Papa Bergoglio, cristiani perseguitati e Islam: tutti i discorsi
- Attualità
- 09 Dic 2018
Bergoglio e i cristiani perseguitati: davvero non ne parla mai? Cosa dice Papa Francesco dell’Islam? Perché non è intervenuto a favore di Asia Bibi? In questo dossier tutti gli interventi del Papa su queste tematiche, discorsi spesso oscurati dai media.
Nonostante i suoi continui e ripetuti interventi, Papa Francesco viene accusato di tacere sulla discriminazione dei cristiani e di essere così complice del terrorismo islamico. “Perché al posto di parlare di ecologia/migranti/globalismo non si occupa mai dei cristiani perseguitati?”, si legge spesso sui social. In questo dossier abbiamo raccolto tutti i suoi coraggiosi interventi sui cristiani perseguitati, mostrando l’errore di queste accuse.
Viene spesso rinfacciato a Francesco di non condannare l’ideologia islamista dei persecutori dei cristiani e degli attentatori suicidi che provocano attentati in Europa. Papa Bergoglio in realtà opera una intelligente e prudente distinzione tra islam e fondamentalismo religioso, perché se tutti i terroristi sono islamici non tutti gli islamici sono terroristi e una denuncia generalizzata provocherebbe danni irreparabile e aumenterebbe il fondamentalismo. E’ un principio condiviso anche, ad esempio, dal card. Camillo Ruini -non certo tacciabile di “nuovo corso bergogliano”- il quale ha criticato come «semplicistica e per un certo verso eccessiva la reazione che prende di mira l’Islam in genere e non solo il fondamentalismo islamico, concentrandosi in particolare sul pericolo rappresentato dall’immigrazione islamica. Ad ogni modo la Chiesa non può non rifarsi alla sostanza del messaggio cristiano. Deve quindi richiamare innanzitutto l’universale fraternità umana per la quale, ne siamo o meno consapevoli, siamo tutti figli di un unico Padre. Deve però al tempo stesso dire chiaramente che Gesù Cristo è, per tutti, l’unico salvatore».
Inoltre, più volte Papa Francesco ha fatto appello ai leader islamici invitandoli a condannare il terrorismo. Nella Evangelii Gaudium, ha scritto: «Prego, imploro umilmente i Paesi di tradizione islamica affinché assicurino libertà ai cristiani, affinché possano celebrare il loro culto e vivere la loro fede, tenendo conto della libertà che i credenti dell’Islam godono nei paesi occidentali! Di fronte ad episodi di fondamentalismo violento che ci preoccupano, l’affetto verso gli autentici credenti dell’Islam deve portarci ad evitare odiose generalizzazioni, perché il vero Islam e un’adeguata interpretazione del Corano si oppongono ad ogni violenza». Curioso il fatto che uno dei principali accusatori di Francesco, il giornalista Maurizio Blondet, nel 2004 insultò Marcello Pera scrivendo: «Da Pera generalizzazioni assurde. Accusare l’islam in blocco non serve, non ci fa onore. Lo scivolamento verso stereotipi razzisti o verso il ‘non licet esse musulmanus’ è, prima che criminoide, politicamente idiota».
Occorre anche ricordare che nemmeno Benedetto XVI volle mai generalizzare equiparando l’islam al terrorismo, preferendo restare sul generale: in occasione di attentati generati da fondamentalisti islamici, Ratzinger parlò solo di “orribile attentato” (18/07/05); di “atto terroristico” (19/04/06); di “perversione della religione” (9/05/09); di “terrorismo” (15/05/09); di “discriminazione e violenza” (11/11/10); di “strategia di violenza!” (2/01/11); di “grave atto di violenza” (25/01/11); “terribile attentato” (20/10/12); di “pernicioso fanatismo di matrice religiosa” e di “falsificazione della religione stessa” (7/01/13) ecc. Tanto che nel 2009 la Chiesa di Benedetto XVI fu accusata dal rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, di avere “reazioni ammiccanti all’islam”. E lo stesso accadde alla Chiesa di Giovanni Paolo II, a “strigliarla” fu il cardinale Giacomo Biffi, arcivescovo di Bologna.
Un’altra accusa che è stata rivolta al papa è stata quella di non essere mai intervenuto a favore di Asia Bibi, la cristiana imprigionata per blasfemia dai fondamentalisti islamici per cinque anni, assolta e liberata nel 2018.
Lo scrittore Antonio Socci ha accusato Francesco di tacere e lo stesso ha fatto il vaticanista Sandro Magister. Il primo ha sostenuto che «la povera donna scrisse al Papa, ma invano», eppure Asia Bibi chiese semplicemente a Francesco di pregare per lei e mai di esprimersi pubblicamente, aggiungendo: «Ti esprimo tutto il mio ringraziamento per la tua vicinanza». Una vicinanza che, evidentemente, le arrivava per vie nascoste ai media tramite la diplomazia vaticana, la quale ritiene inopportuno esprimersi pubblicamente come ha spiegato il vaticanista statunitense J. Allen: «Papi e funzionari del Vaticano hanno sempre pesato le parole con attenzione, per paura che dire qualcosa di provocatorio possa peggiorare le cose. In questo contesto si apprezza il fatto che il Vaticano possa preferire operare dietro le quinte». Nell’aprile 2015 Asia Bibi ha approvato il viaggio che suo marito Ashiq Masih e una delle sue figlie hanno intrapreso in Europa per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla sua carcerazione con queste parole: «Quando bacerete la mano del Papa, fatelo anche per me. Quello sarà il mio bacio. E chiedetegli una benedizione».
La stessa Asia Bibi, una volta liberata, ha dichiarato: «Papa Francesco si è anch’egli commosso per la mia situazione. Sono solo una figlia di campagna, e nel mondo, ci sono così tante persone che soffrono. Per la prima volta, quella sera, mi sono addormentata col cuore al caldo». Fra i segni di questo legame, un rosario offerto da Francesco, che la donna porta con sé. La giornalista francese Anne-Isabelle Tollet si è battuta per anni sulla liberazione di Asia Bibi e nel 2020 la donna pakistana ha scritto assieme a lei la sua biografia. Tollet ha affermato rispetto al ruolo di Papa Francesco: «Dopo la seconda condanna di Asia Bibi, ho letto qua e là sulla stampa molti appelli a Papa Francesco a parlare a suo nome. Quando l’ho letto mi sono detto: “Mio Dio, se papa Francesco dice qualcosa su Asia Bibi, è finita“. Mi sono permessa di scrivergli per spiegargli che sarebbe stato controproducente perché, in Pakistan, sarebbe stato percepito come un’ingerenza della Chiesa cattolica in una repubblica islamica e che quindi era meglio, per il bene di Asia Bibi e per tutti i cristiani in Pakistan, che il Papa non parlasse pubblicamente di questo. Ha apprezzato questo messaggio e mi ha risposto che era un argomento complesso in cui era necessario saper fare diplomazia anche come leader religioso e che in questo caso era perfettamente giustificato». A conferma di quanto detto da Tollet, ricordiamo che Benedetto XVI aveva espresso vicinanza alla donna una volta sola, il 17/11/10, ma da allora le cose non migliorarono affatto, anzi la Corte d’appello confermò la sua condanna a morte.
Padre Bernardo Cervellera, missionario e direttore di Asianews, ha dichiarato a sua volta: «Tutte le volte che abbiamo fatto una campagna per chiedere la sua liberazione, ci sono stati gruppi di fondamentalisti che hanno protestato, chiedendo la sua immediata esecuzione. Per questo motivo, la chiesa locale invita ad essere cauti nel tenere manifestazioni a sostegno di Asia Bibi, così come raccolte firme o campagne per la sua liberazione, perché si rischia di creare reazioni negative dei fondamentalisti». Lo stesso ha detto Jacques Behnan Hindo, capo dell’arcieparchia siro-cattolica di Hassakè-Nisibi: «Il momento è delicato e ogni iniziativa o parola non calibrata e presa senza ponderazione può aumentare i rischi per tutti». Lo scrittore Vittorio Messori ha paragonato invece la prudenza di Francesco a quella di Pio XII verso gli ebrei: «Proprio coloro che lodano (e giustamente) la prudenza di Pio XII verso coloro che seguivano il Mein Kampf, si lagnano della prudenza del suo attuale successore soprattutto verso coloro che seguono, fino alle estreme conseguenze, un altro libro, il Corano».
Il 28 febbraio 2022 incontrando i rappresentati delle chiese cristiane in Iraq, Papa Francesco ha detto: «Ma anche molti cristiani della vostra regione sono stati costretti all’esilio: le persecuzioni e le guerre, che si sono succedute fino ai nostri giorni, hanno costretto molti di loro a emigrare, portando in Occidente la luce dell’Oriente cristiano. Le vostre comunità appartengono alla storia più antica dell’Iraq e hanno conosciuto momenti veramente tragici, ma hanno offerto coraggiose testimonianze di fedeltà al Vangelo. Di questo ringrazio Dio ed esprimo a voi la mia riconoscenza. Mi inchino davanti alla sofferenza e al martirio di coloro che hanno custodito la fede, anche a prezzo della vita. Come il sangue di Cristo, versato per amore, ha portato riconciliazione e ha fatto fiorire la Chiesa, così il sangue di questi numerosi martiri del nostro tempo, appartenenti a diverse tradizioni ma uniti nel medesimo sacrificio, sia seme di unità tra i cristiani e segni una nuova primavera della fede».
Il 10 luglio 2020 il card. Camillo Ruini -non certo tacciabile di “nuovo corso bergogliano”- ha criticato come «semplicistica e per un certo verso eccessiva la reazione che prende di mira l’Islam in genere e non solo il fondamentalismo islamico, concentrandosi in particolare sul pericolo rappresentato dall’immigrazione islamica. Ad ogni modo la Chiesa non può non rifarsi alla sostanza del messaggio cristiano. Deve quindi richiamare innanzitutto l’universale fraternità umana per la quale, ne siamo o meno consapevoli, siamo tutti figli di un unico Padre. Deve però al tempo stesso dire chiaramente che Gesù Cristo è, per tutti, l’unico salvatore».
Il 22 agosto 2019 mons. George Abou Khazen, Vicario Apostolico di Aleppo, ha dichiarato: «Oggi abbiamo un altro Francesco, il papa Francesco che ha teso la mano anche al mondo musulmano nelle sue visite pastorali. Qualcuno ha detto: “Ma a che serve? Perché deve andare a visitare Paesi dove non ci sono cristiani?”. Però queste visite hanno prodotto per noi una cosa molto importante, un fatto storico. Per esempio, nella sua visita a Dubai e a Abu Dhabi hanno firmato, insieme con il grande imam di Al-Azhar il documento della fratellanza umana, che per noi è molto importante perché dice: “Rifiutiamo il nome di minoranza per tutti i cittadini, tutti gli uomini che sono uguali davanti a Dio e uguali in diritti e anche in doveri”. Non considerarsi più una minoranza è una grande conquista per noi cristiani e per tutte le minoranze non cristiane; ci possiamo trovare a nostro agio in questo mare che
è differente dal nostro».
Nel febbraio 2019 Papa Francesco si è recato negli Emirati Arabi incontrando il grande imam d’Egitto, Ahmad Muhammad Al-Tayyib. Quest’ultimo, per la prima volta, ha parlato a nome di tutti i musulmani, impegnandosi in loro nome ed invitando il mondo musulmano a proteggere i cristiani dove vi sono abusi e violenze, considerandoli ‘cittadini’ di pari livello. Inoltre, nel documento firmato da entrambi, viene stabilita un’alleanza su alcuni valori comuni e a rischio nelle società Occidentali o Orientali, quali la lotta alla povertà, la difesa dei luoghi di culto («attaccarli o minacciarli attraverso attentati o esplosioni è una deviazione dagli insegnamenti della religione»), la tutela della famiglia, il contrasto di politiche che favoriscono l’aborto e l’eutanasia, una ferma condanna al terrorismo e alla vendita di armi ai movimenti terroristici che strumentalizzano la religione, un impegno comune nei confronti dei diritti delle donne, una stigmatizzazione al materialismo e all’individualismo.
Il 01 febbraio 2019 Papa Francesco ha ricordato che «le vite dei molti santi delle nostre Chiese sono semi di pace gettati in quelle terre e sbocciati in cielo. Il seme di questa comunione, anche grazie al vostro prezioso lavoro, è germogliato, e continua ad essere irrigato dal sangue dei testimoni dell’unità, dal tanto sangue versato dai martiri del nostro tempo: membri di Chiese diverse che, uniti dalla comune sofferenza per il nome di Gesù, ora condividono la stessa gloria».
Dal 24 al 28 dicembre 2018, il segretario di Stato Vaticano, card. Pietro Parolin, si è recato in Iraq per le festività natalizie, incontrando la comunità cristiana locale. Un’occasione per ribadire la vicinanza del Papa e della Santa Sede ad una porzione di fedeli ancora scossi dalla spirale infernale degli ultimi quattro anni che hanno visto le loro case spazzate via e le loro chiese usate come depositi di armi o poligoni di tiro, costretti a rifugiarsi altrove. Questi sacrifici, ha assicurato il card. Parolin, «non rimarranno senza frutto, così come non è rimasta sterile la testimonianza di tanti martiri che, fin dai primi secoli del Cristianesimo, hanno bagnato con il loro sangue questa terra, vivendo la fede eroicamente e fino in fondo. Sappiate che la Chiesa vi ha costantemente sostenuti con la preghiera e con la carità».
