L’ex brigatista: «Ho ucciso Aldo Moro, da ateo la provvidenza di una seconda vita»

Fa tremare i polsi la testimonianza che Franco Bonisoli ha lasciato al Meeting di Rimini (video più sotto). Membro della direzione strategica delle Brigate Rosse e del Comitato esecutivo, condannato a quattro ergastoli anche a causa della strage di via Fani dove venne rapito Aldo Moro. Impressionante il racconto di come dal marxismo-leninismo scelse di passare alla lotta armata per coerenza con gli slogan, unica soluzione per poter imporre un mondo più giusto.

«Il comunismo era un sogno, un Eden terreno da vivere subito», ha raccontato. «Serviva però prima la rivoluzione: i buoni, cioè noi, andavano divisi dai cattivi (i padroni, il potere e chi li difendeva), andavano abbattuti e si sarebbe instaurata una società di transizione, la dittatura del proletariato. Un potere giusto, per poi arrivare al comunismo. Il problema è che per abbattere lo Stato serviva la forza, la violenza e le armi e quindi l’omicidio politico. Questa è stata la base di quello che poi divenne cronaca, gli anni di piombo. Io, come tutti i compagni che hanno fatto la scelta armata, non avevamo una sete di potere personale o aspirazioni politiche. La scelta della clandestinità intrapresa nel 1974 significava dare la mia vita per una causa, la vita che mettevo in discussione era la mia. Questo per abbattere un mondo brutto, dare un contribuito per le nuove generazioni: ci sarebbero voluti 100 anni, non importava. Ne valeva la pena. L’alternativa era vivere in un mondo che rifiutavi, sopravvivendo con ipocrisia».

Bonisoli è cresciuto in una famiglia normale, di operai, di comunisti, «quelle persone che hanno costruito la società del boom economico e che ci avevano dato il benessere in cui vivevamo». La società, la famiglia come la politica, era però bloccata su alcuni schematismi: «tu avevi un ruolo, dovevi studiare, diventare consumatore e stop. Così cominciai a sognare un mondo migliore, mi aveva colpito la guerra del Vietnam, una aggressione di una società avanzata (gli USA) verso i contadini. Volevamo difendere questo piccolo popolo, sentivamo dentro l’ingiustizia. Oggi accendi la televisione e ci sono solo guerre, ma la vita scorre normale. Allora invece c’era una forte tensione verso le ingiustizie, ci si voleva ribellare. Già alle scuole medie cominciammo a chiedere l’assemblea, cioè dire in modo ufficiale quello che pensavamo seppur avevamo poco da dire, ma la cosa che più ci frustrava era il non ascolto da parte degli adulti o meglio, ti ascolto finché sei dentro ad uno schema. E Papa Francesco sta insistendo molto oggi sull’ascoltare l’altro, i giovani».

Partecipa al Movimento Studentesco, l’eskimo come divisa e l’interesse ai movimenti rivoluzionari in America Latina, in Giappone. «Cresceva in noi un sogno di essere protagonisti e costruire una società più giusta, senza guerra. Come sono arrivato alla scelta della lotta armata? Il mito della resistenza era continuare quello che i nostri padri comunisti non erano riusciti a fare, imporre il modello sovietico. Così ritenevamo la rivoluzione russa e cinese modelli del futuro. Predavamo i movimenti di Che Guevara, quelli del Cile, come riferimenti di chi stava facendo la propria parte. E noi? Soltanto violenti slogan della cultura di sinistra: “il potere nasce dalla canna del fucile”, “lo stato borghese si abbatte e non si cambia”. Testi lenininisti, maoisti, la scuola di Francoforte e dei gruppi armati dell’America Latina. Non bastavano più, serviva coerenza e la scelta fu esistenziale: dare la propria vita per questo o no. Le Brigate Rosse erano per me la vera coerenza tra parole e i fatti. Se si dice che la rivoluzione va fatta con le armi, ci si arma. Non si può dichiararlo, guardare il Cile e Cuba e poi andare al bar».

A 15 anni Bonisoli sposa la teoria marxista-leninista, a 17 anni interrompe gli studi per andare a fare l’operaio, l’iscrizione al Partito Comunista. A 19 anni entra nelle Brigate Rosse e nella clandestinità, in particolare «dopo il colpo di stato in Cile decidemmo di armarci come unica opzione». Quattro anni come clandestino rivoluzionario, poi l’arresto nel 1978 e il viaggio nelle carceri di massima sicurezza. «Però non è che fosse cambiato qualcosa per me», ha raccontato l’ex brigatista, «l’idea era continuare la rivoluzione dentro al carcere secondo l’esempio dei partigiani, puntare all’evasione per continuare la lotta. Più il carcere era duro più giustificava la ribellione verso Stato violento». 4 ergastoli e 105 anni per vari processi, «non ci difendevamo e facendo parte dell’organizzazione prendevo l’ergastolo per ogni azione commessa. Era un punto d’orgoglio per noi».

