Un commento al “senso della morte” di chi non crede

significato morireSenso della morte. Un commento alle parole del filosofo non credente Salvatore Natoli, per il quale il senso della morte degli atei è lasciare se stessi in eredità a chi resta. Un rispettabile pensiero che però non ha la forza di reggere ad uno sguardo più attento.

 

Da questa avventura che è la vita, nessuno di noi ne uscirà vivo. La morte è ciò che nega tutto quanto si è affannosamente costruito, è ciò che nega il senso, è l’assenza. Quale senso può avere questo enorme limite, se non una profonda ingiustizia che sminuisce ogni azione umana, resa inutile dalla ghigliottina di una data di scadenza che, prima o poi, la cancellerà?

 

“Il senso della morte è lasciare traccia di sé”, dice il filosofo ateo. Ma non basta.

E’ interessante leggere l’opinione del filosofo Salvatore Natoli, ordinario dell’Università Milano-Bicocca, un non credente “pensante”, come direbbe il card. Carlo Maria Martini. All’avvio di un tour di incontri e letture sul tema “Il morire e la morte”, ha spiegato che «il senso della morte è un darsi in eredità a chi è stato importante per noi nella vita, è fondamentale non morire soli, sapendo che la propria vita verrà ceduta, passerà, ad un altro, o ad altri, con cui si è stabilita una vera relazione durante la vita».

E’ con profondo rispetto che ci accostiamo a queste parole, un tentativo onesto di sfidare l’insensatezza dell’esistenza. Eppure un pensiero emerge spontaneo: sapere di lasciare traccia di sé in chi rimane, forse può essere significativo per un importante filosofo come il prof. Natoli ma non a tantissimi suoi lettori che, come altre miliardi di persone, moriranno soli, senza figli, senza legami importanti, senza qualcuno che si ricordi veramente di loro. Il laico “senso della morte” risulta così poco convincente per l’uomo comune, non ha la forza di reggere, non ha ragioni valide adeguate alla realtà.

Ma anche per i pochi “eletti” che riusciranno a lasciare se stessi in eredità a qualche persona per qualche tempo dopo la loro scomparsa, davvero le gioie, le speranze, i dolori, le fatiche, le lotte quotidiane, la sofferenza dell’esistenza possono riempirsi di un significato solo alla luce della speranza che, forse, saranno ricordate e apprezzate da qualcuno? Davvero la vita dei nostri predecessori, dei nostri nonni o genitori scomparsi, ha avuto un senso solo perché qualcosa di loro è rimasta nella nostra memoria? Almeno per un breve periodo, fino a quando il tempo non sbiadirà il ricordo.

Molta stima per il filosofo e per chiunque si sofferma su queste riflessioni, ma il senso della vita e della morte in una prospettiva totalmente immanente è destinato a rimanere un no-senso. E’ più crudelmente realista Jean-Paul Sartre quando definisce l’esistenza una parentesi tra due nulla, una effimera scintilla tra il non c’ero e il non ci sarò, una collocazione accidentale di atomi fonda «le salde fondamenta di un’inesorabile disperazione», secondo Bertrand Russell (A Free Man’s Worship, Portland 1923).

 

Fede e ragione, così la realtà diventa segno tangibile del Mistero.

Se dall’immanenza si passa invece alla trascendenza, le cose cambiano in modo radicale. Il dono della fede è innanzitutto un dono alla ragione, perché ne potenzia la capacità di intercettare l’eternità che già vive nella realtà: il suo essere voluta da Qualcuno, il suo essere creata e perciò amata. La percezione che tutto è dato per me e non c’è nulla a cui io sono estraneo.

E’ anch’essa un’illusione? No, perché la verità è che la verità cambia o, per meglio dire diversamente: è vero/reale solo ciò che cambia. Nessuna illusione riempie il cuore umano, rende felice l’esistenza, collima con il bisogno di significato che ci abita da sempre, abbandona alla serenità e alla positività, diviene ragionevole certezza su cui costruire il proprio cammino. Di un’illusione non si può fare esperienza tangibile e innegabile come invece i cristiani fanno, quando non riducono la fede ad uno sforzo mentale ma incontrano il Mistero nei volti di coloro che Dio ha chiamato come testimoni. La fede non è illusione perché non è il prodotto dalle nostre esperienze interiori ma è un evento che ci viene incontro dal di fuori, e fa sperimentare ogni giorno che la realtà è segno che rimanda ad un Altro.

