I Vangeli sono fonti di parte! Come tutte le opere antiche

Come si può credere ai vangeli se sono fonti di parte? La non imparzialità delle fonti è un ostacolo all’analisi storica? Ecco perché chi lo sostiene non si accorge degli errori logici di questa tesi.


 

I Vangeli sono fonti di parte, perciò non sarebbero credibili. Almeno così dicono.

Spesso viene usata anche la variante: ““Non si può usare la Bibbia per provare la Bibbia!”.

In queste poche parole sono presenti diversi errori logici che andiamo ad analizzare.

Il primo errore, forse il meno grave, è confondere la Bibbia con i vangeli, in totale si tratta di 73 libri scritti in un raggio temporale che spazia all’incirca dal 2000 a.C. al 100 d.C., con contenuti, messaggi teologici e generi di scrittura totalmente diversi.

 

I Vangeli sono di parte, ma non è un problema

Al di là della confusione, chi nega l’attendibilità storica delle fonti cristiane (miticista) sostiene che si dovrebbero ritenere affidabili solamente fonti imparziali, neutrali verso i contenuti che raccontano.

Ma gli studiosi lo sanno bene ed è un punto di attenzione utilizzato per tutti i documenti del passato.

Nell’affrontare i testi cristiani, essi usano la stessa analisi critica (in molti casi perfino più severa) utilizzata per tutti i testi antichi, cercando di capire: chi sono gli autori? Qual è la data di composizione? Quali potrebbero essere state le loro fonti? Per chi sono stati scritti? Per quale motivo? In quale contesto? Qual era l’obiettivo dell’autore? Quali pregiudizi può avere avuto?

Questo esame critico e forense dei testi è ciò che gli studiosi adottano studiando tutti i testi del mondo antico.

Sostenere che (solo) i testi cristiani debbano essere inammissibili perché nel tempo sono anche diventati documenti di fede non ha alcun rapporto con l’eventuale utilizzo di questi testi da parte della ricerca storica.

Il fatto che altri cristiani, molto tempo dopo la morte degli autori, abbiano collocato questi testi nel canone del Nuovo Testamento non ha niente a che vedere con la veridicità dei racconti. La pretesa esplicita dei Vangeli è quella di descrivere e raccontare un fatto storico, pur inedito e incredibile (l’incarnazione di Dio tra gli uomini) e tale volontà va analizzata criticamente, come si fa in maniera seria da diversi decenni in tutte le università del mondo.

Molti di coloro che sostengono tali leggerezze semplicemente non conoscono i metodi dell’analisi critica dei testi. Altri sono solamente infastiditi dalle conclusioni che gli studiosi traggono ma, ironia della sorte, non sembrano avere problemi con quanto dicono i portavoce del miticismo (Richard Carrier, Robert M. Price, Earl Doherty ecc.), i quali utilizzano gli stessi testi cristiani (le stesse fonti da loro ritenute inattendibili) per trarre conclusioni storiche ed interpretazioni diametralmente opposte a quelle degli storici di professione.

 

Nessun testo è neutrale (Tacito, Cesare, Tito Livio…).

Il vero punto debole di questa tesi è che se davvero ogni fonte parziale dev’essere inattendibile, i vangeli non sono più tendenziosi, ad esempio, dell’Agricola, la biografia che Tacito scrisse nel 98 d.C. in memoria del suocero Giulio Agricola: un’opera disinibita di plateale favoritismo.

Che dire invece della storia di Roma scritta da Tito Livio nel 9 d.C., in cui l’autore stesso ammette di voler lodare le azioni gloriose del più grande popolo della terra, cioè i Romani.

Era abituale dichiarare la tesi che si voleva difendere all’inizio dell’opera e l’evangelista Luca era in buona compagnia con gli storici antichi quando scrisse di aver pubblicato il proprio Vangelo perché Teofilo (l’uomo a cui indirizza il suo vangelo) «possa conoscere la verità sulle cose su cui sei stato informato» (Lc 1,4).

