Desideriamo l’infinito: una mancanza che suggerisce una Presenza
- Ultimissime
- 08 Ott 2018
di Costantino Esposito*
*ordinario di Filosofia presso l’Università degli studi di Bari
da Gazzetta Filosofica, 28/09/18
Se è vero che la filosofia non è un insieme di teorie astratte, a maggior ragione non possiamo costruire un sistema puramente teorico riguardo ad un tema come quello del desiderio o limitarci a richiamare delle nozioni che lo definiscano astrattamente. Piuttosto, l’invito che questo tema rivolge a ciascuno di noi è quello di riflettere su come si presenti nella nostra esperienza questo stranissimo fenomeno. Il desiderio è infatti un fenomeno felicemente ambiguo ed enigmatico. Proverò a spiegarne il perché attraverso tre passaggi.
1) Innanzitutto il desiderio, come nell’esperienza accade, denota una mancanza: si desidera qualcosa perché non la si possiede. E non è una mancanza qualsiasi, occasionale o opzionale, ma piuttosto strutturale: più specificatamente, è una mancanza che ferisce, nella misura in cui viene avvertita in quanto tale e che più al fondo permette di scoprire la nostra stessa persona in quanto costitutivamente mancante. La mancanza dell’oggetto desiderato innesta la nostalgia e la tendenza a desiderare ciò di cui ci sentiamo mancanti e origina la coscienza della nostra permanente incompiutezza.
2) Al tempo stesso non riusciremmo a cogliere l’esperienza del desiderare, se ci fermassimo alla denotazione di una mancanza, cioè se non avvertissimo che il desiderio annuncia anche una presenza che ci attrae. Non è soltanto una mancanza che ci ferisce, ma è anche il presentimento o l’annuncio di qualcosa che non è in nostro possesso, ma di cui dobbiamo in qualche maniera avere una certa nozione, per poterla desiderare. Ignoti nulla cupido: non si potrebbe desiderare ciò che non si conosce. Dall’altra parte ciò che desideriamo non è conosciuto così bene da non volerlo possedere, o da non volerlo conoscere, ancora di più. Quindi il fenomeno del desiderio si attesta sulla soglia di una mancanza che al tempo stesso annuncia una presenza. Con i miei studenti faccio sempre l’esempio di quel semplicissimo fenomeno dell’attrazione che un pezzo di ferro ha verso un magnete. Anche se noi non vedessimo il magnete, il fatto stesso che vi sia un movimento verso qualcosa indica che vi è un punto di attrazione. Così il regime della penuria o della mancanza non basterebbe, empiricamente, a spiegare il moto della tendenza, se non ipotizzando un fattore che attragga.
3) Ultima notazione, che andrebbe sviluppata e approfondita ma a cui è prezioso accennare, è il fatto che il desiderare non è semplicemente una delle azioni della nostra vita cosciente, ma in una qualche maniera è tra i fenomeni che vengono a costituire il nostro stare al mondo, persino come radice nascosta della socialità tra di noi. Per comprendere questo punto basti pensare al rapporto tra il bisogno e il desiderio. Se c’è una cosa che tutti più o meno avvertiamo è che il bisogno (fame, sete, bisogno sessuale, etc.) è una mancanza a cui dobbiamo dare soddisfazione. Ma il bisogno rinasce sempre dalle sue ceneri: la sua soddisfazione non è mai compiuta, eppure il compimento che si cerca è sempre lo stesso. Come un meccanismo che si ripete, appunto una coazione a ripetere. Perciò se dovessimo scegliere tra il bisogno e la compiuta soddisfazione del bisogno, non avremmo dubbi e sceglieremmo la seconda rispetto al primo. È evidentemente meglio vivere la soddisfazione del bisogno che essere in qualche maniera dipendenti da esso. Ora, proviamo a fare lo stesso test con il desiderio: tra il desiderio e il suo totale compimento, cosa sceglieremmo? Probabilmente non vorremmo smettere di desiderare perché una soddisfazione compiuta ed esauriente del desiderio sarebbe in definitiva la morte. Possiamo pensare a una vita senza tanti bisogni, ma una vita senza desiderio sembra la condanna a una perdita. Tanto è vero che il soddisfacimento di un desiderio è tale che, proprio quando il desiderio viene soddisfatto, esso non cessa, ma anzi si moltiplica. Ed è un amplificarsi non come nel loop del bisogno, nella coazione del ripetere uno stesso meccanismo che deve ridare allo stesso bisogno lo stesso appagamento (come spegnimento), ma come il riconoscimento della natura tendenzialmente incompibile del desiderare e insieme della natura tendenzialmente indefinita o infinita del desiderato.