Il 21 novembre 2018 diversi simboli della città di Venezia si sono tinti di rosso a simboleggiare il sangue dei martiri perseguitati, il messaggio inviato da Papa Francesco contiene queste parole: «una doverosa attenzione da parte di tutti al grave problema delle discriminazioni che i cristiani subiscono in tante parti del mondo. Vi sono nazioni dove è imposta un’unica religione, altri dove si assiste a persecuzione violenta o sistematico dileggio culturale nei confronti dei discepoli di Gesù, a discapito della libertà religiosa, un diritto fondamentale dell’uomo che va riconosciuto poiché riflette la sua più alta dignità».
Il 16 novembre 2018 Papa Francesco ha ricordato «la drammatica situazione dei cristiani che vengono perseguitati e uccisi in numero sempre crescente. Oltre al loro martirio nel sangue, esiste anche il loro “martirio bianco”, come ad esempio quello che si verifica nei paesi democratici quando la libertà di religione viene limitata. E questo è il martirio bianco quotidiano della Chiesa in quei posti. All’opera di soccorso materiale verso le popolazioni così duramente provate, vi esorto ad associare sempre la preghiera, a invocare costantemente la Madonna, che voi venerate col titolo di “Nostra Signora di Palestina”».
Il 04 novembre 2018 Papa Francesco ha espresso «il mio dolore per l’attentato terroristico che due giorni fa ha colpito la Chiesa Copta-ortodossa in Egitto. Prego per le vittime, pellegrini uccisi per il solo fatto di essere cristiani, e chiedo a Maria Santissima di consolare le famiglie e l’intera comunità. Preghiamo insieme la Madonna».
Il 12 settembre 2018 i parenti di un sacerdote caldeo massacrato dai fondamentalisti nel 2007 hanno incontrato Francesco al raduno mondiale delle famiglie. Il pontefice ha elogiato la scelta coraggiosa dei familiari di padre Ragheed di scegliere «il perdono e la riconciliazione, piuttosto che l’odio e il rancore”. Essi hanno visto, ha aggiunto il papa, “che il male si può contrastare solo col bene e l’odio superare solo col perdono. In modo quasi incredibile, sono stati capaci di trovare pace nell’amore di Cristo, un amore che fa nuove tutte le cosea».
Il 07 luglio 2018 durante la visita alla città di Bari, Papa Francesco ha detto: «Il Medio Oriente è divenuto terra di gente che lascia la propria terra. E c’è il rischio che la presenza di nostri fratelli e sorelle nella fede sia cancellata, deturpando il volto stesso della regione, perché un Medio Oriente senza cristiani non sarebbe Medio Oriente».
Il 28 giugno 2018 il card. Luis Raphael I Sako, neo-nominato da Papa Francesco, ha sottolineato la «“speciale attenzione del Papa per le Chiese Orientali, e per il piccolo gregge che costituiscono i cristiani in Medio Oriente, in Pakistan e in altri Paesi che attraversano un periodo difficile a causa delle guerre e del settarismo e dove ci sono ancora martiri. La chiamata paterna di Francesco per noi è un incoraggiamento nelle nostre sofferenze e ci dona la speranza che la tempesta attuale passerà e sarà possibile vivere insieme armoniosamente».
Il 21 giugno 2018 Papa Francesco ha chiesto di guardare «anche a tanti nostri fratelli e sorelle che in varie parti del mondo, specialmente in Medio Oriente, soffrono perché sono cristiani. Stiamo loro vicini. E ricordiamo che il nostro cammino ecumenico è preceduto e accompagnato da un ecumenismo già realizzato, l’ecumenismo del sangue, che ci esorta ad andare avanti».
Il 01 giugno 2018 nell’omelia a Santa Marta, Papa Francesco ha detto: «La persecuzione è un po’ “l’aria” della quale vive il cristiano anche oggi perché anche oggi ci sono tanti, tanti martiri, tanti perseguitati per amore a Cristo. In tanti Paesi i cristiani non hanno diritti: se tu porti una croce, vai in galera e c’è gente in galera; c’è gente condannata a morire per essere cristiani, oggi. C’è stata gente uccisa e il numero è più alto dei martiri dei primi tempi. Di più! Eppure questo non fa notizia e per questo i telegiornali, i giornali non pubblicano queste cose. Ma i cristiani sono perseguitati e anche questo ci deve far riflettere sulla nostra condizione di cristiano. La questione è che, alla fine, io sono un cristiano tranquillo, porto la mia vita avanti senza accorgermi di questi fratelli e sorelle che sono perseguitati».
Il 25 maggio 2018 padre Samir Khalil Samir, grande esperto di islam e già collaboratore di Benedetto XVI, ha concluso il suo intervento citando la Nostra Aetate: «Concludo con la dichiarazione al mondo del concilio Vaticano II, il 28 ottobre 1965: “La Chiesa guarda anche con stima i musulmani che adorano l’unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini» (Nostra aetate, 3). Questa è la visione cristiana, che, nella mia conoscenza limitata, mi sembra essere la più aperta di tutte le altre».
Il 20 maggio 2018 Papa Francesco ha creato cardinali il patriarca caldeo Louis Raphael Sako e Joseph Coutts, arcivescovo di Karachi (Pakistan), come segno di vicinanza ai cristiani perseguitati. Il patriarca Sako ha commentato: «Una responsabilità doppia, perché conferma il sostegno di papa Francesco alla Chiesa caldea, ai cristiani e, al tempo stesso, a tutto l’Iraq, al suo popolo. Ecco perché farò tutto ciò che posso per servire questa gente, in un tempo critico». Il primate caldeo ritiene che la nomina sarà “fonte di incoraggiamento” e «mi aiuterà a essere più efficace nella difesa dei più deboli e nel chiedere giustizia. Sarà una fonte di forza nel mio servizio per tutti, seguendo il modello di papa Francesco e ringraziandolo per la sua amicizia, per la sua vicinanza». L’arcivescovo Coutts ha commentato: «E’ stata una totale sorpresa, non me l’aspettavo assolutamente. E’ un grande onore per me e una grande gioia per tutti i cristiani del Pakistan».
Il 04 marzo 2018 un sondaggio ha rilevato che quasi la metà dei cattolici americani afferma che Papa Francesco è “molto impegnato” nel condannare la persecuzione dei cristiani, mentre solo il 27% dice lo stesso del proprio vescovo.
Il 03 marzo 2018 mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Cei scelto personalmente da Papa Francesco, ha scritto: «il colore rosso del Colosseo, che poteva sembrare una trovata per stupire chi in quel momento poteva trovarsi a passare da quei paraggi, aveva invece un significato forte. Sotto quella pioggia battente c’erano persone che non smettono di ricordare e soffrire per la violenza consumata e che ancora si consuma a danno di uomini e donne cristiani. Con noi, al Colosseo tinto di rosso, c’erano anche Ashiq Masih ed Eisham. Marito e figlia di Asia Bibi, in carcere, come ho ricordato in apertura, da circa nove anni per aver bevuto allo stesso bicchiere di alcune donne musulmane mentre insieme lavoravano nei campi, in un giorno pieno di sole. Lei cristiana, con quel gesto avrebbe reso “impure” le altre donne. Per questo l’accusarono e per questo Asia Bibi è stata condannata. Per questo dovrà morire. Senza un processo vero. Perché cristiana. In un mondo a corto di testimoni coerenti e appassionati, soprattutto appassionati di Cristo e del Vangelo; in un mondo che fa di tutto per ridurre la portata e la forza rivoluzionaria dell’amore e che anzi fa esercizio continuo e convinto di indifferenza, ci si è ritrovati davanti al Colosseo illuminato di rosso per dire “grazie” a tanti uomini, donne e bambini. Martiri dei nostri giorni. Il loro martirio e la loro sofferenza sta a dirci che ha senso essere e rimanere fedeli a Gesù e al suo Vangelo».
Il 02 marzo 2018 padre Bahjat Elia Karakach, francescano della Custodia di Terra Santa, superiore del convento dedicato alla conversione di san Paolo, la parrocchia principale di rito latino della capitale siriana, ha dichiarato: «I fedeli si sentono abbandonati perché nessuno, nemmeno i media cristiani, racconta quanto avviene in questa zona di Damasco. Come comunità cristiana – ribadisce il religioso – non possiamo fare altro che pregare e portare il nostro aiuto concreto a quante più persone possibile, senza fare differenza di etnia o fede, seguendo gli inviti costanti di Papa Francesco, l’unico leader al mondo a chiedere pace per la Siria. Sono giorni duri ma la speranza qui, nella capitale, è che si possa arrivare presto alla fine dei combattimenti e, come per Aleppo, ritornare a vivere nella sicurezza».
Il 26 febbraio 2018, il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin ha partecipato all’iniziativa dell’illuminazione di rosso del Colosseo in memoria del sangue dei martiri, per ricordare i cristiani discriminati e perseguitati nel mondo per la loro fede. «La testimonianza offerta con lo spargimento del sangue continua tuttora, anche nel nostro tempo, come non manca di ricordare spesso il Santo Padre, affermando che «oggi la Chiesa è Chiesa di martiri». Questa sera ricordiamo i cristiani perseguitati, senza dimenticare i seguaci di altre religioni, che in differenti parti dell’Oecumene subiscono violenza frutto di odio cieco, e soffrono le conseguenze di gravi violazioni delle loro libertà fondamentali, tra cui primeggia la libertà di religione. Questi nostri fratelli e sorelle sono le prime vittime della propagazione di una mentalità che non riconosce spazio per l’altro, per il diverso, e che preferisce sopprimere anziché integrare tutto ciò che, in qualche modo, sembra mettere in discussione le proprie certezze. Oggi più che mai, tanti cristiani in tutto il mondo lo testimoniano, vivendo la dolorosa realtà della sofferenza a causa della loro fede, il prezzo da pagare per testimoniare Cristo, il suo messaggio di amore e di perdono. A loro va la nostra preghiera, il nostro sostegno, la nostra solidarietà e il nostro incoraggiamento. Nei loro confronti si rinnova il nostro impegno spirituale e materiale l’assicurazione di voler intraprendere ogni strada percorribile per favorire la pace, la sicurezza e un futuro migliore, mentre a quanti si impegnano a sovvenire ai bisogni umanitari va il nostro sentito ringraziamento».
Il 28 febbraio 2018 Papa Francesco alla fine dell’Angelus ha proclamato: «Rivolgo un cordiale saluto alle persone di lingua araba, in particolare a quelle provenienti dalla Siria, dalla Terra Santa e dal Medio Oriente. Preghiamo per questa terra martoriata ove i cristiani sono perseguitati e costretti a lasciare la loro terra. Preghiamo per questi nostri fratelli e sorelle. Nell’Eucaristia noi offriamo al Signore le cose che Egli stesso ci ha dato, chiedendoGli di donarci in cambio se stesso. Noi impariamo da questo scambio tra la nostra povertà e la Sua ricchezza che solo nel dare ci arricchiamo, solo nell’aprire i nostri cuori al Signore e ai fratelli noi permettiamo a Dio di riempirci con l’abbondanza della Sua grazia. Il Signore vi benedica tutti e vi protegga dal maligno!».
Il 24 febbraio 2018, Papa Francesco ha ricevuto in udienza privata la figlia e il marito di Asia Bibi. «Penso molto spesso a tua madre e prego per lei», ha detto. Presente anche una ragazza nigeriana vittima di Boko Haram, Rebecca Bitrus. Eisham, figlia della donna pachistana dal 2009 in carcere e condannata a morte per blasfemia, dice a Francesco: «Quando prima di partire ho incontrato mia madre mi ha chiesto di darle un bacio». Francesco ha affermato che «la testimonianza di Rebecca e quella di Asia Bibi «rappresentano un modello per una società che oggi ha sempre più paura del dolore. Sono due martiri». Il direttore di Aiuto alla Chiesa che Soffre ha informato: ««È stato un incontro straordinario. È durato 40 minuti, ha avuto al centro la fede. Non solo la spiritualità del Santo Padre, ma anche quella di queste ragazze giovani e sofferenti e del marito di Asia Bibi». È iniziato «dal bacio che Eisham ha dato al Santo Padre e che il Santo Padre non solo si è preso tutto, ma ha ricambiato con un affetto e con una testimonianza di vicinanza, di fede, di solidarietà che in quell’abbraccio diceva tutto. L’incontro avrebbe potuto concludersi anche solo con un saluto introduttivo per l’intensità del legame che si è immediatamente instaurato tra il Santo Padre e le testimoni».
Il 13 febbraio 2018, Papa Francesco durante la Santa Messa concelebrata con il Patriarca della Chiesa di Antiochia dei Greco-Melkiti, ha detto: «Una Chiesa ricca, con la propria teologia dentro la teologia cattolica, con la propria liturgia meravigliosa e con un popolo, in questo momento gran parte di questo popolo è crocifisso, come Gesù. Offriamo questa Messa per il popolo, per il popolo che soffre, per i cristiani perseguitati in Medio Oriente, che danno la vita, danno i beni, le proprietà perché sono cacciati via».