Ecco come descrive questi paradossi il prof. José Miguel Garcia, docente di Cristianesimo delle origini all’Università Complutense di Madrid:

«La credibilità delle fonti cristiane è posta in discussione in quanto si tratta di testimonianze rese da cristiani in favore di altri cristiani; ossia, sono opere non neutrali. Laddove il dubbio sia legittimo, per lo stesso motivo si dovrebbe dubitare anche dei dati biografici di Socrate, trasmessi dai suoi discepoli Senofonte e Platone, o della veridicità delle gesta compiute da Cesare, narrate dall’imperatore stesso, giacché si tratta di informazioni che provengono da testimoni di parte. Tuttavia nessuno studioso serio ha messo in discussione il valore di queste fonti per la ricostruzioni di tali avvenimenti storici»J.M. Garcia, Il protagonista della storia. Nascita e natura del cristianesimo, Rizzoli 2008, p. 18.

 

Allo stesso modo, ecco le parole dell’agnostico Bart D. Ehrman, a capo del Dipartimento di Studi religiosi dell’Università della North Carolina:

«Le storie su Gesù raccontate dagli evangelisti hanno peso né più né meno degli scritti di qualsiasi altro biografo antico (Svetonio, per esempio, o Plutarco) o forse, per fare un paragone più appropriato, di chiunque abbia scritto la biografia di una figura religiosa, per esempio Filostrato e il suo resoconto della vita di Apollonio di Tiana. Noi non accantoniamo i primi resoconti sulla Guerra di indipendenza perché sono stati scritti da americani. Teniamo conto della loro parzialità ma non ci rifiutiamo di utilizzarli come fonti storiche. Rifiutarsi di utilizzarle in tale senso significa sacrificare le nostre principali via di accesso al passato, e per ragioni meramente ideologiche, non storiche. Indipendentemente dal fatto che siano ritenuti o meno fonti storiche ispirate, i Vangeli possono essere considerati e utilizzati come fonti storiche importanti»B.D. Ehrman, Did Jesus exist?, HarperCollins Publishers 2012, pp. 74, 75.

 

Con la sua proverbiale ironia, anche il filosofo francese Jean Guitton sottolineò l’assurdità della questione:

«Gli increduli negano che i Vangeli siano documenti storici perché, dicono, sono scritti da credenti, cioè da uomini che prima degli avvenimenti non credevano, ma hanno cambiato opinione perché gli avvenimenti che raccontano li hanno portati a modificare il loro primo stato d’animo […]. Gli increduli sono difficili, cosa richiedono perché risultiamo onesti davanti ai loro occhi? Esigono documenti scritti da testimoni che, avendo visti gli stessi avvenimenti, non concedano ad essi alcun significato. E’ contraddittorio»Jean Guitton, Gesù, Elledici 1997, p. 134.

 

I libri contro i vangeli sono opere di parte.

Il paradosso dei paradossi è che se un criterio è valido per il passato, lo è anche per il presente.

Perciò, se è vero solo ciò che è neutrale allora questo penalizza anche coloro che scrivono libri sull’inattendibilità dei testi cristiani. Sono anch’esse opere per nulla imparziali, in quanto mettono per iscritto ciò in cui già preventivamente credono.

Il buon senso vuole che tutte le fonti -pro o contro- possono essere utili per ricostruire la verità storica. L’unica condizione richiesta è che vengano analizzate seriamente secondo la critica della scienza storica.

 

Ecco perché i testi cristiani sono più temuti.

La verità di fondo è che le fonti cristiane incutono più timore di qualunque altro scritto antico e questo spiega perché dal 1700, almeno, miriadi di instancabili miticisti si sforzino per negarne l’attendibilità storica.

I vangeli, infatti, parlano di eventi che hanno ancora la forza di condizionare enormemente il presente di ciascuno, ovvero del fatto che Gesù sia il figlio di Dio, che abbia operato miracoli e sia resuscitato dopo la morte, rimanendo misteriosamente presente nella storia umana.

Davanti a ciò nessuno può rimanere indifferente, come invece sarebbe possibile davanti alle campagne militari di Giulio Cesare, ad esempio.

Vorremmo però tranquillizzare i timorosi: la ricerca storica è di enorme importanza per la fede cristiana ma non può per sua natura trarre conclusioni sulla reale divinità di Gesù Cristo, anche se non sono pochi gli storici che alla fine delle analisi sulle tracce che questo evento eccezionale ha impresso nella storia sono giunti alla conversione, convinti che Gesù di Nazareth era realmente ciò che diceva di essere.