiarato: «Mi vergogno di aver firmato quell’appello contro Luigi Calabresi. Facemmo un errore, abbiamo dato una colpa a qualcuno con una scusa. Dicevamo: “io so chi è stato non ho le prove. Ma so chi è stato”. Tanto poi a sparare sono altri e io poi vado avanti e ridirò la stessa cosa: “io so, ma non ho le prove”. Beh, io mi vergogno davvero di quella cosa. Non è una bella pagina della mia vita».

 

Adriano Sofri, mandante ed editorialista di Repubblica.

Per anni il mandante morale dell’omicidio Calabresi, Adriano Sofri, ha firmato articoli su Repubblica, ad esempio sponsorizzando le unioni omosessuali. Oggi scrive su Il Foglio.

Ebbe il buon gusto di fare le valigie quando nel 2015 il figlio del commissario, Mario Calabresi, divenne direttore di Repubblica.

Alla domanda se abbia mai parlato con Sofri, Gemma Calabresi ha risposto seccamente: «No».

Effettivamente Sofri non chiese mai scusa ai Calabresi.

L’unica volta che si avvicinò a farlo fu tramite la mediazione di Indro Montanelli. Così, dal carcere, l’ex leader di Lotta Continua scrisse alla vedova Calabresi: «Montanelli mi chiede, testualmente, di dirle che la campagna di denigrazione e di istigazione contro suo marito, e padre dei suoi figli, fu un’infamia. Glielo dico. Mi chiede di dirle: quella volta mi sbagliai. Glielo dico».

Il figlio del commissario, Mario Calabresi, nel 2021 ha sottolineato che oggi diversi protagonisti di quell’epoca (come i mandanti morali ed i firmatari del vergognoso appello) sono ancora in tv, sui giornali, nella cultura quotidiana a “pontificare” senza aver mai detto una parola di scuse o meglio aver aggiunto frammenti di verità. «Anche Adriano Sofri sa delle cose ma non le ha mai voluto dire», aggiunge amaramente l’ex direttore di Repubblica.

 

Tornando a Gemma Calabresi e alla sua conversione, la donna ricorda quella «consapevolezza calda» che «mi aveva avvolta: Dio aveva già perdonato le persone responsabili della morte di Gigi e io avevo tempo, il mio tempo per farlo. E non sarei stata sola in questa strada, perché — lo sapevo — Lui sarebbe stato con me».

Una testimonianza potente di perdono cristiano, che non toglie però la responsabilità per i firmatari di quel terribile atto di accusa, molti ancora vivi, di chiedere perdono ed evitare di ergersi a luminari di morale progressista.

La redazione

3 commenti a Gemma Calabresi, moglie del commissario: la sua conversione

  • O Cinese ha detto:

    Io impazzisco nel vedere un assassino criminale come Sofri scrivere in una testata nazionale. Il commissario Calabresi è stato ucciso due volte.
    Gente come Sofri avrebbe dovuto essere rovinata. Auspico la giustizia divina per mostri simili.

    • Paolo Masi ha detto:

      Si è stato un assassino ma ha pagato la sua pena e quindi ora è giusto che sia libero.
      L’errore è dei giornali che lo invitano a parlare in quanto non ha mai chiesto davvero scusa alla famiglia.
      Lo stesso tanti amici di Lotta Continua sopra citati, gli stessi che ci troviamo ogni giorno in televisione a parlare di etica, morale e cosa avrebbe dovuto fare tizio e caio.

  • Bokeh ha detto:

    Gente come Sofri avrebbe dovuto essere rovinata

    Perchè gli assassini vanno perdonati ma Sofri no?

    Aver perdonato gli assassini a chi è tornato utile?

    Dio è arrivato con don Sandro.. e se fosse arrivato un islamico o un buddista sarebbe arrivato Allah.. o Buddha?

    Convertire una persona in preda ad un dolore terribile, in stao di forte debolezza mentale ed emotiva è immorale.

    Una persona in questo stato ha certamente bisogno di conforto ma non di essere vittima di proselitismo.