Il 12 febbraio 2018, Papa Francesco ha detto: «I nostri fratelli perseguitati nel Medio oriente, cacciati via per essere cristiani — e loro ci tengono a essere cristiani — sono “entrati in pazienza” come il Signore» nella momento della sua passione. Con questo pensiero a quanti stanno vivendo sulla loro pelle il dramma della persecuzione il Papa ha celebrato la messa a Santa Marta. «Non è facile “entrare in pazienza”. E qui penso ai nostri fratelli perseguitati nel Medio oriente, cacciati via per essere cristiani e loro ci tengono a essere cristiani: sono “entrati in pazienza” come il Signore è “entrato in pazienza». Durante il discorso ai membri del Sinodo greco-melkita, Francesco ha aggiunto: «In questo difficile periodo storico tante comunità cristiane in Medio Oriente sono chiamate a vivere la fede nel Signore Gesù in mezzo a molte prove. Auspico vivamente che, con la loro testimonianza di vita, i Vescovi e i sacerdoti greco-melkiti possano incoraggiare i fedeli a rimanere nella terra dove la Provvidenza divina ha voluto che nascessero».
Il 24 gennaio 2018, Papa Francesco ha dichiarato: «Sul cammino ci sono pure dei pericoli gravi, che mettono a repentaglio la vita: quanti fratelli oggi subiscono persecuzioni per il nome di Gesù! Quando il loro sangue viene versato, anche se appartengono a Confessioni diverse, diventano insieme testimoni della fede, martiri, uniti nel vincolo della grazia battesimale».
Il 10 aprile 2017 padre Samir Khalil, gesuita, fondatore del Cedrac (Centro di documentazione e ricerca arabo-cristiana a Beirut), ha confermato la validità dell’accusa di Francesco ai trafficanti di armi: «La stragrande maggioranza dei musulmani, in tutto il mondo, non approva l’ Isis e la sua radicale ideologia. Dietro l’ Isis chi c’ è? Ci sono Qatar e Arabia Saudita che finanziano con denari e armi. Il grosso delle armi, del traffico di armi a queste realtà radicali arriva da fabbricanti negli Usa, e poi Germania, Francia, Italia e Inghilterra».
Il 24 gennaio 2018, Papa Francesco ha affermato: «In tante parti del mondo ci sono ancora minoranze religiose ed etniche, tra cui i cristiani, perseguitate a causa della fede. La Santa Sede non si stanca di intervenire per denunciare queste situazioni, chiedendo riconoscimento, protezione e rispetto».
Il 06 aprile 2017 sul nostro sito web è apparso un approfondimento sulle parole di Benedetto XVI riguardo all’Islam, quando disse: «certamente l’Islam contiene degli elementi in favore della pace». Inoltre vengono riportate diverse affermazioni positive nei riguardi della religione islamica pronunciate da Giovanni Paolo II e dal Papa emerito. Eppure nessuno si scandalizzò.
Il 10 aprile 2017 l’ arcivescovo Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato vaticana, ha spiegato: «Fin dall’ inizio dell’ apparizione dell’Isis il Papa ha voluto distinguere gli atti di terrorismo compiuti da fanatici esaltati dalla religione in sé. Si è sempre rifiutato di associare l’Islam come tale al terrorismo. Terroristi potranno essere alcuni islamici deviati, ma non la religione. E questo gli ha guadagnato la riconoscenza dei musulmani, per l’onestà delle sue posizioni. Molte autorità islamiche hanno incontrato il Pontefice per ringraziarlo e molte altre gli hanno scritto ammirati per la sua autorevolezza morale. Un atteggiamento che ha propiziato anche il riavvicinamento con Al Azhar, dopo che nel recente passato vi erano stati momenti un po’ difficili, nei rapporti con la Santa Sede».
Il 01 aprile 2017 padre Samir Khalil Samir, gesuita egiziano e docente di islamistica presso il “Pontificio Istituto Orientale di Roma”, ha commentato così il viaggio del Papa in Egitto: «Certamente, un viaggio di successo. Ed è stato molto importante perché l’Egitto si trova in una situazione di isolamento. Questo apre, dà un po’ di aria … I musulmani si sentono in difficoltà a causa del terrorismo. Il fatto di poter trovare un uomo che ti appoggia, che simpatizza, come nel caso del Papa, questo dà coraggio e forza al presidente, come all’istituzione di Al Azhar, ma anche, certamente, a tutti i cristiani dell’Egitto, perché soffriamo di questo terrorismo. Questo viaggio ha avuto anche un’altra importanza: i musulmani si sentono uniti ai cristiani in questa prova degli attentati. I musulmani ci hanno sostenuti e c’è chi dice: “Voi siete i nostri fratelli”. E’ anche la testimonianza del risultato di questo viaggio in Egitto. Per la comunità copta cattolica, che è piccolissima, vuol dire: il Papa si interessa anche a noi che siamo meno di 300 mila. E questo è molto importante. Ma significa anche che il Papa è il “papà” di tutti quanti i cristiani non solo i cattolici, ma tutti i cristiani. Ha testimoniato una fratellanza con tutti quanti. Non c’è una persona esclusa. Questo l’ha mostrato concretamente: il suo abbracciare l’Imam Al Tayeb, come anche il presidente, in modo sinceramente affettuoso, già dice più dei discorsi. Poi, il dialogo con gli ortodossi, fino ad arrivare a un accordo riguardo al Battesimo, questo è un passo avanti che non si poteva immaginare! Infine, come dicevo, riguardo alla piccola comunità cattolica, cioè a tutti i livelli, questo viaggio mostra che noi siamo una famiglia, un popolo, il popolo egiziano: diversi, ma la diversità è un arricchimento, non è un impoverimento. Questo mi sembra il triplice messaggio che questo viaggio rapidissimo ha portato all’Egitto. Sta a noi adesso concretizzarlo nella vita quotidiana».
Il 29 marzo 2017 il sacerdote caldeo padre Thabet Habeeb Mekko, originario di Mosul, ha commentato: «Grazie Santo Padre! Tutto il popolo e i cristiani iracheni hanno bisogno delle parole e del sostegno del Papa. Ogni suo intervento è utile per far conoscere alla comunità internazionale la miseria e la disperazione in cui vivono le popolazioni sfollate, perseguitate, bombardate».
Il 10 marzo 2017, al termine degli Esercizi spirituali, papa Francesco ha celebrato ad Ariccia la Messa per la Siria e donato 100.000 euro ai poveri di Aleppo, grazie anche al contributo della Curia Romana. Il francescano della Custodia di Terra Santa e Vicario apostolico di Aleppo dei latini, monsignor Georges Abou Khazen, ha dichiarato: «Il Santo Padre è sempre stato vicino alla Siria e segue da vicino quanto avviene qui. I suoi appelli al dialogo, alla pace e alla concordia sono continui. Come anche la sua preghiera. Credo che se la situazione in Siria stia pian piano migliorando è anche per le sue preghiere. Oggi arriva questo ulteriore segno di vicinanza concreta e gliene siamo grati. Non ci sentiamo soli, non ci sentiamo abbandonati ma sappiamo di essere parte di una grande famiglia che è la Chiesa di Cristo. Questo ci dona coraggio e speranza e la forza di sopportare tante cose».
Il 25 marzo 2017 il cardinale nigeriano John Onaiyekan ha spiegato: «alcune delle dichiarazioni del Papa lo hanno in qualche modo reso caro ad alcuni dei miei amici musulmani, specialmente quando il papa ha molto chiaramente respinto l’idea che l’Islam sia una religione terrorista. E’ come se papa Francesco fosse un profeta. Fa una dichiarazione, ma quella dichiarazione deve essere decompressa. Devo dire che questa affermazione mi aiuta nel mio sforzo cosciente e determinato di continuare a raggiungere buoni rapporti con i miei amici musulmani».
Il 10 febbraio 2017 Papa Francesco ha scritto di suo pugno una lettera ad una coppia spagnola che aveva inviato in Vaticano una donazione per «aiutare i cristiani perseguitati, in particolare dei paesi del Medio Oriente». Il Papa ha ringraziato “di cuore” per “questo gesto di carità” e ha invocato “il Signore che ripaghi abbondantemente”.
Il 16 febbraio 2017 nel messaggio in occasione dell’Incontro di Movimenti Popolari a Modesto, Francesco ha scritto: «nessun popolo è criminale e nessuna religione è terrorista. Non esiste il terrorismo cristiano, non esiste il terrorismo ebreo e non esiste il terrorismo islamico. Non esiste. Nessun popolo è criminale o narcotrafficante o violento».
Il 30 gennaio 2017 durante la messa a Santa Marta, Francesco ha detto: «I martiri sono quelli che portano avanti la Chiesa, sono quelli che sostengono la Chiesa, che l’hanno sostenuta e la sostengono oggi. E oggi ce ne sono più dei primi secoli. I media non lo dicono perché non fa notizia, ma tanti cristiani nel mondo oggi sono beati perché perseguitati, insultati, carcerati. Ce ne sono tanti in carcere, soltanto per portare una croce o per confessare Gesù Cristo! Questa è la gloria della Chiesa e il nostro sostegno e anche la nostra umiliazione: noi che abbiamo tutto, tutto sembra facile per noi e se ci manca qualcosa ci lamentiamo… Ma pensiamo a questi fratelli e sorelle che oggi, in numero più grande dei primi secoli, soffrono il martirio! Ma la più grande forza della Chiesa oggi è nelle piccole Chiese, piccoline, con poca gente, perseguitati, con i loro vescovi in carcere. Questa è la nostra gloria oggi, questa è la nostra gloria e la nostra forza oggi. Una Chiesa senza martiri – oserei dire – è una chiesa senza Gesù. Preghiamo per i nostri martiri che soffrono tanto”, “per quelle Chiese che non sono libere di esprimersi: loro sono la nostra speranza. Loro con il loro martirio, la loro testimonianza, con la loro sofferenza, anche dando la vita, offrendo la vita, seminano cristiani per il futuro e nelle altre Chiese. Offriamo questa Messa per i nostri martiri, per quelli che adesso soffrono, per le Chiese che soffrono, che non hanno libertà. E ringraziamo il Signore di essere presenti con la fortezza del Suo Spirito in questi fratelli e sorelle nostri che oggi danno testimonianza di Lui».
Il 27 gennaio 2017 durante l’udienza ai membri della Commissione mista Internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa Cattolica e le Chiese Ortodosse Orientali, Francesco ha ricordato coloro che «appartengono a Chiese che assistono quotidianamente all’imperversare della violenza e ad atti terribili, perpetrati dall’estremismo fondamentalista. Ogni giorno le vostre Chiese sono vicine alla sofferenza, chiamate a seminare concordia e a ricostruire pazientemente la speranza, confortando con la pace che viene dal Signore, una pace che insieme siamo tenuti a offrire a un mondo ferito e lacerato. In modo particolare ho a cuore i vescovi, i sacerdoti, i consacrati e i fedeli, vittime di rapimenti crudeli, e tutti coloro che sono stati presi in ostaggio o ridotti in schiavitù».
L’11 gennaio 2017 lo scrittore Davide Rondoni ha risposto a chi critica Francesco di non utilizzare il termine “guerra religiosa” quando parla del terrorismo. «La nozione di «guerra di religione» è non solo vaga, ma inutile. Perché tutte le guerre in un certo senso sono religiose, come lo sono anche tutte le paci, e tutti gli amori, e tutte le lotte. Insomma, religioso è l’uomo in tutte le sue azioni. Strano che una cultura che ha fatto di tutto per eliminare la dimensione religiosa autentica da ogni aspetto privato e pubblico della vita, ora pretenda di leggere come «religioso» solo un aspetto della vita umana, e il peggiore. Il fatto è che l’uomo è religioso sempre, così come è politico, economico, affettivo. Etichettare una guerra come «religiosa» non funziona. Se dovessimo etichettare così un conflitto perché appaiono venate di sentimenti religiosi le sue enfasi retoriche e le motivazioni esibite (non quelle reali e occulte) allora lo fu anche la Prima guerra mondiale, basterebbe leggere i discorsi di molti leader del tempo. Con questo non si sta dicendo – lo capisce anche un bambino – che la religione “non c’entra” con il tragico sommovimento che va dalle bombe in Siria ai camion lanciati contro la folla a Nizza o a Berlino, e contro persone in divisa a Gerusalemme o nel Sinari egiziano. C’entra eccome, ma, appunto, si deve comprendere in che senso, e distinguere. Usare il termine religioso come aggettivo generico e totale è “fuorviante”. Si vedrebbe, ad esempio, che accanto ai deliranti proclami di martiri «in nome di Dio» (ma che spesso le indagini mostrano mossi da ben altro) ci sono le azioni vaste e fertili di uomini di pace fatte realmente «in nome di Dio», e tra questi e prima di ogni altro papa Francesco, ben attento ai tentativi di strumentalizzazione, da chiunque vengano. Si vedrebbe che gli aerei che bombardano la Siria non lo fanno certo in nome della libertà religiosa di gruppi diversi che sino a poco fa vivevano in pace».
Il 27 dicembre 2016 il giornalista Renato Farina ha scritto: «Certo, il Papa non dice che gran parte degli eccidi sono di matrice islamica. Ce n’è bisogno? Lo sappiamo tutti. Il suo silenzio equivale a quello di Pio XII sul genocidio degli ebrei. Però opera. Così egli è perfettamente a conoscenza della realtà irachena e siriana».
L’11 novembre 2016 in un’intervista Francesco ha dichiarato: «Non ho mai pensato a guerra ed armi. Il sangue sì, può essere sparso, ma saranno eventualmente i cristiani ad essere martirizzati come sta avvenendo in quasi tutto il mondo ad opera dei fondamentalisti e terroristi dell’Isis i carnefici. Quelli sono orribili e i cristiani ne sono le vittime».