Solo vivendo consapevolmente la compagnia cristiana si fa esperienza, qui e ora, della presenza fisica di Dio, solo attraverso lo sguardo e il comportamento che Egli suscita in coloro che ci sono stati messi accanto nel cammino che si conosce chi è Cristo. «Dio è il presupposto fondamentale di ogni realismo», scriveva Ratzinger (Introduzione al cristianesimo, p.12) ed il teologo belga Ignace de la Potterie insegnava che quella cristiana non è affatto una fede cieca, ma un’intelligenza dei segni che sa comprendere la verità profonda dei fatti che accadono e sa conoscere la verità tramite i testimoni credibili. Così, «è naturale per l’uomo scoprire la verità intellegibile a partire da fenomeni sensibili» (Tommaso D’Aquino).

 

La vita e la morte hanno un significato convincente solo in una prospettiva trascendente.

Sull’esperienza tangibile di una Presenza nell’oggi l’esistenza acquista un significato eterno, che oltrepassa l’ostacolo della morte. Questa non sarà più l’ultima parola, ogni episodio accadutoci vive già una prospettiva di eternità, ogni relazione ed ogni fatica umana si appoggia sulla certezza del senso, non del dubbio o dell'”inesorabile disperazione”. E, sopratutto, è alla portata di chiunque, anche di chi muore solo, dimenticato e sconosciuto, senza nessuno a cui “lasciare in eredità se stessi”, secondo le parole citate inizialmente del filosofo Salvatore Natoli. Anche questo individuo, dimenticato da tutti già quando è in vita, vive una morte colma di senso perché abbracciata dall’Eterno.

Dalla risposta alla domanda sulla realtà di Dio dipende l’intera vita umana, se rispondiamo positivamente il “senso del mondo” (e della morte) potrà dirsi fondato, ma andrà cercato fuori da esso. Se non rispondiamo, l’incertezza ci dominerà e il dubbio sarà l’unica compagnia. Se invece rispondiamo negativamente, si sarà costretti a precostituirsi un alibi per giustificare la nostra presenza nel cosmo. «E a questo scopo non sarà certo sufficiente il puro caso, che può forse risultare una spiegazione accettata dalla scienza, ma mai una ragione per vivere e morire serenamente» (R. Timossi, Prove logiche dell’esistenza di Dio, Marietti 2005, p. 20).

La redazione

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8 commenti a Un commento al “senso della morte” di chi non crede

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  1. Sisco ha detto

    Qui ci si dimentica completamente delle parole del Foscolo nei Sepolcri: “sol chi non lascia eredità d’affetti/poca gioia ha dell’urna” che poi sono le parole di Natoli. Certo vivere nella certezza della fede è un dono, ma chi ci assicura che non sia anche una terribile illusione; facile abbandonarsi alle fantasie, ma prima o poi la realtà (anche quella sperimentata da Sartre nella “Nausea”) bussa alla porta… I santi ingaggiano la lotta con la realtà e la vincono a costo di morire e perché? Perché non hanno il coraggio di vivere e mettono dietro al mondo la loro Verità (non come nell’articolo dove si dice che il senso del mondo e della morte vanno cercati fuori di esso*)
    * a tal proposito si legga il passo sui calunniatori del mondo nello “Zarathustra” di Nietsche.

