Ondata di suicidi nell’era del benessere: ma cosa basta al cuore dell’uomo?

Suicidi nel mondo. Uno psicologo americano sul New York Times è arrivato a parlare di “una crisi di mancanza di senso”, perché siamo soli in un cosmo indifferente. Tutti attendono qualcuno che porti la salvezza, ma quel Qualcuno è già venuto e gli uomini non se ne sono accorti.

 

Un’ondata di suicidi di persone, sopratutto, ricche e famose ha investito le società occidentali negli ultimi vent’anni. Si parla di un aumento del 25% dal 1999, soltanto negli Stati Uniti. Ma la nostra generazione vive il massimo confort di sempre, a livello di salute, livelli d’istruzione, redditi pro-capite, diritti individuali, tecnologia e servizi.

«Quid animo satis?», si chiedeva Francesco d’Assisi. Cosa basta al cuore dell’uomo? Ma non solo San Francesco. Perfino uno psicologo di livello, come Clay Routledge (North Dakota State University), sul blasonato New York Times, è arrivato a scrivere: «il tasso di suicidi è aumentato anche se sono sempre più disponibili cure per la depressione e l’ansia. Come scienziato comportamentale, sono convinto che la crisi del suicidio della nostra nazione sia in parte una crisi di mancanza di senso». Ovvero, «l’aumento del rischio di disperazione esistenziale».

Certo, Routledge riduce tutto ad una lettura della psicologia evoluzionista per cui (erroneamente) ogni pensiero/sentimento/esigenza umana deve avere un riscontro biologico. Però coglie il punto, poiché anche naturalisticamente parlando «vogliamo vite che contino qualcosa. E quando le persone non sono in grado di dare un significato diventano più vulnerabili psicologicamente». Anche lo psichiatra americano, tuttavia, ha riconosciuto che «il senso di significato offerto dalla religione non è così facilmente replicabile in contesti non religiosi». E non è un caso se la crisi di identità odierna è contemporanea al fatto che le persone «di questi tempi, specialmente i giovani adulti, hanno meno probabilità di identificarsi con una fede religiosa, frequentare la chiesa o impegnarsi in altre pratiche religiose». D’altra parte basterebbe leggere Carl Jung, quando afferma: «Tra i miei pazienti oltre i 35 anni non ne ho trovato uno il cui problema ultimo non fosse rappresentato dal suo comportamento religioso. Anzi, in ultima analisi, ognuno si ammala perché ha perduto ciò che le religioni vive hanno dato in tutti i tempi ai loro fedeli. Prima o poi il tema religioso fa capolino nel racconto di vita dei pazienti» (C. Jung, Psicologia e religione, Comunità 1966, p.139).

Siamo soli in un cosmo indifferente, privo di spiegazione o scopo dove la somma totale delle singole esperienze personali non offre un senso compiuto all’esistenza. Nell’uomo riflessivo si palesa la totale estraneità dal mondo, l’incapacità del pensiero di giustificare l’accadimento delle cose, il sentirsi straniero nell’universo. «Siamo soli nell’immenso vuoto che c’e», dice il testo di una canzone di Raf. «Soli in fondo all’universo senza un perché. C’e bisogno di una luce quaggiù, non lasciarmi amore almeno tu». C’è quindi una duplice accezione di mancanza di un fondamento a tutto ciò che esiste e di assoluta vanità delle azioni umane. Se Albert Camus, davanti a ciò, rifiutò il suicidio e propose di nobilitare l’esistenza (consapevole che ciò non la priverà dell’assurdità) tramite la stoica resistenza, il mostrare i pugni ad un universo sordo alla nostra angoscia, continuando a vivere a dispetto di esso, Giacomo Leopardi vide nel suicidio la liberazione da una condizione di sofferenza esistenziale senza limiti. E, per sempre più persone oggi, sembra essere l’unica soluzione.

«Un imprevisto è la sola speranza», scriveva Eugenio Montale (in Prima del viaggio). Manca qualcosa, un imprevisto, appunto. C’è nell’esistenza umana un quid che non si riesce ad afferrare mai. E più il mondo offre risposte e distrazioni da questa drammatica assenza, e più si esaspera il vuoto: «Chi sei tu che colmi il mio cuore della tua assenza? Che colmi tutta la terra della tua assenza?», si domanda Par Lagerkvist (Uno sconosciuto è il mio amico,). Lo scrittore svedese si rivolge ad uno Sconosciuto, ad un “tu”. Poiché il senso del mondo può essere fondato solo se lo si cerca fuori da esso. «Se si risponde negativamente» all’esistenza di questo “Tu”, scrive il filosofo Roberto Timossi, «dovremmo precostituirci un alibi per giustificare la nostra presenza nel cosmo; e a questo scopo non sarà certo sufficiente il puro caso, che può forse risultare una spiegazione accettata dalla scienza, ma mai una ragione per vivere e morire serenamente» (Prove logiche dell’esistenza di Dio, Marietti 2005, p. 20).