Il 26 dicembre 2016 durante l’Angelus, Papa Francesco ha detto: «Anche oggi la Chiesa, per rendere testimonianza alla luce e alla verità, sperimenta in diversi luoghi dure persecuzioni, fino alla suprema prova del martirio. Quanti nostri fratelli e sorelle nella fede subiscono soprusi, violenze e sono odiati a causa di Gesù! Io vi dico una cosa, i martiri di oggi sono in numero maggiore rispetto a quelli dei primi secoli. Quando noi leggiamo la storia dei primi secoli, qui, a Roma, leggiamo tanta crudeltà con i cristiani; io vi dico: la stessa crudeltà c’è oggi, e in numero maggiore, con i cristiani. Oggi vogliamo pensare a loro che soffrono persecuzione, ed essere vicini a loro con il nostro affetto, la nostra preghiera e anche il nostro pianto. Ieri, giorno di Natale, i cristiani perseguitati nell’Iraq hanno celebrato il Natale nella loro cattedrale distrutta: è un esempio di fedeltà al Vangelo. Nonostante le prove e i pericoli, essi testimoniano con coraggio la loro appartenenza a Cristo e vivono il Vangelo impegnandosi a favore degli ultimi, dei più trascurati, facendo del bene a tutti senza distinzione; testimoniano così la carità nella verità».
Il 09 ottobre 2016 Francesco ha nominato cardinale mons. Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria, lasciandolo però nella sua sede per non abbandonare la comunità cristiana. Il neo cardinale ha così riferito: «Questa è una porpora per tutta la Siria, per ricordare le migliaia e migliaia di vittime e la sofferenza enorme della popolazione civile».
Il 15 giugno 2016 padre Samir Khalil Samir, islamologo gesuita e già consigliere di Benedetto XVI, ha affermato che, rispetto alla violenza e agli attentati, «non serve a niente dire che questo non è islam. Io l’ho segnalato al segretario del Santo Padre. Sono stato da lui e gli ho detto: “Guardi, provi a trasmettere al Papa questo messaggio”. L’obiettivo primario della Santa Sede è riprendere un dialogo con la controparte, io capisco l’intento del Papa. Ciò è evidente se si pensa al lavorìo diplomatico che ha portato Ahmed al Tayyeb, grande imam di Azhar, a essere ricevuto in Vaticano dal Pontefice».
Il 02 maggio 2016 nella sua omelia a Santa Marta, Francesco ha parlato delle grandi persecuzioni, di cui «la storia della Chiesa è piena, che porta i cristiani nel carcere o li porta perfino a dare la vita. E’ – dice Gesù – il prezzo della testimonianza cristiana. ‘Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, viene l’ora in cui chiunque vi ucciderà, crederà di rendere culto a Dio’. Il cristiano, con la forza dello Spirito, dà testimonianza che il Signore vive, che il Signore è risorto, che il Signore è fra noi, che il Signore celebra con noi la sua morte, la sua risurrezione, ogni volta che ci accostiamo all’altare. Anche il cristiano dà testimonianza, aiutato dallo Spirito, nella sua vita quotidiana, col suo modo di agire. E’ la testimonianza continua del cristiano. Ma tante volte questa testimonianza provoca attacchi, provoca persecuzioni».
Il 24 aprile 2016 durante l’Udienza generale, Papa Francesco ha affermato: «È sempre viva in me la preoccupazione per i fratelli vescovi, sacerdoti e religiosi, cattolici e ortodossi, sequestrati da molto tempo in Siria. Dio Misericordioso tocchi il cuore dei rapitori e conceda quanto prima a quei nostri fratelli di essere liberati e poter tornare alle loro comunità. Per questo vi invito tutti a pregare, senza dimenticare le altre persone rapite nel mondo».
Il 02 aprile 2014 padre Bernardo Cervellera, missionario del Pontificio Istituto Missioni Estere (Pime) e direttore di Asianews, ha replicato indirettamente a coloro che accusano Francesco di non citare mai il caso di Asia Bibi: «Sappiamo della grande sofferenza che sta vivendo, ma sappiamo anche che tutte le volte che abbiamo fatto una campagna per chiedere la sua liberazione, ci sono stati gruppi di fondamentalisti che hanno protestato, chiedendo la sua immediata esecuzione. Per questo motivo, la chiesa locale invita ad essere cauti nel tenere manifestazioni a sostegno di Asia Bibi, così come raccolte firme o campagne per la sua liberazione, perché si rischia di creare reazioni negative dei fondamentalisti, impossibili poi da controllare. Asia Bibi sa che tutti i cristiani del mondo, il Papa in prima persona, la sostengono».
Il 19 marzo 2016 nell’esortazione post-sinodale Amoris Laetitia, Papa Francesco ha scritto: «Le persecuzioni dei cristiani, come anche quelle di minoranze etniche e religiose, in diverse parti del mondo, specialmente in Medio Oriente, rappresentano una grande prova: non solo per la Chiesa, ma anche per l’intera comunità internazionale. Ogni sforzo va sostenuto per favorire la permanenza di famiglie e comunità cristiane nelle loro terre di origine».
Il 28 marzo 2016 durante l’angelus domenicale, Papa Francesco ha condannato gli attentati in Pakistan: «ieri, nel Pakistan centrale, la Santa Pasqua è stata insanguinata da un esecrabile attentato, che ha fatto strage di tante persone innocenti, per la maggior parte famiglie della minoranza cristiana – specialmente donne e bambini – raccolte in un parco pubblico per trascorrere nella gioia la festività pasquale. Desidero manifestare la mia vicinanza a quanti sono stati colpiti da questo crimine vile e insensato, e invito a pregare il Signore per le numerose vittime e per i loro cari. Faccio appello alle Autorità civili e a tutte le componenti sociali di quella Nazione, perché compiano ogni sforzo per ridare sicurezza e serenità alla popolazione e, in particolare, alle minoranze religiose più vulnerabili. Ripeto ancora una volta che la violenza e l’odio omicida conducono solamente al dolore e alla distruzione; il rispetto e la fraternità sono l’unica via per giungere alla pace. La Pasqua del Signore susciti in noi, in modo ancora più forte, la preghiera a Dio affinché si fermino le mani dei violenti, che seminano terrore e morte, e nel mondo possano regnare l’amore, la giustizia e la riconciliazione. Preghiamo tutti per i morti di questo attentato, per i familiari, per le minoranze cristiane e etniche di quella Nazione: Ave o Maria…».
Il 02 dicembre 2015 durante l’udienza generale, Francesco ha detto: «In questo contesto così drammaticamente attuale ho avuto la gioia di portare la parola di speranza di Gesù: “Siate saldi nella fede, non abbiate paura”. Questo era il motto della visita in Africa. Una parola che viene vissuta ogni giorno da tante persone umili e semplici, con nobile dignità; una parola testimoniata in modo tragico ed eroico dai giovani dell’Università di Garissa, uccisi il 2 aprile scorso perché cristiani. Il loro sangue è seme di pace e di fraternità per il Kenia, per l’Africa e per il mondo intero».
Il 30 novembre 2015 durante l’incontro con la comunità musulmana nel suo viaggio in Africa, Papa Francesco ha fatto riferimento agli attentati in Francia di qualche settimana prima, affermando: «Tra cristiani e musulmani siamo fratelli. Dobbiamo dunque considerarci come tali, comportarci come tali. Sappiamo bene che gli ultimi avvenimenti e le violenze che hanno scosso il vostro Paese non erano fondati su motivi propriamente religiosi. Chi dice di credere in Dio dev’essere anche un uomo o una donna di pace. Cristiani, musulmani e membri delle religioni tradizionali hanno vissuto pacificamente insieme per molti anni. Dobbiamo dunque rimanere uniti perché cessi ogni azione che, da una parte e dall’altra, sfigura il Volto di Dio e ha in fondo lo scopo di difendere con ogni mezzo interessi particolari, a scapito del bene comune. Insieme, diciamo no all’odio, no alla vendetta, no alla violenza, in particolare a quella che è perpetrata in nome di una religione o di Dio. Dio è pace, Dio salam».
Il 05 novembre 2015 il card. Mar Béchara Boutros Raï, patriarca di Antiochia dei Maroniti del Libano, ha spiegato: «Per prima cosa che la guerra cessi perché a causa del conflitto sia i cristiani che i musulmani moderati emigrano e se ne vanno. Il Medio Oriente si sta svuotando e si lascia campo libero a fondamentalisti e organizzazioni terroristiche. Il secondo è che ci sia un appello forte perché cessi la guerra. Gli Stati non ne parlano, gli unici appelli li fa il papa Francesco».
Il 05 novembre 2015 nel messaggio in occasione del Global Christian Forum, Francesco ha affermato: «desidero salutare i nostri fratelli e sorelle delle diverse tradizioni Cristiane, che rappresentano comunità che soffrono per la loro fede in Gesù Cristo, Nostro Signore e Salvatore. Penso con grande tristezza alla crescente discriminazione e persecuzione dei cristiani del Medio Oriente, dell’Africa e dell’Asia e di altri luoghi nel mondo. La vostra riunione dimostra che, come Cristiani, non siamo indifferenti alle sofferenze dei fratelli e delle sorelle. In diverse parti del mondo, la testimonianza di Cristo, talvolta fino all’effusione del sangue, è divenuta un’esperienza comune di Cattolici, Ortodossi, Anglicani, Protestanti, Evangelici e Pentecostali, che è molto più profonda e forte delle differenze che ancora separano le nostre Chiese e comunità ecclesiali. La communio martyrum è il segno più evidente del nostro cammino comune. Allo stesso tempo, la vostra riunione darà voce alle vittime di tale ingiustizia e violenza, e cercherà di mostrare la via che guiderà la famiglia umana fuori da questa tragica situazione».
Il 16 ottobre 2015 durante l’intervista concessa a “Paris Match”, Francesco ha affermato: «I cristiani sono cittadini a pieno titolo di quei paesi, sono presenti come seguaci di Gesù da due millenni, pienamente inseriti in quei contesti culturali, nella storia dei loro popoli. Abbiamo il dovere umano e cristiano di agire di fronte all’emergenza».
Il 28 ottobre 2015 durante l’Udienza generale interreligiosa, Francesco ha affermato: «Penso in particolare ai musulmani, che – come ricorda il Concilio – «adorano il Dio unico, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini» (Nostra ætate, 5). Essi si riferiscono alla paternità di Abramo, venerano Gesù come profeta, onorano la sua Madre vergine, Maria, attendono il giorno del giudizio, e praticano la preghiera, le elemosine e il digiuno (cfr ibid.). Il dialogo di cui abbiamo bisogno non può che essere aperto e rispettoso, e allora si rivela fruttuoso. Il rispetto reciproco è condizione e, nello stesso tempo, fine del dialogo interreligioso: rispettare il diritto altrui alla vita, all’integrità fisica, alle libertà fondamentali, cioè libertà di coscienza, di pensiero, di espressione e di religione».
L’14 ottobre 2015 il patriarca Louis Sako, patriarca di Babilonia dei Caldei, ha invitato l’alleanza tra cristiani e musulmani: «È innanzitutto necessario formare una coalizione internazionale con i Paesi arabi e musulmani nell’ambito di un mandato delle Nazioni Unite per intraprendere un’azione militare seria volta a liberare le aree occupate dai gruppi terroristici e ripristinare la stabilità politica, securitaria, economica e un buon vicinato. I musulmani nel mondo devono assumersi le proprie responsabilità di fronte al terrorismo che si ammanta della religione per ottenere potere e denaro. I capi religiosi devono affrettarsi a decostruire questo pensiero takfirista che costituisce una minaccia diretta per i musulmani, per i cristiani e non solo. Infine, sarà importante promulgare una legge che garantisca il rispetto di tutte le religioni e punisca chi compie atti che offendono la religione e le cose sacre, le forme di discriminazione, e l’istigazione all’odio e alla divisione, sull’esempio di quanto recentemente fatto dagli Emirati Arabi». Ricordiamo che Sako è molto stimato da coloro, come Antonio Socci, che accusano l’intero mondo musulmano di complicità con l’Isis.
L’20 maggio 2015 durante l’Udienza generlae Francesco ha detto: «La Conferenza Episcopale Italiana ha proposto che nelle Diocesi, in occasione della Veglia di Pentecoste, si ricordino tanti fratelli e sorelle esiliati o uccisi per il solo fatto di essere cristiani. Sono martiri. Auspico che tale momento di preghiera accresca la consapevolezza che la libertà religiosa è un diritto umano inalienabile, aumenti la sensibilizzazione sul dramma dei cristiani perseguitati nel nostro tempo e che si ponga fine a questo inaccettabile crimine».
L’30 maggio 2015 Joseph Nadeem, che provvede dell’assistenza legale di Asia Bibi, ha affermato tornando dal tour europeo per sensibilizzare i governi e l’opinione pubblica: «Siamo andati a trovare Asia in carcere a Multan giovedì scorso. Sta abbastanza bene ma è molto debole. In questi giorni ha avuto leggeri malanni. Le abbiamo raccontato del nostro viaggio e le abbiamo portato la benedizione del Papa. Asia era commossa e felice. Continua ad aspettare e sperare, con fede, per la sua liberazione».