  2. giuliano ha detto

    Penso che la fede sia una necessità, a maggior ragione nei confronti di un tema così forte qual è la morte. Penso la fede anche sufficiente, qualora onesta e gratuita. Ma la fede è tutto fuorchè sicurezza. E per alimentarne la fiamma penso esista un solo modo: ogni giorno giustificarne la necessità e cercarne la sufficienza. L’ateo, nel rifiutare l’unica cosa che potrebbe effettivamente dare senso alla propria vita, ovvero il pensiero di Dio, penso non possa affrontare il tema della morte in modo disinteressato e appagante. Se così fosse si potrebbe pensare che abbia compreso appieno il senso della vita (il che non può essere, perchè allo stesso modo della realtà, la morte per un essere consapevole non può trovare spiegazione esaustiva).
    Diventare eterni “lasciando traccia di se” come propone il prof. Natoli o creando/proponendo l’infinità del bello o dell’arte come avviato da Foscolo non è razionalmente sensato perchè nella ineluttabile caducità della soluzione c’è purtroppo anche l’inconcludenza della proposta.

  3. Giuseppe ha detto

    “Il male, dunque, che più ci spaventa, la morte, non è nulla per noi, perché quando ci siamo noi non c’è lei, e quando c’è lei non ci siamo più noi.” (Epicuro)

  4. Brunello ha detto

    Concordo con questi ottimo articolo: senza Dio la vita non avrebbe alcun senso se non quello di una immensa fregatura

  5. vincenzo il commercialista ha detto

    a Giuseppe. osservazione ottimistica, ma che non guarda in faccia la realtà. Infatti non può né spiegare né consolare il dolore per la morte di una persona che amiamo (coniuge, figli, amici, parenti…) quando noi rimaniamo in vita.

    • alessandro pendesini ha detto in risposta a vincenzo il commercialista

      Vincenzo
      Concordo, e aggiungo che il dolore sia fisico che morale NON poteva esistere prima della “creazione”!
      Quindi è indiscutibilmente dio che l’ha voluto, malgrado che grazie alla sua incommensurabile onnipotenza ed amore infinito per le sue creature avrebbe potuto -se l’avesse voluto- evitarlo ! Ma, a quanto pare, non l’ha voluto….
      Ripeto un’ennesima volta che il dio cristiano/cattolico da come si comporta è un tantino sadico…ma forse non se ne accorge…

  6. alessandro pendesini ha detto

    Se l’immortalità non esiste, non è per necessità biologica, ma solo perché, essendo biologicamente inutile, non è stata selezionata dall’evoluzione !

    Da notare che se la morte non fosse stata selezionata durante l’evoluzione, saremmo come minimo 80 miliardi di persone sulla Terra, quindi su una uperficie invariabile, ma con una demografia con progressione da geometrica ad esponenziale per certi stati, paradossalmente quelli più economicamente sinistrati del mondo !
    Ma l’ideologia assurda del papa in questo caso lo accieca, e la sua esecrabile politica demografica PRO-LIFE contribuisce ad un progressivo malessere, denutrizione causa di malattie severe e letali di questa povera gente !…Pazzesco

    NB -La scienza deve contemporaneamente cercare di prolungare la vita fino al suo limite “normale”, senza nessuno accanimento terapeutico, ed aiutare gli individui a svilupparlo affinché possa corrispondere a “un istinto di morte” naturale.
    L’evoluzione e l’immortalità sono due concetti incompatibili. Se gli organismi devono migliorare e rinnovarsi ogni anno, la morte è un fenomeno tanto necessario quanto la riproduzione. Guai se non esistesse…..Ma questo il papa buono sembra ignorarlo !

    E, come diceva Arthur Schopenhauer, « esigere l’immortalità dell’individuo, equivale a perpetuare un errore all’infinito »….

  7. Sisco ha detto

    Una canzone degli anni ottanta della quale non conosco l’autore diceva: “forever young, i wonna be forever young, do you really wont to live forever…” e si calcava la mano sul fatto che vivere per sempre era un’impresa impossibile e la sola possibilità che uno lo pensasse possibile era solo il frutto di una mente bacata. Per sempre giovani si! Ma la vita eterna… Incute paura solo pensare una cosa del genere: risulta inammissibile. Eppure il Cristo ha sconfitto la morte, a sua detta, o perlomeno lo credeva possibile. Poi è andata a finire diversamente, ma la possibilità Gesù neppure la escluse. Da quì a cristiani su questo sito che si abbandonano a pensieri scuri come la morte (si vedano certe parole dell’articolo) denota solo il fatto che fa più paura la vita eterna che la morte!

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