Così, l’insoddisfazione esistenziale dell’uomo moderno porta alcuni a rialzare lo sguardo a Dio, alla proposta cristiana. «In realtà, è Gesù che cercate quando sognate la felicità», disse Giovanni Paolo II. «E’ Lui che vi aspetta quando niente vi soddisfa di quello che trovate; è Lui la bellezza che tanto vi attrae; è Lui che vi provoca con quella sete di radicalità che non vi permette di adattarvi al compromesso». Il mondo ha sempre più bisogno di testimoni di questo, il compito dei cristiani altro non è che sostenere la speranza degli uomini. L'”imprevisto” si è reso incontrabile, colmando della Sua presenza la vita di chi è aperto per incontrarlo. Ma gran parte degli uomini non se n’è accorto.

La redazione

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7 commenti a Ondata di suicidi nell’era del benessere: ma cosa basta al cuore dell’uomo?

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  1. Max De Pasquale ha detto

    Non conoscevo – purtroppo – la considerazione di Jung. Grazie per averla riportata

  2. simone ha detto

    Articolo che mette i brividi per la sua profondità, impressionante la cultura che avete e siete così giovani!

  3. Sandro ha detto

    “Ciò che le religioni vive hanno dato in tutti i tempi ai loro fedeli”. Questo è il punto. Mi chiedo quanta responsabilità abbia un certo modo di intendere la chiesa a far passare una “religione” davvero viva. Ammesso che il cristianesimo sia una religione (personalmente credo sia una fede più che una religione)…
    Papa Francesco ce la sta mettendo tutta. Ma quanta fatica e quanta resistenza, sopratutto dall’interno. Per una “conservazione” sotto naftalina che ormai di vivo rimangono poco più che le tarme…

  4. Giuseppe ha detto

    Sappiamo ancora ascoltare, ci interessa, possiamo ancora farlo? Le religioni (anche quella cristiana) ci hanno dato per millenni un modo semplificato di ascoltare che non ha ha mai soddisfatto completamente, e nel loro cristalizzarsi sono diventate contro l’uomo. Gesù è venuto per dare un incontro diretto con la verità ma non è stato ascoltato (se non in modo infinitesimo) allora come adesso perchè? E’ possibile per noi finiti confrontarsi con l’infinito? E’ forse il dramma e la bellezza di sempre. Oggi forse è più difficile perchè abbiamo perso il senso della comunità – assemblea – Chiesa. Solo insieme l’individuo può ascoltare (shema Israel……ascolta Israele). Solo l’ascolto può darci il senso vero della nostra vita.

    • Francesca ha detto in risposta a Giuseppe

      “Solo l’ascolto può darci il senso vero della nostra vita.”

      Tale considerazione può essere valida per tutti, ed è anche valida al di là dei temi religiosi in quanto è l’uomo stesso che vuole cristallizzarsi e non le religioni o le strutture esteriori.
      Tuttavia sapendo io dal precedente topic che sei protestante, la mia risposta spontanea per te all’affermazione
      “Solo l’ascolto può darci il senso vero della nostra vita” è:
      NO. Solo Lui, solo il Figlio di Dio fatto uomo, può darci il senso vero della nostra vita. Solo Lui può costituire e legare una comunità (Chiesa) a partire dalla relazione personale con ogni singolo.
      Per essere ancora più chiara: non sto esponendo una metafora.
      Intendo proprio dire che solo se c’è Lui (Presenza Reale) puoi fare vera Chiesa e vera comunità umana.
      E pensa che perfino così gli uomini continuano a ribellarsi, a cristallizzarsi, a sbagliare. Ma in ogni caso, Lui è la nostra unica Via. Dove c’è Lui c’è la Chiesa. Dove c’è Lui c’è l’ascolto vero di cui parli.

      “Shemà Israel” ? Certamente, all’inizio.
      Poi: “Vieni e Seguimi”. Tu.
      Nella Chiesa: i due richiami si coniugano.

  5. Apocalipto ha detto

    Tralasciando la tematica sul suicidio, da un punto di vista teologico voi dite chi attendere? E’ gia’ venuto. A proposito consiglio di leggere Sergio Quinzio. E 2 pt (dov e quello che doveva venire presto? Tutto e’ come prima).
    PS: mera intellettualistica. Io sono credente per fede (donata) non per ragione.

  6. Linus ha detto

    Tornando al suicidio da un punto di vista “medico” ho forse meno certezze. Negli ultimi tempi sono usciti, ad esempio, scritti su Levi. Levi era depresso gia’ prima di Auschwitz, aveva un nonno suicida, ad Auschwitz “stette meglio” (in guerra i suicidi diminuiscono) e pare nella sua ultima telefonata disse a un amico: “no, non e’ il campo…”. Giorni dopo si uccise.
    Purtroppo la testa sara’ l ultima cosa che conosciamo.
    Tenco non si e’ ucciso per una canzone, né tanti altri per varie cose o se si erano “predisposti”?

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