L’19 maggio 2015 durante la Messa a Santa Marta, Francesco ha detto: «Pensiamo oggi a quei poveri Rohingya del Myanmar. Al momento di lasciare la loro terra per fuggire dalle persecuzioni non sapevano cosa sarebbe accaduto loro. E da mesi sono in barca, lì… Arrivano in una città, dove danno loro acqua, cibo, e dicono: ‘andatevene via’. E’ un congedo. Tra l’altro, oggi accade questo congedo esistenziale grande. Pensate al congedo dei cristiani e degli yazidi, che pensano di non tornare più nella loro terra, perché cacciati via dalle loro case. Oggi».
L’11 maggio 2015 durante la Messa a Santa Marta, Francesco ha detto: «Oggi siamo testimoni di questi che uccidono i cristiani in nome di Dio, perché sono miscredenti, secondo loro. Questa è la Croce di Cristo: ‘Faranno ciò, perché non hanno conosciuto né il Padre né me’. ‘Questo che è accaduto a me – dice Gesù – accadrà anche a voi – le persecuzioni, le tribolazioni – ma per favore non scandalizzatevi; sarà lo Spirito a guidarci e a farci capire’». Ha quindi ricordato il colloquio telefonico avuto il giorno prima col Patriarca copto Tawadros, «io ricordavo i suoi fedeli, che sono stati sgozzati sulla spiaggia perché cristiani. Questi fedeli, per la forza che ha dato loro lo Spirito Santo, non si sono scandalizzati. Morivano col nome di Gesù sulle labbra. E’ la forza dello Spirito. La testimonianza. E’ vero, questo è proprio il martirio, la testimonianza suprema”».
Il 22 aprile 2015 il vaticanista Sandro Magister ha elogiato Francesco per la schiettezza con cui difende i cristiani perseguitati, contrapponendogli mons. Galantino accusato di essere “politicamente corretto”. Lo stesso è stato fatto su Il Foglio.
Il 21 aprile 2015 nella lettera al patriarca della chiesa ortodosso-etiopica, Francesco ha scritto: «Con grande costernazione e dolore, ho appreso la notizia dell’ennesima violenza perpetrata contro innocenti cristiani in Libia. So che Vostra Santità soffre profondamente per le atrocità di cui sono vittima i suoi amati fedeli, uccisi per il solo fatto di essere seguaci di nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo. Mi rivolgo a Lei nella più sentita solidarietà, per assicurarLa della mia vicinanza nella preghiera davanti al continuo martirio che viene inflitto in modo così crudele a cristiani in Africa, in Medio Oriente ed in alcune regioni dell’Asia. Non fa alcuna differenza che le vittime siano cattolici, copti, ortodossi o protestanti. Il loro sangue è uno medesimo nella loro confessione di Cristo! Il sangue dei nostri fratelli e delle nostre sorelle cristiani è una testimonianza che grida per farsi sentire da tutti coloro che sanno ancora distinguere tra bene e male. E questo grido deve essere ascoltato soprattutto da coloro che hanno nelle mani il destino dei popoli».
Il 21 aprile 2015 durante la messa a Santa Marta, Francesco ha affermato: «In questi giorni, quanti Stefani ci sono nel mondo! Pensiamo ai nostri fratelli sgozzati sulla spiaggia della Libia; pensiamo a quel ragazzino bruciato vivo dai compagni perché cristiano; pensiamo a quei migranti che in alto mare sono buttati in mare dagli altri, perché cristiani; pensiamo – l’altro ieri – a quegli etiopi, assassinati perché cristiani … e tanti altri. E tanti altri che noi non sappiamo, che soffrono nelle carceri, perché cristiani … Oggi la Chiesa è Chiesa di martiri: loro soffrono, loro danno la vita e noi riceviamo la benedizione di Dio per la loro testimonianza. Uniamoci a Gesù nell’Eucaristia, e uniamoci a tanti fratelli e sorelle che soffrono il martirio della persecuzione, della calunnia e dell’uccisione per essere fedeli all’unico pane che sazia, cioè a Gesù».
Il 12 aprile 2015 nel saluto ai fratelli armeni, Francesco ha detto: «In diverse occasioni ho definito questo tempo un tempo di guerra, una terza guerra mondiale ‘a pezzi’, in cui assistiamo quotidianamente a crimini efferati, a massacri sanguinosi e alla follia della distruzione. Purtroppo ancora oggi sentiamo il grido soffocato e trascurato di tanti nostri fratelli e sorelle inermi, che a causa della loro fede in Cristo o della loro appartenenza etnica vengono pubblicamente e atrocemente uccisi – decapitati, crocifissi, bruciati vivi –, oppure costretti ad abbandonare la loro terra».
Il 6 aprile 2015 Francesco ha detto: «ono lieto di accogliere la delegazione del Movimento Shalom, che è arrivata all’ultima tappa della staffetta solidale per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle persecuzioni dei cristiani nel mondo. Il vostro itinerario sulle strade è finito, ma deve continuare da parte di tutti il cammino spirituale di preghiera intensa, di partecipazione concreta e di aiuto tangibile in difesa e protezione dei nostri fratelli e delle nostre sorelle, perseguitati, esiliati, uccisi, decapitati per il solo fatto di essere cristiani. Loro sono i nostri martiri di oggi, e sono tanti, possiamo dire che sono più numerosi che nei primi secoli. Auspico che la Comunità Internazionale non assista muta e inerte di fronte a tale inaccettabile crimine, che costituisce una preoccupante deriva dei diritti umani più elementari. Auspico veramente che la Comunità Internazionale non volga lo sguardo dall’altra parte».
Il 6 aprile 2015 Asia Bibi ha approvato il viaggio che suo marito Ashiq Masih e una delle sue figlie hanno intrapreso in Europa per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla sua carcerazione con queste parole: «Quando bacerete la mano del Papa, fatelo anche per me. Quello sarà il mio bacio. E chiedetegli una benedizione».
Il 5 aprile 2015 nella domenica di Pasqua, Francesco ha affermato: «A Gesù vittorioso domandiamo di alleviare le sofferenze dei tanti nostri fratelli perseguitati a causa del Suo nome, come pure di tutti coloro che patiscono ingiustamente le conseguenze dei conflitti e delle violenze in corso. Ce ne sono tante!».
Il 16 marzo 2015 Shahid Mobeen, docente di Pensiero e religione islamica alla Pontificia università lateranense e all’Urbaniana e fondatore dell’associazione dei pachistani cristiani in Italia ha risposto alle critiche che riceve Papa Francesco secondo le quali dovrebbe fare di più per i cristiani perseguitati: «Non condivido questa critica. Personalmente, come pachistano cattolico, mi sento rappresentato dal pontificato e ringrazio Francesco per quanto sta facendo […]. Francesco, dopo Benedetto, ha per la prima volta chiamato il problema col suo nome, ha detto ciò che tutti dovrebbero dire: in Pakistan i cristiani sono perseguitati per la loro fede».
Il 29 marzo 2015 durante la celebrazione della Domenica delle Palme, Francesco ha detto: «Pensiamo anche all’umiliazione di quanti per il loro comportamento fedele al Vangelo sono discriminati e pagano di persona. E pensiamo ai nostri fratelli e sorelle perseguitati perché cristiani, i martiri di oggi – ce ne sono tanti – non rinnegano Gesù e sopportano con dignità insulti e oltraggi».
Il 03 aprile 2015 il giornalista ratzingeriano Vittorio Messori è intervenuto affermando: «in certi settori ecclesiali c’è malcontento verso papa Francesco, sospettato di reagire in modo tiepido, timido, a questa mattanza di figli della Chiesa di cui pure è pastore. Verità imporrebbe di riconoscere che il rimprovero non sembra giustificato: in effetti, qualcuno ha potuto compilare una sorta di antologia delle denunce al proposito del pontefice. E’ comunque curioso: proprio coloro che lodano (e giustamente) la prudenza di Pio XII verso coloro che seguivano il Mein Kampf, si lagnano della prudenza del suo attuale successore soprattutto verso coloro che seguono, fino alle estreme conseguenze, un altro libro, il Corano. Il realismo cattolico ha portato i papi a firmare concordati con Napoleone, con Mussolini, con Hitler, e con molti altri tiranni. E’ lo stesso realismo che li ha indotti poi a una Ost Politik che scandalizzava i puri e duri dell’anticomunismo, che ha portato Giovanni XXIII a negoziare con i sovietici il silenzio del Concilio sul comunismo in cambio di una mitigazione della persecuzione e che porta ora Bergoglio a non ignorare il problema, ma a muoversi con prudenza obbligata. Obbligata, certo, come fu sempre quella ecclesiale coi tanti persecutori della storia: non dimenticare ma, al contempo, tutelare le pecorelle minacciate dai lupi, cercando di porre limite alla loro ferocia o con trattati o, almeno, non eccedendo con la protesta pubblica. Facili, edificanti, virtuose le altisonanti denunce al riparo delle mura vaticane. Non altrettanto benvenute per chi debba poi, in lontani Paesi, subirne la conseguenze».
Il 15 marzo 2015 durante l’Angelus, Francesco ha affermato: «Con dolore, con molto dolore, ho appreso degli attentati terroristici di oggi contro due chiese nella città Lahore in Pakistan, che hanno provocato numerosi morti e feriti. Sono chiese cristiane. I cristiani sono perseguitati. I nostri fratelli versano il sangue soltanto perché sono cristiani. Mentre assicuro la mia preghiera per le vittime e per le loro famiglie, chiedo al Signore, imploro dal Signore, fonte di ogni bene, il dono della pace e della concordia per quel Paese. Che questa persecuzione contro i cristiani, che il mondo cerca di nascondere, finisca e ci sia la pace».
Il 02 marzo 2015 l’arcivescovo Jacques Behnan Hindo, capo dell’arcieparchia siro-cattolica di Hassakè-Nisibi ha spiegato che i capi delle Chiese e delle comunità locali cercano di tenere aperti i contatti e i negoziati con i miliziani dell’Is attraverso la mediazione di alcuni leader tribali musulmani locali. Se lo scrittore Antonio Socci accusa il Vaticano di non “tuonare” contro l’Islam, mons. Behnan Hindo, fisicamente a fianco dei cristiani perseguitati, ha affermato: «Il momento è delicato e ogni iniziativa o parola non calibrata e presa senza ponderazione può aumentare i rischi per tutti».
Il 02 marzo 2015 nella lettera ai vescovi nigeriani, Francesco ha scritto: «Credenti, sia cristiani che musulmani, sono stati accomunati da una tragica fine, per mano di persone che si proclamano religiose, ma che abusano della religione per farne una ideologia da piegare ai propri interessi di sopraffazione e di morte».
Il 02 marzo 2015 incontrando i vescovi del Nord Africa, ha affermato: (qui una traduzione) «mi unisco ai fedeli delle vostre diocesi del Nord dell’Africa. Portate loro l’affetto del Papa e la certezza che egli resta vicino a loro e li incoraggia nella generosa testimonianza che rendono al Vangelo di pace e di amore di Gesù. Vorrei in particolare rendere omaggio al coraggio, alla fedeltà e alla perseveranza dei Vescovi in Libia, come pure dei sacerdoti, delle persone consacrate e dei laici che rimangono nel Paese nonostante i molteplici pericoli. Sono autentici testimoni del Vangelo. Li ringrazio vivamente, e vi incoraggio tutti a proseguire i vostri sforzi per contribuire alla pace e alla riconciliazione in tutta la vostra regione».
Il 01 marzo 2015 durante l’Angelus Papa Francesco ha detto: «non cessano, purtroppo, di giungere notizie drammatiche dalla Siria e dall’Iraq, relative a violenze, sequestri di persona e soprusi a danno di cristiani e di altri gruppi. Vogliamo assicurare a quanti sono coinvolti in queste situazioni che non li dimentichiamo, ma siamo loro vicini e preghiamo insistentemente perché al più presto si ponga fine all’intollerabile brutalità di cui sono vittime. Insieme ai membri della Curia Romana ho offerto secondo questa intenzione l’ultima Santa Messa degli Esercizi Spirituali, venerdì scorso. Nello stesso tempo chiedo a tutti, secondo le loro possibilità, di adoperarsi per alleviare le sofferenze di quanti sono nella prova, spesso solo a causa della fede che professano. Preghiamo per questi fratelli e queste sorelle che soffrono per la fede in Siria e in Iraq…. Preghiamo in silenzio…».
Il 17 febbraio 2015 prima della messa a Santa Marta, Papa Francesco ha chiesto: «Offriamo questa Messa per i nostri 21 fratelli copti, sgozzati per il solo motivo di essere cristiani. Preghiamo per loro che il Signore come martiri li accolga, per le loro famiglie, per il mio fratello Tawadros, che soffre tanto».
Il 16 febbraio 2015 nel discorso al moderatore della Chiesa di Scozia, Francesco ha affermato: «oggi ho potuto leggere dell’esecuzione di quei ventuno o ventidue cristiani copti. Dicevano solamente: “Gesù aiutami!”. Sono stati assassinati per il solo fatto di essere cristiani. Lei, fratello, nel suo discorso ha fatto riferimento a quello che succede nella terra di Gesù. Il sangue dei nostri fratelli cristiani è una testimonianza che grida. Siano cattolici, ortodossi, copti, luterani non importa: sono cristiani! E il sangue è lo stesso. Il sangue confessa Cristo. Ricordando questi fratelli che sono morti per il solo fatto di confessare Cristo, chiedo di incoraggiarci l’un l’altro ad andare avanti con questo ecumenismo, che ci sta dando forza, l’ecumenismo del sangue. I martiri sono di tutti i cristiani».