Poi la crisi. Apparivano i primi pentiti, cioè traditori. «Iniziò la fase di implosione e la violenza contro questi infami che tradivano era la nuova causa giusta, ci ammazzammo tra noi». Il dubbio era sempre stato sopito con frasi di Lenin o prese da Il Capitale, ma ormai non teneva più, «non ci credevo più. Avevo 28 anni, avevo sacrificato la vita per una causa in cui dubitavo e avevo provocato un danno enorme alla mia famiglia, alle persone che avevamo ucciso o ferito e che avevano dei familiari. Cominciai a pensarli come persone, togliendole dal loro ruolo». Si uccideva perché il nemico non era considerato una persona ma un ruolo, una funzione. Una disumanità totale e la consapevolezza di stare negando gli stessi valori che «ti avevano portato a fare queste scelte». Qualcosa non tornava. Volevano instaurare la pace e avevano generato una spirale di guerra, uccidevano i nemici perché nessuno potesse più uccidere. «Non siamo andati da nessuna parte», l’ammissione di Bonisoli. «Ci sono stati solo dei danni, un’idea che è saltata e la violenza ha portato solo violenza. Uscire da questa spirale è difficilissimo e io ho avuto la fortuna di uscirne».

Lo fece iniziando uno sciopero per la fame in carcere, quindi rompendo lo schema della violenza e tradendo gli ideali. Poi il rapporto con il cappellano di San Vittore, don Luigi Melesi, poi il card. Carlo Maria Martini e quel moto ecclesiale -e non solo- verso un trattamento dignitoso dei detenuti. Insomma, la scoperta che il mondo non era così terribile. Bonisoli fece solo 22 anni di carcere beneficiando di alcune leggi, seppur assumendo sempre tutte le responsabilità delle azioni criminali commesse. Poi l’incontro con Agnese Moro, figlia di Aldo, e con Giovanni Ricci, figlio dell’autista della scorta di Aldo Moro. Con loro è nato un rapporto personale, «mi hanno riconosciuto come persona, interessavo io, la mia vita oggi», ha raccontato in un’intervista. Così, «si è aperta per me la possibilità di una seconda vita attraverso degli incontri, dei fatti che io, da ateo, definisco provvidenziali».

 

Qui sotto la testimonianza di Franco Bonisoli

La redazione

21 commenti a L’ex brigatista: «Ho ucciso Aldo Moro, da ateo la provvidenza di una seconda vita»

  • Paolo D. ha detto:

    Quest’articolo sarebbe contro la sinistra? Cioè questa testimonianza accusa l’ideologia di sinistra a cui contrapporre la bellezza della religione (cristiana)?

    Non ho ben capito la conclusione..

    • Michele ha detto:

      Posto che la maggior parte del discorso non è frutto del sito, non penso che punti minimamente a fare un confronto tra sinistra e religione (se ci hai visto questo, in realtà non sono in antitesi queste due), quanto piuttosto è la testimonianza di un pentito, e fa il confronto tra una visione del mondo ideologizzata e una più aderente alla realtà (questo ci vedo io)

      • extra ha detto:

        Che le Brigate Rosse erano più vicino alla sinistra, non vuol dire che loro erano di sinistra nel senso del termine che da il sistema democratico. Comunismo originalmente non è ideologia di sinistra, è una ideologia totalitaria che va oltre sinistra e destra, oppure distrugge tutte due, come infatti è successo nei paesi dell’Est.

        Dunque l’ambizione di comunismo va oltre quel che si chiama realtà. Resta da vedere se il cristianesimo ha ambizione l’opposta: la giustificazione della realtà, e se realtà cosi come è ha bisogno di essere giustificata dal cristianesimo, oppure il cristianesimo ha bisogno di giustificare la realtà per sentirsi ancora vivo e vincitore sopra le carogna del comunismo oramai morto e sepolto.

  • andrea g ha detto:

    E’ ricorrente la descrizione che danno ex rivoluzionari
    del meccanismo mentale che conduce a valutare altri esseri umani
    soltanto più come “qualcosa” di avversario alla realizzazione
    della propria ideologia, come intrinsecamente “cattivi” e dunque,
    come tali, tranquillamente passibili di violenza,
    fino alla soppressione-

  • giuliano ha detto:

    Immaturi, solo immaturi. “Cambiare la società” insieme a qualche decina di (altrettanto immature) persone usando metodi violenti e vigliacchi passando attraverso una ideologia assurda (altrettanto immatura quanto fuori dalla realtà) è sinonimo solo di immaturità. Cadiamo sempre la…

    • andrea g ha detto:

      E’ davvero micidiale come, una volta instaurata in sè stessi
      la visione della propria ideologia come quella di
      un “bene assoluto”,
      questo impianto mentale conduca inesorabilmente alla
      percezione di “oppositori” che non possono che rappresentare,
      in questo schema, il “male assoluto”-.
      Di lì in poi è una spirale di follia, una violenza
      che deve continuare per cercare di spegnere ogni rimorso
      che possa affiorare-

      • andrea g ha detto:

        Grandi scrittori hanno sapientemente descritto
        questi deliri della psiche.
        Su tutti (tra quelli che conosco io, ovviamente)
        metterei “I demoni”, di Fëdor Dostoevskij e
        “L’agente segreto” di Joseph Conrad.-

        • andrea g ha detto:

          Ma anche il recente “Patria”, di Fernando Aramburu,
          ambientato negli anni 80 nel Paese Basco-

  • Kosmo ha detto:

    4 ergastoli e 105 anni

    ed è già fuori??? O_O

    • Max De Pasquale ha detto:

      In Italia, si’.