È qui che la grandezza di Cartesio, ci aiuta nel capire come mai questo fenomeno del desiderare è così unico: perché il suo oggetto è infinito. Come è scritto nella III Meditazione di filosofia prima, il filosofo, dopo aver fondato la certezza autoreferente del cogito, che può persino rinunciare al suo stesso corpo, ma non all’idea del suo sé, arriva a scoprire che, se l’io si inoltra nella vita del sé, trova dentro di sé, innata, l’idea di infinito, senza la quale non potrebbe percepire neanche l’idea di sé come essere finito. Ed è un’idea sui generis, perché essa dice di qualcosa, di una realtà, di una presenza desiderabile. Se non avessi quell’idea dell’infinito – continua infatti Cartesio – non potrei né desiderare né dubitare. Quindi il desiderio e il dubbio sono della stessa famiglia, perché il dubbio non è semplicemente astensione dalla certezza e rinuncia a una verità, ma indica quel movimento della ragione che, per così dire, vuole godere del vero. L’infinito abita nella nostra coscienza nella forma di ciò che possiamo desiderare come origine e come compimento di noi, ma al tempo stesso come ciò che ci permette di mettere in questione criticamente tutto il mondo del finito.
Qui sotto la magistrale lezione del prof. Esposito
11 commenti a Desideriamo l’infinito: una mancanza che suggerisce una Presenza
Lo sbaglio sta tutto nnel considerare il desiderio come frutto del bisogno. Si desidera non in quanto schiavi ma in quanto liberi dal bisogno. Infatti se c’è il bisogno il desiderio stenta a farsi strada nella coscienza, resta inconscio e come tale inespresso quindi neanche percepito. La libertà dal bisogno porta alla coscienza il desiderio, e ci si libera dal bisogno con una linea di condotta altrimenti detta disciplina. Nell’articolo si parla di infinito in relazione al desiderio, questo infinito però è solo un marasma nel quale si perde l’oggetto; citando il titolo di un film di Bunuel si intende quell’oscuro oggetto del desiderio come la mancanza di finalità nella vita complicata probabilmente da una concezione morale.
Un bel commento, ma l’errore chiave è che la percezione del bisogno è esso stesso un desiderio di risposta al bisogno che si percepisce. Non c’è nessuna disciplina, nessuna condotta retta che elimini l’urgenza di felicità, il bisogno di compimento dell’uomo e mi sembra poco realista sostenerlo. Anzi, la “perfezione” amplifica ed esaspera il bisogno stesso di infinito perché chiunque si accorge che “non basta”.
Fare carriera non è un bisogno! Porsi domande escatologiche neppure. Intendo per bisogno una cosa di cui non si può fare a meno…
Il bisogno non è specificamente fare carriera, ma ciò che sta dietro: il bisogno di essere valorizzati per ciò che facciamo ed essere premiati (con la carriera) per questo. Il cui bisogno nasconde sempre il bisogno originale di compimento, di soddisfazione esistenziale che muove ogni altro piccolo bisogno. E’ di questo che non si può fare a meno, si chiama infatti bisogno originale.
Nella chiusa del tuo bel commento parli di bisogno originale, la consonanza con peccato originale non mi è sfuggita. Dalle nostre origini come figli della “civiltà” occidentale traiamo pursempre qualcosa che ha a che vedere col peccato di Adamo ed Eva i quali hanno dato dapprima ascolto alla conoscenza dimenticandosi di Dio ma poi il peccato originale è diventato per il cristiano un bisogno: si è dato più ascolto a Dio e meno al diavolo che additava invece al desiderio. Cristo ha spazzato via il peccato ma tuttora fa più comodo sentirsi peccatori!
Eppure, caro amico, sono convinto che il desiderio venga da Dio, non dal Diavolo. Perché il desiderio tiene desto l’uomo e impedisce l’inganno dell’autosufficienza, aprendo la coscienza dell’uomo alla domanda di compimento.
Certo in quanto il diavolo è anch’esso una creatura di Dio!
L’uomo non sa chi egli sia, ed avverte il bisogno
di Qualcuno che risolva il suo mistero;
questo Qualcuno non può che essere Colui che lo ha creato-
Bellissimo articolo.
Il desiderio di Dio/bisogno di Dio è ciò che definisce
l’essere umano in quanto tale.
La Sua Presenza nell’uomo ne costituisce la coscienza:
la coscienza di essere è la coscienza dell’Essere.
E la nozione dell’eternità cui l’uomo anela ne è la
logica conseguenza:
“di Te ha sete l’anima mia,
a Te anela la mia carne,
come terra deserta,
arida, senz’acqua”
Salmo 62-