Il 06 febbraio 2015 durante l’omelia a Santa Marta, Francesco ha affermato: «penso ai nostri martiri, ai martiri dei nostri giorni, quegli uomini, donne, bambini che sono perseguitati, odiati, cacciati via dalle case, torturati, massacrati. E questa non è una cosa del passato: oggi succede questo. I nostri martiri, che finiscono la loro vita sotto l’autorità corrotta di gente che odia Gesù Cristo. Ci farà bene pensare ai nostri martiri. Oggi pensiamo a Paolo Miki, ma quello è successo nel 1600. Pensiamo a quelli di oggi! Del 2015».
Nel febbraio 2015 una delle massime autorità religiose musulmane, Ahmed Al Tayeb ha attaccato l’Isis parlando di “organizzazione terrorista satanica”.
Il 30 gennaio 2015 durante il discorso alla Commissione mista internazionale per il dialogo teologico, Francesco ha affermato: «In questo momento, in maniera particolare, noi condividiamo la costernazione e il dolore per quanto accade in Medio Oriente, specialmente in Iraq e in Siria. Ricordo tutti gli abitanti della regione, compresi i nostri fratelli cristiani e molte minoranze, che vivono le conseguenze di un estenuante conflitto. Insieme a voi prego ogni giorno affinché si trovi presto una soluzione negoziata, supplicando la bontà e la pietà di Dio per quanti che sono colpiti da questa immensa tragedia. Tutti i cristiani sono chiamati a lavorare insieme in mutua accettazione e fiducia per servire la causa della pace e della giustizia. Possano l’intercessione e l’esempio di molti martiri e santi, che hanno dato coraggiosa testimonianza di Cristo in tutte le nostre Chiese, sostenere e rafforzare voi e le vostre comunità cristiane».
Il 27 gennaio 2015 l’arcivescovo Metropolita di Aleppo, mons. Jean-Clément Jeanbart ha spiegato che «la religione c’entra solo perché alcuni hanno tentato di coprire gli interessi economici con quelli presunti religiosi. Questo non corrisponde alla realtà. Io ho rapporti con tantissimi esponenti religiosi, anche autorevoli, dell’islam. Nessuno è convinto che in nome di Dio si possa uccidere. E’ la violenza di pochi che prevale sulla volontà alla pace di molti».
Il 24 gennaio 2015 mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, ha spiegato cosa si intenda per “dialogare con i terroristi”: «Qui il realismo del Papa ci aiuta molto. (…) Il dialogo sì, sempre, ma non significa mettersi di fronte all’altro e necessariamente aspettare che lui impari la mia lingua quando la sua è soltanto orientata, sintonizzata sulla violenza e sul sopruso. Bisogna che io trovi tutti i mezzi possibili e necessari perché l’altro capisca che il suo linguaggio è sbagliato, che sta portando morte».
Il 21 gennaio 2015 durante l’udienza generale, Francesco ha invitato a «pregare insieme per le vittime delle manifestazioni di questi ultimi giorni nell’amato Niger. Sono state fatte brutalità verso i cristiani, i bambini e le chiese. Invochiamo dal Signore il dono della riconciliazione e della pace, perché mai il sentimento religioso diventi occasione di violenza, di sopraffazione e di distruzione. Non si può fare la guerra in nome di Dio! Auspico che quanto prima si possa ristabilire un clima di rispetto reciproco e di pacifica convivenza per il bene di tutti».
Il 15 gennaio 2015 il francescano custode di Terrasanta, padre Pierbattista Pizzaballa, ha spiegatore: «Il Papa ha uno sguardo d’assieme sulla realtà mondiale che pochi altri possono avere. Ha colto il cambiamento epocale e, in esso, la violenza che lo abita come nocciolo. Il fanatismo, il dire io sono nel giusto; o diventi come noi, o devi sparire. Poi, a seconda delle situazioni, si avrà in Medio Oriente l’Isis e in Africa Boko Haram. È un ritorno al punto più buio di secoli passati».
Il 13 gennaio 2015 durante il suo viaggio in Sri Lanka e Filippine, Francesco ha affermato: «Per il bene della pace, non si deve permettere che le credenze religiose vengano abusate per la causa della violenza o della guerra. Dobbiamo essere chiari e non equivoci nell’invitare le nostre comunità a vivere pienamente i precetti di pace e convivenza presenti in ciascuna religione e denunciare gli atti di violenza quando vengono commessi».
Il 12 gennaio 2015 nel discorso al corpo diplomatico presso la Santa Sede, Francesco ha affermato: «Il pensiero corre subito al Pakistan, dove un mese fa oltre cento bambini sono stati trucidati con inaudita ferocia. Alle loro famiglie desidero rinnovare il mio personale cordoglio e l’assicurazione della mia preghiera per i tanti innocenti che hanno perso la vita». Ha ricordato anche «la tragica strage avvenuta a Parigi alcuni giorni fa». Accade questo perché «l’essere umano da libero diventa schiavo, ora delle mode, ora del potere, ora del denaro, talvolta perfino di forme fuorviate di religione […]. Il Medio Oriente è purtroppo attraversato anche da altri conflitti, che si protraggono ormai da troppo tempo e i cui risvolti sono agghiaccianti anche per il dilagare del terrorismo di matrice fondamentalista in Siria ed in Iraq. Tale fenomeno è conseguenza della cultura dello scarto applicata a Dio. Il fondamentalismo religioso, infatti, prima ancora di scartare gli esseri umani perpetrando orrendi massacri, rifiuta Dio stesso, relegandolo a un mero pretesto ideologico. Di fronte a tale ingiusta aggressione, che colpisce anche i cristiani e altri gruppi etnici e religiosi della Regione – gli yazidi, per esempio – occorre una risposta unanime che, nel quadro del diritto internazionale, fermi il dilagare delle violenze, ristabilisca la concordia e risani le profonde ferite che il succedersi dei conflitti ha provocato. Nel sollecitare la comunità internazionale a non essere indifferente davanti a tale situazione, auspico che i leader religiosi, politici e intellettuali specialmente musulmani, condannino qualsiasi interpretazione fondamentalista ed estremista della religione, volta a giustificare tali atti di violenza».
L’8 gennaio 2015 è intervenuto il prof. Massimo Introvigne, vice-responsabile nazionale di Alleanza Cattolica e coordinatore dell’Osservatorio della libertà religiosa, spiegando: «sbagliano i politicanti estremisti e sciacalli di tutte le risme, i quali sperano di lucrare su queste tragedie per fare i martiri con il sangue degli altri alla ricerca di un miserabile tornaconto elettorale, o per arruolare anche i poveri morti di Parigi in rese dei conti ecclesiastiche che hanno di mira Papa Francesco, accusato di inventare un dialogo con l’islam che invece già Benedetto XVI in un discorso del 28 novembre 2006 definiva “non opzionale”, cioè obbligatorio. Sbagliano i buonisti per cui i terroristi “non sono islamici” ma sbagliano anche i “cattivisti” per cui tutti gli islamici sono terroristi». Invece «la “strategia Francesco” che Papa Bergoglio ha più volte proposto di fronte alle stragi dell’ISIS è l’unico modo ragionevole di rispondere alla criminale follia dei terroristi. Non è spegnendo la luce del dialogo e strillando in piazza slogan contro l’Islam che si disinnesca l’ultra-fondamentalismo assassino. Al contrario, lo si alimenta. E’ solo trovando interlocutori islamici disposti non a rinnegare la propria storia e la propria identità ma a cercare al loro interno le ragioni per condannare e isolare i terroristi che gli assassini potranno essere davvero sconfitti. È la strategia di Papa Francesco, era la vera strategia di Papa Benedetto. È la strategia più difficile. Ma non ce ne sono altre».
Il 7 gennaio 2015 un gruppo di prominenti imam francesi ha assistito all’udienza generale di Papa Francesco. Raggiunti dalla notizia dell’attentato al settimanale satirico Charlie Hebdo da parte di terroristi musulmani, hanno subito condannato i fatti: «E’ necessario che la comunità musulmana si ribelli» per esprimere il suo «disgusto» di fronte al fatto che «la maggioranza silenziosa si vede presa in ostaggio da dei folli». Allo stesso modo ha fatto l’Unione delle moschee francesi parlando di «attentato vile, criminale e imperdonabile», poiché «nulla, assolutamente nulla, può giustificare o scusare questo crimine». E’ evidente che il mondo musulmano non c’entra nulla con il fondamentalismo dell’Is e Francesco, correttamente, scinde l’islam dai fomentatori di odio.
Il 3 gennaio 2015 è stato recensito il saggio di Angela Lano, giornalista e saggista esperta di islam, nel quale la studiosa spiega che per l’Is il mondo non si riduce più a “musulmani” e “non credenti” (cristiani, ebrei, buddisti, atei, ecc.), ma a “credenti veri” (loro) e “miscredenti” (tutti gli altri, musulmani compresi). Il che dà l’idea della profondità della faglia apertasi con l’affermazione militare ed economica dello Stato islamico. Per questo l’Is rappresenta una minaccia anche per l’islam più autentico e pacifico e per questo non ha senso accusare l’islam del terrorismo verso i cristiani ed è più sensato parlare di fondamentalismo religioso, come ha optato -anche in segno ecumenico- Papa Francesco.
Il 3 gennaio 2015 lo storico Franco Cardini ha spiegato che gli jihadisti non «rappresentano il nuovo volto dell’Islam. Ci sono un miliardo e mezzo di musulmani nel mondo e gli integralisti sono una minima parte. Certo potrebbe aumentare, ma, pur essendo l’Islam come l’ebraismo una religione di “Legge”, cioè finalizzata alla realizzazione della giustizia divina e non della pace in senso stretto tra gli uomini, non vedo i presupposti per una sua trasformazione globale in senso estremista». L’osservazione è giusta e questo aiuta a spiegare perché Francesco abbia tentato di evitare il più possibile di accusare l’islam del massacro dei cristiani, preferendo parlare di fondamentalismi religiosi in generale.
Il 21 dicembre 2014 Francesco ha inviato una lunga lettera ai cristiani del Medio Oriente, scrivendo: «Lo faccio nell’imminenza del Santo Natale, sapendo che per molti di voi alle note dei canti natalizi si mescoleranno le lacrime e i sospiri […]. L’afflizione e la tribolazione non sono mancate purtroppo nel passato anche prossimo del Medio Oriente. Esse si sono aggravate negli ultimi mesi a causa dei conflitti che tormentano la Regione, ma soprattutto per l’operato di una più recente e preoccupante organizzazione terrorista, di dimensioni prima inimmaginabili, che commette ogni sorta di abusi e pratiche indegne dell’uomo, colpendo in modo particolare alcuni di voi che sono stati cacciati via in maniera brutale dalle proprie terre, dove i cristiani sono presenti fin dall’epoca apostolica. Nel rivolgermi a voi, non posso dimenticare anche altri gruppi religiosi ed etnici che pure subiscono la persecuzione e le conseguenze di tali conflitti. Seguo quotidianamente le notizie dell’enorme sofferenza di molte persone nel Medio Oriente. Penso specialmente ai bambini, alle mamme, agli anziani, agli sfollati e ai rifugiati, a quanti patiscono la fame, a chi deve affrontare la durezza dell’inverno senza un tetto sotto il quale proteggersi. Questa sofferenza grida verso Dio e fa appello all’impegno di tutti noi, nella preghiera e in ogni tipo di iniziativa. A tutti voglio esprimere la vicinanza e la solidarietà mia e della Chiesa, e offrire una parola di consolazione e di speranza […]. Ricordo con affetto e venerazione i Pastori e i fedeli ai quali negli ultimi tempi è stato chiesto il sacrificio della vita, spesso per il solo fatto di essere cristiani. Penso anche alle persone sequestrate, tra cui alcuni Vescovi ortodossi e sacerdoti dei diversi Riti. Possano presto tornare sane e salve nelle loro case e comunità! Chiedo a Dio che tanta sofferenza unita alla croce del Signore dia frutti di bene per la Chiesa e per i popoli del Medio Oriente […]. Le sofferenze patite dai cristiani portano un contributo inestimabile alla causa dell’unità. E’ l’ecumenismo del sangue, che richiede fiducioso abbandono all’azione dello Spirito Santo. […]. Il vostro sforzo di collaborare con persone di altre religioni, con gli ebrei e con i musulmani, è un altro segno del Regno di Dio. Il dialogo interreligioso è tanto più necessario quanto più difficile è la situazione. Non c’è un’altra strada. Il dialogo basato su un atteggiamento di apertura, nella verità e nell’amore, è anche il migliore antidoto alla tentazione del fondamentalismo religioso, che è una minaccia per i credenti di tutte le religioni. Il dialogo è al tempo stesso un servizio alla giustizia e una condizione necessaria per la pace tanto desiderata. La maggior parte di voi vive in un ambiente a maggioranza musulmana. Potete aiutare i vostri concittadini musulmani a presentare con discernimento una più autentica immagine dell’Islam, come vogliono tanti di loro, i quali ripetono che l’Islam è una religione di pace e può accordarsi con il rispetto dei diritti umani e favorire la convivenza di tutti. Sarà un bene per loro e per l’intera società. La situazione drammatica che vivono i nostri fratelli cristiani in Iraq, ma anche gli yazidi e gli appartenenti ad altre comunità religiose ed etniche, esige una presa di posizione chiara e coraggiosa da parte di tutti i responsabili religiosi, per condannare in modo unanime e senza alcuna ambiguità tali crimini e denunciare la pratica di invocare la religione per giustificarli […]. Continueremo ad aiutarvi con la preghiera e con gli altri mezzi a disposizione. Nello stesso tempo continuo a esortare la Comunità internazionale a venire incontro ai vostri bisogni e a quelli delle altre minoranze che soffrono; in primo luogo, promuovendo la pace mediante il negoziato e il lavoro diplomatico, cercando di arginare e fermare quanto prima la violenza che ha causato già troppi danni. […]. Ogni giorno prego per voi e per le vostre intenzioni. Vi ringrazio perché so che voi, nelle vostre sofferenze, pregate per me e per il mio servizio alla Chiesa. Spero tanto di avere la grazia di venire di persona a visitarvi e confortarvi».