    • StefanoPediatra ha detto:

      Adesso leggi nel pensiero? (il mio)

      Il perdono di un assassino è un fatto tra lui e il Padre (e non ci voglio nè posso entrare). E lo stesso vale per il perdono da parte dei parenti delle vittime.

      Ma che credibilità ha la legge e come si può difendere una società civile dai crimini se la pena non è certa?

      Poi, certo, 22 anni di carcere sono una parte molto lunga della vita. D’altra parte però ci sono persone cui la vita è stata tolta per sempre (al netto della resurrezione in cui chi crede può sperare) o cui (i famigliari delle vittime) è stata rovinata per sempre…

      • Kosmo ha detto:

        Ricordo anche che le BR fecero del male a tutta l’Italia quindi la richiesta di perdono dovrebbe essere pubblica.
        E che ancora dopo tanti anni permangono molti punti oscuri, a cominciare proprio dalla vicenda Moro.
        Quindi se veramente ci si è pentiti, per prima cosa ci dovrebbbe essere la volontà di rimediare in qualche modo (o almeno provarci) al male fatto.

  • Ras Tafari I ha detto:

    Erano dei ragazzi che sognavano un mondo libero dai poteri forti, ma hanno sbagliato target, anche Moro lottava contro tali poteri, ma quei ragazzi sono stati aizzati proprio da questi poteri forti per eliminare un vero rivoluzionario come Moro, ora lo capiscono, quelli erano gli anni dei comunismi leninisti marxisti organizzati e indotti dai globalisti guerrafondai, come quello del DERG di Menghistu, indotto dalle coalizioni internazionali e che moro contrastava smascherando chi c’era dietro a queste sanguinarie MARIONETTE!!!!!

  • Francesco Nocelli ha detto:

    Che differenza tra questo tipo di rivoluzione e quella dei santi…!! Pensiamo a Francesco d’Assisi, a Giovanni Bosco, a Damiano de Veuster, a Madre Teresa… hanno cambiato la storia vedendo Cristo in ogni volto. Colui che rende vera e giusta la societa’ e’ Colui che rende vero e giusto il nostro agire.

    • extra ha detto:

      Vedi che per paragonare due fenomeni devi usare lo stesso codice. E in questo caso è il codice del crimine.
      Se i santi delle Brigate Rosse e Brigate Nere uccidevano i altri, i santi religiosi uccidano se stessi come Brigate Celesti. Nella violenza siamo sempre. Non cambia il mondo vendendo salami in pace.

      “… il regno dei cieli e preso a forza ed i violenti se ne impadroniscono” (Mat. 11,12)

    • andrea g ha detto:

      Ha completamente ragione, Francesco.
      L’unica rivoluzione è quella interiore,
      la Rivoluzione del Cristo.
      Le altre, quelle umane, ne sono soltanto
      la demoniaca parodia-

  • Chicco ha detto:

    La storia dell’ armati sono italiano è un pochino più complessa di come la descrivono i vincitori.Bonizoli parla x se stesso e 22 anni anziche 4 ergastoli è perchè ha collaborato,altri sono ancora a marcire nei circuiti penitenziari.Cmq i padroni della Montedison,con migliaia di morti sulla coscienza in galera non sono mai andati è questa la vera ingiustizia

    • andrea g ha detto:

      i padroni della Montedison,con migliaia di morti sulla coscienza in galera
      non sono mai andati

      Non conosco bene, ma è possibilissimo che sia come dice lei.
      Ma il senso di questa informazione quale sarebbe?

      • andrea g ha detto:

        “è questa la vera ingiustizia ”
        Qual’è dunque la “falsa” ingiustizia?

  • Giovanni Franco ha detto:

    Io ho vissuto quel periodo. In fabbrica un mio amico fu implicato nella lotta armata partecipando al l’assassinio del giudice Coco. Non si rivelò mai, fino a quando scoprimmo che fu arrestato. Il fatto era che nelle fabbriche, nell’ambiente operaio di allora, NESSUNO, e ribadisco nessuno, parteggiava per le B. R. Intese piuttosto come nemiche del popolo. Fra noi compagni anzi c’era l’imperativo di denunciare qualunque sospetto di terrorismo. Il caso di Guido Rossa fu emblematico.

  • Uomo vivo ha detto:

    Da questa testimonianza si desume bene l’aspetto più inquietante della teoria di Marx e i suoi effetti più devastanti. Ovvero la pretesa di avere individuato e di indicare al mondo il suo inesorabile destino: il paradiso in terra, previa rivoluzione e dittatura del proletariato. Per chi ci ha creduto, aderire alla rivoluzione armata, anche terroristica, era un’opzione coerente ed etica.