Lo studio che una femminista non ti farebbe leggere mai
- Ultimissime
- 14 Mar 2019
Femministe e figli. L’età giusta per avere un figlio è attorno ai 32 anni, ancora prima se se ne vogliono di più. Rimandare , per la carriera o per altri motivi significa perdere la possibilità di essere madre, troppe donne sono state ingannate dal femminismo. La testimonianza di Lea Melandri.
La ricerca è di qualche anno fa ma è comunque utile come opportunità di riflessione per tutte le giovani femministe alle quali viene ancora oggi insegnato che il matrimonio andrebbe rimandato, che i figli bisogna averli dopo la carriera e in quel fantomatico momento in cui “ci si sente pronte” (ma quando ci si sente davvero pronte?), tanto si può rimanere incinte in qualunque momento.
Dopo i 32 anni si dimezzano le probabilità di avere figli.
Eppure New Scientist ha reso pubblico uno studio dell’Università di Rotterdam che ha calcolato che il momento migliore per iniziare ad avere un figlio è 32 anni, quando si ha il 90% di possibilità di rimanere incinte. Se si desidera più di un figlio, è meglio iniziare a 23 anni. A 35 anni, invece, le probabilità si saranno già ridotte al 50%. Si ritiene che la fertilità femminile inizi a diminuire a 30 anni, con una caduta più significativa dopo i 35 anni.
La diversità tra maschi e femmine, al contrario delle teorie gender.
In barba agli studi gender che sostengono l’uguaglianza e l’intercambiabilità tra maschi e femmine, anche dal punto di vista della fertilità vi sono enormi differenze tra uomini e donne. I primi, infatti, non hanno una crisi di fertilità se non dopo i 40 anni, ha spiegato Allan Pacey, professore di Andrologia all’Università di Sheffield (Regno Unito).
Donne ingannate dal femminismo: da Lea Melandri a Emma Bonino.
Quante donne sono state ingannate dall’ideologia femminista! Quante promesse di felicità non mantenute! Quanti rimpianti! La storica femminista Lea Melandri lo ha confessato con un po’ di amarezza: «Col femminismo l’idea di fare figli non si poneva. Non ho mai avuto l’idea della coppia, della famiglia, del matrimonio, della convivenza. Non c’era nemmeno l’idea del “faccio un figlio”, non si poneva nei termini di scelta». Al centro del pensiero femminista c’è solo l’io, il proprio ombelico, i propri diritti, le proprie rivendicazioni, le proprie battaglie, il proprio lavoro, il proprio benessere.
La scelta, prosegue Melandri, era tra «l’essere madre o l’essere donna, la madre e la donna non si integravano. Il femminismo è stato una generazione di figlie che si ribellavano alle madri, e in questo io mi sono ritrovata perfettamente, pensavo che si sarebbe aperto un cammino che sarebbe potuto durare una vita, che questo interrogativo e questa costruzione di sé come persona, come individuo, sarebbero continuati a crescere». Ancora oggi i rimasugli del femminismo, esemplificati da esempi come la bioeticista Chiara Lalli, disquisiscono sull’inesistenza di «un istinto materno, una innata e naturale competenza femminile all’accudimento». Tutte leggende, sarebbero.
Eppure è palese la tristezza di chi davvero ha creduto alle bugie femministe, come quella ben espressa da Rossana Rossanda, storica femminista e fondatrice de Il Manifesto: «Aver avuto figli? Adesso mi sentirei meno sola e sopratutto avrei la percezione di avere tramandato qualcosa di me». Purtroppo, «avevo troppo da fare», l’ideologia ha preteso tutto. «Non sono mai stata moglie, mai madre. Sola lo sono sempre. Sola intimamente, politicamente», si è lamentata invece Emma Bonino. «Piango moltissimo, da sola. Su questo divano. Mi appallottolo qui e piango».
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