Il 6 dicembre 2014 il vaticanista John L. Allen è entrato nel merito delle accuse a Francesco sui suoi “silenzi” verso Asia Bibi, la cristiana incarcerata in Pakistan per un’assurda accusa di blasfemia. «Tuttavia, papi e funzionari del Vaticano hanno sempre pesato le parole con attenzione, per paura che dire qualcosa di provocatorio possa peggiorare le cose. In questo contesto si apprezza il fatto che il Vaticano possa preferire di operare dietro le quinte».
Il 30 novembre 2014 nella conferenza stampa durante il ritorno dal viaggio in Turchia, Papa Francesco ha affermato: «Sull’islamofobia: è vero che davanti a questi atti terroristici, non solo in questa zona ma anche in Africa, c’è una reazione e si dice: “Se questo è l’islam, mi arrabbio!”. E tanti islamici sono offesi, tanti, tanti islamici. Dicono: “No, noi non siamo questo. Il Corano è un libro di pace, è un libro profetico di pace. Questo non è islam”. Io capisco questo e credo che – almeno io credo, sinceramente – che non si possa dire che tutti gli islamici sono terroristi: non si può dire. Come non si può dire che tutti i cristiani sono fondamentalisti, perché anche noi ne abbiamo, in tutte le religioni ci sono questi gruppetti. Io ho detto al Presidente [Erdogan]: “Sarebbe bello che tutti i leader islamici – siano leader politici, leader religiosi o leader accademici – parlino chiaramente e condannino quegli atti, perché questo aiuterà la maggioranza del popolo islamico a dire “no”; ma davvero, dalla bocca dei suoi leader: il leader religioso, il leader accademico, tanti intellettuali, e i leader politici”. Questa è stata la mia risposta. Perché noi tutti abbiamo bisogno di una condanna mondiale, anche da parte degli islamici, che hanno quella identità e che dicano: “Noi non siamo quelli. Il Corano non è questo”. Questa è la prima cosa. Cristianofobia: è vero! Non voglio usare parole un po’ addolcite, no. Noi cristiani, ci cacciano via dal Medio Oriente. Alcune volte, come abbiamo visto in Iraq, nella zona di Mosul, devono andarsene e lasciare tutto, o pagare la tassa, che poi non serve… E altre volte ci cacciano via con i guanti bianchi. Per esempio, in uno Stato, una coppia, il marito vive qua, la donna vive là… No, che il marito venga a vivere con la donna. No, no: che la donna lasci e lasci libera la casa. Questo succede in alcuni Paesi. E’ come se volessero che non ci siano più cristiani, che non rimanga niente di cristiano. In quella zona c’è questo. E’ vero, è un effetto del terrorismo, nel primo caso, ma quando si fa diplomaticamente, con i guanti bianchi, è perché c’è un’altra cosa dietro, e questo non è buono […]. Tornando ai due primi aspetti, soprattutto a quello dell’islamofobia, dobbiamo sempre distinguere qual è la proposta di una religione dall’uso concreto che di quella proposta fa un determinato governo. Forse dice: “Io sono islamico – io sono ebreo – io sono cristiano”. Ma tu governi il tuo Paese non come islamico, non come ebreo, non come cristiano. C’è un abisso. Bisogna fare questa distinzione, perché tante volte si usa il nome, ma la realtà non è quella della religione».
Il 25 novembre 2014 nel discorso al Parlamento Europeo, Francesco ha ricordato «le numerose ingiustizie e persecuzioni che colpiscono quotidianamente le minoranze religiose, e particolarmente cristiane, in diverse parti del mondo. Comunità e persone che si trovano ad essere oggetto di barbare violenze: cacciate dalle proprie case e patrie; vendute come schiave; uccise, decapitate, crocefisse e bruciate vive, sotto il silenzio vergognoso e complice di tanti».
Il 12 novembre 2014, al termine dell’Udienza generale, Francesco ha affermato: «Con grande trepidazione seguo le drammatiche vicende dei cristiani che in varie parti del mondo sono perseguitati e uccisi a motivo del loro credo religioso. Sento il bisogno di esprimere la mia profonda vicinanza spirituale alle comunità cristiane duramente colpite da un’assurda violenza che non accenna a fermarsi, mentre incoraggio i Pastori e i fedeli tutti ad essere forti e saldi nella speranza. Ancora una volta, rivolgo un accorato appello a quanti hanno responsabilità politiche a livello locale e internazionale, come pure a tutte le persone di buona volontà, affinché si intraprenda una vasta mobilitazione di coscienze in favore dei cristiani perseguitati. Essi hanno il diritto di ritrovare nei propri Paesi sicurezza e serenità, professando liberamente la nostra fede. E adesso per tutti i cristiani, perseguitati perché cristiani, vi invito a pregare il Padre Nostro».
Il 10 novembre 2014 lo scrittore Antonio Socci ha accusato Francesco di non essere intervenuto sulla morte di due cristiani gettati in una fornace e bruciati. E’ vero, ma sono due anni che ogni mese ricorda i cristiani perseguitati e infatti interverrà su questo caso specifico due giorni dopo. Lo stesso silenzio, ha affermato Socci, ci sarebbe stato anche sul caso di Meriam: una falsità, non solo appena la donna è stata liberata ha voluto incontrare Papa Francesco, ma ha anche «ringraziato per il sostegno che nella sua vicenda ha sempre avuto dalla Chiesa cattolica». E da questo si evince chiaramente che c’è stato un lavoro dietro le quinte per la sua liberazione, gestito da Francesco.
Il 20 ottobre 2014, in occasione della fine del Sinodo sulla Famiglia, Francesco ha ricordato «un’altra questione che mi sta molto a cuore, ovvero il Medio Oriente e, in particolare, la situazione dei cristiani nella regione. Come ho avuto occasione di ribadire a più riprese, non possiamo rassegnarci a pensare al Medio Oriente senza i cristiani, che da duemila anni vi confessano il nome di Gesù. Gli ultimi avvenimenti, soprattutto in Iraq e in Siria, sono molto preoccupanti. Assistiamo ad un fenomeno di terrorismo di dimensioni prima inimmaginabili. Tanti nostri fratelli sono perseguitati e hanno dovuto lasciare le loro case anche in maniera brutale. Sembra che si sia persa la consapevolezza del valore della vita umana, sembra che la persona non conti e si possa sacrificare ad altri interessi. E tutto ciò, purtroppo, nell’indifferenza di tanti».
L’8 ottobre 2014 il vescovo francescano, mons. Georges Abou Khazen, vicario apostolico di Aleppo ha rivelato in seguito al suo incontro con Francesco: «Mi ha detto che ha la Siria nel suo cuore e nella sua preghiera, e che prega per tutti i cristiani del Medio Oriente. E’ ben consapevole di quello che sta succedendo ai cristiani e per questo noi lo ringraziamo veramente. E io, quando sono andato a Roma, molti – non solo cristiani, ma soprattutto musulmani – mi hanno detto: “Per favore, ringrazi il Santo Padre a nostro nome per tutto quello che sta facendo per noi”».
Il 21 settembre 2014 durante il suo viaggio in Albania, Francesco ha affermato: «Non possiamo non riconoscere come l’intolleranza verso chi ha convinzioni religiose diverse dalle proprie sia un nemico molto insidioso, che oggi purtroppo si va manifestando in diverse regioni del mondo. […]. Nessuno può usare il nome di Dio per commettere violenza! Uccidere in nome di Dio è un grande sacrilegio! Discriminare in nome di Dio è inumano».
Il 22 agosto 2014 il vaticanista Andrea Tornielli ha risposto a coloro che criticano i presunti silenzi di Papa Francesco nei confronti dei cristiani perseguitati: «Hanno pesantemente criticato il Papa (meglio Bergoglio, come lo definiscono, senza mai ricordare una volta il nome pontificale di Francesco, dato che per qualcuno di costoro il vero Papa è l’emerito) per i suoi presunti “silenzi” circa l’Iraq, con le stesse identiche motivazioni per le quali esattamente mezzo secolo fa, pochi anni dopo la sua morte, venne messo alla berlina Pio XII. Dimenticano di rileggersi le dichiarazioni analoghe fatte dai predecessori negli ultimi decenni in casi di persecuzioni, guerre, emergenze umanitarie (scoprirebbero che il Papa quando interviene in questi casi, evita sempre di additare con nome e cognome i “cattivi” e la loro eventuale appartenenza religiosa, si vedano gli interventi di Papa Wojtyla sul Kosovo)».
Il 3 settembre 2014 durante l’udienza generale, Francesco ha affermato: «Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua araba, in particolare a quelli provenienti dall’Iraq. La chiesa è Madre e, come tutte le madri, sa accompagnare il figlio bisognoso, sollevare il figlio caduto, curare il malato, cercare il perduto e scuotere quello addormentato e anche difendere i figli indifesi e perseguitati. Oggi vorrei assicurare, specialmente a questi ultimi, cioè gli indifesi e perseguitati, la vicinanza: siete nel cuore della Chiesa; la Chiesa soffre con voi ed è fiera di voi, fiera di avere figli come voi; siete la sua forza e la testimonianza concreta e autentica del suo messaggio di salvezza, di perdono e di amore. Vi abbraccio tutti, tutti! Il Signore vi benedica e vi protegga sempre!».
Il 18 agosto 2014 durante la conferenza stampa nel volo di ritorno dalla Corea del Sud, Francesco ha risposto alla domanda se approva che gli Stati Uniti abbiano iniziato a bombardare dei terroristi in Iraq per prevenire un genocidio, per proteggere il futuro delle minoranze: «In questi casi, dove c’è un’aggressione ingiusta, posso soltanto dire che è lecito fermare l’aggressore ingiusto. Sottolineo il verbo: fermare. Non dico bombardare, fare la guerra, ma fermarlo. I mezzi con i quali si possono fermare, dovranno essere valutati. Fermare l’aggressore ingiusto è lecito. Ma dobbiamo anche avere memoria! Quante volte, con questa scusa di fermare l’aggressore ingiusto, le potenze si sono impadronite dei popoli e hanno fatto una vera guerra di conquista! Una sola nazione non può giudicare come si ferma un aggressore ingiusto. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, è stata l’idea delle Nazioni Unite: là si deve discutere, dire: “E’ un aggressore ingiusto? Sembra di sì. Come lo fermiamo?”. Soltanto questo, niente di più. Secondo, le minoranze. Grazie della parola. Perché a me dicono: “I cristiani, poveri cristiani…” Ed è vero, soffrono. I martiri, sì, ci sono tanti martiri. Ma qui ci sono uomini e donne, minoranze religiose, non tutte cristiane, e tutti sono uguali davanti di Dio. Fermare l’aggressore ingiusto è un diritto dell’umanità, ma è anche un diritto dell’aggressore, di essere fermato per non fare del male». Rispetto ai profughi del Kurdistan, ha rivelato: «ci siamo detti: che cosa si può fare? Abbiamo pensato tante cose. Abbiamo scritto prima di tutto un comunicato che ha fatto padre Lombardi a nome mio. Dopo, questo comunicato è stato inviato a tutte le Nunziature perché fosse comunicato ai governi. Poi, abbiamo scritto una lettera al Segretario Generale delle Nazioni Unite… Tante cose… E alla fine abbiamo deciso di inviare un Inviato Personale, il Cardinale Filoni. E infine abbiamo detto: se fosse necessario, quando torniamo dalla Corea, possiamo andare lì. Era una delle possibilità. Questa è la risposta: sono disponibile. In questo momento non è la cosa migliore da fare, ma sono disposto a questo».
Il 12 agosto 2014 il prof. Massimo Introvigne, vice-responsabile nazionale di Alleanza Cattolica e coordinatore dell’Osservatorio della libertà religiosa, ha commentato: «Altri invece contrappongono Benedetto XVI al suo successore Francesco, sostenendo che Papa Ratzinger, a differenza dell’attuale Pontefice, avrebbe chiaramente denunciato il potenziale di violenza e di odio dell’islam. Nell’uno e nell’altro caso, si rischia di presentare un’immagine riduttiva di Benedetto XVI». Ha anche «insegnato che il dialogo interreligioso con l’islam è una scelta irrinunciabile della Chiesa. Poco prima di morire, proprio Oriana Fallaci confidava che il Papa tedesco, a lei che definiva questo dialogo “impossibile”, avrebbe ribadito che si tratta di un dialogo “impossibile, ma obbligatorio”».
Il 10 agosto 2014 durante l’Angelus, Francesco ha affermato: «ci lasciano increduli e sgomenti le notizie giunte dall’Iraq: migliaia di persone, tra cui tanti cristiani, cacciati dalle loro case in maniera brutale; bambini morti di sete e di fame durante la fuga; donne sequestrate; persone massacrate; violenze di ogni tipo; distruzione dappertutto; distruzione di case, di patrimoni religiosi, storici e culturali. Tutto questo offende gravemente Dio e offende gravemente l’umanità. Non si porta l’odio in nome di Dio! Non si fa la guerra in nome di Dio! Noi tutti, pensando a questa situazione, a questa gente, facciamo silenzio adesso e preghiamo. Ringrazio coloro che, con coraggio, stanno portando soccorso a questi fratelli e sorelle, e confido che una efficace soluzione politica a livello internazionale e locale possa fermare questi crimini e ristabilire il diritto. Per meglio assicurare la mia vicinanza a quelle care popolazioni ho nominato mio Inviato Personale in Iraq il Cardinale Fernando Filoni, che domani partirà da Roma».
L’8 agosto 2014 Francesco attraverso Twitter ha inviato tre messaggi: «Chiedo a tutti gli uomini di buona volontà di unirsi alle mie preghiere per i cristiani iracheni e per tutte le comunità perseguitate; Vi prego di dedicare un momento oggi alla preghiera per tutti coloro che sono costretti a lasciare la loro casa in Iraq. #prayforpeace; Signore, ti preghiamo di sostenere coloro che in Iraq sono privati di tutto. #prayforpeace”».
Il 1 agosto 2014 il sociologo Massimo Introvigne ha scritto: «Papa Francesco ha ricordato oltre venti volte, in meno di un anno e mezzo di pontificato, i cristiani perseguitati oggi nel mondo. Chissà perché, non è la parte del suo magistero su cui i grandi media insistono di più, anche se Francesco ha cercato di attirare l’attenzione su questo tema più di ogni altro Pontefice precedente e certamente più di qualunque leader politico mondiale».
Il 20 luglio 2014 dopo l’Angelus, Francesco ha affermato: «Ho appreso con preoccupazione le notizie che giungono dalle Comunità cristiane a Mossul (Iraq) e in altre parti del Medio Oriente, dove esse, sin dall’inizio del cristianesimo, hanno vissuto con i loro concittadini offrendo un significativo contributo al bene della società. Oggi sono perseguitate; i nostri fratelli sono perseguitati, sono cacciati via, devono lasciare le loro case senza avere la possibilità di portare niente con loro. A queste famiglie e a queste persone voglio esprimere la mia vicinanza e la mia costante preghiera. Carissimi fratelli e sorelle tanto perseguitati, io so quanto soffrite, io so che siete spogliati di tutto. Sono con voi nella fede in Colui che ha vinto il male! E a voi, qui in piazza e a quanti ci seguono per mezzo della televisione, rivolgo l’invito a ricordare nella preghiera queste comunità cristiane. Vi esorto, inoltre, a perseverare nella preghiera per le situazioni di tensione e di conflitto che persistono in diverse zone del mondo, specialmente in Medio Oriente e in Ucraina. Il Dio della pace susciti in tutti un autentico desiderio di dialogo e di riconciliazione. La violenza non si vince con la violenza. La violenza si vince con la pace! Preghiamo in silenzio, chiedendo la pace; tutti, in silenzio…. Maria Regina della pace, prega per noi!».
Il 20 giugno 2014, ai partecipanti di un convegno sulla libertà religiosa, Francesco ha detto: «Alla luce delle acquisizioni della ragione, confermate e perfezionate dalla rivelazione, e del progresso civile dei popoli, risulta incomprensibile e preoccupante che, a tutt’oggi, nel mondo permangano discriminazioni e restrizioni di diritti per il solo fatto di appartenere e professare pubblicamente una determinata fede. È inaccettabile che addirittura sussistano vere e proprie persecuzioni per motivi di appartenenza religiosa! Anche guerre! Questo ferisce la ragione, attenta alla pace e umilia la dignità dell’uomo. E’ per me motivo di grande dolore constatare che i cristiani nel mondo subiscono il maggior numero di tali discriminazioni. La persecuzione contro i cristiani oggi è addirittura più forte che nei primi secoli della Chiesa, e ci sono più cristiani martiri che in quell’epoca. Questo accade a più di 1700 anni dall’editto di Costantino, che concedeva la libertà ai cristiani di professare pubblicamente la loro fede. Auspico vivamente che il vostro convegno illustri con profondità e rigore scientifico le ragioni che obbligano ogni ordinamento giuridico a rispettare e difendere la libertà religiosa».
Il 13 giugno 2014 durante l’intervista a “La Vanguardia”, Papa Francesco ha affermato: «I cristiani perseguitati sono una preoccupazione che mi tocca da vicino come pastore. So molte cose sulla persecuzione che non mi sembra prudente raccontare qui per non offendere nessuno. Ma ci sono dei luoghi dove è proibito avere una Bibbia o insegnare catechismo o portare una croce… C’è una cosa che voglio però mettere in chiaro: sono convinto che la persecuzione contro i cristiani oggi sia più forte che nei primi secoli della Chiesa. Oggi ci sono più cristiani martiri che a quell’epoca. E non è una fantasia, lo dicono i numeri».
Il 10 maggio 2014, in seguito al rapimento delle studentesse cristiane in Nigeria da parte degli islamisti di Boko Haram, Papa Francesco si è unito all’appello per la loro liberazione: «Uniamoci tutti nella preghiera per l’immediato rilascio delle liceali rapite in Nigeria. BringBackOurGirls». Nel novembre 2014 Socci lo accuserà di aver «taciuto su questa tragedia».
Il 26 dicembre 2013 Francesco attraverso Twitter ha inviato questo messaggio: «Davanti al Presepe, preghiamo in modo speciale per quanti soffrono persecuzione a motivo della fede».
Il 26 dicembre 2013 durante l’Angelus, Francesco ha affermato: « oggi preghiamo in modo particolare per i cristiani che subiscono discriminazioni a causa della testimonianza resa a Cristo e al Vangelo. Siamo vicini a questi fratelli e sorelle che, come santo Stefano, vengono accusati ingiustamente e fatti oggetto di violenze di vario tipo. Sono sicuro che, purtroppo, sono più numerosi oggi che nei primi tempi della Chiesa. Ce ne sono tanti! Questo accade specialmente là dove la libertà religiosa non è ancora garantita o non è pienamente realizzata. Accade però anche in Paesi e ambienti che sulla carta tutelano la libertà e i diritti umani, ma dove di fatto i credenti, e specialmente i cristiani, incontrano limitazioni e discriminazioni. Io vorrei chiedervi di pregare per questi fratelli e sorelle un attimo in silenzio […] E li affidiamo alla Madonna».
Il 22 settembre 2013, in seguito al doppio attacco a Peshawar (Pakistan) dopo messa, dove hanno perso la vita 78 persone, Francesco, concludendo la visita a Cagliari e incontrando un gruppo di giovani, è intervenuto dicendo: «Oggi in Pakistan, per una scelta sbagliata, di odio, di guerra, è stato fatto un attentato e sono morte 70 persone. Questa strada non va, non serve. Soltanto la strada della pace, che costruisce un mondo migliore. Ma se non lo fate voi, se non lo fate voi, non lo farà un altro, eh? Questo è il problema, e questa è la domanda che io vi lascio: ‘Sono disposto, sono disposta a prendere una strada per costruire un mondo migliore?’. Soltanto quello. E preghiamo un Padre nostro per tutte queste persone che sono morte in questo attentato in Pakistan. La Madonna ci aiuti sempre a lavorare per un mondo migliore, a prendere la strada della costruzione, la strada della pace e mai la strada della distruzione e la strada della guerra».
Il 25 novembre 2013 durante l’omelia a Santa Marta, Francesco ha affermato: «Quando noi sentiamo la vita dei martiri, quando noi leggiamo sui giornali le persecuzioni contro i cristiani, oggi, pensiamo a questi fratelli e sorelle in situazioni limite, che fanno questa scelta. Loro vivono in questo tempo. Loro sono un esempio per noi e ci incoraggiano a gettare sul tesoro della Chiesa tutto quello che abbiamo per vivere ».
Il 24 novembre 2013 viene pubblicata l’“Evangelii Gaudium” in cui si legge: «In quest’epoca acquista una notevole importanza la relazione con i credenti dell’Islam, oggi particolarmente presenti in molti Paesi di tradizione cristiana dove essi possono celebrare liberamente il loro culto e vivere integrati nella società. Non bisogna mai dimenticare che essi, “professando di avere la fede di Abramo, adorano con noi un Dio unico, misericordioso, che giudicherà gli uomini nel giorno finale”. Gli scritti sacri dell’Islam conservano parte degli insegnamenti cristiani; Gesù Cristo e Maria sono oggetto di profonda venerazione ed è ammirevole vedere come giovani e anziani, donne e uomini dell’Islam sono capaci di dedicare quotidianamente tempo alla preghiera e di partecipare fedelmente ai loro riti religiosi. Al tempo stesso, molti di loro sono profondamente convinti che la loro vita, nella sua totalità, è di Dio e per Lui. Riconoscono anche la necessità di rispondere a Dio con un impegno etico e con la misericordia verso i più poveri. Per sostenere il dialogo con l’Islam è indispensabile la formazione adeguata degli interlocutori, non solo perché siano solidamente e gioiosamente radicati nella loro identità, ma perché siano capaci di riconoscere i valori degli altri, di comprendere le preoccupazioni soggiacenti alle loro richieste e di fare emergere le convinzioni comuni. Noi cristiani dovremmo accogliere con affetto e rispetto gli immigrati dell’Islam che arrivano nei nostri Paesi, così come speriamo e preghiamo di essere accolti e rispettati nei Paesi di tradizione islamica. Prego, imploro umilmente tali Paesi affinché assicurino libertà ai cristiani affinché possano celebrare il loro culto e vivere la loro fede, tenendo conto della libertà che i credenti dell’Islam godono nei paesi occidentali! Di fronte ad episodi di fondamentalismo violento che ci preoccupano, l’affetto verso gli autentici credenti dell’Islam deve portarci ad evitare odiose generalizzazioni, perché il vero Islam e un’adeguata interpretazione del Corano si oppongono ad ogni violenza».
Il 17 novembre 2013 durante l’Angelus, Francesco ha affermato: «pensiamo a tanti fratelli e sorelle cristiani, che soffrono persecuzioni a causa della loro fede. Ce ne sono tanti. Forse molti di più dei primi secoli. Gesù è con loro. Anche noi siamo uniti a loro con la nostra preghiera e il nostro affetto; abbiamo ammirazione per il loro coraggio e la loro testimonianza. Sono i nostri fratelli e sorelle, che in tante parti del mondo soffrono a causa dell’essere fedeli a Gesù Cristo. Li salutiamo di cuore e con affetto».
Il 20 ottobre 2013 durante l’Angelus, Francesco ha affermato: « In questa Giornata siamo vicini a tutti i missionari e le missionarie, che lavorano tanto senza far rumore, e danno la vita. Come l’italiana Afra Martinelli, che ha operato per tanti anni in Nigeria: qualche giorno fa è stata uccisa, per rapina; tutti hanno pianto, cristiani e musulmani. Le volevano bene. Lei ha annunciato il Vangelo con la vita, con l’opera che ha realizzato, un centro di istruzione; così ha diffuso la fiamma della fede, ha combattuto la buona battaglia! Pensiamo a questa sorella nostra, e la salutiamo con un applauso, tutti!».
Il 25 settembre 2013 durante l’udienza generale, Francesco ha affermato: «Quando sento che tanti cristiani nel mondo soffrono, sono indifferente o è come se soffrisse uno di famiglia? Quando penso o sento dire che tanti cristiani sono perseguitati e danno anche la vita per la propria fede, questo tocca il mio cuore o non mi arriva? Sono aperto a quel fratello o a quella sorella della famiglia che sta dando la vita per Gesù Cristo? Preghiamo gli uni per gli altri? Vi faccio una domanda, ma non rispondete a voce alta, soltanto nel cuore: quanti di voi pregano per i cristiani che sono perseguitati? Quanti? Ognuno risponda nel cuore. Io prego per quel fratello, per quella sorella che è in difficoltà, per confessare e difendere la sua fede?».
Il 12 giugno 2013 dopo l’Angelus, Francesco ha detto: «In particolare, pregherò per le vittime della violenza, specialmente per i cristiani che hanno perso la vita a causa delle persecuzioni».
Il 19 maggio 2013 nel messaggio per la Giornata missionaria mondiale, Francesco ha scritto: «Un pensiero infine ai cristiani che, in varie parti del mondo, si trovano in difficoltà nel professare apertamente la propria fede e nel vedere riconosciuto il diritto a viverla dignitosamente. Sono nostri fratelli e sorelle, testimoni coraggiosi – ancora più numerosi dei martiri nei primi secoli – che sopportano con perseveranza apostolica le varie forme attuali di persecuzione, Non pochi rischiano anche la vita per rimanere fedeli al Vangelo di Cristo. Desidero assicurare che sono vicino con la preghiera alle persone, alle famiglie e alle comunità che soffrono violenza e intolleranza e ripeto loro le parole consolanti di Gesù: «Coraggio, io ho vinto il mondo» (Gv 16,33)».
Il 14 aprile 2013 durante il Regina Caeli, Francesco ha affermato: «Preghiamo in modo particolare per i cristiani che soffrono persecuzione; in questo tempo ci sono tanti cristiani che soffrono persecuzione, tanti, tanti, in tanti Paesi: preghiamo per loro, con amore, dal nostro cuore. Sentano la presenza viva e confortante del Signore Risorto».
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